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I BANCHETTI DELL'ODISSEA

Ancora più frequenti che nell'Iliade sono i banchetti nell'Odissea, opera veramente costellata di scene di crapula impressionanti e di più morigerati conviti. Ad Itaca, nella casa di Ulisse, i Proci non fanno che gozzovigliare. Dal canto suo l'eroe Odisseo siede spesso, anche se non sempre volentieri, alla tavola dei suoi ospiti e delle sue ammiratrici. A volte il banchetto è l'occasione per ascoltare i racconti dell'eroe, come nella reggia di Alcinoo, altre volte è lo scenario di inganni e sortilegi come quelli della maga Circe, fino all'orrido pasto di Polifemo, divoratore dei miseri Greci che hanno osato penetrare nella sua spelonca.
I Proci, come è noto, erano i pretendenti alla mano di Penelope, regina ancora affascinante, ancorché non più giovanissima dopo la ventennale assenza dello sposo. Simbolo di fedeltà coniugale, la devota Penelope resisteva da anni alle insistenze di quei signorotti ben poco raffinati e con regale eleganza pareva non prestare attenzione al vero e proprio saccheggio che quegli scellerati, quotidianamente operavano sulle sostanze, sul bestiame e sulle cantine della regale casa itacense. Al lettore moderno sembra forse esagerata e impraticabile l'arroganza dei Proci ma, considerate le differenze di costume e di cultura che ci separano da quei tempi remoti, l'invenzione omerica stessa sta a dimostrare come quello del parassita sia un modo di vivere antico quanto il mondo. Se Penelope, turbata dalla nostalgia ed addolorata dalla sua vedovanza di fatto, come si diceva, sembrava sorvolasse sulla rapina che andava subendo, il giovane ed esuberante Telemaco se ne rendeva conto con estrema chiarezza. Le descrizioni che Omero ci tramanda dei banchetti dei Proci, tendono a mettere in risalto il carattere arrogante e volgare dei convitati, più che la composizione dei pasti. Di certo si legge che si mangiava prevalentemente carne, in particolare quella dei maiali che ogni mattina il vecchio e fedele pastore Eumeo doveva sacrificare all'ingordigia dei pretendenti. Si mangiava carne, dunque, e si beveva molto vino che, ovviamente, induceva presto all'ubriachezza, come quella descritta nel primo canto, nella scena in cui Atena, sotto le mentite spoglie del vecchio Mente, consiglia a Telemaco di partire alla volta di Pilo e di Sparta a cercare notizie di Ulisse. Il colloquio si svolge indisturbato perché i Proci, appunto ubriachi, non prestano attenzione al giovane principe ed al suo anziano ospite.
Anche i banchetti dei Proci erano spesso accompagnati dal canto degli aedi: ad esempio, da quello di Fenio che, ancora nel primo canto, racconta le gesta degli eroi greci a Troia, straziando di nostalgia la povera Penelope.
Più decorosi e tranquilli sono altri banchetti dei quali si racconta nell'Odissea, ad esempio quello che Menelao offre a Telemaco, giunto in visita nella sua reggia per avere notizie del padre. E' un momento di commozione per il ricordo dei caduti e dei dispersi e un momento di dolorosa consapevolezza di fronte ai tiri del destino: lo risolve Elena servendo ai commensali un magico farmaco che induce l'allegria, elisir nel quale qualcuno ha voluto indovinare la primissima apparizione del caffè.
Fra i banchetti ai quali il ramingo eroe viene invitato a partecipare mi sembra meritorio di un cenno particolare quello mitico ed ininterrotto che si svolge nel palazzo di Eolo, signore dei venti, palazzo al quale Ulisse giunge nel decimo canto, subito dopo che la sua astuzia lo ha salvato dalla furia cannibale del Ciclope.
Eolo è un personaggio non chiarissimo nella mitologia greca e non saprei affermare con sicurezza se si trattasse di un vero dio o di un eroe o re di origine terrena, successivamente divinizzato.
Lo si ritrova infatti in Virgilio, nei primi brani dell'Eneide, in atteggiamento servile davanti alla veneranda Giunone, che gli chiede di scatenare i suoi venti contro le navi dei Troiani, da lei profondamente detestati. Qui in Omero sembra ostentare maggior dignità, ma il suo stile di vita risulta, almeno per noi moderni, a dir poco bizzarro. Aveva dodici figli, sei maschi e sei femmine e, per non vederne andar via alcuno, li aveva convinti o costretti a sposarsi fra di loro e rimanere nella sua reggia a null'altro intenti se non a banchettare per l'eternità. Non stupisce quindi il fatto che questi divini crapuloni furono ben lieti di ospitare Ulisse per un mese intero ed ascoltare i suoi racconti: la presenza dell'insolito ospite doveva infatti costituire un piacevole diversivo. Congedandolo Eolo donò ad Ulisse un otre contenente tutti i venti contrari, con il divieto di aprirlo durante il viaggio, ma i compagni dell'eroe, per invidia o curiosità, contravvennero al divieto e scatenarono una tremenda tempesta che li riportò, naufraghi, ad Eolia.
Questa volta però il dio dei venti non fu benigno e cacciò via i Greci, convinto che le loro sciagure fossero un tristo sintomo dell'inimicizia degli dei.