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CESARE BALBO

STORIA D'ITALIA

(Sintesi parziale)

LIBRO PRIMO - ODOACRE - GOTI - GRECI (Anni 476-567)

Balbo introduce l'opera dichiarando la sua intenzione di fare per la gente comune quello che Muratori ha fatto per i dotti. Fra tutte le nazioni europee solo l'Italia e la Grecia possono vantare una storia antica. L'Italia ha una storia antica ed una moderna e Balbo si accinge a raccontarle perché vede nella storiografia il principio scientifico di un continuo indagare e scoprire.
Negli ultimi tempi dell'impero regnava la corruzione ed i costumi erano degenerati, le campagne abbandonate erano divenute paludi pestilenziali, ovunque erano epidemie, carestia, disperazione.
Con poche eccezioni i regni degli imperatori erano stati periodi infelici, il potere centrale si era disgregato e Costantino, trasferendo la capitale, aveva abbandonato l'Occidente al suo destino.
Anche il cristianesimo, riconosciuto da Costantino e divenuto religione di stato sotto i suoi successori, contribuì alla caduta del vecchio sistema di potere.
Teodosio fu l'ultimo imperatore a concentrare nelle proprie mani quel potere che dopo di lui fu diviso fra i figli Arcadio ed Onorio.
Intanto oltre i confini dell'impero molti popoli vivevano in condizioni difficili a causa del clima, della loro ignoranza, della scarsa disponibilità di risorse. Da tempo premevano per entrare nell'impero e già dall'epoca di Commodo avevano ottenuto donativi sempre più consistenti, erano stati ammessi a militare nelle legioni, avevano occupato intere province.
I Goti provenivano dalla Scandinavia e si erano progressivamente spostati sulle sponde del Baltico e poi sul Ponto. Nel 270 ebbero da Aureliano il permesso di stabilirsi in Dacia.
I Goti furono attaccati da un popolo più barbaro proveniente dall'Oriente, gli Unni, e si divisero in due popolazioni: gli Ostrogoti (Goti orientali) che rimasero sottomessi agli invasori e i Visigoti (Goti occidentali) che, fuggiti verso ovest, ebbero dall'imperatore Valente nel 376 il consenso a stabilirsi nella Mesia.
Sotto il re Alarico i Visigoti attaccarono l'Italia, era imperatore Onorio, e nel 403 furono sconfitti a Pollenza dal generale Stilicone, un vandalo comandante delle forze imperiali che negli anni successivi bloccò più volte le offensive di Goti, Burgundi, Svevi e Alani ma che venne fatto giustiziare da Onorio per gelosia.
Morto Stilicone, Alarico assedià tre volte Roma, saccheggiandola e devastandola a conclusione del terzo assedio.
Nei decenni successivi tutto l'impero passò ai barbari. Visigoti, Vandali e Alani in Spagna, Burgundi e Franci nelle Gallie, ancora Vandali in Africa.
Nel 451 gli Unni capitanati da Attila sottomisero le popolazioni delle province orientali e tentarono di invadere le Gallie ma furono respinti dai Romani comandati dal generale Ezio, puntarono quindi sull'Italia ma, raggiunto il Mincio, Attila fu fermato da papa Leone che coll'autorità, ovvero miracolosamente lo indusse a sgombrare l'Italia.
Nel 455 Roma fu di nuovo saccheggiata dai Vandali di Genserico. La potenza dell'imperatore era ormai in mano ai generali barbarici, come erano stati Stilicone e Ezio. Ricimero, senza mai indossare la porpora, manovrò cinque imperatori: Avito, Maggiorano, Severo, Antemio e Olibrio.
Morto Ricimero il nipote Gondebaldo fece proclamare imperatore Glicerio che non fu riconosciuto dall'imperatore d'oriente Zenone il quale fece imperatore Giulio Nepote.
Nepote sconfisse Glicerio ed affidò il comando militare a Giulio Oreste il quale successivamente si ribellò e fece fuggire Giulio Nepote in Dalmazia, proclamando imperatore suo figlio Romolo Augusto. L'impero d'occidente a questo punto era ridotto a parte della Gallia e alla penisola italiana mentre tutte le altre province e le isole maggiori erano in mano alle popolazioni barbariche.
Anche le cariche tradizionali erano profondamente mutate: i consoli venivano ancora eletti annualmente (uno da ogni imperatore) ma le loro funzioni erano puramente rappresentative. Lo stato di patrizio veniva conferito a vita dall'imperatore e non aveva pipù riferimenti con la discendenza dalle famiglie nobiliari.
I due senati (quello di Roma e quello di Costantinopoli) vedevano il loro potere ridotto alle rispettive giurisdizioni municipali.
Nuove istituzioni concentravano il potere nello stretto entourage dell'imperatore: il preposto alla sacra camera, il maestro degli uffici, un questore con funzioni di cancelliere dell'imperatore, il conte delle sacre largizioni (ministro delle finanze), il conte delle cose private che curava il patrimonio personale dell'imperatore, i comandanti della guardia del corpo.
L'impero occidentale veniva amministrato da tre prefetti (di Roma, d'Italia e delle Gallie) sotto i quali operavano altri prefetti di grado minore con funzioni specifiche (dell'annona, dei vigili, degli acquedotti, ecc.)
I poteri militari spettavano ai prefetti ddel pretorio (tre anche questi: Roma, Italia e Gallie), la loro giurisdizione si era estesa alle province e questo contrastava con la natura originaria della carica.
Balbo fornisce un quadro dettagliato delle province e dei funzionari preposti, quadro che vuole dimostrare come l'eccesso di burocrazia indebolì la struttura delle istituzioni.
La situazione spinse la popolazione a creare tante piccole gestioni municipali, più o meno conformi al modello romano, dove si distinguevano nuovamente una classe dirigente (l'ordine) e una pleve. Questo processo secondo l'Autore è conseguenza inevitabile della mancanza o della debolezza del potere centrale.
Dal canto loro gli imperatori non ostacolarono l'autonomia delle città, che sembravano gradire i loro governanti più dei legati stranieri, ma affidarono a funzionari cittadini detti decurioni l'onere di riscuotere i tributi.
La carica di decurione, un tempo prestigioso privilegio, divenne così sgradita ai notabili cittadini che pure erano costretti ad assumerla ed erano obbligati in solido con i contribuenti.
I decurioni venivano eletti dai vari organi dirigenti del municipio, così come tutti i funzionari pubblici ad eccezione dei "difensori del popolo" (un'istituzione che ricordava gli antichi tribuni) alla cui nomina partecipava anche la plebe.
Il clero nominava i vescovi che, pur non detenedo la piena autorità che avrebbero raggiunto nei secoli successivi, avevano grande influenza nella vita politica.
Il calcolo dei tributi era bassato sul censo secondo il principio stabilito sotto Augusto, il censimento si teneva ogni quindici anni (perido detto indizione). Si pagavano inoltre varie imposte indirette sui proventi delle attività commerciali.
L'"oro coronario" era un prelievo speciale operato in particolari occasioni (ad esempio una nascita nella famiglia imperiale) er era a carico dei decurioni che potevano rifarsi esigendo altre gabelle dalla popolazione.
Non si hanno dati sull'entità della popolazione, ma certamente doveva essere molto diminuita. Le arti in quell'epoca non hanno lasciato testimonianze, così come la letteratura profana mentre con gli scrittori di cose sacre (Agostino, Girolamo, Isidoro) si chiude la grande letteratura latina.
Anche l'esercito era ben diverso da quello antico perché, secondo Balbo, gli imperatori avevano spogliato i comandanti di gran parte della loro autorità in favore della propria sicurezza.
Nonostante ciò l'impero orientale riuscì a sopravvivere per molti secoli mentre quello d'occidente crollò dopo un secolo e mezzo dalla separazione.
Balbo fornisce diversi dettagli sulle cariche militari e sull'organizzazione dell'esercito occidentale che, in sintesi, era molto ridotto e i suoi effettivi erano in prevalenza stranieri: Eruli, Mauri, Marcomanni.
Questo esercito era poco fedele all'imperatore, anzi Balbo commenta: l'esercito pieno di barbari, comandato da barbari era di fatto signore d'Italia.
Intorno al 475 i barbari che militavano nell'esercito imperiale avanzarono la richiesta di un terzo delle terre italiane. Oreste respinse la richiesta e i barbari elessero un capo: Odoacre figlio di un Edicone che, come Oreste, era stato ministro di Attila.
Odoacre, che era stato educato in Italia ed aveva militato nella guardia del corpo imperiale, riunì un esercito di Eruli, Rugi, Alani ed altre genti.
Probabilmente in quel momento si trovava nel Norico dove, secondo un'antica narrazione, San Severino gli aveva predetto il regno. Alla testa della sua gente raggiunse l'Adda e Oreste fuggì a Pavia. Odoacre assediò ed espugnò la città, dandola alle fiamme e riducendo in schiavitù gli abitanti.
Sono molto scarse le notizie su questa vicenda, le cronache tramandano soltanto memorie dell'impegno del vescovo S. Epifanio che fece del suo meglio per contenere la strage e per riscattare molti prigionieri.
Il 23 agosto 476, dopo aver sconfitto Oreste, Odoacre fu incoronato re. Il suo titolo fu probabilmente quello di "re degli Eruli" ma mancano documenti che confermino questa ipotesi.
Oreste fu condotto a Piacenza dove venne giustiziato dopo cinque giorni, procedendo verso Ravenna il 4 settembre Odoacre catturò ed uccise Paolo fratello di Oreste.
Caduta Ravenna tutte le altre città italiane si sottomisero spontaneamente, Roma compresa.
Mosso a compassione dalla giovane età di Romolo Augusto, il nuovo re gli risparmiò la vita, gli assegnò una rendita ed il castello di Augusto presso Napoli e da questo momento il giovane imperatore destituito esce dalla storia.
Una volta insediatosi al potere Odoacre non aspirò al titolo di imperatore ma inviò ambasciatori a Zenone chiedendo di essere nominato patrizio.
Intanto Nepote, dalla Dalmazia, propose a Odoacre di restaurarlo imperatore di Occidente promettendogli di nominarlo patrizio. Il 4 maggio 480 Nepote venne ucciso nella sua residenza di Salona dai suoi conti Viatore e Ovida, l'anno successivo Odoacre invase la Dalmazia ed uccise Ovida.
Odoacre distribuì un terzo delle terre alla sua gentem ma non operà alcuna modifica all'ordinamento vigente mostrando sempre grande rispetto per il passato di Roma e per le sue istituzioni.
Mantenne a Ravenna la sede del potere, fu ariano ma non perseguitò i cattolici e quando nel 483 Felice successe a Simplicio sul soglio pontificio, inviò un delegato a presenziare alla cerimonia di consacrazione.
Condonò agli abitanti di Pavia cinque anni di tributi per consentire loro di ricostruire la cattedrale e le case distrutte durante l'assedio. In generale governò con moderazione e senza commettere abusi o crudeltà, non tentò di estendere il proprio dominio, anzi dopo la morte di Nepote lasciò ai Visigoti le poche città della gallia che, pur governate dai rispettivi vescovi, appartenevano ancora formalmente all'impero.
Probabilmente coltivando il progetto di riunire le isole all'impero d'occidente acquistò dai Vandali la Sicilia.
Nel 487 Odoacre fece guerra ai Rugi del Norico che erano governati dal re Fava (Feba), da sua moglie Gisa e da suo fratello Federico.
A quanto pare Odoacre fu chiamato dagli stessi Rugi contro la tirannia della famiglia regnante; il 15 novembre 487 sconfisse Feba in battaglia e lo deportò in Italia con la moglie, quindi nominò il proprio fratello Onulfo re dei Rugi.
Poco dopo un altro Federico figlio di Feba tentò di riprendere il potere e fu sconfitto ma Odoacre decise di abbandonare il Norico portando via Onulfo e tutti gli altri italici che vi abitavano. Fece inoltre traslare le spoglie di San Saverino nel Castello di Lucullo.
Alcuni ritengono che la decisione di Odoacre di abbandonare la regione sia dipesa da un attacco dei Longobardi.
Federico si salvò con la fuga e riparò in Mesia presso gli Ostrogoti. Dopo la morte di Attila l'impero degli Unni si era disgregato e gli Ostrogoti si erano ormai affrancati dalla sottomissione ed abitavano in gran parte in Pannonia.
A tutela dei patti con Costantinopoli gli Ostrogoti consegnarono il giovane Teodorico, di famiglia reale, in ostaggio. Teodorico crebbe nella capitale ricevendo una completa formazione militare.
A diciotto anni tornò presso la sua gente, dove il padre Teodemiro era nel frattempo divenuto re, e presto riunì un esercito di seimila uomini con il quale sconfisse i Sarmati che avevano invaso territori imperiali liberando la città di Singidono, ma invece di restituirla all'imperatore la tenne come proprio dominio.
In seguito acquistò la fiducia di Zenone aiutandolo a sconfiggere l'usurpatore Basilisco, ma negli anni successvi gli Ostrogoti entrarono in guerra contro l'impero. Videmiro, fratello del re, guidò un esercito attraverso l'agonizzante impero d'occidente fino a raggiungere i Visigoti nelle Gallie, mentre Teodemiro si rivolgeva ad oriente e conquistava Eraclea e Larissa.
Teodemiro morì poco dopo e Teodorico ereditò il regno. Zenone, che forse ne aveva timore, gli tributò i massimi onori fino a nominarlo console nel 484.
Ma ancora i rapporti fra Goti e Bizantini rimasero tesi e Teodorico veniva sontinuamente sollecitato alla guerra dalla sua gente.
Anche Federico, lo sconfitto principe dei Rugi, si rivolse a Teodorico contro Odoacre e infine Teodorico decise di chiedere a Zenone la licenza di invadere l'Italia e Zenone acconsentì.
Così in Giordane, mentre altre fonti attribuiscono l'iniziativa a Zenone, in ogni caso Teodorico radunò gran parte degli Ostrogoti e nell'autunno del 488 si mise in marcia verso l'Italia.
Nel febbraio 489 la grande spedizione si scontrò con i Gepidi, li sconfisse e proseguì il cammino e dopo altri combattimenti contro Bulgari e Sarmati giunse finalmente all'Isonzo. Qui Teodorico si concesse una sosta di alcuni giorni per far riposare il suo popolo, quindi superò il fiume ed affrontò Odoacre che lo aspettava con tutto l'esercito.
Odoacre, sconfitto, fuggì a Verona e gli Ostrogoti lo seguirono lentamente perché via via che procedevano una parte di loro si stabiliva nei luoghi conquistati.
A Verona Odoacre fu di nuovo sconfitto e fuggì a Roma dove trovò chiuse le porte della città, riparò quindi a Ravenna mentre Teodorico dopo un breve assedio conquistava Milano.
Tufa, comandante delle forze di Odoacre a Milano, si arrese a Teodorico e passò dalla sua parte, ma quando fu inviato contro Odoacre e o affrontò a Faenza cambiò di nuovo partito e consegnò le truppe che Teodorico gli aveva affidato.
All'inizio dell'inverno Teodorico si ritirò a Pavia che fortificò ed ingrandì ed inviò in Spagna ambasciatori al re dei Visigoti Alarico per chiedere rinforzie, mentre Odoacre si rivolgeva a Gondebaldo re dei Burgundi. Questi in effeftti scese in Italia ma solo per saccheggiare la Liguria e Milano e tornare in patria con molti prigionieri senza essere intervenuto nel conflitto.
All'inizio dell'anno successivo Odoacre aveva recuperato le forze e, uscito da Ravenna, conquistò Cremona e Milano, ma Teodorico aveva nel frattempo ricevuto aiuti dai Visigoti e lo affrontò sull'Adda l'11 agosto 490 sconfiggendolo per la terza volta.
Odoacre tornò a Ravenna dove fu assediato per tre anni. Durante questo periodo tutta l'Italia si sottomise a Teodorico. Il Goto mandò a chiedere a Zenone l'investitura regale ma Zenone era morto e il suo successore Anastasio non rispose.
Anche dell'assedio di Ravenna si hanno poche notizie, le fonti raccontano soltanto alcune coraggiose sortite degli assediati. Non riuscendo a prendere la città con la forza, Teodorico si procurò a Rimini una piccola flotta con la quale riuscì a bloccare il porto di Ravenna tagliano gli approvvigionamenti e riducendo gli assediati alla fame.
Sul finire del 492 si aprirono le trattative, mediatore Giovanni arcivescovo di Ravenna, e il 27 febbraio 493 Odoacre si arrese. Il 5 marzo Giovanni aprì le porte e i Goti entrarono in città.
Si diceva che si fosse trattato di una pace, non di una resa, ma Odoacre e i suoi compagni, invitati ad un banchetto da Teodorico, vennero uccisi a tradimento.
Nel 495 Teodorico ricevette finalmente da Costantinopoli il riconoscimento ufficiale della sua signoria e, a differenza di Odoacre, indossò la porpora e battè moneta. Distribuì le terre ai suoi trasferendo i seguaci di Odoacre in Val d'Aosta ed iniziò a governare con clemenza e giustizia.
Sotto il suo regno sembra che Goti e Romani convivessero pacificamente in parità di diritti e di doveri.
Emanò sanzioni contro gli Italiani che gli erano stati più ostili durante la guerra ma in seguito le ritirò per intercessione dei vescovi Epifanio di Pavia e Lorenzo di Milano. Serbò integro l'ordinamento legale; Balbo considera i Goti i meno barbari fra i barbari e quindi i più rispettosi delle tradizioni romane, tanto più doveva esserlo Teodorico venuto in nome dell'imperatore d'oriente.
Tutte le cariche militari furono riservate ai Goti (era del resto un uso già consolidato) mentre quelle politiche e civili andarono ai Romani, con rare eccezioni..
La giustizia era amministrata da giudici della stessa gente dei contendendi, ma giudici di entrambe le etnie giudicavano insieme le cause fra Romani e Goti.
Teodorico adottò e fece adottare alla sua gente molti costumi romani, come quello di radersi, e tenne presso di se nella reggia di Ravenna illustri personaggi romani come Marco Aurelio Cassiodoro che fin dal 496 fu suo segretario e ricoprì varie cariche per tutta la vita. Uomo di grande cultura, Cassiodoro ha lasciato una serie di lettere importantissime come documenti storici.
Teodorico, attento a stringere alleanze anche tramite legami familiari, fece sposare le figlia Teodicusa a Sigismondo figlio del re dei Burgundi Gondebaldo e la figlia Teodegota ad Alarico re dei Visigoti.
Egli stesso sposò Audelfreda, figlia o sorella di Clodoveo re dei Franchi.
Nel 494 Teodorico inviò i vescovi Epifanio di Pavia e Vittore di Torino a Gondebaldo per trattare la liberazione dei prigionieri che il re dei Burgundi aveva catturato anni prima in Liguria. La missione ebbe successo ed ottenne la liberazione gratuita dei Liguri che erano stati catturati disarmati e dietro riscatto per quelli presi in combattimento, in tutto seimila persone.
Sant'Epifanio si recò quindi a Ginevra presso Godesigelo fratello di Gondebaldo ed ottenne la liberazione di altri prigionieri.
Tornato in Italia, Epifanio visitò più volte Teodorico per ottenere aiuti e sgravi fiscali in favore di quei deportati che al rientro in patria si trovavano privi di ogni avere e di ogni mezzo di sostentamento.
Si ammalò per i disagi di uno di questi viaggi e morì a Parma il 21 gennaio 496.
Nello stesso anno Clodoveo riportò una grande vittoria sugli Alemanni e prese a perseguitare i superstiti che erano fuggiti nella Rezia e nel Norico. Teodorico intervenne diplomaticamente in loro favore ed ottenne che Clodoveo concludesse la pace con gli Alemanni.