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GIROLAMO SERRA

STORIA DELL'ANTICA LIGURIA E DI GENOVA


(Sintesi parziale)

Proemio

Organizzazione dell'opera. Primo libro, i Liguri. Secondo libro, compendio di storia romana e storia medievale della Liguria. Dal terzo al quinto libro: il commercio, le arti, la navigazione e la letteratura. Sesto libro, perdita delle colonie e discordie civili.

LIBRO PRIMO

La regione fra il Varo e il Magra, gli Appennini e il mare, fu abitata dai Liguri detti anche Ambroni e fu detta Liguria.
Fra i primi abitatori della penisola italiana, i Liguri ebbero un capo leggendario dal cui nome Mar sarebbe derivato quello di Marte.
Privi di un ordinamento politico organizzato, i Liguri erano divisi in varie piccole popolazioni: i Vedianzi, i Ventimigliesi, gli Ingauni, e i Sabazi erano stanziati lungo la costa. Nell'interno vivevano i Veneni, i Vagienni, i Genuenses, i Vitturii, i Lagansi, i Dectunini, i Cavaturini, i Montovini, i Marici e i Levi.
Fra l'Appennino e il mare erano i Casmonati, i Lapicini, i Teguli, gli Ercati, i Magelli e gli Apuani.
Oltre l'Appennino, fra la Trebbia, il Taro e la Vara abitavano Celelati, Illuati, Cerdiciati, Briniati e Friniati.
Con il tempo l'incremento della popolazione spinse i Liguri ad estendersi nella Gallia Meridionale, nell'Italia Settentrionle, in Corsica e in vari luoghi del Mediterraneo, spingendosi fino al Mar Nero.
Ne derivarono altre popolazioni: a occidente, fra il Varo e il Rodano verso i Pirenei gli Steni.
Veneni e Vagienni discesero verso il Po e fondarono Torino. Altri Liguri fondarono Alba, Pollenza, Pavia ed altre città.
Gli Apuani migrarono verso sud fino a raggiungere l'Arno. Alcuni ritenevano di stirpe ligure anche i Siculi e, come riporta Dionisio di Alicarnasso, gli Aborigeni Latini.
I primi raggiunsero la Sicilia ottanta anni prima della Guerra di Troia, i secondi si stabilirono nel Lazio e furono gli antenati dei Romani.
Gli abitatori della costa ligure non migrarono e con grandi difficoltà riuscirono a dissodare e coltivare il loro territorio.
Dediti alla caccia e all'agricoltura, i Liguri vivevano una vita semplice sparsi in molti piccoli villaggi ma per esigenze di difesa si confederarono in quattro leghe che si riunirono in caso di guerra.
I Liguri combatterono contro gli Etruschi per questioni di confine. Secondo un mito si scontrarono anche con Ercole che, pur vincendo, rischiò di soccombere nella lotta e fu aiutato da Giove con una pioggia di pietre.
Quando Enea giunse nel Lazio i Liguri gli inviarono consistenti aiuti comandati da Cinira e Cupovone per la guerra contro i Rutuli.
Coloni focesi fondarono Aleria in Corsica, quindi raggiunsero le coste della Toscana abitate dagli Apuani, dove fondarono Luni, quindi risalirono il litorale fino a giungere al Rodano, nel regno di Nanno re dei Salii. Qui la principessa Gipti, figlia di Nanno, sposò un focese di nome Proti al quale fu donato il territorio comprendente al città di Marsalia che i Graci chiamarono Massalia.
Comano, figlio di Nanno, tentò di cacciare i Focesi da Massalia ma venne sconfitto e ucciso.
Nello stesso periodo i Galli scesero in Italia, dispersero i Liguri circumpadani e gli Etruschi, quindi respinti dai Romani si stabilirono fra l'Adige e il Rubicone, spesso combattendo contro i Liguri.

Durante le guerre puniche le navi liguri continuarono a commerciare con i Cartaginesi e i Liguri si schierarono contro i Romni ed approfittarono della situazione per penetrare in Etruria. Due anni dopo la vittoria il console Tiberio Sempronio Gracco attaccò la Liguria (238 a.C.), nel 236 a.C. Publio Cornelio Lentulo Caudino trionfò contro i Liguri, gli successero nel comando Licinio Varo, Manlio Torquato e Lucio Postumio Albino.
Quinto Fabio Massimo riportò un secondo truionfo per aver tolto ai Liguri tutti i territori fra l'Arno e la Magra. Successivamente la guerra fu condotta da Marco Lepido, Giunio Pera, Furio Filo.
I Liguri si allearono con gli Insubri ma furono più volte sconfitti. Gli Insubri si arresero e i Liguri avrebbero forse subito la vendetta dei Romani se questi non fossero stati distolti dall'inizio della seconda guerra punica.
Parte dei Liguri si allearono a Annibale, ma non Genova il cui porto servì da base di appoggio al console Publio Cornelio Scipione.
Dopo la vittoria della Trebbia, Annibale svernò in Liguria per poi inoltrarsi in Etruria e vincere la battaglia del Trasimeno. La strategia di Fabio Massimo recuperò le sorti della guerra, ma Annibale ottenne un'altra vittoria a Canne, quindi strinse alleanza con Filippo di Macedonia e chiamò dalla Spagna il fratello Asdrubale.
Asdrubale si scontrò con il console Claudio Nerone al Metauro e venne sconfitto e ucciso.
Annibale, ritiratosi in Puglia, chiamò l'altro fratello Magone che dopo aver svernato alle Baleati, costeggiò la Liguria o saccheggiò e distrusse Genova.
Magone si alleò con gli Ingauni ed intervenne ad un raduno di Liguri e Galli Cisalpini per convincerli a seguirlo contro Roma. Lascià la Liguria dopo avervi soggiornato quasi tre anni e giunto al Tanaro trovò a fronteggiarlo il pretore Quintilio Varo e il proconsole Marco Cornelio. Sconfitto e gravemente ferito, Magone tornò indietro e presso Albenga si imbarcò per l'Africa ma morì durante il viaggio.
I Romani affidarono al senatore Spurio Lucrezio il compito di riscostruire Genova e le sue mura, compito che fu portato a termine nel giro di due anni. Non molto tempo dopo Scipione sconfiggeva Annibale nella battaglia di Zama costringendo Cartagine a chiedere la pace.
Dopo la firma della pace i Liguri orientali si allearono con i Galli Cisalpini per ribellarsi contro il progetto romano di costruire nei loro territori una nuova strada per le Gallie. Il comando dei ribelli fu assunto da Amilcare, un ufficiale di Ascrubale rimasto presso i Galli.
Amilcare devastò Piacenza e di volse verso CremonaCremona. Il pretore Lucio Furio si rivolse al senato che inviò l'esercito del console Aurelio in riforzo alle milizie del pretore. Lucio Furio attaccò gli assedianti e, con l'aiuto dei Cremonesi, li sbaragliò. Pe quest'impresa Lucio FUrio ottenne il trionfo, onore che in genere non veniva concesso ad un pretore.
I ribelli si organizzarono e con un'imboscata fecero strage dei soldati di Bebio Tanfilo, successore di Lucio Rufio. Intervenne il console Sesto Elio Peto senza ottenere risultati di rilievo.
I consoli dell'anno seguente, Caio Cornelio Cetego e Quinto Minuzio Rufo, furono mandati dal Senato rispettivamente contro i Galli a Brescia e i Liguri a Casteggio. Entrambi trionfarono.
Le ostilità ripresero quattro anni dopo quando i confederati devastarono il distretto di Pisa e attaccarono di nuovo Piacenza. Il console Quindto Minucio Tauro partì per l'Etruria, Lucio Cornelio Merula per la Gallia Cisalpina.
Cornelio Merula evitò un'imboscata e sconfisse i Galli mentre in Etruria l'esercito consolare si trovò intrappolato durante una manovra in una strettoia e rischiò di essere sopraffatto. I cavalieri nomidi inscenarono un'azione diversiva fingendo di non saper governare i propri cavalli e quando i Liguri furono distaratti dal ridicolo spettacolo si lanciarono contro di loro e forzarono il blocco liberando i Romani.
Il console Minucio sconfisse i Liguri alla Magra recuperando molta preda ma non riuscì a pacificare la provincia. Infatti quando il pretore Lucio Bebio, diretto in Spagna per assumere il comando militare, transitò in Liguria con il suo seguito, provocò disordini e reazioni ostili fra la gente, fu ferito e costretto a fuggire.
Contro i Liguri il Senato mandò i nuovi consoli Caio Flaminio Nepote e Marco Emilio Lepido. Non si conoscono i dettagli di questa nuova campagna ma, considerata la bellicosità dei Liguri, fu probabilmente molto dura per i Romani.
Accantonato il progetto di aprire una strada in Liguria i consoli diedero inizio a due vie in Gallia Cisalpina ed in Etruria: Emilio fra Piacenza e Rimini, Flaminio fra Bologna e Arezzo.
L'anno successivo il console Quinto Marcio Filippo partì per la Liguria e venne sconfitto perdendo quattromila uomini in un'imboscata.
Furono i consoli dell'anno seguente (185 a.C.), Appio Claudio Pulcro e Marco Sempronio Tuditano a sconfiggere seriamente i Liguri.
Ancora l'anno seguente, tuttavia, il console Lucio Porzio Licinio rischiò la sconfitta presso Luni.
Molti gruppi di Liguri, non potendo contrastare le legioni, si dedicarono alla pirateria tormentando le città costiere del Mediterraneo alleate dei Romani. Intervenne Lucio Emilio Paolo, console del 182 a.C. e futuro trionfatore in Macedonia, che assediò la città di Albenga.
Molte milizie liguri accorsero in aiuto di Albenga ma infine Lucio Emilio Paolo riusci ad ottenere una grande vittoria che gli valse il trionfo.
Ai vinti furono imposte gravi misure fra cui la demolizione di ogni fortificazione, la confisca delle navi da guerra e il divieto di costruirne di nuove. Quarantamila famiglie liguri furono deportate nel Sannia per debellare definitivamente ogni capacità offensiva di quelle genti.
In quegli anni fu costruita la via Postumia per unire Genova alle province orientali prolungando la via Emilia. La via Postumia toccava il passo dei Giovi, Tortona, Piacenza, Cremona e proseguiva fino a Treviso e Oderzo nel Friuli.
Il console Postumio, iniziatore dei lavori della via, e il suo collega Fulvio Flacco, giunti al termine del loro mandato lasciarono la regione apparentemente tranquilla ma poco dopo gli Apuani si ripresero e saccheggiarono il Pisano.
Gli abitanti della zona invitarono il senato romano a dedurre una colonia nelle loro terre che fidendesse i consfini ed il senato accettò nominando tribuni della nuova colonia Quinto Fabio Buteone e i due fratelli Popilii. Analoga operazione fu svolta più tardi fondando una colonia in Garfagnana, territorio di Lucca.
Ma la guerra ligustica non era ancora finita, gli irriducibili liguri si armarono di nuovo e nel 176 sconfissero ed uccisero il console Petilio Spurio mettendo in fuga le sue legioni.
L'eco di questo episodio incoraggiò i Galli Cisalpini e l'anno successivo il console Emilio Lepido si recò nella loro regione, il collega Publio Muzio Scevola in Liguria. Entrambi riportarono belle vittorie e celebrarono il trionfo. Il console Marco Popilio Lenate (173 a.C.) attaccò improvvisamente gli Statielli, una piccola popolazione ligure di montagna che si era sempre mantenuta neutrale, distrusse il loro castello di Caristo (Cartoso) e fece migliaia di vittime e molti prigionieri.
La crudeltà di Popilio Lenate fece inorridire i senatori che ingionsero al console di liberare gli Statielli e reintegrarli nei loro averi, ma Popilio non eseguì l'ordine, si recò a Roma per spiegare le sue ragioni ed ottenne la conferma del comando.
L'anno successivo fu eletto console Publio Elio Ligure (172 a.C.) il quale mise subito mano ad un decreto per riparare alle ingiustizie subite dagli Statielli ma la potente famiglia dei Popilii riuscì a far eleggere anche Gaio Popilio Lenate, fratello di Marco, che ostacolò il collega ritardando l'approvazione del decreto e minimizzandone gli effetti.
Ai due consoli fu affidato il governo della Liguria e si comportarono con moderazione infatti i quattro anni successivi furono per la provincia un periodo di pace.
Nel 167 a.C. i consoli Quinto Elio Peto e Marcio Giulio Penno saccheggiarono la Liguria provocando una nuova guerra e i loro successori del 166 a.C., Marco Claudio Marcello e Gaio Sulpicio Gallo, riportarono un trionfo sui Liguri.
Intorno al 154 a.C. i Marsigliesi, che avevano esteso il loro territorio fino a fondare Nizza, vennero in contrasto per questioni territoriali con i liguri Ossibii e Diceati. Marsiglia, che era in buoni rapporti con Roma, si rivolse al Senato che inviò tre ambasciatori presso gli Ossibii a chiedere che cessassero le ostilità. Gli Ossibii diffidarono gli ambasciatori e li congedarono ricusando le loro richieste. Poichè uno di essi oppose resistenza venne ferito e tanto bastò ai Romani per dichiarare guerra denunciando una violazione del diritto delle genti.
I consoli Quinto Opinio e Lucio Postumio ebbero ordine di attaccare gli Ossibii. Postumio si ammalò durante il viaggio e tornò a Roma dove poco dopo morì. Opimio sconfisse gli Ossibii che lo affrontarono senza attendere i Diceati, sconfisse e disperse quindi i Diceati e liberò Nizza. I responsabili dell'aggressione all'ambasciatore furono portati a Roma in catene.
Opimio impose ai Liguri Transalpini condizioni di resa troppo pesanti per durare. La documentazione degli eventi che seguirono è andata perduta ma è certo che dopo la terza guerra punica il console Marto Fulvio Flacco condusse una nuova spedizione contro i Ligura (124 a.C.).
L'anno successivo il proconsole Gaio Sestio Calvino fondò la colonia di Aquae Sextiae, quindi i Romani fecero guerra agli Steni, gente ligere stanziata a ovest di Marsiglia e in pochi anni conquistarono tutta la Gallia Meridionale fino al confine con la Spagna.
Quando allo stremo delle forze gli Steni decisero di suicidarsi in massa piuttosto che arrendersi, il console Quinto Marcio Rex (118 a.C.) ebbe una proroga di comando e fondò la colonia di Narbo Marcius, oggi Narbona.
La sottomissione dei Liguri fu completata con un'ultima vittoria dei Romani comandati da Marco Emilio Scauro nel 115 a.C.
Nell'89 a.C., durante il consolato di Gneo Pompeo Strabone, venne riconosciuta ai Liguri la cittadinanza romana.

Dopo la vittoria Marco Emilio Scauro assunse la carica di censore e costruì una strada (da lui detta via Emilia Scauri) che prolungava l'Aurelia da Pisa a Vado Ligure passando per Acqui e Tortona e incrociando la via Postumia che a sua volta si congiungeva alla via Emilia da Piacenza a Rimini.
A questo punto Serra presenta un quadro delle colonie romane in quel periodo: Lucca con gran parte della Garfagnana, Modena, Parma, Cremona, Piacenza, Tortona, Asti, Eporedia (Ivrea), Aquae Sextiae (Aix-en-Provence), Narbona e, in Corsica, Mariena e Aleria.
L'ordinamento delle colonie era simile a quello della capitale, i diritti degli abitanti variavano a seconda dell'orgine (Romani o Latini).
Analogamente i popoli confederati potevano avere due diverse condizioni: chi godeva del diritto italico rispondeva solo al Senato e non pagava tributi mentre chi non ne godeva era sottoposto a pretori o proconsoli e versava annualmente un'imposta. Tutti conservavano costuimi, leggi e magistrati, tutti dovevano contribuire militarmente in caso di necessità.
Acquisiti i nuovi privilegi, i Liguri si comportarono lealmente verso i Romani, combatterono per loro e a volte si distinsero in guerra. A riprova di ciò Serra racconta l'episodio di un soldato ligure che partecipando con Mario all'assedio del castello di Mulaca, roccaforte di Giugurta, scoprì casualmente un accesso all'inespugnabile fortezza, probabilmente sconosciuto agli stessi Numidi, ottenne da Mario il comando di un manipolo e condusse una gloriosa operazione consentendo ai Romani la conquista del castello.
Ancora con Mario il contingente ligure si distinse come avanguardia nella battaglia di Aquae Sextiae contro Teutoni, Cimbri e Ambroni.
Nel tempo i Romani adottarono alcune usanze dei Liguri (come lo scudo tondo e ricurvo) e viceversa (come il radersi la barba e l'accorciare i capelli).
Per l'abbigliamento una parte dei Liguri mantenne l'uso di indossare rozzi indumenti di pelle e di non usare calzature mentre gli altri adottarono gli abiti in lana ed i sandali dei Romani.
La lingua ligure cadde progressivamente in disuso a favore del latino. Molte famiglie liguri si trasferirono a Roma e molti Romani in Liguria.
La popolazione dei municipi si distingueva in decurioni (o senatori) e plebe. I senatori legiferavano chiedendo quando necessario l'approvazione dell'assemblea della plebe.
La giustizia veniva amministrata dai Duumviri juri dicundo, due magistrati eletti fra i senatori così come i Quinquennali che curavano i lavori pubblici, gli Edili e i Flamini.
Plinio afferma che ai suoi tempi molte città della Liguria godevano di tranquillità e benessere e cita Asti, Tortona, Voghera, Pollenza e molte altre.
Altri importanti autori come Strabone e Tacito scrissero di Ventimiglia, Albenga, Taggia.
Polupece (Loano oppure Finale) era nota per la lavorazione della Lana, Vado per la produione di Mattoni, tutta la Liguria orientale per l'ardesia.
Apprezzatissimi erano i marmi bianchi estratti in Lunigiana e quello nero di Porto Venere.
Le Cinque Terrre erano rinomate per il vino, la zona di Genova per le ceramiche.
Un'antica iscrizione narra di come i Genovesi e gli abitanti di comuni vicini chiesero l'arbitrato di Roma per risolvere una questione di confini.
I Romani consideravano importantissimo il porto di Genova che in molte occasioni, come durante le guerre puniche, usarono come base militare.
Serra riporta un episodio narrato da Valerio Massimo: Gaio Ostilio Mancino, console nel 137 a.C., non prestò attenzione al prodigioso apparire di un grande serpente nel porto di Genova e ad altri misteriosi avvertimenti, partì comunque alla volta di Numanzia e fu duramente sconfitto dai Celtiberi.
Nella guerra contro i pirati Pompeo Magno affidò a diversi legati il presidio di una parte delle coste della Repubblica, il golfo di Genova toccò a Marco Pomponio. In soli quaranta giorni i pirati vennero debellati in tutto il Mediterraneo.
Serra avverte il lettore che nei secoli successivi al periodo fin qui trattato le notizie sulla Liguria sono molto scarse, le includerà nel breve compendio di storia romana che costituisce il secondo compendio della sua opera.

LIBRO SECONDO

Compendio di storia dopo il sesto secolo di Roma

Le vittorie conseguite corruppero gli antichi costumi dei Romani a danno della libertà e della democrzie.
Le prime vittime di questi cambiamenti furono i Gracchi che come tribuni della plebe proposero le leggi agraria e frumentaria favorevoli alle classi più povere. Proposte nobili ma perniciose che i due tribuni pagarono con la vita.
Livio Druso ripropose le leggi dei Gracchi aggiungengo la richiesta di estendere la cittadinanza romana a tutti i Latini ed Italici alleati. Anche Druso venne eliminato ma in seguito gli alleati si ribellarono contro la supremazia romana.
Campione della plebe fu Caio Mario al quale la nobiltà oppose Silla, uomo più dotato politicamente ma anche valente generale.
Mario fu costretto a fuggire in Africa e Silla, dopo aver restaurato i privilegi dei patrizi, passò in oriente per combattere contro Mitridate re del Ponto. Mario ne approfittò per rientrare in Roma con la violenza ed ottenne il suo ultimo consolato, ma morì prima di potersi scontrare con il rivale. Rientrato a Roma Silla aprì terribili proscrizioni, trucidò i consoli e si proclamò dittatore a vita.
In questo periodo di atroci discordie Roma ottenne anche grandi vittore: Lucullo in Tracia, Sertorio in Lusitania, Pompeo in Asia, Giulio Cesare in Gallia.
Fra questi comandanti fu Cesare a conquistare il potere supremo dopo aver sconfitto Pompeo e i suoi sostenitori. Cesare fu ucciso da conguirati suoi amici e parenti.
Seguì la tirannia di tre senatori: Antonio, Ottaviano e Lepido, che lottarono contro i cesaricidi fino ad annientarli e poi si volsero l'uno contro l'altro. Prevalse Ottaviano che seppe conquistare il favore dell'esercito e della plebe ed ottenne le cariche di console, tribuno, pontefice e imperatore.

Il nuovo governo riconosceva alla Repubblica il potere legislativo, al principe il potere esecutivo, ma poichè nessuno poteva vigilare sull'imperatore questi di fatto deteneva il potere assoluto.
Augusto affidò al Senato le province più vicine, promosse la pace per far meglio tollerare il suo governo, protesse grendi letterati.
Affrontò guerre esterne la più importante delle quali fu quella contro le popolazioni germaniche confederate e contro gli abitanti dell'Italia Settentrionale (fra cui i Liguri delle Alpi Marittime). Scarse le notizie su questo conflitto che Augusto seguì da Ticino (Pavia) e che il figliastro Tiberio combattè personalmente.
Conclusa la guerra, Augusto fece chiudere le porte del Tempio di Giano a Roma, cerimonia che per antica tradizione si teneva solo in tempo di pace e che fu celebrata soltanto due volte.
Quesso successo permise ad Augusto di governare serenamente fino alla morte che lo colse a settantasei anni nel 14 d.C.
Il successore Tiberio, dopo aver tributato onori divini al patrigno, si dedicò ad aumentare il potere imperiale trasferendo al senato molte delle decisioni che fini ad allora erano state di competenza dell'assemblea e stanziando in Campo Marzio il corpo dei Pretoriani che erano particolarmente affezionati e fedei ad Augusto e ai suoi familiari.
Durante il regno di Tiberio si verificò un tumulto a Pollenza in Liguria dopo le esequie funebri di un ufficiale perchP i parenti del defunto respiinsero la richiesta della plebe di offrire giochi gladiatori. Tiberio inviò la cavalleria a sedare i disordini con grande solerzia. Tanta sollecitudine dell'imperatoe venne meno quando, morti la madre Livia Augusta e il nipote Germanico, Tiberio si abbandonò ai propri vizi.
Dopo aver sfogato le sue passioni a Roma e a Capri cadde in delirio al promontorio Miseno e quando mostrò segni di ripresa venne soffocato da quanti si trovavano con lui.
Fu proclamato imperatore il figlio di Germanico, Gaio Caligola, che presto perse la testa, pretese di essere venerato come una divinità e commise atroci delitti.
I Pretoriani congiurarono contro Caligola ed uno di loro, Cassio Cerea, lo uccise all'uscita del teatro. Mentre il senato discuteva sulla situazione gli stessi pretoriani trovarono Claudio, zio di Caligola, la cui popolarità era nulla, e lo proclamarono imperatore.
Il Senato non intendeva confermare la nomina ma infine cedette per timore del popolo che minacciava disordini. Claudio fu manovrato dai liberti, che commettevano abusi in suo nome, e dalle sue quattro mogli.
La terza moglie, Messalina, arrivò a sposare un altro uomo e venne uccisa da un liberto di nome Narciso. L'imperatore non interruppe la sua cena quando lo venne a sapere.
La quarta, Agrippina figlia di Germanico, era sua nipote. La donna tramò per assicurare la successione al figlio avuto dal primo marito. Claudio lo adottò imponendogli il nome di Nerone, ma in seguito si propose di ritrattare in favore di Britannico, figlio suo e di Messalina, e Agrippina lo eliminò con il veleno. La donna fece sparire Britannico e prima che sorgessero ostacoli spinse il senato e i soldati a nominare imperatore Nerone.
Nei primi tempi Nerone si comportò come un principe illuminato, la successiva trasformazione rimase un mistero. Ordinò l'incendio di Roma, fece uccidere Britannico e la madre Agrippina, il precettore Seneca e il consigliere Burro, la moglie Ottavia e la concubina Poppea oltre a molti cittadini.
Quando Giulio Vindice e Sergio Galba, rispettivamente comandanti in Gallia e Spagna, mossero verso Roma per liberarla dal tiranno, Nerone fuggì dalla città e presto paura e disperazione lo spinsero al suicidio.
Vindice morì nello scontro con le legioni fedeli a Nerone e Galba prese il potere per acclamazione dei suoi solddati.
Galba era gradito ai senatori ma inviso alla plebe e alle trupper per l'austerità dei suoi costumi e quanto Otone, ex consigliere di Nerone, si armò contro di lui Galba fu abbandonato da tutti e affrontò coraggiosamente la morte.

Otone venne nominato imperatore a Roma mentre le legioni in Germania conferivano lo stesso titolo al loro comandante Vitellio.
Fu la guerra civile e i soldati di Otone, marciando contro i nemici, devastarono Ventimiglia ed uccisero Giulia Procilla, madre di Giulio Agricola suocero dello storico Tacito.
Infine anche Otone si suicidò e Roma acclamò Vitellio ma nelle province orientali i legionari eleggevano imperatore Flavio Vespasiano.
Vitellio fu spodestato ed ucciso dai soldati di Vespasiano, questi regnò per dieci anni e, in confronto ai predecessori, fu considerato un buon governante.
Gli successe il figlio Tito che aveva un passato di devastazioni compiute in Giudea ma che da imperatore ebbe un comportamento esemplare per giustizia e clemenza tanto da essere definito "delizia del mondo".
Durante il regno di Tito si verificarono un'epidemia, un grave incendio e la terribile eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei e Ercolano. In tutte queste occasioni Tito si prodigò nel prestare aiuto alle popolazioni colpite e, nella speranza di allontanare le calamità con una grande opera, completà l'afiteatro iniziato dal padre e lo inaugurò davanti a ottantamila persone.
Tito morì di malattia dopo solo due anni di regno e l'invidioso fratello Domiziano fu proclamato imperatore.
In oriente si ribellarono i Daci ed altre popolazioni senza che l'imperatore fosse in grado di intervenire.
I Britanni in rivolta furono coraggiosamente affrontati dal valoroso Giulio Agicola ma Domiziano, invidioso del suo successo, lo richiamò a Roma dove poco dopo il generale morì, forse di veleno.
La crudeltà di Domiziano fece molte vittime , fra cui il cugino Flavio Clemente, infine venne ucciso da una congiura.
Fu eletto l'anziano Marco Cocceio Nerva che morì dopo quattordici mesi lasciando l'impero a Ulpio Traiano, suo figlio adottivo e comandante delle legioni del Danubio.
Traiano ridimensionò le prerogative imperiali e governò con giustizia. Istituì opere benefiche in soccorso degli orfani nullatenenti, ma fu anche un grande generale e debellò Decebalo re dei Daci, ingrandendo notevolmente l'impero. La memoria delle sue imprese è scolpita nella maestosa colonna nel foro.
Traiano si preparò per combattere contro i Parti, una grande monarchia orientale contro la quale Crasso aveva perso la vita e Antonio la reputazione, anche Cesare stava progettando di attaccare la Partia quando venne ucciso.
Cosroe, nipote di Vologese, minacciava di violare la pace e molestare gli stati confinanti ma Traiano intervenne e lo costrinse a chiedere una tregua. In oriente Traiano estese i domini dell'impero e fu il primo romano a raggiungere l'Oceano Indiano. Domò rivolte, sconfisse nemici e sopravvisse a un terremoto ma infine morì miseramente per un eccesso di vino.
Gli successe il compatriota spagnolo Publio Elio Adriano che per amore della pace rinunciò a spingersi oltre e restituì a Cosroe le province occupate da Traiano. Adriano fu amato dai romani e dagli abitanti delle province, che visitò spesso, realizzò grandi opere, fondò città, ornò Roma con il suo famoso mausoleo e Tivoli con la sua villa.
Elio Vero, figlio adottivo di Adriano e suo erede designato, morì prima dell'imperatore il quale indicò per la successione il senatore Arrio Antonino a patto che questi adottasse a sua volta Lucio Vero, figlio di Elio, e Marco Aurelio.
Antoninò meritò il soprannome di Pio per le sue virtù e per il suo amore per lo stato, visse a lungo governando con giustizia.
Quando morì Roma ebbe per la prima volta due principi: Lucio Vero e Marco Aurelio. Seguendo le proprie inclinazioni, Vero preferì occuparsi della guerra in paesi lontani lasciando che Marco Aurelio governasse l'impero dalla capitale.
Nonostante le ostilità di Parti, Marcomanni e Garmani i quarantatre anni di governo di Marco Aurelio furono per l'impero un lungo periodo di florida serenità. Questa felicità venne presto distrutta da Commodo, figlio e successore di Marco Aurelio che l'autore paragona a Nerone per stravaganza e crudeltà.
Alla tirannide e alle proscrizioni di Commodo mise fine la concubina Marzia che lo uccise con il veleno. Subito dopo la morte Commodo venne dichiarato nemico del genere umano.

Publio Elio Adriano Pertinace, proclamato imperatore nel 193, era di origine ligure.
La sua famiglia era ridotta in condizione servile dai tempi della guerra fra Liguri e Romani. Suo nonno fu affrancato e suo padre, dedicatosi all'artigianato si stabilì a Vadi dove costruì una fornace di mattoni e raggiunse una certa agiatezza.
Pertinace studiò presso il grammatico Sulpicio Apollinare, quindi intraprese una rapida carriera militare, fu tribuno militare, console, luogotenente di Marco Aurelio e governatore di diverse province che amministrò con grande rettitudine.
Sotto Commodo fu confinato in Liguria ma morto il tiranno i congiurati lo chiamarono ad assumere il potere.
Pertinace, ormai settantenne, rimase a lungo indeciso ma infine accettò la nomina.
Si dedicò subito a correggere le ingiustizie del predecessore e portò nella corte l'austerità di costumi dei Liguri antichi, ma proprio questi virtuosi comportamenti gli procurarono l'odio dei pretoriani che lo uccisero dopo tre soli mesi di regno.
Gli stessi pretoriani proclamarono Didio Giuliano, ma contemporaneamente le legioni dichiaravano imperatore Pescennio Nigro in Siria, Clodio Albino in Britannia e Settimio Severo in Pannonia.
Severo eliminò rapidamente i rivali e si impossessò del potere.
Fu autore di buone leggi ma anche di abusi dettati dall'avidità, combattè contro Parti, Arabi e Britanni riportando grandi vittore. Morì a York in battaglia contro i Caledoni.