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Velabro



La via del Velabro prende il nome dalla palude fluviale che anticamente ne occupava il sito, dove secondo la tradizione il pastore Faustolo trovò i neonati Romolo e Remo affidati in una cesta alle acque del Tevere.
La palude copriva un'area fra il fiume ed il Foro, fra il Campidoglio ed il Palatino.
Gli autori antichi davano spiegazioni diverse sull'etimologia del nome Velabro riferendolo a parole collegate alle vele o all'atto di traghettare.
Nel luogo passala la Cloaca Massima che attraversava il Foro convogliando nel Tevere le acque delle alture circostanti. Tradizionalmente la realizzazione della Cloaca Massima è attribuita a Tarquinio Prisco o a Servio Tullio, anche se in epoca monarchica fu eseguito soltanto un primo lavoro di arginatura delle acque. La bonifica della zona permise comunque che vi si insediassero attività artigianali e commerciali.
Sotto Settimio Severo, nel terzo secolo d.C., i banchieri del quartiere eressero l'Arco degli Argentari, uno degli accessi al Foro Boario, oggi appoggiato alla facciata della chiesa di San Giorgio al Velabro.
Alla tarda antichità risale invece l'arco quadrifronte detto di Giano, forse identificabile con un arco di Costantino, che nel Medioevo funse da base ad una torre demolita nel 1827.

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