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TITO MACCIO PLAUTO

MENECMI

Personaggi:

Spazzola (Peniculus), parassita di Menecmo
Menecmo I
Menecmo II (Sosicle)
Erozia, cordigiana, amante di Menecmo I
Cilindro, cuoco di Erozia
Messanione, servo di Menecmo II
Un'ancella di Erozia
La moglie di Menecmo I
Il suocero di Menecmo I
Un medico
Aguzzini

Argomento


Un mercante siciliano, padre di due gemelli, muore di dolore quando gli rapiscono uno dei figli. Il nonno dei bambini decide di chiamare il gemello rimasto Menecmo come lo scomparso. Cresciuto, il giovane parte alla ricerca del fratello, lo ritroverà ad Epidauro alla fine di una lunga serie di equivoci.
L'argomento è un acrostico, cioè le iniziali dei versi formano la parola Menechmi, è attribuito al retore Aurelio Popilio.


Prologo


L'attore che pronuncia il prologo specifica che la commedia è di argomento greco (ignoriamo quale sia il modello) ma, una volta tanto non ateniese, bensì siciliano.
Un mercante di Siracusa aveva due figli gemelli assolutamente identici. I bambini avevano sette anni quando il padre li portò a Taranto nel periodo dei giochi. Uno dei bambini si smarrì nella folla, fu trovato da un mercante di Epidauro che lo prese con se e lo portò nella sua città. Il padre dei gemelli morì di dolore. Il bambino rimasto fu allevato dal nonno che gli cambiò nome: volle infatti che si chiamasse Menecmo come lo scomparso.
L'uomo di Epidauro, che era molto ricco e privo di figli, adottò il Menecmo che aveva trovato a Taranto, gli diede una sposa con una ricca dote, e quando morì lo lasciò erede di un cospicuo gruzzolo.
Prima di interrompersi per una lacuna nel testo, il prologo informa che la scena dell'azione deve intendersi come la via di Epidauro ove abita Menecmo I.

Atto primo

Ad aprire l'azione è Spazzola, parassita di Menecmo che, con frasi tipiche del personaggio del genere, parla della propria golosità (è detto Spazzola per il modo in cui ripulisce la tavola) e dei ricchi banchetti offerti dalla liberalità di Menecmo.
Sopraggiunge Menecmo uscendo dalla propria casa e rivolgendo improperi alla moglie, verso l'interno.
Menecmo, esasperato dalla gelosia e dalla curiosità della moglie, le intima di lasciarlo in pace. La gelosia della donna può apparire giustificata, egli infatti le ha sottratto non visto un prezioso mantello per donarlo alla sua amante, la cortigiana Erozia.
Menecmo, gongolante per la sua bella impresa e per i piaceri imminenti, invita Spazzola a seguirlo da Erozia per pranzare con loro.
Manecmo e Spazzola bussano alla porta di Erozia che li accoglie lietamente. Menecmo le consegna il dono, vantando il coraggio con cui lo ha sottratto alla moglie, e lo invita a preparare un banchetto mentre lui e Spazzola faranno un salto al Foro. Erozia chiama il suo cuoco Cilindro e lo manda a fare la spesa.
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Atto secondo

Entrano in scena Menecmo II ed il suo fidato servo Messanione. I due sono appena sbarcati ad Epidauro, la loro ricerca, che dura già da sei anni, li ha portati a percorrere tutto il Mediterraneo ma Menecmo II risponde alle lamentele del servitore che non si fermerà finché non avrà trovato il fratello o non avrà avuto prova certa della sua morte.
Al rassegnato Messanione non rimane che mettere in guardia il padrone dalle molte insidie della città, piena di malviventi e di seduzioni pericolose.
I due incontrano Cilindro, il cuoco di Erozia, e qui si svolge il primo equivoco, il servo è convinto di parlare con l'amante della sua padrona, che conosce benissimo, mentre Menecmo II - ovviamente - nega di averlo mai visto. L'omonimia serve ovviamente a complicare la situazione e ad aumentare la sopresa di Menecmo II che si sente chiamare dallo straniero con il proprio nome. I due finiscono per accusarsi reciprocamente di pazzia, ma il cuoco conclude che Menecmo stia giocandogli uno scherzo ed entra in casa per attendere al proprio lavoro.
Esce subito Erozia, avvertita dal cuoco, per accogliere l'amante e si ripete, ancora più divertente, la scena dell'equivoco. Lo stupore di Menecmo II arriva all'apice quando la donna dimostra non solo di conoscere il suo nome ma anche quello di suo padre e la sua origine siciliana. Naturalmente Erozia sta declinando le generalità di Menecmo I ed è quindi ovvio che i dati corrispondano con quelli del fratello gemello.
Si potrebbe commentare che a questo punto Menecmo II dovrebbe, se non comprendere, almeno sospettare la verità, ma ciò non sarebbe conforme ai meccanismi tipici di queste commedie di situazione tanto care a Plauto ed ai gusti dei suoi contemporanei.
Mentre Messanione, preoccupatissimo, cerca di convincere Menecmo II ad andare via, al giovane viene l'idea di approfittare della situazione ed accettare l'invito della cortigiana. Congeda quindi Messanione ordinandogli di tornare al tramonto e spiega ad Erozia di aver finto di non conoscerla per timore che il suo compagno riferisse alla moglie del loro incontro.
A questo punto entra in scena il mantello della moglie di Menecmo I, la cortigiana prega il suo ospite di farlo ritoccare dal ricamatore. Menecmo II porterà via con se il mantello che, nel successivo sviluppo dell'azione, servirà a far distinguere i due gemelli agli spettatori.


Atto terzo


Spazzola torna in scena da solo. Nella confusione dell'assemblea ha perso di vista Menecmo ed ora teme di essere stato escluso dal banchetto. Le sue speranze di godere almeno dei resti della tavola vengono definitivamente deluse quando vede uscire dalla casa di Erozia Menecmo con una corona in testa (in realtà si tratta di Menecmo II ma questo, ovviamente, Spazzola non lo può sapere).
Dalle battute di Menecmo II si capisce che, dopo aver banchettato, Erozia gli ha consegnato il mantello pregandolo di farlo modificare dal ricamatore. Menecmo II ha intuito la situazione ed ha preso in consegna l'indumento.
Spazzola avvicina Menecmo II e protesta vivacemente di essere stato escluso dal banchetto. Alla fine della strana discussione (Menecmo non conosce Spazzola) il parassita si convince che l'altro voglia ingannarlo e giura di rivelare alla moglie di Menecmo il furto del mantello.
Interviene un'ancella di Erozia che consegna a Menecmo II un bracciale d'oro (Menecmo I l'ha rubato alla moglie donandolo all'amante) e gli chiede, da parte di Erozia, di farlo allargare. Cogliendo l'occasione l'ancella chiede a Menecmo di regalarle un paio di orecchini d'oro.
Ormai Menecmo II ha deciso di stare al gioce e, mormorando verso il pubblico, si ripromette di andare subito a vendere mantello e bracciale per tenersi il ricavato.


Atto quarto


Spazzola ha raccontato alla moglie di Menecmo il furto del mantello ed il banchetto in casa di Erozia. Per vendicarsi del pasto mancato il parassita cerca di organizzare le cose in modo che Menecmo venga colto sul fatto.
Sopraggiunge Menecmo I, anche egli si lamenta per il tempo perso al Foro, e si affretta a raggiungere la casa di Erozia, ma incontra sua moglie (inferocita) ed il subdolo Spazzola. La situazione è resa particolarmente intricata dal fatto che Menecmo I, per difendersi, deve ovviamente negare di aver preso il mantello (e qui mente) ma anche di aver banchettato a casa di Erozia, e qui non mente perchè in realtà il convitato della cortigiana è stato Menecmo II.
Alla fine della scena la moglie, esasperata, dichiara che non farà rientrare Menecmo in casa finché non avrà recuperato il mantello sottrattole.
Menecmo I è costretto a chiedere ad Erozia di restituirle il mantello, ma questa che crede di avergli già affidato l'indumento insieme al bracciale d'oro, crede che Menecmo voglia ingannarla, si infuria e lo caccia dalla sua casa.


Atto quinto


La moglie di Menecmo I incontra Menecmo II che, con il mantello in mano, sta girando per la città in cerca del suo schiavo Messanione. Ovviamente anche la donna confonde i due gemelli e si crea l'ennesima situazione di equivoco.
Alla fine la donna, convinta che Menecmo II neghi di conoscerla per poterla ingannare, decide di mandare a chiamare suo padre.
Il suocero di Menecmo sopraggiunge visibilmente seccato dalla convocazione. In un primo momento il vecchio redarguisce la figlia consigliandole di non ossessionare il marito con le sue pretese e con la sua gelosia, ma quando Menecmo II nega di conoscerlo si convince che il genero è impazzito e decide di chiamare un medico.
A questo punto Menecmo II per risolvere la situazione comincia a fingere di essere pazzo davvero. La scena che segue è probabilmente la più comica della commedia: della battute del "folle" Menecmo II Plauto inserisce infatti una gustosa parodia di effetti tragici, così Menecmo si finge prima una baccante invasata, poi imita Cassandra nell'invocare Apollo. Nel suo finto delirio l'uomo fa credere che Apollo gli ordini di percuotere ed uccidere furiosamente la moglie ed il suocero. Terrorizzato il vecchio fugge di casa in cerca del medico.
Anche Menecmo II si allontana, diretto al porto per riprendere la sua nave e fuggire.
Arriva il suocero con il medico ed incontrano "il pazzo" ma in realtà di tratta di Menecmo I che entra in scena dichiarando a se stesso (e al pubblico) l'intenzione di punire il parassita traditore. Segue una nuova serie di equivoci: Menecmo I ovviamente nega le accuse del suocero ma questo convince ancora di più il vecchio ed il medico che l'uomo si impazzito. Infine il medico propone al vecchio di chiamare dei servi perché conducano a forza il paziente a casa sua, dove riceverà cure adeguate.
I servi del suocero aggrediscono Menecmo I ma sopraggiunge Messenione a difendere quello che crede essere il suo padrone e rieesce a mettere in fuga gli aguzzini. A Menecmo I che lo ringrazia per il soccorso Messenione chiede la libertà, Menecmo I giura di non conoscerlo ed afferma di essere ben lieto di lasciarlo libero.
Con gioco sapiente, Plauto alterna i personaggi in brevi scene nelle quali gli equivoci si fanno sempre più fitti. Menecmo I entra nella casa di Erozia sperando di convincerla a rendergli il mantello, torna Messenione con un furibondo Menecmo II che nega di averlo affrancato.
Infine i due Menecmi si incontrano. Nello stupore generale è Messenione il primo ad intuire la verità. Interrogando i due gemelli sui loro ricordi infantili trova rapidamente conferma ed i Menecmi possono finalmente abbracciardi.
I due decidono di tornare insieme in Sicilia e a Messenione, che viene affrancato, è affidato il compito di vendere all'asta tutti i beni di Menecmo I.