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GIOVANNI XIFILINO
COMPENDIO DI DIONE CASSIO
Libro LXV
Vitellio
fu proclamato imperatore. Venendo a Roma sostò a Lione e Cremona per assistere ai giochi gladiatori. Quando attraversava i campi di battaglia si compiaceva nel vedere i cadaveri insepolti dei soldati.
Tra i suoi primi atti fu l'espulsione degli astrologi dall'Italia. Dedito alla gola, alla lussuria e al gioco d'azzardo trascorreva il suo tempo in gozzoviglie. Vomitava spesso per evitare di morire di indigestione come molti suoi convitati. Spendeva cifre enormi per allestire i suoi banchetti, ammirava Nerone ma deprecava che si fosse accontentato della
Domus Aurea
. Tutti i benestanti facevano a gara per invitarlo a banchetto nonostante la cosa riuscisse sempre molto dispendiosa. Molti ridevano nel vedere il lusso di cui faceva sfoggio ricordandolo povero e oberato di debiti.
Dimostrò anche qualche virtù: conservò con modestia le monete battute dai suoi predecessori (compreso
Otone
) e confermò tutti i loro donativi. Non commise espropri ed altri abusi, non si rivalse sui suoi avversari e non annullò i loro testamenti. Vietò a senatori e cavalieri di combattere nell'arena. In varie occasioni fece apprezzare la sua modestia anche se tutti erano preoccupati per le ricchezze che dilapidava.
Durante il suo regno si manifestarono sinistri prodigi.
Tito
, che era stato a Roma per rendere omaggio a
Galba
, tornò dal padre
Vespasiano
e lo informò sulla situazione.
Vespasiano
, che non era persona impulsiva, prese tempo per decidere sul da farsi ma i legionari circondarono la sua tenda e lo proclamarono imperatore.
Vespasiano
mandò Muciano in Italia ad affrontare
Vitellio
e, affidata ad altri la guerra giudaica, si recò in Egitto per raccogliere denaro e frumento.
Intanto le legioni che si trovavano in Mesia eleggevano loro capo Antonio Primo che era stato esiliato da Nerone, riabilitato da
Galba
e comandava ora l'esercito della
Pannonia
.
Informato di questi eventi,
Vitellio
rimase comunque a Roma e celebrò i giochi gladiatori affidando la guerra a
Alieno
il quale si portò a occupare la piazza di Cremona ma quando Antonio Primo lo contattò decise di passare a
Vespasiano
e convinse i suoi soldati a fare altrettanto. Tuttavia i soldati cambiarono opinione e misero
Alieno
in catene e all'arrivo di Antonio Primo scoppiò una violenta battaglia che durò tutto il giorno e la notte successiva. Infine i vitelliani si ritirarono e, liberato
Alieno
, lo mandarono a trattare con Primo. Fu conclusa la pace ma i soldati di Primo e quelli di
Vitellio
saccheggiarono e devastarono Cremona uccidendo un gran numero di cittadini.
Vitellio
inviò il fratello ad occupare la piazza di Terracina con l'intenzione di ritirarvisi ma poi fu preso dal panico, perse ogni capacità di decidere e cominciò a farneticare.
. . . . .
Libro LXVI
. . . . .
Vespasiano
morì a Aquae Cutiliae all'età di sessantanove anni e otto mesi dopo aver regnato per dieci anni.
Tito
ottenne il principato e subito mutò i suoni costumi, rimandò Berenice alla sua città e divenne dolce e affabile. Regnò poco più di due anni e morì all'età di trentanove anni.
Durante il suo regno non si comminarono condanne a morte e non si tennero processi per lesa maestà. Con un unico edittò confermò tutti i benefici e le grazie concesse dai predecessori e cacciò da Roma i delatori.
Si combattè in
Britannia
dove
Gneo Giulio Agricola
devastò il territorio nemico. Durante la loro permanenza in
Britannia
i Romani ebbero occasione di appurare che si trattava di un'isola. In seguito
Agricola
si ritirò a vita privata e infine fu fatto morire da
Domiziano
.
In
Campania
il
Monte Vesuvio
si affaccia sul mare presso Napoli e racchiude straordinarie fonti di fuoco che rimanendo compresse nella montagna mandano fuori fumo di giorno e fiamme di notte, a volte il vulcano lancia cenere e sassi, rimbomba e muggisce. Questi fenomeni pur sorprendenti non sono nulla se paragonati a quanto avvenne ai tempi di
Tito
. Per molti giorni si videro aggirarsi sul monte esseri giganteschi, seguirono una grande siccità e frequenti terremoti, il mare prese ad agitarsi e si udirono strepiti e tuoni sotterranei.
Nel panico generale il vulcano eruttò seppellendo
Ercolano
, Pompei e le campagne circostanti, oscurando il sole. La cenere giunse fino a Roma.
L'anno seguente, mentre
Tito
si trovava in
Campania
per visitare i luoghi della tragedia, scoppiò a Roma un gravissimo incendio che distrusse i templi di Serapide, di Iside e di Nettuno, le terme di Agrippa, il Tempio di Giove Capitolino e molti altri edifici.
Tito
dispose molti aiuti per la
Campania
finanziandoli con il suo patrimonio.
Per l'inaugurazione dell'anfiteatro (il Colosseo) e delle terme a lui intitolate,
Tito
offrì grandiosi giochi con lotte con le fiere, lotte di gladiatori e, riempito l'anfiteatro d'acqua, una battaglia navale. I giochi durarono cento giorni durante i quali vennero offerti continuamente doni alla plebe.
Morì un anno dopo, consoli Flavio e Pollione, nello stesso luogo dove era morto suo padre. Corse la voce che il fratello lo avesse avvelenato, in effetti pare che
Domiziano
avesse sospinto il fratello nella neve per accelerare la sua morte e che mentre
Tito
era ancora vivo egli si recasse velocemente a Roma per essere proclamato imperatore.
In punto di morte
Tito
disse di aver fallito in una sola cosa ma non spiegò quale, fra le varie congetture in merito Dione preferisce pensare che
Tito
avesse intuito le intenzioni del fratello e non lo avesse fermato.
Libro LXVII
Domiziano
era devoto a
Minerva
per la quale celebrava con magnificenza le
Quinquatrie
e spettacoli che egli stesso aveva istituiti in
Albano
.
Crudele e diffidente, mandò a morte persone di ogni condizione spesso per motivi banali o per non accertate delazioni. Non risparmiò neanche molti amici del padre e del fratello, odiandoli per gli onori che avevano ricevuto in passato. Spesso dissimulava cordoglio per la morte di
Tito
per spiare i sentimenti dei suoi interlocutori.
Ripudiò la moglie
Domizia
facendone uccidere l'amante Paride. Intraprese una relazione incestuosa con la
Giulia
figlia di
Tito
e continuò a frequentarla anche dopo la riconciliazione con
Domizia
.
Fece processare e mandò a morte alcune
vestali
colpevoli di aver violato il voto di castità. Si diceva che nell'assistere alle torture che
Domiziano
ordinava di infliggere agli indagati uno dei pontefici di nome Elvio Agrippa fu colto da malore in senato e ne morì.
Andò con l'esercito in
Germania
e tornò senza aver veduto il nemico ma pretese gli onori dei vincitori.
Volle essere console per dieci anni consecutivi e censore a vita, ogni volta che si recava in senato lo faceva con la veste trionfale e un corteo di ventiquattro
littori
. Usava offrire spettacoli, banchetti e grandi quantità di vino al popolo, per finanziare tutto questo mandava a morte cittadini facoltosi e si impossessava dei loro patrimoni.
Cariomero
re dei
Cherusci
, alleato dei
Romani
, essendo in lotta con i
Catti
, chiese aiuto a
Domiziano
ma ricevette soltanto aiuti in denaro. Concesse modesti aiuti anche agli
Svevi
che, sdegnati, minacciarono di attaccare i confini dell'impero.
Masio re dei Sennoni e la vergine
Ganna
che dopo
Veleda
pronunciava oracoli fecero visita a
Domiziano
a
Roma
e furono accolti onorevolmente.
In quel periodo iniziò la guerra fra i
Romani
e i
Daci
governati dal re
Decebalo
, molto esperto nelle cose militari.
Domiziano
guidò l'esercito verso la
Dacia
ma si fermò in un villaggio della
Mesia
lasciando il comando ai suoi ufficiali ai quali attribuiva eventuali sconfitte riservandosi la gloria della vittoria.
Passò in
Pannonia
per punire
Quadi
e
Marcomanni
che aiutavano i
Daci
e mise a morte gli ambasciatori che chiedevano di trattare la pace ma quando fu sconfitto dai
Marcomanni
inviò messi a
Decebalo
per avviare quelle trattative che egli stesso aveva più volte rifiutato.
Decebalo
, che era impegnato su altri fronti, accettò di concludere la pace mentre
Domiziano
gli versava grosse somme di denaro. Tornato in patria l'imperatore affermò comunque di aver vinto i
Daci
e celebrò un nuovo trionfo. Anche in questa occasione indisse grandiose celebrazioni con un combattimento navale. Durante questo spettacolo i combattenti e gli spettatori furono colti da una pioggia violenta ma non fu loro concesso di allontanarsi, di conseguenza molti si ammalarono e morirono.
Una volta invitò a banchetto molti senatori in ambienti arredati in nero nei quali aveva preparato finti sepolcri con i nomi degli ospiti e una danza di bambini nudi dipinti di nero. Mentre tutti tacevano terrorizzati,
Domiziano
parlò a lungo di morte e di uccisioni. Aveva ordinato di andare via ai servitori dei senatori, quindi al termine del banchetto fece accompagnare gli ospiti a casa da persone sconosciute e quando furono giunti a destinazione inviò loro oggetti preziosi e i bambini che avevano danzato durante il convito.
La guerra in
Dacia
si concluse con una vittoria dei
Romani
comandati da
Giuliano
che sconfisse l'esercito dacio nella battaglia di Tapae uccidendo molti nemici. Il comandante
Vezzina
, l'uomo più importante della
Dacia
dopo
Decebalo
, riuscì a salvarsi fingendosi morto sul campo di battaglia.
Lucio Antonio
governatore in
Germania
insorse contro
Domiziano
. Fu ucciso in combattimento da
Lucio Appio Norbano Massimo
che bruciò tutte le lettere di
Antonio
per evitare calunnie e persecuzioni. Non di meno
Domiziano
scatenò una nuova serie di uccisioni ordinando che non si tenesse memoria del numero e dei nomi delle vittime.
Fu giustiziato
Mettio Pompusiano
al quale si diceva era stato pronosticato l'impero ed era ritenuto colpevole perché possedeva il globo terrestre dipinto nella sua camera e leggeva discorsi di re e comandanti tratti da
Livio
. Stessa sorte toccò al sofista
Materno
che predicava contro i tiranni.
E ancora persero la vita per le proscrizioni di
Domiziano
Rustico Aruleno
,
Trasea
,
Erennio Senecione
e molti altri cultori della filosofia, si salvò
Giovenzio Celso
che chiedendo tempo per dimostrare la propria innocenza riuscì a differire la propria condanna fino alla morte di
Domiziano
.
Nell'anno in cui fu lastricata la strada fra
Sinuessa
e
Pozzuoli
(via Domiziana) fu mandato a morte
Flavio Clemente
cugino di
Domiziano
condannato per empietà mentre la moglie
Domitilla
veniva relegata a
Pandataria
.
Glabrione
fu fatto uccidere dall'imperatore che invidiava la sua prestanza e il suo prestigio. Sospettoso di tutti,
Domiziano
fece trucidare Epafrodito liberto di
Nerone
accusandolo di non aver soccorso quest'ultimo.
Cospirarono contro
Domiziano
Partenio
e Sigerio cubicularii, Entello curatore dei libelli dell'impero e il liberto
Stefano
.
Alla congiura si unirono
Domizia
moglie dell'imperatore e i prefetti
Norbano
e
Petronio Secondo
quando scoprirono casualmente che
Domiziano
aveva annotato i loro nomi nell'elenco di quanti voleva sopprimere. I congiurati decisero di proporre l'impero a
Nerva
, uomo dai molti meriti che era consapevole di rischiare la vita perché gli astrologi lo avevano indicato come futuro imperatore.
Sogni premonitori e indovini predissero la morte imminente dell'imperatore con grande esattezza (come narra anche Svetonio).
Esecutore materiale dell'uccisione di
Domiziano
fu
Stefano
, il più robusto dei congiurati, che ferì l'imperatore poi finito da Petronio.
Stefano
rimase ucciso nella lotta che seguì con le guardie di
Domiziano
.
Fu fatto straordinario che non momento in cui
Domiziano
spirava ad
Efeso
Apollonio di Tiana
ne annunciasse pubblicamente la morte pronunciando anche il nome di
Stefano
.
Domiziano
aveva vissuto quarantaquattro anni, dieci mesi e ventisei giorni regnando quindici anni e cinque giorni. La nutrice Fillide rapì il suo corpo e lo seppellì.
Libro LXVIII
Dopo Domiziano fu designato imperatore Marco Cocceio Nerva. Furono fuse le statue in argento e in oro di Domiziano, distrutti gli archi trionfali eretti in suo onore, vennero richiamati gli esuli ed assolti quanti erano stati condannati per empietà. Nerva condannò invece liberti e schiavi colpevoli di reati contro i loro padroni e molti delatori.
Il nuovo imperatore era anziano, debole e malato. Proibì che gli si dedicassero statue in argento. Restituì ai proprietari i terreni confiscati da Domiziano, assegnò terreni agli indigenti e per finanziare le sue iniziative vendette tutti i suoi bni personali e molti di quelli che gli spettavano come imperatore. Per ridurre le pubbliche spese abolì molti giochi e spettacoli, rispettò i senatori coinvolgendoli nelle decisioni. Promulgò leggi perché non si facessero eunuchi e proibì di sposare le figlie dei propri fratelli.
Accettò come collega nel consolato Lucio Verginio Rufo benché fosse un potenziale rivale. Fu inamovibile nel negare la condanna a morte degli uccisori di Domiziano.
Pur essendo Nerva un buon principe,
Calpurnio Crasso
organizzò contro di lui una congiura che venne scoperta. Consapevole dei problemi della sua età adottò Marco Ulpio Traiano e lo associò al potere. Nella sua scelta Nerva aveva pensato al bene dello stato non dando importanza al fatto che Traiano non fosse suo parente e che fosse spagnolo e non italico. Poco dopo l'adozione Nerva morì all'età di sessantacinque anni, dopo aver regnato un anno, quattro mesi e nove giorni.
Dione elogiava ripetutamente Traiano e le sue opere, la grandi costruzioni come strade, porti e pubblici edifici, il restauro e l'ingrandimento del
Circo Massimo
, ma lodava anche la sua affabilità, la semplicità dei suoi modi e concludeva che
nulla vi era in Traiano che non fosse ottimo
. Ammetteva che beveva molto vino ma riusciva a rimanere sobrio, quanto all'amore per i fanciulli
ma non riuscì mai molesto ad alcuno
(l'informazione è strana ma evidentemente in linea con i costumi del tempo.
Divenuto imperatore, Traiano scrisse al senato del suo programma impegnandosi, tra l'altro, a non condannare mai ingiustamente, impegno che seppe sempre mantenere dimostrandosi alieno da frodi e simulazioni. I suoi provvedimenti in favore di Roma e delle città d'Italia dimostrarono la sua liberalità, ma il testo non spiega quali fossero tali provvedimenti. Gli studiosi credono che Xifilino abbia qui soppresso dei brani importanti dell'opera originale.
Dopo un periodo trascorso a Roma, Traiano partì con l'esercito alla volta della Dacia. Quando lo seppe Decebalo ne fu molto preoccupato sapendo che Traiano per vigore fisico, esperienza e coraggio non era paragonabile a Domiziano.
Libro LXXVI
Severo
festeggiò il decennale del suo impero distribuendo frumento alla plebe e monete d'oro ai soldati. Nello stesso anni Antonino figlio di
Severo
sposò Plautilla figlia di Plauziano che recava una ricchissima dote; per le nozze e il decennale l'imperatore offrì un banchetto, giochi e spettacoli con uccisione di fiere fra cui un elefante e un
corocota
(strano ibrido fra grandi felini e canidi, ma in realtà una iena).
Il Vesuvio tuonò così forte che Dione dice di averlo udito dalla sua residenza di Capua.
Il potere del prefetto del pretorio Plauziano vacillò quando
Settimio Severo
venne informato delle sue macchinazioni da fratello Publio Settimio Geta sul letto di morte. Per reazione Plauziano divenne ancora più arrogante con Antonino (Caracalla) figlio di
Severo
che era suo genero.
In collera con la moglie e soprattutto con il suocero, Antonino tramò contro Plauziano facendo in modo che
Severo
fosse informato che il prefetto intendeva ucciderlo.
Severo
si lasciò convincere anche perché un sogno recente gli aveva predetto un attentato, fece chiamare Plauziano e lo accusò davanti a Antonino; mentre il prefetto tentava di difendersi fu aggredito da Antonino e ucciso dalle guardie. Durante l'inchiesta che seguì parenti, amici e clienti di Plauziano corsero gravi pericoli e alcuni di loro furono condannati a morte o all'esilio. Saturnino e Evodo che avevano aiutato Antonino in questa vicenda furono più tardi mandati a morte. Plautilla e Plauzio figlio di Plauziano furono confinati nell'isola di Lipari e quando Antonino divenne imperatore li fece uccidere.
Antonino e Geta privi di pedagogo cominciarono a sfogare la loro libidine su donne e ragazzini, a giocare d'azzardo e a sviluppare una profonda rivalità fra loro.
Aproniano governato dell'Asia fu condannato in contumacia con l'accusa di aspirare al potere e di praticare la magia perché la sua balia aveva sognato che sarebbe diventato imperatore, analoga accusa colpì il senatore Bebio Marcellino a causa della confusa testimonianza di un delatore che aveva fatto riferimento alla sua calvisie asserendo di averlo visto assistere Marcellino che consultava un indovino.
Marcellino fu giustiziato ma il suo accusatore Pollenio Sabenno fu a sua volta processato per i soprusi compiuti come governatore del Norico, si salvò per intercessione di un parente potente ma da allora visse sempre con un marchio di infamia.
In quel tempo fu famoso il brigante
Bulla Felice
che comandava una squadra di seicento banditi, era sempre informato sui viaggiatori fra Roma e Brindisi e li fermava lungo la strada: se ricchi li derubava, se operai li tratteneva per qualche lavoro e poi li liberava dopo averli ricompensati. Non veniva mai arrestato e riusciva sempre a sfuggire, spesso corrompendo chi lo cercava., Con astuzia e travestimenti liberò un suo compagno già condannato a morte e una volta catturò un centurione che lo cercava e lo liberò dopo avergli rasato il capo. Infine fu arrestato per il tradimento della sua amante e condannato alle belve. Morto
Bulla
la sua banda si disperse.
Per contrastare l'ostilità che separava i figli,
Severo
organizzò una spedizione in Britannia nonostante i presagi negativi degli indovini (
208 d.C.
), infatti non tornò più a Roma ma morì nel corso della spedizione (
211 d.C.
).
Le principali popolazioni della Britannia non ancora soggiogate erano i
Caledoni
e i Meati. I Meati vivevano presso il "muro" che divide l'isola (la muraglia costruita da
Severo
parallela al Vallo di Adriano), mentre i
Caledoni
erano più a nord.
I due popoli occupavano monti impervi e pianure paludose, non avevano città, non coltivavano la terra e si sostentavano con modesti allevamenti e con la raccolta di frutti spontanei, non mangiavano pesce nonostante ne avessero grande disponibilità. Vivevano nudi e scalzi sotto le tende, avevano le mogli in comune e in comune nutrivano la prole.
Combattevano su carri trainati da piccoli cavalli o a piedi correndo molto velocemente. Usavano scudi, aste corte e spade. Erano resistenti a qualsiasi fatica o disagio, potevano rimanere per giorni immersi nelle paludi, preparavano un cibo che in piccole quantità spegneva la fame e la sete.
A quei tempi i Romani controllavano poco più della metà della Britannia ma
Severo
voleva possederla tutta ed entrò nella
Caledonia
, paese inospitale che costrinse i Romani a farsi strada tagliando foreste, colmando paludi e costruendo ponti sui fiumi. I
Caledoni
non si schieravano contro i Romani ma li attiravano con il bestiame in modo da dividerli e poterli affrontare singolarmente. Morirono quasi cinquantamila soldati ma questo non impedì a
Severo
di procedere fino all'estremo limite dell'isola facendosi trasportare in lettiga perché troppo indebolito dalla malattia.
Riuscì comunque a concludere un trattato con i Britanni facendosi cedere una considerevole parte del territorio.
Grande preoccupazione e angoscia provocava a
Severo
il figlio Antonino le cui intenzioni omicide erano evidenti. Era chiaro che alla prima occasione avrebbe eliminato il fratello Geta, che cercava di farsi proclamare imperatore dai soldati e che tramava per assassinare lo stesso
Severo
. Una volta mentre cavalcavano insieme padre e figlio per incontrare una delegazione di
Caledoni
, Antonino aveva tentato di colpire Severo alle spalle con la spada ma era stato trattenuto dalle grida delle persone che li seguivano. Da parte sua
Severo
non prese mai provvedimenti contro Antonino ed in questi casi si limitò a rimproverarlo.
Si verificò una nuova insurrezione e
Severo
ordinò l'invasione del territorio dei
Caledoni
e dei Meati ma mentre di accingeva a prendere parte personalmente alle operazioni la malattia lo uccise lasciandogli solo il tempo di raccomandare ai figli di accordarsi fra loro.
Il suo corpo fu cremato con onori militari e le ceneri furono mandate a Roma in un'urna di porfido.
Settimmio Severo
era di corporatura pesante e robusta ma era indebolito dalla podagra. Era molto intelligente, grato verso gli amici e nocivo con i nemici, diligente nelle sue azioni, non dava importanza a quanto si diceva di lui.
Raccoglieva denaro con ogni mezzo (ma per farlo non uccise mai nessuno) e lo spendeva con liberalità in opere pubbliche, nuovi edifici, restauri. Costruì un grande tempio di Bacco ed Ercole.
Deprecava l'incontinenza ed emanò una legge contro l'adulterio.
In tempo di pace la sua giornata iniziava all'alba, discuteva delle vicende del momento e amministrava la giustizia con i senatori fino a mezzogiorno, poi cavalcava, si lavava, pranzava e riposava. Nel pomeriggio studiava e si esercitava con il greco fino all'ora di cena. Solo in casi eccezionali offriva banchetti sontuosi.
Visse sessantacinque anni e regnò diciassette anni e otto mesi, fu sempre molto attivo e morendo pronunciò un'esortazione all'industriosità.