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EUGIPPIO

VITA DI SEVERINO


Ispirandosi ad opere analoghe di contemporanei, Eugippio decise di pubblicare una biografia di San Severino, l'apostolo del Norico, del quale era stato discepolo. Dopo aver raccolto in una memoria il materiale necessario lo inviò al diacono romano Pascasio invitandolo a redigere la biografia nello stile letterario opportuno.
Pascasio, tuttavia, rispose con una breve lettera lodando il lavoro di Eugippio e dichiarando di ritenerlo completo ed adatto alla pubblicazione senza necessità di rielaborazioni.
Il racconto di Eugippio inizia dal 453, anno della morte di Attila e dell'arrivo di Severino nel Norico.
Proveniente dall'Oriente, Severino abitò nei piccoli centri di Asturae (Klosteneuburg), Comagene (Comaggiore) e Favianae (Mautern), dedicandosi alla predicazione.
Esortava la gente del luogo alla penitenza ed al digiuno ma anche alla carità ed alla reciproca solidarietà, rivolgendosi ad un popolo impoverito dalle continue incursioni dei barbari e rimasto privo di difese a causa del disgregarsi dell'apparato militare romano.
Desideroso di raccoglimento e solitudine si allontanò dalle città ma le "rivelazioni divine" lo riportarono a predicare fra la gente ed a fondare un monastero. Viveva da penitente digiunando spesso e rimanendo sempre scalzo nonostante il clima gelido della regione.
Il re dei Rugi Flacciteo, preoccupato per l'ostilità dei Goti della Pannonia, consultava spesso Severino che lo esortava a ricercare la pace evitando ogni scontro. Seguendo questi consigli Flacciteo prosperò e visse tranquillamente.
La fama di Severino crebbe presso i Rugi grazie alla miracolosa guarigione di un giovane e ben presto si sparse fra altre popolazioni così che molti barbari diretti verso l'Italia gli fecero visita per ottenere la sua benedizione. Fra questi fu anche il giovane Odoacre al quale il santo predisse un glorioso futuro.
Anche Feleteo (o Feva), figlio di Flacciteo, salito al trono prese a far visita a Severino, ma sua moglie Gisa era donna "pericolosa e cattiva". Questo giudizio così negativo sulla regina dei Rugi è motivato dal fatto che la donna era di religione ariana, infatti cercò di far ribattezzare secondo il rito ariano una parte dei sudditi e non teneva alcun conto delle profezie e dei consigli di Severino. Fu punita, racconta Eugippio, quando alcuni schiavi le rapirono il figlio Federico ancora bambino. Pentita di aver offeso Severino, Gisa liberò gli schiavi e fece vari atti di penitenza.
L'operato di Severino non si limitava alla predicazione: si adoperò con ogni mezzo per riscattare quanti venivano fatti prigionieri dai barbari ed in generale per migliorare le condizioni di vita della sua gente.
Nella chiesa del suo convento raccolse le reliquie dei santi Gervasio e Protasio e di molti altri martiri. Mentre la sua fama cresceva rifiutò per modestia la carica di vescovo.
L'agiografia prosegue con la descrizione di una serie di prodigi operati da Severino come l'autoaccensione dei ceri in mano ai veri fedeli per distinguerli, in chiesa, da quanti praticavano segratamente riti pagani. La preghiera, il digiuno e gli atti di carità sono anche l'arma per allontanare una devastante invasione di locuste. Viene divorato soltanto il raccolto dell'unico scettico che, pentito e prostrato, ottiene il soccorso dei concittadini su esortazione di Severino.
Si prosegue con visioni miracolose, guarigioni, addirittura una resurrezione ma il santo non gradiva la fama che questi eventi gli arrecavano e spesso faceva giurare ai presenti di mantenere il segreto su quanto avevano visto accadere.
Severino usò il suo carisma per aiutare la popolazione indigente e per tenere a freno la violenza dei barbari. Il re degli Alemanni Gibuldo gli fece visita nel convento di Batava e ne rimase talmente colpito da liberare tutti i prigionieri e da astenersi in seguito dal compiere scorrerie in territorio romano.
Interessante, nel racconto di una distribuzione di olio ai poveri da un recipiente miracolosamente inesauribile, l'informazione sulla rarità dell'olio stesso nelle regioni danubiane e sulle fatiche del pericoloso viaggio con cui i mercanti lo trasportavano.
Singolare il racconto di un gruppo di monaci che volendo portare aiuti all'apostolo del Norico attraversarono le Alpi durante l'inverno. Si persero in una tormenta di neve ma li aiutò un orso che fece loro da guida. Arrivati da Severino constatarono che questi era già a conoscenza della loro avventura.
Se si prescinde dai miracoli e dai prodigi dei quali un'agiografia è naturale che parli, traspare chiaramente l'avvedutezza di Severino che dovette essere uomo di grandi capacità diplomatiche e che riuscì, negli anni trascorsi nel Norico, a mantenere il difficile equilibrio fra le popolazioni latine (o comunque romanizzate) e quelle barbariche, in particolare i Rugi.
Mancando ormai la presenza romana (Eugippio accenna al dissolversi dei presidi i cui uomini non ricevevano più la paga), quelle contrade dovevano trovarsi in un regime di anarchia ed è comprensibile che un personaggio autorevole come Severino si trovasse a governare di fatto e a farsi carico per la comunità di ogni decisione.
Intanto Odoacre era divenuto re e memore delle profezie di Severino gli scrisse offrendogli "qualcosa che gli stava a cuore", Severino chiese la grazia per un amico condannato all'esilio e fu esaudito. Il santo predisse che Odoacre, che molti nobili adulavano, sarebbe stato al sicuro solo fra il tredicesimo ed il quattordicesimo anno del suo regno.
L'apostolo del Norico morì l'8 gennaio del 482, fra le lacrime dei suoi monaci e dei suoi assistiti, aveva predetto esattamente il giorno della propria morte con due anni di anticipo.
Alcuni anni dopo, come Severino aveva predetto, il Norico fu evacuato dalle popolazioni latine a causa della crescente violenza dei Rugi (488). Le spoglie del santo furono trasportate in Italia, prima a Montefeltro poi a Napoli dove furono sepolte nel Castello di Lucullo (Castel dell'Ovo).