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LUCIO ANNEO SENECA

EDIPO


Personaggi:
Edipo
Giocasta
Creonte
Tiresia
Manto
Un vecchio corinto
Forbante
Un messaggero
Coro di Tebani
Servi di Edipo

L'azione si svolge in Tebe.


Apre la tragedia un lungo monologo di Edipo che ricorda di aver lasciato Corinto per evitare le sventure predette da un oracolo.
Dibattendosi, in una Tebe devastata dalla peste, fra l'angoscia interiore e le sue responsabilità di monarca, Edipo pronuncia uno straziante lamento fin quando non viene interrotto da Giocasta.
La regina lo rimprovera per il suo scoramento indegno di un re, ma Edipo rifiuta di considerarsi un vile e, a riprova del suo coraggio, ricorda il famoso incontro con la Sfinge.
Interviene il coro riprendendo il lamento di Edipo sulle sorti di Tebe, vengono ricordate la stirpe di Cadmo e le gesta del suo discendente Dioniso. Ora la peste colpisce gli uomini come gli animali ed il coro ne descrive i macabri effetti in un lungo intervento.
Sopraggiunge Creonte, fratello di Giocasta, che torna dall'aver interrogato l'oracolo. Il responso è chiaro: la salute tornerà in Tebe solo quando ha ucciso il precedente re Laio verrà esiliato.
Ancora ignaro della verità, Edipo non esita a promettere solennemente la condanna del regicida, una volta identificato.
A questo punto entra in scena l'indovino Tiresia, vecchio e cieco, accompagnato dalla figlia Manto.
Manto esegue un sacrificio riferendo al padre i segni da interpretare: la fiamma muta colore e si divide, il vino diviene sangue, il fumo avvolge Edipo.
La giovenca destinata al sacrificio si sottomette spontaneamente a cade al primo colpo (i commentatori moderni vedono in questo particolare la profezia del suicidio di Giocasta) mentre il toro recalcitra e sono necessari due colpi.
Ma i presagi più infausti vengono dall'esame delle viscere: gli animali hanno gli organi interni pieni di sangue scuro e posizionati in modo anomalo, la giovenca è incinta di un feto mostruoso.
Infine Tiresia conclude che per conoscere il nome del regicida è necessario evocare lo spirito di Laio, rito che dovrà essere svolto da Creonte perché ad Edipo, che detiene il trono, "non è consentito vedere le ombre".
Il coro intona un inno a Bacco per creare l'effetto del tempo che passa durante l'evocazione del defunto, quindi Creonte torna in scena ed Edipo lo interroga.
Creonte è riluttante ma Edipo gli ordina di comunicargli il responso. Creonte e Tiresia, con rituali misteriosi, hanno richiamato dall'Oltretomba lo spettro di Laio che si è presentato loro sporco ed insanguinato ed ha rivelato la verità sulla causa della pestilenza che ha colpito Tebe: Edipo lo ha ucciso, Edipo si è unito alla madre generando i propri fratelli, Edipo deve essere esiliato e sarà perseguitato dalla maledizione dello stesso Laio.
Come avviene nell'analoga tragedia sofoclea, Edipo, che si ritiene innocente, rifiuta le accuse e sospetta Creonte e Tiresia di aver cospirato contro di lui, perciò ordina che Creonte venga arrestato.
Dialogando con Giocasta, Edipo ricorda di aver ucciso, molto tempo prima, un vecchio che gli contendeva la strada e cerca di ricostruire l'evento quando giunge un vecchio ad annunciare la morte di Polibo (il re di Corinto che aveva adottato Edipo). I Corinzi hanno mandato a chiamare Edipo perché salga sul trono di Polibo, ma egli esita temendo l'antico oracolo. Il vecchio messaggero lo informa che Polibo e sua moglie Merope non sono i suoi veri genitori.
Gli argomenti dell'uomo sono tali da convincere Edipo, proprio lui, allora pastore, lo ha consegnato infante nelle mani di Merope dopo averlo ricevuto da un altro pastore.
Edipo ordina subito che si cerchi l'altro pastore e Giocasta tenta di dissuaderlo.
L'uomo viene trovato (in questa tragedia si chiama Forbante) ed ammette di aver consegnato un bambino all'altro vecchio, bambino che aveva i piedi feriti e gonfi (Edipo era stato ferito ai piedi prima di essere esposto in osservanza di un antico rituale).
Forbante non vorrebbe dire di più ma, minacciato di tortura, finisce con l'ammettere di aver ricevuto il neonato da Giocasta.
Orripilato e sconvolto dalla verità ormai non più dubitabile, Edipo si maledice ed esce di scena diretto al palazzo.
Entra un messaggero ed annuncia che Edipo, folle di angoscia, si è accecato strappandosi gli occhi con le sue stesse mani, sembrandogli la morte una punizione troppo lieve per la sua colpa.
Nell'ultima scena Edipo respinge Giocasta, le chiede di non parlargli, di andare lontano, ma Giocasta decide di morire e si suicida con la spada di lui.
Edipo si incammina verso il suo esilio, esortando i Tebani a soccorrere i malati perché, dopo la sua partenza, "un cielo più mite" si aprirà alle sue spalle.