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Lucio Apuleio


De Magia.

1


Lucio Apuleio inizia la propria autodifesa nel processo intentato contro di lui davanti al governatore d'Africa Claudio Massimo. E' accusato di aver fatto uso di arti magiche per conquistare la mano della vedova Pudentilla.
In realtà a combinare il matrimonio era stato Ponziano, figlio di lei, morto poco prima. Le accuse erano state mosse dagli avvocari di Sicinio Emiliano, fratello del primo marito di Pudentilla che, chiaramente, odiava Apuleio in quanto il suo matrimonio lo aveva escluso dall'eredità della ricca vedova. Apuleio era stato accusato anche di avero provocato con i suoi sortilegi la morte del figliastro Ponziano.

2


Apuleio apre la sua difesa denigrando la figura di Sicinio Emiliano, suo principale accusatore, del quale ricorda poco onorevoli esperienze giudiziarie.

3.


Dichiarazione di assoluta innocenza ed attacco diretto agli avvocati accusatori che - a detta di Apuleio - hanno usato i più banali luoghi comuni contro la sua figura di uomo di cultura e di filosofo.

4.


Per primi vengono confutati gli argomenti superficiali dell'accusa che ha insinuato che Apuleio si presenta di bell'aspetto e molto eloquente (doti che lo avrebbero aiutato ad irretire Pudentilla).
L'aspetto - se bello - è comunque un dono degli dei, dunque casuale. Del resto, dice Apuleio, nella sua austera vita di studioso non si è mai eccessivamente curato della propria figura.

5.


Quanto all'eloquenza, l'oratore ammette di avere quella derivata dagli studi di una vita, ma soprattutto dichiara di poter parlare in pubblico e senza vergogna di tutte le sue azioni, cioè di non aver nulla da nascondere.

6.


Fra gli esempi di eloquenza esecrati dagli accusatori erano alcuni versi scherzosi di Apuleio in accompagnamento ad un dentifricio donato all'amico Calpurniano.

7 - 8.


Apuleio deride l'ignoranza con cui i suoi accusatori hanno definito disdicevole l'uso del dentifricio.

9 - 10.


Accusato di aver scritto versi erotici, Apuleio si difende citando esempi illustri di autori di versi di quel genere e recita brani dei propri componimenti davanti al tribunale.

11.


Comporre versi licenziosi non implica necessariamente una perversione dell'autore, lo dimostrano Catullo, l'imperatore Adriano e Catone.

12.


Apuleio cita a sostegno della sua tesi il concetto platonico delle due Veneri, la popolare e la celeste (Simposio).
13.


Apuleio passa a controbbattere una nuova accusa infamante: quella di possedere uno specchio. Non nega di possederlo ma nega di utilizzarlo per contemplarvisi vanitosamente.

14.


Difesa dello specchio: perché considerare una colpa l'osservare la propria immagine in uno specchio quando viene considerato un onore essere ritratti in una statua o in un dipinto?

15.


Ancora sullo scpecchio e sulla scienza ottica, varie argomentazioni filosofiche tratte da Socrate, Epicuro ed Archita di Taranto.

16.


Gli studi di Archimede di Siracusa sugli specchi dimostrano definitivamente come questi siano oggetti di interesse scientifico, ben lontani dalla superstizione.

17.


Apuleio è stato confusamente accusato di essere giunto a Oea con un solo schiavo e di averne successivamente affrancati tre. Il passo è poco chiaro e non si vede bene cosa abbia a che fare l'affrancamento degli schiavi con l'accusa di magia. Probabilmente il fatto si relaziona con l'accusa di povertà dibattuta nel capitolo successivo.

18.


La povertà rinfacciatagli dagli accusatori è per Apuleio un vanto, la povertà conferisce, secondo un ben noto modello arcaico, dignità e saggezza. La tesi è sostenuta con molti illustri esempi greci e romani.

19 - 20.


Apuleio prosegue in un elogio della povertà e della temperanza, la vera povertà, dice, è quella esecrabile negli spiriti insaziabili ai quali non basterà mai alcuna ricchezza.

22.


Parlando ancora della povertà, l'autore cita l'esempio di Cratete, filosofo cinico allievo di Diogene, che aveva rinunciato a tutti i suoi beni materiali. Precisa comunque di non appartenere alla scuola dei cinici ma di considerarsi un filosofo platonico.

23.


A questo punto Apuleio dichiara di essere stato erede di un cospicuo patrimonio paterno che non ha esitato a devolvere per finanziare i propri studi ed aiutare gli amici. Accusa quindi Emiliano di essersi arricchito grazie ad eredità non meritate.

24.


Apuleio conferma di essere nativo della provincia d'Africa e dichiara con un certo orgoglio che suo padre aveva ricoperto importanti cariche pubbliche acquisendo un prestiglio sociale che il figlio ritiene di aver degnamente conservato.

25.


Finalmente Apuleio, dopo aver confutato e demolito tutta la serie di accuse minori passa ad occuparsi della principale: l'accusa di magia.
Inizia chiarendo il significato e l'origine del termine mago. Presso i Persiani - dice - la parola mago equivaleva a sacerdote.

26.


Dunque la magia "è un'arte pia", bene accetta dagli dei. Se è così, dice Apuleio, l'accusa non sussiste perché conoscere le cose della magia non comporta alcuna colpa. Se invece si intende per magia la capacità di procurarsi poteri eccezionali, i suoi accusatori non vi credono, altrimenti non correrebbero il rischio di mettersi contro un uomo dotato di simili poteri.

27.


L'ignoranza popolare spesso accusa di ateismo i filosofi che si occupano di scienze naturali e di magia quelli che si occupano di dottrine più astratte.
Tutti gli indizi portati a sostegno dell'accusa sono artefatti e tendenziosi: non c'è nulla di strano nel fatto che una vedova abbia deciso di sposare un celibe più giovane di lei.

28.


L'oratore anticipa i temi sui quali intende sviluppare il seguito del suo discorso: dimostrare la falsità dell'accusa; dimostrare che qualora fosse realmente un mago non avrebbe "motivo né occasione per farsi sorprendere in qualche maleficio", dimostrare che il suo figliastro Prudente è stato strumentalizzato dallo zio Emiliano il quale è rimasto sconvolto dal matrimonio di Pudentilla che rappresentava per lui la perdita di ogni possibile eredità da parte della vedova.

29.


Emiliano ha accusato Apuleio di aver comprato particolati tipi di pesce per utilizzarli negli incantesimi amatori ai danni di Pudentilla. Apuleio passa a confutare questa accusa. Lo fa in tono itonico, ridicolizzando le parole degli accusatori.

30.


Passando ad un tono più serio, Apuleio sostiene che non si è mai letto di poteri magici dei pesci e cita l'Egloga VIII di Virgilio per esemplificare i ben diversi ingredienti utilizzati nelle pozioni incantatorie.

31.


Con sfoggio di varia erudizione, Apuleio continua a dimostrare che in nessun autore è attestata una relazione fra la magia ed i prodotti del mare. Cita, fra l'altro, un episodio tradizionale della vita di Pitagora: il filosofo acquistò da alcuni pescatori tutte le loro prede e le fece liberare perché tornassero al mare.
Ora, osserva Apuleio, Pitagora che era ritenuto un grande mago, non avrebbe liberato i pesci se questi avessero potuto essergli utili nelle sue pratiche.

32.


Ammesso, comunque, che i pesci possano servire agli incantesimi, non si potrà sostenere che chiunque se li procuri sia un mago, altrimenti si dovrebbero accusare di magia gli stessi pescatori e tutti i loro clienti.

33.


Si è sostenuto che Apuleio abbia ricercato particolari generi di pesce: una "lepre marina" e dei molluschi il cui nome richiama quello degli organi genitali umani (veretilla e verginali).

34 - 35.


Apuleio nega di aver cercato i molluschi e deride la grossolanità dell'accusa, puerilmente basata sul nesso immaginario fra i nomi dei frutti di mare ed i pretesi incantesimi erotici.

36.


Apuleio non nega, invece, di interessarsi abitualmente ad ogni frutto inusuale della pesca: lo fa per motivi scientifici come dimostrano le sue opere sulle "Questioni naturali".
37.


Si raccontava che Sofocle, da vecchio, si fosse difeso da un'accusa di stoltezza dovuta alla senescenza semplicemente leggendo la recente opera Edipo a Colono. Su questo esempio Apuleio propone ai suoi giudici di ascoltare dei brani di sue opere che fa leggere ad un suo segretario o servitore.

38.


La lettura ha dimostrato la cultura zoologica di Apuleio, il quale insiste sull'argomento ostentando, con un certo orgoglio, la propria erudizione.

39.


Con sarcasmo, l'oratore cita anche alcuni versi di un trattato gastronomico di Ennio, nel quale si descrivevano le qualità di pesce più prelibate.

40.


Dunque il pesce di cui parlano gli accusatori, era stato oggetto di studio, Apuleio lo aveva sezionato per esaminarne le caratteristiche anatomiche, come aveva già fatto in molte altre occasioni.

41.


Concludendo l'argomento dei pesci Apuleio ribadisce i propri interessi culturali davanti alla grassa ignoranza dei suoi accusatori.

42.


Apuleio è stato inoltre accusato di aver "incantato" un fanciullo. Si riteneva che provocando con opportune pratiche magiche la trance in un bambino questi acquisisse capacità divinatorie.

43.


Sia pur avanzando dubbi, l'oratore non esclude la possibile efficacia di suddette pratiche, tuttavia sostiene che nel suo caso il bambino che egli avrebbe incantato è un povero ebete afflitto dall'epilessia di nome Tallo.

44.


Per dimostrare che Tallo è epilettico e che quindi la sua trance è stata solo una crisi della malattia, Apuleio chiede che si interroghino tutti gli altri schiavi compagni del ragazzo.

45.


Tallo non è presente al processo perché da molto tempo è stato allontanato da Oea per evitare il contaggio. Emiliano è al corrente della circostanza, quindi la sua accusa è chiaramente pretestuosa.

46.


Apuleio sfida i suoi accusatori ad esibire altri schiavi che lui avrebbe "incantato", come hanno sostenuto.

47.


La richiesta dell'accusa di interrogare quindici schiavi come testimoni del rito magico viene discussa da Apuleio: chi mai svolgerebbe rituali tanto misteriosi e proibiti davanti all'intera servitù?

48.


Apuleio ammette di aver aiutato un medico a curare una donna epilettica, ma nega di averla "stregata". Come è stato affermnato da altri testimoni egli si era solo informato sul ronzio nelle orecchie della donna.

49 - 52.


Apuleio disquisisce sui testi di Platone, Aristotele e Yeofrasto a proposito delle malattie in genere e dell'epilessia in particolare, per dimostrare il valore scientifico e non magico della sua visita alla malata di cui al paragrafo precedente.

53 - 56.


Emiliano ha accusato Apuleio di custodire oggetti magici avvolti in un panno di lino, presso i Penati di Ponziano. Apuleio dichiara trattarsi di oggetti rituali, ricordi delle sue numerose iniziazioni ai riti misterici avvenute in Grecia.

57 - 60.


Gli accusatori hanno presentato la testimonianza scritta di un certo Giunio Crasso che dichiarava che Apuleio aveva svolto a casa sua dei misteriosi riti notturni durante la sua assenza. Apuleio descrive Crasso come un sordido bevitore e dichiara che la testimonianza, palesemente false, è stata comprata da Emiliano per denaro, come si è saputo in tutta la città.

61 - 65.


Apuleio passa a difendersi da un'altra accusa, quella di essersi procurato e di venerare la statuetta di una orribile divinità infernale. Si tratta invece di una statuetta lignee di Mercurio che Apuleio aveva commissionato allo scultore Cornelio Saturnino, presente al processo come testimone. L'accusato esibisce la statuetta dimostrando che si tratta di un normale oggetto di devozione. Quanto alla scelta del legno viene argomentata con i dettami di Platone in merito alle offerte votive. In effetti Mercurio-Ermes, dio venerato in Egitto, era strettamente collegato a rituali magici. Apuleio, che fu assolto, aveva forse condotto realmente esperimenti di magia anche se non grossolani e volgari come quelli che gli attribuiscono i suoi maldestri accusatori.

66.


Finalmente Apuleio giunge all'argomento decisivo: il suo matrimonio con la vedova Pudentilla e la rabbiosa invidia che esso ha suscitato nei suoi accusatori. A prescindere dalla magia - dice infatti Apuleio - Emiliano non avrebbe avuto altro movente che l'invidia per accusarlo dal momento che Emiliano, da Apuleio, non aveva mai ricevuto alcun torto.

67.


Vengono riepilogati i capi d'accusa: in base al fatto che la vedova non si era mai voluta risposare fin quando, a sessanta anni, aveva conosciuto Apuleio ed alla dote che Pudentilla portava al marito, anche in base a certe lettere di lei esibite dall'accusa, si sospettava Apuleio di aver usato arti magiche per sedurla.

68 - 72.


Apuleio spiega che Pudentilla non si era risposata per tanto tempo solo per evitare le nozze con Sicinio Cloro (fratello del suo defunto marito) che il suocere aveva tentato di importle per non far uscire dal contesto familiare le ricchezze di lei. Durante quattordici anni di vedovanza la donna aveva allevato con esemplare amore materno i figli Pudente e Ponziano. Infine il suocero morì lasciando eredi i nipoti. Il più anziano dei due, Ponziano, divenne tutore del fratello. Dopo tanti anni di vedovanza Pudentilla era invecchiata e non godeva di buona salute, curiosamente viene citata una bizzarra diagnosi medica che affermava che la donna si ammalò per "mancanza di attività matrimoniale". Decise di risposarsi con il consenso di tutti i parenti, fra cui lo stesso Sicinio Emiliano, come Apuleio dimostra esibendo una lettera di lui a Pudentilla. E' una mossa importante perché destituisce uno degli argomenti dell'accusa e dimostra che la vedova nutriva intenzioni matrimoniali prima di conoscere Apuleio. I figli non si opposero al desiderio della madre ma si preoccuparono per l'eventuale perdita dell'eredità. Quando Apuleio giunse ad Oea ospite dei suoi amici Apii, Ponziano che lo aveva conosciuto in precedenza vide in lui il candidato ideale per quel matrimonio ed insitette per farlo rimanere un periodo ospite nella sua casa.

73 - 74.


Dopo circa un anno di soggiorno ad Oea, Apuleio ricevette da Ponziano la proposta di sposare sua madre. Inizialmente rifiutò ma poi l'insistenza del giovane ed il riconoscimento delle doti morali della donna lo convinsero ad accettare. Prima di loro si sposò Ponziano e subito dopo, cambiato parere, cercò di ostacolare le nozze materne. Artefice del brusco cambiamento era stato il suocere Erennio Rufino, uno degli accusatori. Apuleio lo dipinge come un individuo infame, dedito alla libidine, alla crapula e ad ogni sorta di vizi. Fra l'altro Rufino era noto per i commerci che organizzava nel letto della moglie della quale poi ricattava i clienti con la minaccia di scandali e di denunzie per adulterio.

75 - 76.


Rufino e sua moglie avevano adescato Ponziano convincendolo a sposare la figlia, la quale aveva già da tempo cominciato a calcare le orme materne.

77 - 79.


Rufino dunque fece di tutto per evitare il matrimonio di Pudentilla che avrebbe portato fuori dalle sue mire l'ingente patrimonio della vedova appena divenuta suocera di sua figlia. Convinse Ponziano a proporre a Pudentilla di cambiare proposito ma la donna oppose un netto rifiuto. Da questi episodi nacque tutto l'odio di Rufino verso Apuleio, odio che lo portò a minacciare lo scrittore di morte in pubblico e, infine, ad intentare il processo contro di lui.
Indignata per il cambiamento del figlio, Pudentilla si ritirò in campagna e scrisse a Ponziano una lettera di rimproveri nella quale, fra l'altro, diceva di essere sinceramente innamorata di Apuleio, di essere stata ammaliata da lui. Ora l'accusa utilizzava questa lettera per sostenere le proprie argomentazioni.

80 - 84.


La lettera viene letta in aula dal cancelliere del processo ed Apuleio chiarisce l'inganno di Rufino che della lettera aveva divulgato solo alcune frasi stravolgendone il senso per sostenere che Pudentilla avesse confidato a Ponziano che Apuleio era un mago mentre, nello scritto, la donna intendeva esprimere tutt'altro.

85 - 87.


Apuleio pronuncia una lunga e dura invettiva contro il giovane Pudente, il figlio minore di Pudentilla, l'unico vivente dato che Ponziano è morto prima del processo, e lo sfida a negare che il comportamento della madre sia sempre stato pudico ed onorevole e non abbia mai dato occasione di sospettare che la donna fosse preda di qualsivoglia incantesimo.

88 - 89.


Apuleio smentisce l'affermazione di Emiliano sull'età di Pudentilla e dimostra con un certificato di nascita che la donna ha circa quarant'anni e non sessanta come l'accusatore ha sostenuto. La questione è importante perché una legge vietava alle donne di sposarsi dopo i cinquant'anni.

90 - 92.


Il contratto matrimoniale limitava l'accesso del marito alle ricchezze di Pudentilla, della quale rimanevano comunque eredi i figli. Ora il discorso di Apuleio, piuttosto ingeneroso verso la consorte, tende a dimostrare che ha sposato Pudentilla senza ricavarne alcun vantaggio materiale.

93.


Apuleio si adoperò per comporre precedenti dissapori e riconciliò Pudentilla con i figli convincendola a far loro grandi doni.

94 - 95.


Ponziano si scusò con Apuleio per aver dato ascolto ai consigli del suocero e lo pregò di raccomandarlo all'amico Lolliano Avito, proconsole in Africa. Con l'occasione Apuleio legge una lettera a lui indirizzata da Avito con molte lodi per far pesare il buon giudizio che l'importante personaggio aveva espresso su di lui.

96.


Dunque poco prima di morire Ponziano si era riconciliato con Apuleio come dimostrato da una sua lettera di cui viene data lettura.

97.


Ponziano aveva anche ritrattato il proprio testamento diseredando la moglie a favore della madre e del fratello.

98.


Dopo la morte di Ponziano, dice Apuleio, Rufino ha attirato a se il giovane Pudente per cercare di fargli sposare la figlia e recuperare le proprie mire sul patrimonio di Pudentilla.

99.


A seguito di questi fatti e del comportamento vizioso che Pudente aveva assunto, Pudentilla aveva deciso di diseredarlo e ne era stata dissuasa dallo stesso Apuleio.

1000.


Apuleio invita Pudente a leggere il testamento della madre, testamento nel quale il ragazzo - nonostante i dissapori familiari - è nominato erede universale e al marito viene attribuito solo un piccolo legato.

101.


L'imputato nega anche di aver acquistato un podere con i soldi della moglie: il podere al quale si riferiscono gli accusatori è stato acquistato da Pudentilla ed è a lei intestato.

102.


Apuleio è giunta alla fine del suo lungo discorso e dichiara di avere confutato una ad una le accuse, nonché di aver dimostrato che dal suo matrimonio non gli è venuto nessuno dei benefici dichiarati dall'accusa che sarebbero stati i moventi per i crimini che gli si attribuiscono.

103.


Nell'ultimo paragrafo, con notevole sintesi, Apuleio cita tutte le accuse ed a ciascuna risponde con frasi brevissime, infine si rimette al giudizio del proconsole romano.