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CADMO
Viveva in Sicione una giovane principessa di nome Europa, "colei che ha gli occhi grandi". Era figlia di Agenore, re dei Fenici ed il mito colloca i suoi fratelli e la sua progenie nel quadro di molte grandi leggende, all'origine di popoli e casate fra i più importanti del mondo antico. Un mattino Europa giocava in un prato con le sue compagne quando fu notata da Zeus. Per avvicinarla il dio non scelse la forma umana ma quella bestiale e terrifica di un grande toro bianco, eppure l'animale si presentò così amichevole e mansueto che Europa non ne ebbe timore. Il candido pelo, sui muscoli potenti, odorava non di stalla ma di rose, le lucide corna splendevano al sole come le armi degli dei. E del sole, del suo vigore benigno, della sua potenza generatrice, sembra essere simbolo questa icona del toro innamorato che ci piace immaginare mentre gioca con la ragazza in un radioso meriggio mediterraneo e dolcemente la sospinge o la attira dal prato alla spiaggia dove, forse per inventare un nuovo divertimento, Europa finì col salire sulle sue ampie spalle. Subito il toro si tuffò nel mare e prese a nuotare con incredibile velocità. Un poeta che ne scrisse immaginò le divinità marine osservare stupite il cornuto nuotatore che fendeva le acque con il carico leggero della giovane sconvolta dal terrore, li vide anche un marinaio ed invocò gli dei, forse allontanando per sempre da se - vorremmo aggiungere - l'abusato dono di Dioniso. Ben presto, comunque, la forma taurina di Zeus approdò all'isola di Creta dove - dicono - mutò in quella di un bel giovane per corteggiare l'impaurita principessa in modo più tradizionale. Le fece anche dei teneri doni come quelle collane, quei cerchi, quei tralci di vite con i quali gli antichi pittori dei vasi sempre adornavano la figura di Europa. La ierogamia, l'unione con gli dei era sempre feconda: da quella di Europa con Zeus nacquero Minosse, che fu re di Creta e protagonista di numerosi miti, Sarpedone che morì a Troia e Radamanto che sarà addirittura giudice di anime nell'Oltretomba virgiliano. E così si compì il destino di Europa che dopo l'amore con Zeus fu da questi data al re Asterione, il re delle stelle dei miti cretesi perché la sposasse e la rendesse regina. Ma Agenore, figlio di un'altra avventura galante divina, quella di Posidone con la ninfa Libia, non era uomo da arrendersi senza tentare. Forse sua figlia era stata rapita dai molti e feroci pirati che infestavano il mare, forse dormiva, in un sito nascosto fra i fiori, stregata da una maga o da un Dio. Agenore convocò i suoi figli: Fenice, Cilice e Cadmo (ed alcuni autori ne citano altri ancora) perché percorressero il mare e la terra alla ricerca della sorella scomparsa. Fece loro giurare di non tornare senza averla trovata e, vecchio, li salutò dalla riva dubitando di poterli mai rivedere. I giovani principi viaggiarono a lungo, Fenice raggiunse la costa africana e qui si fermò, sui lidi della futura Cartagine. Cilice fece vela verso Oriente e finì col dare il suo nome al popolo ed al paese che lo accolsero alla fine del viaggio. Più lunga e più nota per noi fu la vicenda di Cadmo, il più forte ed accorto dei figli di Agenore. Il tempo del mito è il tempo delle origini, dell'origine degli dei, dell'uomo, della storia e dell'universo intero: in quel tempo l'ordine del Cosmo non era ancora del tutto definito e le leggi degli dei potevano ancora essere minacciate dalla forza brutale del Caos. Creatura di questa forza, nato da Gea e dal Tartaro, era il mostruoso Tifone, "vasto come i continenti", dotato di arti innumerevoli, padre di creature da incubo come il cane Cerbero e l'Idra di Lerna. Troppo fidando nella sua ottusa potenza, questo mostro ambiva a sovvertire ogni ordine delle cose, avrebbe voluto abbattere il trono di Zeus, ridurre suoi schiavi tutti gli dei, violare il letto di Era, signoreggiare l'universo. Già si era scontrato con Zeus, riuscendo perfino a ferirlo e, con l'inganno, gli aveva sottratto le armi, la folgore ed il tuono, ma era troppo stupido o non abbastanza forte per poterle utilizzare. Ora, mentre Zeus consumava a Creta il suo amore con Europa, Tifone sferrava un attacco micidiale. Molti dei erano fuggiti, altri mutati in animali cercavano scampo dal terribile devastatore che attaccava lo Zodiaco per mutare il corso degli astri. Sconvolgeva il mare, Tifone, catturando il carro di Posidone e scagliandolo a terra, terrorizzando le creature dell'acqua; devastava la terra, bloccava l'aurora, arrestava la luna, impediva alla primavera di recare sul mondo il suo vitalizzante tepore. Contro di lui il cosmo reagiva, con le frecce di Orione e del Sagittario, con i raggi delle Pleiadi e del Serpentario. Quando Zeus tornò sull'Olimpo trovò l'intero universo sconvolto dal mostro ribelle ed allora fu Apollo, dicono, a ricordarsi di Cadmo che vagava ancora in cerca di Europa ed a consigliare a suo padre di servirsi di lui. Fu invece Pan, figlio di Ermes, a travestire Cadmo da pastore ed a dargli il suo flauto perché la musica che fa smarrire la mente ammaliasse il gran ribelle e lo facesse, per un attimo, restare. Quanta sorpresa, quanto terrore finse o provò Cadmo quando Tifone, il cui passo scuoteva le montagne, gli si avvicinò e prese ad ascoltarlo. Fuggì, il falso pastore, cercando rifugio fra i boschi ma Tifone lo richiamò e, rassicurandolo, lo scherniva: cosa poteva mai importare ad un dio come lui di rubare il flauto di un capraio? Restasse il pastore a divertirlo con i suoi suoni strani ed avrebbe avuto in cambio un posto sull'Olimpo ed il letto di una dea. E Cadmo suonò. La musica prese possesso della mente primordiale del bruto, ne stregò l'attenzione, lo distolse dai suoi turpi propositi per quel tanto che bastò all'astuto Zeus per riprendere le armi che solo lui sapeva usare. E allora la battaglia fu violenta, Tifone scagliò contro Zeus alberi, macigni, montagne, intere isole divelte con la forza delle sue mille braccia dal loro sito nel mare, ma Zeus rideva e, inviolabile, respingeva i colpi con un gesto della mano. Poi venne la grandine, voluta dal dio, ed il corpo mostruoso fu sommerso dal ghiaccio, e vennero le folgori che accesero incendi fra le orribili, smisurate membra. Poi vennero il lampo ed il tuono a portare il terrore in quella mente bestiale, infine il mostro cadde sopraffatto e Zeus volle che precipitasse negli abissi della Terra sua madre, proprio sotto la Sicilia dove, non morto, da ancora oggi voce all'Etna con gli spasimi ed i gemiti della sua eterna agonia. Finalmente tornò la primavera, gli dei rientrarono in festa nelle loro sedi e gli astri ripresero i loro sempiterni percorsi nel cielo. Cadmo riprese il suo viaggio alla ricerca di Europa ma Zeus, non immemore dell'aiuto ricevuto, lo volle premiare rendendolo sposo di Armonia. Era costei figlia di Afrodite, nata dall'amore proibito di questa con Ares: nascosta all'ira di Efesto - il deforme marito della dea - era cresciuta nel palazzo di Elettra, una figlia di Atlante che oggi è una stella. Da questo palazzo Armonia fu prelevata per le nozze con Cadmo ed intervenne Afrodite per ispirare nel cuore della figlia un amore nuovo ed eterno per lo sposo che il fato le aveva assegnato. Subito dopo la prima notte di nozze, tuttavia, Cadmo si rimise in mare, in compagnia della sposa, per continuare la sua inesausta ricerca. Giunse a Delfi dove, nel santuario di Apollo, tutti si recavano per consultare l'Oracolo. Ad Apollo, Cadmo chiese aiuto e consiglio per giungere infine a ritrovare la sorella perduta ma l'Oracolo, solitamente oscuro e di difficile interpretazione per una volta fu esplicito e svelò come Europa fosse stata amata da Zeus e come davanti al volere del sommo fra gli dei le ricerche e le speranze di Cadmo fossero vane. Detto questo l'Oracolo aggiunse un ordine perentorio: Cadmo avrebbe dovuto ancora viaggiare, questa volta seguendo una giovenca e quando la bestia si fosse fermata, sfinita dalla stanchezza, egli avrebbe dovuto offrire sacrifici agli dei e fondare, sul sito, una nuova città. Obbedendo al misterioso volere divino Cadmo si mise nuovamente in cammino e, in effetti, appena uscito dal santuario di Apollo trovò la giovenca che sarebbe stata sua guida. Dopo giorni di cammino la vacca si fermò presso una fonte e qui Cadmo ed i suoi compagni compresero di essere giunti al luogo predestinato ove fondare la città. Il gruppo si avvicinò ad una fonte per attingerne l'acqua necessaria per i sacrifici, ma la fonte era protetta da un terribile drago che subito aggredì gli intrusi facendone strage. Il drago avrebbe divorato lo stesso Cadmo se non fosse intervenuta Atena ad infondere coraggio all'eroe. Cadmo infatti riuscì a colpire sulla testa il mostro con un masso, uccidendolo. Questa impresa gli procurò l'odio di Ares, al quale il drago era consacrato e, secondo alcuni autori, Ares punirà molti anni dopo Cadmo trasformandolo in serpente. Seguendo gli ordini di Atena Cadmo strappò tutti i denti dalla bocca del drago e li sotterrò intorno alla fonte. Immediatamente da ogni dente nacque un feroce guerriero, già munito di corazza e completamente armato. I guerrieri presero a combattere fra loro finché non ne rimasero che cinque. Questi cinque guerrieri, detti Sparti (seminati) saranno considerati i capostipiti delle principali famiglie di Tebe, la tradizione ha conservato i loro nomi: Udea, Ctonio, Peloro, Iperenore, Echione. Sterminati i giganti Cadmo ed i suoi offrirono la giovenca in sacrificio agli dei. In seguito Cadmo combattè con le popolazioini locali prima di poter fondare la città nel luogo indicato dall'oracolo. Ancora Nonno di Panopoli, nel quinto canto delle Dionisiache, ci racconta la fondazione della città: venne tracciato il perimetro del il percorso delle vie principali, le vie vennero lastricate con pietre policrome, si costruirono case, templi ed altari ed infine vennero erette le famose sette porte di Tebe: Omoloidi, Pretidi, Ogigie, Oncaidi, Ipsiste, Elettra, Crenidi. Finalmente Cadmo ed Armonia poterono celebrare le loro nozze con un banchetto al quale parteciparono gli dei, come Zeus aveva annunciato. Anche Ares accantonò momentaneamente l'ira verso Cadmo (uccisore del drago a lui sacro) per festeggiare il matrimonio della figlia e partecipò al banchetto con atteggiamento benevolo. Afrodite donò ad Armonia una meravigliosa collana d'oro e di pietre preziose, opera di Efesto. Cadmo ed Armonia ebbero quattro figlie femmine, Autonoe, Ino, Agave, Semele, ed un figlio maschio: Polidoro. Autonoe sposò Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, Ino sposò Atamante, Agave fu sposa di Echione, uno degli Sparti superstiti, nato dai denti del drago, Semele fu sedotta da Zeus e concepì Dioniso; da Polidoro discese la casata dei Labdacidi: Labdaco, Laio, Edipo. Come si vede ciascuno dei figli di Cadmo e di Armonia sarà protagonista di un altro mito.
I LABDACIDI