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PEDRO CALDERON DE LA BARCA

IL GRAN TEATRO DEL MONDO



Personaggi: L'autore
Il Mondo
Il Re
La Prudenza
La Legge di Grazia
La Bellezza
Il Ricco
Il Contadino
Il Povero
Un Bambino
Una Voce
Musicanti

El gran Teatro del Mundo fu composta intorno al 1635, rappresentata più volte negli anni Quaranta e pubblicata nel 1655.


L'opera inizia con un dialogo fra l'Autore e il Mondo: il primo vuole che il secondo funga da teatro per rappresentare i caratteri della condizione umana.
Nella sua risposta il Mondo dichiara che inscenerà le fasi della sua storia (le allusioni bibliche sono evidenti): dal caos allo splendore del Paradiso Terrestre, dall'invidia del serpente al diffondersi dell'umanità con la nascita delle città e delle nazioni.
Sulle acque micidiali del diluvio un'imbarcazione porterà in salvo l'uomo, gli uccelli e gli animali.
Fin qui il primo atto, dedicato alla "legge naturale". Nel secondo, relativo alla "legge scritta" (il Vecchio Testamento) si vedranno gli Ebrei in fuga dall'Egitto, l'Esodo, Mosè sul Sinai ed infine un'eclissi totale (quella verificatasi alla morte di Gesù).
Il terzo atto sarà quello della legge della Grazia" (i Vangeli) e si concluderà con un gran fuoco (la Fine del Mondo).
Sul palcoscenico si apriranno due porte, quella della culla e quella della tomba. Tutti avranno costumi ed oggetti adatti alla loro condizione.
Ed ecco che i personaggi evocati fanno la loro comparsa per mettersi al servizio del loro "Autore e Creatore". Sono il Ricco, il Re, il Contadino, il Povero, la Bellezza, la Prudenza e un Bambino.
L'autore assegna le parti e a lamentarsene sono solo il Contadino (che dovrà lavorare) e il Povero (che dovrà soffrire). Mentre il primo protesta in forma buffonesca che rispetta un topos del teatro dell'epoca, il secondo parla più direttamente di ingiustizia, ma l'Autore risponde che "la vita è una rappresentazione".
Non c'è copione, non ci saranno prove e nessuno saprà quando dovrà entrare o uscire di scena, sarà l'Autore ad avvertirli perché l'unica regola è rappresentare al meglio la propria parte.
Il Mondo fornisce ai personaggi ciò che meglio possa rappresentarli: alloro e porpora per il Re, un mazzolino di fiori dai meravigliosi colori per la Bellezza, gemme preziose al Ricco, cilicio e flagello per la Prudenza.
Il Bambino, destinato a nascere morto, nulla chiede al Mondo il quale comunque dovrà dargli quattro zolle "perché ci prenda dimora".
Il Contadino accetta controvoglia la zappa, al Povero invece il Mondo non riserva nulla, anzi gli toglie il vestito perché vaghi nudo e ramingo.
A questo punto l'allestimento prevede che sulla scena si aprano due globi: in uno siederà l'Autore, nell'altro si vedranno due porte sulle quali saranno dipinte una culla ed una bara.

Entra la Prudenza cantando una lode al Signore con versi tratti dal Libro di Daniele. Appare la Legge di Grazia e canta due versi che si intende racchiuranno tutto il senso della commedia:
Ama gli altri quanto te.
Dio ti vede: opera bene.
La Bellezza invita la Prudenza ad uscire per ammirare le meraviglie del Creato ma la Prudenza ama rimanere in casa. Dal canto suo il Ricco si compiace dei suoi vizi mentre il Contadino, pur lamentandosi per la fatica, spera di arricchire con il raccolto.
Entrano anche il Povero, che piange per il proprio destino, ed il Re orgoglioso per la sua grandezza. Intanto la Legge della Grazia continua a ripetere "Dio ti vede: opera bene".
Il Povero prova a chiedere l'elemosina: la Bellezza lo ignora, il Ricco lo scaccia, il Re lo rinvia al "Grande elemosiniere", il Contadino lo rimprovera perché non lavora e la Prudenza gli offre l'ostia dell'Eucarestia.
Su proposta del Re ciascuno esprimerà un pensiero. Lo stesso re prega di avere la saggezza necessaria per governare (come Salomone in Re I, III), ma una voce fuori scena lo interrompe avvertendolo che la sua parte è finita ed il Re esce dalla porta su cui è dipinta la bara.

Quanti rimangono dedicano poche brevi frasi allo scomparso (i vivi fanno presto a dimenticare i morti).
La Bellezza prende a vantare il suo dominio sul cuore degli uomini ma la voce fuori scena chiama anche lei.
Il Contadino si dice grato a Dio per il raccolto e quando la Voce lo chiama si rammarica di non aver curato abbastanza bene il suo campo e la sua vigna.
Il Ricco pronuncia quello che il Mondo definisce il credo dei pagani: si mangi e si beva, domani non ci saremo.
Il Povero, come Giobbe, maledice il giorno della propria nascita e il peccato in cui è vissuto.
Quando la Voce li chiama il Povero se ne rallegra, il Ricco ne è turbato.
La Prudenza, rimasta sola, si avvia spontaneamente alla porta della bara. Si chiude il globo della Terra.
L'Autore promette premi o castighi ed anche il suo globo si chiude ma il Mondo richiama gli attori perché gli rendano gli oggetti di scena. Toglie al Re scettro, manto e corona, che serviranno ad altri, perché ritorni nudo quale venne alla vita.
La Bellezza non può rendere nulla perché le grazie del suo aspetto sono già sfiorite nella tomba. Il Contadino rende la sua zappa, il Ricco i suoi gioielli ma il Povero non ha nulla ed afferma che la sua sola fortuna è l'andarsene. Anche il Bambino nato morto non ha nulla da rendere al Mondo.
La Prudenza non renderà sacrifici, preghiere ed opere buone che, come ammette il Mondo, "son le sole cose che l'uomo può tenersi strette".
Infine tutti gli attori devono presentarsi all'Autore. Non hanno più alcun senso i residui di superbia del Re, del Ricco e della Bellezza.
L'Autore invita il Povero e la Prudenza a sedere alla sua tavola. Alla Bellezza, al Re e al Contadino che hanno dichiarato di pentirsi dei propri errori spetta il Purgatorio.
La Prudenza ricorda di essere stata aiutata dal Re ed ora vorrebbe ricambiare ed ottiene così che al Re sia condonato il Purgatorio.
Il Bambino che non ha avuto modo di fare il male o il bene resterà nel Limbo senza godere e senza soffrire.
Il Ricco, per la sua alterigia mai riscattata dal pentimento, viene precipitato nell'abisso.
Anche il Contadino e la Bellezza vengono perdonati ed ammessi alla tavola dell'Autore, mentre il Ricco continua a piangere e voci fuori scena intonano il Tantum Ergo.
Con parole tradizionali il Mondo chiede perdono al pubblico per gli eventuali errori della commedia (e della vita).