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Divina Commedia - Preludio in Terra (approfondimento)



La prima terzina dell'inferno fissa in sole tre frasi gli elementi essenziali della situazione che prelude al viaggio oltremondano: quando, dove e perché.
L'indicazione nel mezzo del cammin di nostra vita se presa alla lettera, ci consente di individuare nel 1300 l'anno in cui il Poeta ambienta la sua avventura. Dante nacque, infatti, nel 1265 e poiché nel Convivio (IX, XXIII, 9) dice di considerare la vita media pari a settanta anni, si è ritenuto che per mezzo del cammin sia da intendere l'età di trentacinque anni, età che Dante raggiunse, appunto, nel 1300.
Nel passo citato del Convivio si immagina la vita come un arco: ogni cosa condivide le caratteristiche essenziali della cosa dalla quale proviene, la vita proviene dal cielo che è visto come un grande arco che tutto sovrasta. Il punto più alto dell'arco della vita è quello in cui l'essere umanoha completato le sue fasi ascendenti: infanzia, adolescenza, prima parte della maturità e non può quindi che cominciare a discendere verso "l'autunno" e infine verso "l'inverno" della vecchiaia.
Questo punto sommo dell'arco (o punto centrale del cammino) è tra i trenta e i quaranta anni ma nei "perfettamente maturati" si colloca con precisione nel trentacinquesimo anno, Cristo, infatti, scelse di morire nel suo trentaquattresimo anno di vita, prima cioè di iniziare la fase discendente. Un calcolo preciso, dunque, ma in Dante significato diretto e manifesto, simbolo, metafora, allegoria coesistono sempre nell'ambito solo apparentemente ristretto e conchiso di un unico verso o di una singola frase. Dunque, al di là del dato anagrafico la cui indicazione può forse passare in secondo piano, il mezzo del cammin di nostra vita può avere significato morale più ampio e profondo. Quel momento indica, si è visto, l'apice della maturità e la condizione dell'individuo quando lo raggiunge è la risultante di dutti gli eventi che lo hanno interessato e di tutte le scelte che ha compiuto durante la sua "fase ascendente". Un momento topico dal punto di vista interiore la cui importanza va ben oltre il calendario, un momento sentito forse come decisivo per il resto della vita terrena e, nella concezione religiosa, per il destino dell'individuo nella vita eterna.
Ma non basta, altri simboli ed altri riferimenti di diversa natura sembrano compresi in questo primo verso e nella datazione che ne consegue, a cominciare dal fatto che il 1300 è l'anno conclusivo di un secolo, cifra tonda, e questa considerazione apparirà meno banale considerando l'importanza ddella numerologia nella cultura medievale. E in particolare l'anno 1300 fu per molti aspetti di quella che per noi è storia ma per Dante che scrive pochi anni dopo era scottamte attualità soprattutto riguardo agli eventi che lo toccheranno personalmente, un anno di importanza fondamentale.
Fu l'anno del primo Giubileo. Il 22 febbraio 1300, infatti, Bonifacio VIII aveva promulgato la bolla Antiquorum habet fidem: una convocazione universale, rivolta all'intera cristianità, perché ogni credente si recasse a Roma per visitare le basiliche di San Pietro e di San Paolo fuori le Mura offrendo le sofferenze del pellegrinaggio, nonché in obolo in denaro, in cambio della remissione dei propri peccati, remissione che il pontefice concedeva e garantiva dalla cattedra di Pietro.
Un'idea geniale quella di Bonifacio ma non del tutto originale: il suo sfortunato predecessore Celestino V, sei anni prima, aveva istituito la ben più modesta cerimonia della "perdonanza" che durava un solo giorno e si svolgeva all'Aquila. Bonifacio mutuò dall'idea di Celestino il rapporto pellegrinaggio-perdono, ma curò la regia dell'evento in modo grandioso. Lo stesso Dante, che forse si unì ai pellegrinaggi giubilari, ricorderà nel diciottesimo canto dell'Inferno l'interminabile teoria di pellegrini sfilare sul ponte Sant'Angeloche per l'occasione era stato diviso in due corsie con le transenne. Verso Castel Sant'Angelo procedevano lentamente migliaia e migliaia di peccatori ansiosi di redenzione portando a San Pietro la loro spirituale penitenza e il loro materiale contributo, in direzione opposta sfilavano quanti avevano compiuto la visita con l'anima sollevata dalle colpe e le tasche alleggerite dalle monete. Quanto sarà costato il Paradiso a quei pellegrini, molti dei quali avranno investito in viaggi lunghissimi e pericolosi le loro scarse risorse, lo sa solo il Padre Eterno il quale, ci auguriamo, si sarà degnato di onorare le promesse di Bonifacio, almeno verso quelli che ci credevano davvero.
E nel Padre Eterno Dante probabilmente ci credeva, ma in Bonifacio certamente no. Quindi se il Giubileo fu nelle concause della scelta del 1300 non fu per onorare il papa blasfemo, dispotico e simoniaco al quale riserverà opportuno trattamento, ma fu forse per un significato più antico e profondo che egli aveva appreso dalle Scritture.
Ogni cinquanta anni, prescriveva infatti il Levitico al popolo di Israele, si annuncerà con il suono di un corno d'ariete detto Yobel (da cui Giubileo) la ricorrenza di un anno consacrato durante il quale gli schiavi saranno liberati, i beni confiscati restituiti, i debiti rimessi, i campi riposeranno.
Avrà certamente letto Dante il passo di Isaia nel quale Gesù appare come colui venuto a rinnovare il Giubileo, a predicare nell'anno di grazia del Signore.
Ben oltre la kermesse organizzata dalla Chiesa per rifocillare le sue casse, Dante vedeva forse questo significato di purificazione e perdono nella parole Giubileo e nell'anno in cui veniva celebrato. Il Giubileo era inoltre un pellegrinaggio, cioè un viaggio verso la purificazione ed anche questa era una suggestione che non poteva sfuggire al Poeta che, come pellegrino, si accingeva appunto a intraprendere un percorso di conoscenza e di liberazione dall'oscurità del peccato.
Ecco dunque, in poche parole, il pochissimo che chi scrive ha compreso dal primo verso, cioè dalla definizione del Quando, senza la pretesa di essere stato esaustivo. Altre sfumature possono essere sfuggite tanto all'esegesi ufficiale quanto alla lettura amatoriale, per quanto appassionata. Non se ne deve dar conto, è evidente, ma rimangono echi di dubbio, sensazioni di vuoto e di non detto. Ad esempio: perché "nostra" e non "mia"? Per pura esigenza metrica ed eufonica? Ipotesi indegna di considerazione trattandosi di un verso di Dante. E' certamente banale osservare che se "nostra" vuol dire di tutti gli esseri umani la coincedenza con il Giubileo non funziona più, tuttavia per quanto banale è pur sempre un'osservazione corretta. Riferire quel "nostra" alla "natura umana" di Dante (cioè alla sua scelta di rappresentare l'umanità nella trama del poema) più che alla sua mera condizione di membro del genere umano sembra opiione più convincente, ma pur sempre un'opinione.
Passando al verso successivo, a quella selva oscura che a volte viene considerata allegoria del peccato e che corrisponde al "Dove", cioè al luogo ove ha inizio l'avventura di Dante e qui sembra necessario riesaminare la terzina dal punto di vista strettamente logico: Dante si trova nella selva oscura perché ha smarrito la diritta via, cioè "dopo" averla smarrita e se questo smarrimento è causato dal peccato, il peccato stesso sarà la causa e non il risultato, interpretando quindi "avendo smarrito la diritta via mi ritrovai nella selva oscura" che è logico e consequenziale, piuttosto che "mi ritrovai nel peccato per non essermi comportato bene" (che è ridondante). Altre chiavi di lettura possono essere proposte e lo sono state: il motivo dello smarrimento della retta via non è il peccato inteso come compimento di un'azione malvagia ma è un abbrutimento dello spirito causato dal non vivere secondo ragione, vale a dire dall'assenza di una vita intellettuale completa ed appagante, dall'allontanarsi da quella ricerca della conoscenza che probabilmente Dante chiamerebbe "filosofia". Questa tesi in effetti trova conferma nel fatto che la salvezza del Poeta inizierà con l'arrivo di Virgilio, allegoria della ragione. Ad aggravare lo scenario terrifico della selva, a renderne ancora più inestricabile il groviglio, si aggiunge l'oscurità che nell'immaginario umano ha sempre rappresentato minaccia e suscitato paura.

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