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PINDARO
Pitiche
PITICA I
PER
IERONE ETNEO
VINCITORE NELLA CORSA DEI CARRI
La vittoria è del 470 a.C., il vincitore è
Ierone
, tiranno di
Siracusa
, qui definito Etneo in memoria della recente fondazione, da parte sua, della città di Etna. (Si trattava in effetti della fondazione di una colonia siracusana nel territorio della città calcidese di Catane i cui abitanti erano stati sconfitti da
Ierone
e deportati. Si legge in
Diodoro Siculo
che
Ierone
popolò Etna con cinquemila siracusani e cinquemila
Dori
fatti venire dal
Peloponneso
).
L'ode si apre con una famosa apostrofe alla cetra il cui suono ha il potere di "inebriare la mente degli dei" e di sconvolgere "tutto ciò che non è amato da
Zeus
". E fra i nemici di
Zeus
il mostruoso
Tifone
che fu scagliato nel sottosuolo e che provoca con il suo rantolo infuocato le eruzioni dell'
Etna
.
L'introduzione, ricca di memorabili immagini, serve ad entrare nel tema dell'ode invocando la benedizione divina sulla nuova città il cui fondatore ha appena conquistato un'altra vittoria.
Ierone
si trovava, in quel tempo, all'apice della sua fortuna politica e militare, pare tuttavia che non fosse in buona salute, infatti
Pindaro
lo paragona al mitico
Filottete
che accettò di partecipare alla fase definitiva della guerra di
Troia
nonostante fosse gravemente infermo.
Le lodi e le benedizioni di
Pindaro
si estendono anche a
Dinomene
, figlio di
Ierone
e re della nuova città, mentre la fondazione di Etna è spunto per riprendere i più antichi miti collegati alla migrazione dorica in
Tessaglia
e nel
Peloponneso
.
Pindaro
ricorda ancora la vittoria di
Ierone
sui
Cartagine
(nel 480 a.C. presso il fiume Imera con il fratello
Gelone
) e sugli
Etruschi
(474 a.C. presso
Cuma
), paragonandole alle famose battaglie dei Greci contro i
Persiani
a
Platea
e a
Salamina
.
PITICA II
PER LO STESSO
Il componimento di Pindaro classificato come Pitica II presenta particolari problemi di interpretazione e di datazioni derivanti dall'omessa indicazione della gara vinta dal dedicatario,
Ierone di Siracusa
, già encomiato nell'ode precedente.
I versi furono composti prima della morte di
Ierone
(467 a.C.) e dopo il 477 a.C., anno in cui il tiranno di
Siracusa
funse da mediatore fra le città di Locri Epizefirii e di
Reggio
, episodio al quale si allude nel testo.
Lo schema dell'ode compone due riferimenti mitici: quello a
Cinira
, re di
Cipro
e benefattore della sua gente e quello ad
Issione
che, ospitato dagli dei, recò loro offesa tentando di sedurre
Era
.
Questi due personaggi contrapposti fanno della gratitudine il tema centrale del componimento:
Cinira
in positivo (il suo popolo, dopo secoli, gli è ancora grato) ed
Issione
in negativo.
In apertura la lode di
Siracusa
"divina nutrice di uomini e cavalli" e di
Ierone
, vincitore di una gara di quadriga e domatore di splendide puledre con l'aiuto di
Artemide
, di
Ermes
e di
Posidone
.
Qui la gratitudine dei Ciprioti per
Cinira
viene paragonata a quella delle vergini locresi per
Ierone
. Pare infatti che gli abitanti di Locri, in vista della guerra contro
Reggio
, avessero votato le loro vergini alla prostituzione per ottenere l'aiuto degli dei. L'intervento diplomatico di
Ierone
, scongiurando la guerra, avrebbe dunque allontanato da quelle giovani i "travagli della guerra ineluttabili".
Per contro la citazione del mito di
Issione
, ingrato e blasfemo, eternamente condannato ad essere legato ad una ruota che gira vorticosamente, vuole forse suonare di monito agli avversari di
Ierone
e a quanti si mostravano ingrati ed arroganti nei suoi confronti. Se il poeta si riferisse a casi precisi o ad una situazione generale di malcontento e di cospirazioni non ci è dato sapere.
Nell'ode si racconta anche come
Issione
fu ingannato da
Zeus
che creò dalle nuvole una falsa immagine di
Era
. Dall'unione di
Issione
con la nuvola ebbe origine la stirpe dei
Centauri
, stirpe ibrida e mostruosa che in qualche modo rappresenta nella deformità del fisico le colpe del progenitore.
Di difficile interpretazione anche le diverse metafore basate sugli animali (la scimmia, la volpe, il lupo) tutte riferite a caratteristici comportamenti umani.
La Pitica si chiude con un'esortazione ai lettori a comportarsi lealmente e a tenere sempre presenti i limiti della propria condizione.
PITICA III
PER
IERONE DI SIRACUSA
In questo brano non si celebra una vittoria, si tratta invece di una lettera che
Pindaro
rivolge a
Ierone
, gravemente ammalato. Il mito al quale si fa riferimento è quello di
Asclepio
, figlio di
Apollo
, e del mite e saggio centauro
Chirone
, suo precettore.
Amata da
Apollo
,
Coronide
figlia del re
Flegias
, aveva osato unirsi al mortale
Ischi
prima di aspettare la nascita del figlio del dio e per questo motivo era stata uccisa dalle frecce di
Artemide
. Quando
Apollo
aveva visto ardere il corpo di
Coronide
sulla pira era intervenuto e, salvato il piccolo che la donna portava in grembo, lo aveva affidato al centauro perché lo educasse e gli insegnasse la scienza medica.
Così
Asclepio
divenne un sapiente guaritore e si dedicò a curare malattie e ferite degli esseri umani. Infine anche
Asclepio
si lasciò sedurre dal fascino della ricchezza ed accettò di far risuscitare un uomo in cambio di una straordinaria ricompensa. L'evento provocò l'ira di
Zeus
che fulminò medico e paziente.
L'io narrante,
Pindaro
stesso, si rammarica a questo punto che
Chirone
non sia più fra gli uomini: egli avrebbe tentato di convincerlo con i suoi inni a mandare a
Ierone
un medico infallibile quale
Asclepio
o lo stesso
Apollo
.
Dunque
Pindaro
si limiterà ad invocare la Grande Madre ed a rammentare a
Ierone
come egli abbia avuto
in sorte un destino di felicità
e come
la fortuna dei mortali non duri a lungo quando giunge a loro in tutta la sua pienezza
.
A sostenere il concetto valgono due esempi mitici: quelli di
Cadmo
e di
Peleo
, entrambi ebbero amori ed onori divini eppure anche la loro sorte infine cambiò.
Ma
se un mortale conosce la via della verità riesce ad essere felice per ciò che viene dagli dei
, mentre la gloria dei grandi sarà tramandata nel tempo grazie al canto dei poeti.
PITICA IV
AD
ARCESILAO DI CIRENE
VINCITORE CON IL CARRO
E' la più lunga ode di
Pindaro
, dedicata ad
Arcesilao IV
, re di
Cirene
, vincitore delle quadrighe nel 462 a.C. L'ode rievoca l'avventura degli
argonauti
mettendo in risalto un oscuro componente della spedizione,
Eufemo
, che viene identificato come antenato di
Arcesilao IV
, diciassette generazioni prima di
Batto
, fondatore di
Cirene
nel 630 a.C.
Giasone
, compiuti vent'anni lascia la casa del centauro
Chirone
che lo ha accolto ed educato quando, bambino, era stato esiliato dallo zio, l'usurpatore
Pelia
.
Pelia
riconosce
Giasone
per il segno predetto da un oracolo: egli entra a
Iolco
privo di un calzare e quando il nipote gli propone di cedergli il regno pacificamente lo convince a compiere la pericolosa impresa del Vello d'oro nella speranza di liberarsi definitivamente del giovane rivale.
Pelia
era cugino di
Frisso
, figlio di
Atamante
e di
Nefele
. Per salvarsi dalle insidie della matrigna
Ino
,
Frisso
era fuggito nella
Colchide
sulla groppa del montone volante il cui vello aureo aveva dedicato ad
Ermete
. Lo spirito di
Frisso
era rimasto esule in
Colchide
e per liberarlo era necessario recuperare il Vello d'Oro, ma
Pelia
- già anziano - propone l'impresa a
Giasone
in cambio del regno.
I più valorosi e giovani eroi della
Grecia
si riuniscono a
Iolco
sotto il comando di
Giasone
per affrontare la missione: fra loro, oltre al già citato
Eufemo
,
Eracle
, i
Dioscuri
,
Orfeo
,
Zete e Calaide
ed altri.
Il racconto dei passi salienti del mito è reso con mirabile sintesi: il passaggio delle
Simplegadi
, l'arrivo in
Colchide
, l'ostilità del re
Eeta
, l'amore di
Medea
, figlia del re per
Giasone
e gli incantesimi di lei per aiutare l'eroe.
Nell'ultima parte del componimento,
Pindaro
intercede presso il dedicatario per Damofilo, esule da
Cirene
di famiglia aristocratica, giovane ma saggio come i più anziani.
Probabilmente la famiglia di Damofilo aveva subito l'esilio a seguito delle sedizioni contro la dinastia dei Battiadi che negli anni precedenti avevano turbato
Cirene
, e Damofilo aveva conosciuto
Pindaro
durante il suo soggiorno a Tebe, soggiorno al quale si fa riferimento negli ultimi versi dell'ode.
PITICA V
ALLO STESSO
ARCESILAO
Come la precedente, questa Pitica è dedicata a
Arcesilao IV di Cirene
, vincitore nella quadriga nel 462 a.C.
L'encomio inizia con una lode della ricchezza
mista a pura virtù
che
Arcesilao
esercita da sempre, protetto da
Castore
, nume tutelare degli agoni equestri.
L'elogio è indirizzato anche a Carroto, auriga del carro vittorioso.
Con la considerazione che
Nessuno è privo della sua parte di pena
Pindaro
allude alle recenti vicissitudini della casa dei Battiadi a causa del contrasto politico con l'aristocrazia. Ma ora la pace sta tornando a
Cirene
e
Arcesilao
può regnare con saggezza e giustizia.
Vengono rievocate le gesta, fra storia e mito, del fondatore della dinastia
Batto I
e dei suoi discendenti. L'accenno alle tombe dei Battiadi disposte fuori dalle mura di
Cirene
apre una serie di vivaci immagini descrittive che fanno ritenere agli studiosi che l'autore abbia visitato personalmente quei luoghi.
La tomba del fondatore, separata dalle altre, si trova in fondo alla piazza e riceve culto eroico.
Arcesilao IV
, ottavo discendente, riceve da
Apollo
il premio della vittoria per le sue molte doti.
Il componimento si chiude con l'augurio che la stirpe di
Batto
ottenga nuovi onori in
Olimpia
.
PITICA VI
PER
SENOCRATE DI AGRIGENTO
VINCITORE CON IL CARRO
L'ode è dedicata a
Senocrate di Agrigento
, della fmiglia degli
Emmenidi
, vincitore nella gara con il carro nel 490 a.C. Allo stesso personaggio, alcuni anni più tardi
Pindaro
dedicò l'Istmica II.
Con
Senocrate
viene elogiato anche il figlio
Trasibulo
, probabilmente auriga nella gara. Il componimento si apre con un solenne annuncio della vittoria degli
Emmenidi
, vittoria per la quale è pronto un
tesoro di inni
che, diversamente dai monumenti, non potranno mai essere cancellati o rovinati dalla pioggia o dal vento. I sentimenti filiali di
Trasibulo
ispirano un riferimento mitico: la raccomandazione di onorare sempre i genitori fatta dal centauro
Chirone
al suo giovane discepolo
Achille
.
Trasibulo
viene paragonato anche ad
Antiloco
il quale, durante la guerra di
Troia
, muore per salvare la vita del padre
Nestore
.
PITICA VII
A
MEGACLE
ATENIESE VINCITORE CON I CAVALLI
Vincitore con la quadriga nei giochi pitici del 486 a.C.,
Megacle
apparteneva all'illustre famiglia ateniese degli
Alcmeonidi
. All'epoca della vittoria aveva recentemente subito l'ostracismo per motivi non chiari, probabilemente perché sospettato di aspirare alla tirannia.
La vittoria di
Megacle
andava ad aggiungersi ad una lunga serie di successi sportivo degli
Alcmeonidi
.
La brevità della composizione e l'assenza di riferimenti mitici rendono probabile (ma non accertato) che si tratti di un componimento estemporaneo, recitato direttamente sul luogo della competizione.
La città di
Atene
funge da "bellissimo preludio" all'ode che il Poeta rivolge alla potente stirpe degli
Alcmeonidi
che godeva di grande fama anche per le numerose vittorie nei giochi equestri.
Agli
Alcmeonidi
andava anche il merito di aver ricostruito il santuario di
Delfi
dopo l'incendio che lo aveva distrutto nel 548 a.C.
Nel saluto del poeta al vincitore, alla gioia per il successo si affianca anche il rammarico pe l'invidia con la quale le "belle azioni" sono spesso ricambiate.
PITICA VIII
A ARISTOMENE DI EGINA VINCITORE NELLA LOTTA
Probabilmente una delle ultime odi composte da
Pindaro
, la Pitica VIII è dedicata al giovane lottatore Aristomene, vincitore nel
446 a.C.
Apre l'inno un'invocazione alla Tranquillità personificata che regna in tempo di pace e che, in quanto figlia della Giustizia, sa opportsi alla tracotanza ed alla sedizione. Viene, in questo senso, citato l'esempio del gigante
Porfirione
che tentò di usare violenza ad
Era
e fu colpito dalla folgore di
Zeus
e dalle frecce di Apollo.
Una lode di
Egina
, isola giusta che gode il favore delle
Cariti
, nutrice di eroi e di uomini insigni, è seguita dal ricordo degli zii materni di Aristomene, già gloriosi vincitori di agoni prestigiosi.
Prendendo spunto da questo rapporto parentale fra grandi campioni,
Pindaro
sceglie come modello mitologico le figure di
Anfiarao
e di
Alcmeone
.
E' insolito che in un inno in onore di un egineta il riferimento mitico non si rivolga alla stirpe degli
Eacidi
ma a personaggi della tradizione argiva, del resto varie fonti antiche attestano rapporti amichevoli fra
Egina
ed Argo ed adombrano eventi di colonizzazione dell'isola da parte degli Argivi.
Alcmeone
guidò la spedizione degli
Epigoni
, figli dei sette eroi sconfitti combattendo contro Tebe, e qui
Pindaro
immagina che suo padre
Anfiarao
, morente durante la prima spedizione, abbia avuto la visione profetica della futura vittoria del figlio.
Come spesso avviene in
Pindaro
, tuttavia, all'evento positivo della vittoria si contrappone un episodio drammatico, così
Adrasto
, si dice ancora nell'oracolo pronunciato da
Anfiarao
, tornerà indenne e vittorioso dalla seconda spedizione ma recherà con se le spoglie del figlio
Egialeo
caduto in combattimento.
Apollo
, nume tutelare dei giochi, è invocato perché protegga il vittorioso Aristomene e la sua stirpe.
I lottatori sconfitti da Aristomene tornano alle loro case nascondendosi nei vicoli, sopraffatti dalla vergogna mentre chi ha vinto nutre la speranza di ulteriori successi.
La gloria degli uomini può cadere tanto rapidamente quanto rapidamente è cresciuta perché l'uomo è
creatura di un giorno
, e
sogno di un'ombra
, ma quando riceve la fulgida luce inviata dagli dei
dolce è la vita
.
L'ode si chiude con un'invocazione alla ninfa
Egina
, eponima dell'isola perché preservi la libertà del popolo di
Eaco
.
PITICA IX
PER TELESICRATE DI
CIRENE
VINCITORE NELLA CORSA CON LE ARMI
Per celebrare la vittoria dell'atleta nella gara con la quadriga indossando l'armatura (474 a.C.),
Pindaro
sceglie di cantare il mito della ninfa
Cirene
, eponima della città del vincitore.
Figlia del re dei
Lapiti
Ipseo
, a sua volta figlio del fiume
Peneo
e della
naiade
Creusa
,
Cirene
venne rapita da
Apollo
che la fece signora della regione che da lei prese il nome.
Cirene
, la cui genealogia in
Pindaro
denota volutamente una natura selvaggia e primitiva, disdegnava le occupazioni femminili e si dedicava volentieri alla caccia alle fiere.
Apollo
la notò mentre combatteva a mani nude contro un leone.
Affascinato il dio chiamò il centauro
Chirone
e lo interrogò sulla giovane:
Chirone
sorrise comprendendo che la domanda del dio onniscente celava un pudore comune agli uomini ed agli dei e pronunciò una profezia sull'amore di
Apollo
per
Cirene
che sarà consumato in
Libia
e che genererà
Aristeo
. Questi sarà allevato dalle
Ore
e reso immortale con il nettare e l'
ambrosia
.
La ierogamia si svolse nello stesso giorno ed ecco, dice
Pindaro
tornando all'argomento presente, che Telesicrate ha donato nuova gloria a
Cirene
ed alla
Libia
con la sua vittoria.
Per ricordare le precedenti imprese dell'atleta, vincitore anche a Tebe e ad
Egina
, il poeta inserisce un breve riferimento al mito di
Iolao
, discendente di
Alcmena
e compagno di
Eracle
.
Elogiato il laudando e la sua patria, al cantore non rimane che pronunciare un encomio diretto alla casata del vincitore, originario della città libica di Irasa. Lo fa ricordando come un antenato di Telesicrate vinse una gara nuziale, gara che viene descritta con un riferimento al mito delle figlie di
Danao
.
PITICA X
A IPPOCLEA TESSALO VINCITORE NELLA DOPPIA CORSA DEI RAGAZZI
Fra le prime composizioni di
Pindaro
a noi note, la Pitica X celebra la vittoria nella doppia corsa (diaulo) del giovane Ippoclea nei giochi del 498 a.C.
Protettore di Ippoclea e commettente dell'ode era
Torace di Larissa
, della famiglia degli
Alevadi
, allora dominante in
Tessaglia
. Coerentemente alla politica degli
Alevadi
, che ricercavano l'alleanza degli Spartani contro gli Ateniesi, l'ode si apre con un'esclamazione che sottolinea la comune discendenza da
Eracle
degli Spartani (tramite
Illo
) e dei Tessali (tramite
Tessalo
).
Sono stati gli
Alevadi
, continua
Pindaro
, a chiamarlo per celebrare la vittoria di Ippoclea che con il favore di
Apollo
ha seguito le orme del padre Fricia, famoso atleta due volte vincitore ad
Olimpia
.
Il Poeta rivolge ad
Apollo
una preghiera perché Ippoclea e la sua famiglia godano ancora in futuro di ricchezza e successi. questa preghiera funge anche da introduzione al racconto mitologico che costituisce la parte centrale del componimento. Vengono infatti citati gli
Iperborei
, il popolo beato che grazie alla protezione di
Apollo
vive felice in un paese inaccessibile agli essere umani, ignorando la vecchiaia e le malattie sempre dedito a feste gioiose ed allegri banchetti.
Al solo
Perseo
, guidato da
Atena
, fu concesso di visitare il paese degli
Iperborei
dopo aver ucciso la
Gorgone
. Questa visita di
Perseo
agli
Iperborei
non è narrata da altri autori e non è chiaro se sia invenzione di
Pindaro
o se egli l'abbia ricavata da tradizioni più antiche a noi non note. Serve comunque a ribadire il concetto dell'aiuto divino senza il quale l'uomo, pur giungendo a godere dei frutti delle proprie capacità come Ippoclea e Fricia, non potrà mai superare i propri limiti.
Ma dal racconto mitico è necessario tornare al tema attuale e qui
Pindaro
lo fa espressamente notando che "il fiore degli inni di lode è come un'ape che salta da un argomento all'altro". Nell'ultima parte della Pitica, dunque, si ritorna all'ode di Ippoclea che il canto del poeta renderà ancora più famoso. Infine
Pindaro
esprime la propria gratitudine a
Torace
che gli ha affidato il compito di cantare questo evento ed un'ultima lode degli
Alevadi
che governano con saggezza le città dei Tessali.
PITICA XI
TRASIDEO DI TEBE, RAGAZZO VINCITORE NELLA CORSA
Poiché ci sono note due vittorie atletiche di Trasideo di Tebe avvenute a vent'anni di distanza, non è chiaro quale sia l'evento celebrato in questo inno, tuttavia la critica moderna propende per la prima prova, vinta nel 474 a.C. nel corso della ventottesima Pitiade quando Trasideo era ancora molto giovane.
L'apertura consiste in una solenne invocazione ai personaggi femminili dei miti tebani:
Semele
e
Ino-Leucotea
(figlie di
Cadmo
),
Melia
(figlia di
Oceano
rapita e portata a Tebe da
Apollo
) ed
Alcmena
madre di
Eracle
.
Le eroine vengono invitate a celebrale la gloria della "nostra terra" (sia il vincitore, sia il poeta sono infatti tebani) e quella della "sacra Pito" dove si svolgono i giochi e dove l'oracolo di
Apollo
proferisce i suoi responsi.
Nei pressi di
Delfi
si trovava la reggia di
Strofio
, padre di
Pilade
, che accolse generosamente
Oreste
sottratto ad
Egisto
e
Clitemnestra
dalla nutrice
Arsinoe
. Questa circostanza serve a
Pindaro
per introdurre il racconto della fine di
Agamennone
ucciso dalla moglie al ritorno dalla guerra di
Troia
e il poeta si chiede se
Clitemnestra
commise l'omicidio per vendicare la figlia
Ifigenia
sacrificata dal padre o perché sedotta da un altro letto e "travolta da notturni amori".
L'adulterio è sempre occasione di maldicenza da parte del popolo e di disonore per chi lo commette.
Agamennone
venne dunque ucciso e con lui
Cassandra
che, prigioniera di guerra, era divenuta schiava del re, ma
Oreste
trovò rifugio nella casa di
Strofio
e più tardi vendicò la morte del padre uccidendo
Clitemnestra
ed il suo amante
Egisto
.
Ma il discorso -
Pindaro
lo dichiara esplicitamente - deve ora tornare al tema dell'ode, cioè all'encomio del giovane Trasideo e di suo padre Pitonico, già vincitore in gare equestri ad
Olimpia
.
Chi raggiunge la gloria dovrà goderne in pace e con moderazione, preoccupandosi di lasciare ai propi figli la preziosa eredità di una buona reputazione. Questa esortazione morale è tema centrale del componimento e giustifica la scelta del mito degli
Atridi
qui da intendersi come modello in negativo. Giunta infatti all'apice del potere la casa di
Agamennone
trovò la rovina a causa dell'insolenza e della tirannide.
La "grazia di un buon nome" è invece ciò che procura e conserva la gloria di personaggi illustri come
Iolao
e i
Dioscuri
, qui citati in conclusione della pitica con sottinteso paragone della loro lealtà e delle loro doti atletiche con le virtù di Trasideo.
PITICA XII
A MIDA DI AGRIGENTO, AULETA
La particolarità di questa ode consiste nel fatto che la vittoria celebrata non è una performance atletica ma una prova musicale.
Flautista famoso e vincitore di altre gare, l'agrigentino Mida vinse nelle Pitiadi del 490 a.C. e fu encomiato da
Pindaro
con questo inno, probabilmente su commissione di Trasibulo o della sua famiglia.
La Pitica si apre con l'elogio di
Agrigento
"bellissima fra le città mortali" che potrà accogliere la corona conquistata dal suo cittadino Mida.
L'arte del flauto fu inventata da
Atena
che volle riprodurre il funereo lamento delle
Gorgoni
quando
Perseo
uccise
Medusa
.
La dea trovò sul flauto la melodia che imitava quel lamento e ne fece dono agli uomini chiamandola "aria dalle molte teste" (canto policefalo).
Riferendosi all'impresa di
Perseo
e, parallelamente, all'esibizione di Mida, il Poeta conclude affermando che la felicità fra gli uomini "non appare mai senza fatica.