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TEOCRITO

IDILLI



1 - Tirsi, o il canto
2 - Le incantatrici
3 - Il capraio o il comaste
4 - Pastori
5 - Per via
6 - I cantori
7 - Le Talisie 8 - I cantori bucolici
9 - I cantori bucolici
10 - I braccianti o i mietitori
11 - Il Ciclope
12 - L'amato
13 - Ila
14 - Eschine e Tionico
15 - Le Siracusane, o le donne alla festa di Adone
16 - Le Grazie, o Ierone
17 - Encomio di Tolomeo
18 - Epitalamio di Elena
19 - Il ladro di miele
20 - Il pastorello
21 - I pescatori
22 - I Dioscuri
23 - L'amante
24 - Il piccolo Eracle 25 - Epillio di Eracle
26 - Lene, o Baccanti
27 - Ecloga
28 - La conocchia
29 - Canti d'amore
30 - Canti d'amore


1 - Tirsi o il canto


Il pastore Tirsi e un anonimo capraio si complimentano a vicenda per le loro doti musicali. Tirsi vorrebbe che l'amico suonasse la zampogna ma questo non è possibile, spiega il capraio, perché suonando nelle ore meridiane si rischia di svegliare Pan e la sua collera è terribile.
E' il capraio quindi a chiedere a Tirsi di cantare e gli promette in premio una capra che produce molto latte e una coppa istoriata appena fabbricata.
Sulla coppa è rappresentata una donna contesa fra due uomini, un vecchio ma vigoroso pescatore che getta la rete, una vigna carica di grappoli sorvegliata da un ragazzo che intreccia una gabbietta per i grilli mentre due volpi tentano di rubare l'uva e la sua bisaccia.
Il dono della coppa offerto spontaneamente convince Tirsi che inizia il suo canto con una canonica invocazione alle Muse, invocazione che ripete più volte durante l'esibizione. Il tema è la sofferenza di Dafni che si struggeva per amore tanto da commuovere anche gli animali. Ad informarsi sulle sue pene vennero pastori, caprai e bovari, vennero Ermes e Priapo, ma Dafni non rispondeva.
Venne Afrodite, segretamente ridendo, a criticare Dafni che in passato si era mostrato sprezzante ed ora piangeva per amore. Dafni rispose duramente ad Afrodite, la maledisse e le ricordò i suoi amanti infelici come Anchise e Adone.
Nel canto di Tirsi Dafni prende congedo dai suoi monti, dai suoi animali, invoca Pan perché prenda la sua zampogna ed infine muore, al termine dei fili delle Moire, sommerso dal nel gorgo (dell'Acheronte? del mare? perché vi si getta? non viene chiarito).
Il canto è concluso e il capraio mantiene la promessa consegnando a Tirsi la coppa ed elogiando ancora la sua arte.
E' da notare come la canzone di Tirsi non fornisca particolari sulla storia di Dafni, non viene detto per chi egli soffra le sue pene amorose, non vengono spiegate le vicende che lo portano a questa amara conclusione e, come si è visto, rimane indefinita anche la modalità della sua morte. Privo di questi elementi il canto di Tirsi appare pura costruzione poetica, godibile in quanto tale nella sua drammatica astrazione.

2- Le incantatrici


Innamorata, gelosa e addolorata Simeta prepara nella notte un filtro magico assistita dalla schiava Testili. Vuole la morte del suo uomo Delfi che l'ha tradita. Vuole le sue carni distrutte dal fuoco ma nello stesso tempo pronuncia anche formule per farlo tornare alla sua casa.
Noncurante della contraddizione si rivolge a Selene (la Luna) per confidarle le sue pene d'amore e a Ecate, divinità infernale, per maledire il traditore. (Selene, Ecate e Artemide sono spesso considerate aspetti della stessa divinità ma non è così in questo componimento).
Simeta elenca gli ingredienti del suo filtro (farina d'orzo bruciata, alloro, crusca, cera, una frangia del mantello di Delfi) quindi manda la schiava a spargere l'intruglio sulla soglia della casa di Delfi.
Rimasta sola la donna si lascia andare alla tristezza e rievoca la prima volta che vide Delfi, durante una processione, ricorda il "colpo di fulmine" che la tormentò giorno e notte finché non decise di mandare a chiamare il suo amato.
Simeta rammenta l'arrivo di Delfi, il suo smarrimento, le emozioni che la sopraffecero e riferisce le parole di saluto del giovane che in realtà suonano affettate e retoriche lasciando intuire quanto chi le pronuncia sia frivolo e vanitoso.
La protagonista racconta alla Luna il prevedibile epilogo di quell'incontro e i giorni felici che seguirono, ma ora Delfi da molti giorni non va più a trovarla e Simeta ha saputo che si è innamorato di un'altra donna o forse di un uomo.
E' decisa a riportarlo a se con la magia o, se questo non sarà possibile, a farlo morire. Ma infine la donna saluta la Luna e le stelle che l'accompagnano rimanendo sola e rassegnata con il suo dolore.

3 - Il capraio o Il comaste


Il capraio canta la sua serenata all'entrata della grotta di Amarillide che rimane celata all'interno. Si lamenta per l'indifferenza di lei e le offre delle mele (dono che i Greci consideravano erotico).
L'uomo, esasperato, minaccia di uccidersi gettandosi nel mare sicuro che ad Amarillide non importi nulla di lui come gli ha detto un'indovina.Prova a convincere la ragazza citando con scarsa perizia una serie di esempi mitologici di innamoramento: Atalanta per Ippomente, Peiro per Biante, Afrodite per Adone.
Per amore di Amarillide il capraio accetterebbe anche un destino infelice come quello di Endimione (immerso in un sonno infinito per volontà della Luna), o di Giasone (amato da Demetra che lo educò nei riti misterici e per questo motivo fu folgorato da Zeus).
Si stenderà a terra, dice il capraio, in attesa che i lupi lo divorino.

4 - I pastori


Il capraio Batto conversa con il bovaro Coridone che sta facendo pascolare le mucche di Egone partito per partecipare a una gara di pugilato a Olimpia.
Batto è sarcastico e cerca di provocare Coridone deridendo la magrezza delle bestie di Egone e facendo insinuazioni sulla correttezza del bovaro ma Coridone è serafico e non si lascia turbare.
I vitelli che mangiano i germogli degli olivi interrompono il dialogo e mentre Coridone li allontana dalle piante, Batto si punge un piede con una spina di cardo.
Batto chiede notizie di un arzillo vecchietto che ancora si intrattiene con belle ragazze e Coridone conferma che gli incontri continuano.
Una giornata agreste come tante altre, dunque. Qui il divertimento di Teocrito (e del lettore) sta nel far esprimere i due pastori con l'altisonante linguaggio dei poemi epici.

5 - Per via


Tema di questo idillio è la contesa poetica e canora fra i pastori Comata e Lacone.
Fin dai primi versi i due si affrontano e si provocano con sarcastiche allusioni e reciproche accuse di piccoli furti (una zampogna, una pelle). Questo scambio di battute serve a scaldare l'atmosfera e induce Lacone a sfidare Comata, in palio un capretto.
Comata rinfaccia a Lacone (evidentemente più giovane) di essere stato suo maestro e di averlo anche posseduto. Lacone nega l'esperienza erotica e insiste con la sfida. I due litigano anche sul luogo in cui debba svolgersi la competizione magnificando ciascuno la bellezza e la comodità del proprio spazio. Infine decidono di rimanere dove si trovano, ognuno sulla sua terra, e di chiedere al taglialegna Morsone, che per caso è nelle vicinanze, di fare da arbitro.
Inizia la gara Comata dichiarando di essere amato dalle Muse, Lacone risponde di essere caro ad Apollo. La competizione consiste nell'alternarsi nel canto: ad ogni strofa proposta da Comata deve rispondere Lacone con un'altra strofa ma non ci sono note in dettaglio le regole che i contendenti dovevano rispettare. Infatti non saranno chiari i motivi della vittoria di Comata.
Le battute dei pastori passano a temi erotici. Comata vanta una sua conquista eterosessuale e Licone il suo amore per un ragazzino. Entrambi vantano la bellezza degli amanti e i doni che intendono far loro. Infine il giudice Morsone decreta la vittoria di Comata che esulta e promette al taglialegna un bel pezzo di carne dell'agnella che ha vinto.

6 - I cantori


I pastori Dafni e Dameta improvvisano un dialogo canoro sul tema di Polifemo innamorato di Galatea. Dafni si rivolge a Dameta che impersona Polifemo e finge che Galatea, uscendo dal mare, lanci segnali di interesse amoroso verso il Ciclope che a sua volta fa mostra di non accorgersene per attrarre la ninfa più vicino.
E' un tema ricorrente che Teocrito riprenderà anche nell'idillio undicesimo quello del rozzo pastore innamorato ma incapace di sentimenti delicati, qui Galatea si mostra civettuola e provocante, nell'altro idillio appare invece esasperata dall'insistenza di Polifemo.
Ai versi di Dafni risponde Dameta-Polifemo che ha notato il vezzoso atteggiamento di Galatea ma lo ha ignorato convinto, nella sua ingenuità, che ciò indurrà la ninfa ad offrirglisi.
La scena si conclude con un abbraccio eun amichevole scambio di doni fra i due pastori, non ci sono vincitori o perdenti perché non si è trattato di una vera gara.

7 - Licida o le Talisie


Simichida, l'io narrante, racconta che un giorno recandosi con degli amici alle feste Talisie in onore di Demetra incontrò Licida che aveva l'aspetto e l'abbigliamento di un capraio e che lo salutò amichevolmente chiedendogli dove fosse diretto.
Dopo aver risposto cordialmente Simichida propose a Licida di continuare il cammino insieme cantando. Licida accettò con piacere e propose una canzione appena composta.
Il canto di Licida comprende l'augurio di felice navigazione per Ageanatte diretto a Mitilene, Ageanatte amato da Licida che penserà a lui in viaggio mentre Titiro canterà l'infelice amore di Dafni per Xenea e il sorprendente destino del pastore Comata gettato in mare dal suo padrone e nutrito dalle api.
Il canto di Simichida è più leggero del precedente, scherza sull'amore di Simichida per la bella Mirtò e soprattutto su quello dell'amico Arato per il giovane Filino. Viene invocato Pan perché infiammi il cuore di Filino per Arato non senza una maledizione per il dio nel caso non conceda quanto richiesto. Infineil cantore esorta Arato a non struggersi d'amore e a cercare insieme l'importante dono della serenità.
Terminati i canti, Licida consegna a Simichida il suo bastone come dono da parte delle Muse, quindi i due cantori si separano proseguendo il loro cammino nell'estate lussureggiante.
La critica moderna vuole identificare in Simichida lo stesso Teocrito mentre Licida potrebbe rappresentare un essere divino, forse Apollo.

8 - I cantori bucolici


Il bovaro Dafni e il pastore Menalca, entrambi esperti nel cantare e nel suonare la zampogna, si incontrano e Menalca sfida Dafni.
Dafni propone come posta un vitello e un agnello ma Menalca non accetta per timore della punizione del padre nel caso perdesse, quindi ciascuno pone in gioco una zampogna che ha costruito personalmente.
Un capraio viene invitato a fare da giudice.
La gara inizia con il canto di Menalca che si augura che i suoi agnelli e le giovenche di Dafni trovino buon cibo, Dafni ricambia l'augurio e inneggia alla primavera, ai pascoli, al bestiame, alla bella fanciulla amata dal pastore e al bel Milone amato dal bovaro.
Menalca prega che il lupo non nuoccia al suo gregge e che le pecore producano molto latte per gli agnelli e per i suoi canestri.
Dafni ricorda di essersi turbato per il modo in cuiu una bella ragazza l'ha guardato e si compiace ancora per la bella stagione.
Il capraio infine assegna la vittoria a Dafni e lo prega di insegnargli a cantare. Dafni esulta mentre Menalca è addolorato per la sconfitta.
Per vari motivi stilistici e linguistici parte della critica moderna dubita che questo idillio sia veramente di Teocrito, oppure è stato ipotizzato che si tratti di un insieme di diverse composizioni tramandate in modo non del tutto corretto.

11 - Il Ciclope


Innamorato perdutamente di Galatea, Polifemo trascurava il suo lavoro di pastore lasciando che spesso le sue pecore tornassero da sole all'ovile.
Cercò un rimedio nella poesia e dall'alto di una rupe, rivolto verso il mare, cantava alla bella nereide il suo amore non corrisposto.
Teocrito ritrae con abilità la goffaggine puerile del ciclope che definisce l'amata più candida del latte cagliato, più morbida di un agnello e pur ammettendo la sua bruttezza cerca di farsela perdonare vantando infantilmente la sua opulenza (mille bestie, il latte, il cacio ...), la sua abilità nel suonare la zampogna, la confortevole dimora che può offrire nel suo antro, ma sa bene che a Galatea tutto questo non interesserà, lei non verrà a mungere il latte e a preparare il cacio ...!
E allora, visto che neanche sua madre (Toosa, anche lei ninfa marina) è disposta ad intercedere, Polifemo cercherà l'amore altrove e si illude che le risa delle ragazze che lo deridono siano richiami erotici a lui rivolti.