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LUCIANO DI SAMOSATA

DEL MODO DI SCRIVERE LA STORIA



Con la consueta, garbata ironia, Luciano nota che in un periodo ricco di eventi militari (allude alla guerra di Marco Aurelio e Lucio Vero contro i Parti) sono in molti quelli che decidono di scrivere opere storiche, come tanti Tucidide, Erodoto o Senofonte. Ha quindi deciso di scrivere questo trattatello per dare qualche consiglio a questi autori esordienti.
Un consiglio, scrive Luciano, deve avere due parti, cioè dire ciò che è da seguire e ciò che è da fuggire. Iniziando dalle cose da evitare, parlerà prima degli errori più comuni.
Invece di narrare i fatti avvenuti certi scrittori si dedicano all'encomio di principi e comandanti, spesso a discapito della verità, dimenticando che storia e encomio sono cose diverse e che la storia non tollera la più piccola bugia.
Altro grave errore è confondere la storia con la poesia: il poeta è libero di dire ciò che vuole, può paragonare Agamennone agli dei, mentre per lo storico questo sarebbe adulazione.
Anche l'idea che la storia possa essere utile e dilettevole è da considerare con prudenza: per essere utile deve essere vera, può essere anche dilettevole purché la verità non venga compromessa.
Per chiarire questi concetti Luciano ricorre a qualche esempio: lo storico non imparziale che apriva la sua opera scrivendo contumelie contro il nemico. Un'altro usava parole e frasi troppo ricercate e spesso plagiava apertamente Tucidide, il terzo esempio era quello di un commentario di un medico militare testimone e partecipe dei fatti narrati, era scritto con grande semplicità e l'unico difetto era il pretenzioso titolo di "Istorie Partiche".
Un filosofo iniziava la sua storia con una complicata serie di sillogismi che in realtà erano soltanto sperticate adulazioni dei comandanti romani, un altro aveva farcito il suo racconto di pettegolezzi. Altri, non essendo in grado di narrare con chiarezza gli eventi importanti scrivevano lunghissime e inutili descrizioni di particolari irrilevanti come la vegetazione del luogo della battaglia e l'abbigliamento dei combattenti. C'era chi aveva scritto che in uno scontro il nemico aveva perduto oltre trecentomila uomini e i Romani soltanto due e chi aveva commesso errori grossolani nelle indicazioni geografiche come collocare Samosata in Mesopotamia.
Passando a parlare di ciò che è bene tenere presente nello scrivere la storia, Luciano afferma che lo scrittore deve avere "prudenza civile e facoltà di dire". La prima è una qualità innata e chi ne è privo non può impararla, si può invece con molto studio e molta fatica acquisire la seconda.
Si prenda un uomo intelligente, informato, esperto delle cose della vita e non ignaro di quelle della guerra. Se quest'uomo vorrà scrivere di storia dovrà usare il suo ingegno per narrare i fatti come realmente avvennero senza invenzioni e mistificazioni e senza temere che i suoi lettori non gradiscano quanto racconta perché il fatto è fatto e neanche le Parche potrebbero mutarlo.
Lo scrittore non dovrà avere nulla da temere o da sperare rispetto ai personaggi e alle situazioni di cui si occupa e dovrà anteporre la verità alle sue opinioni e ai suoi casi personali. Quanto al linguaggio e allo stile, lo scrittore dovrà evitare la retorica, le parole desunte, le eccessive raffinatezze, il furore poetico, le sue pagine dovranno essere intese dal popolo e lodate dalla gente colta. Dovrà raccogliere fatti di cui è certo per esperienza personale o per testimonianze affidabili e collegarli tra loro in modo logico, solo allora potrà occuparsi di rendere piacevole la lettura del suo lavoro.
Fidia, Prassitele, Alcamene non crearono le materie con cui lavorare ma a queste materie diedero la forma segando, levigando, incollando, incastrando ... la loro arte consisteva nel disporre convenientemente i materiali, faccia lo storico altrettanto con i fatti. Se sarà in grado di far "vedere" ciò che racconta potrà essere considerato il Fidia della Storia.