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Città di Dite
Nell'ottavo canto dell'Inferno è narrata l'entrata di
Dante
e
Virgilio
nella "città di Dite". Si tratta della parte più profonda dell'inferno che comprende i cerchi dal sesto al nono. "Dite" è per
Dante
uno dei nomi di
Satana
e deriva da quello di un dio dei Latini corrispondente al greco
Ade o Plutone
che regnava sull'oltretomba.
La città è cinta di mura che sembrano di ferro, le sue porte sono sorvegliate da più di mille diavoli, le sue torri sembrano incandescenti per i riflessi dei fuochi che ardono all'interno. La circonda la palude formata dalle acque dello
Stige
che i due pellegrini attraversano sulla barca di
Flegias
. In quelle acque si tormentano gli iracondi che si percuotono e sbranano a vicenda. Sul fondo giaccioni gli accidiosi che ripetono eternamente parole di autoaccusa.
I diavoli di guardia impediscono l'entrata mentre da una torre le
Erinni
(
Megera
,
Aletto
e
Tisifone
) imprecano e invocano l'arrivo di
Medusa
perché pietrifichi il visitatore vivente. Questa volta le parole di
Virgilio
non bastano per liberare il passaggio ma interviene un messo celeste che apre le porte con il semplice tocco di una verghetta e redarguisce duramente i diavoli.
Commentatori antichi e moderni hanno interpretato in vari modi l'episodio delle porte aperte dall'agente celeste annettendo significati simbolici ad ogni particolare e all'evento nel suo insieme. Ad esempio alcuni hanno visto nel messo celeste una rappresentazione dell'imperatore che con la sua autorità impone l'ordine sconfiggendo la violenza.
Sembra che
Dante
abbia voluto lasciare al lettore la comprensione dei significati nascosti
sotto il velame de li versi strani
legittimando così ogni interpretazione, compresa quella letterale per cui il messo è un angelo che interviene per volontà divina e tutta la scena rappresenta esattamente ciò che i versi raccontano: una delle numerose, magistrali prove della "regia" dantesca.
Riferimenti letteratura:
Virgilio - Eneide
Divina Commedia - Inferno
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