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LUCIO ANNEO SENECA
MEDEA
Personaggi:
Medea
Coro
Nutrice
Creonte
Giasone
Nunzio
Priva di un prologo che esponga gli antefatti come era consuetudine nel teatro greco, la tragedia si apre con un intervento di
Medea
che ci presenta la protagonista già immersa nel contesto drammatico degli avvenimenti:
Giasone
sta per sposare un'altra donna e
Medea
ha deciso di vendicarsi in modo orribile e spietato.
A
Medea
, che ha invocato divinità infere, segue il primo intervento del coro che inneggia alle imminenti nozze ragali (
Giasone
sposerà infatti la figlia del re di Corinto) rivolgendosi a
Giunone Lucina
protettrice delle partorienti, a
Venere
dea dell'amore, a
Imeneo
patrono dei matrimoni legittimi.
Il canto del coro acuisce l'odio e la sete di vendetta di
Medea
che proferisce minacce e maledizioni contro
Creonte
mentre la nutrice tenta invano di calmarla e di indurla alla moderazione.
Entra in scena il re
Creonte
al quale
Medea
si rivolge con orgoglio. Anche lei, afferma, è di stirpe reale e solo per un avverso destino si trova ora ad essere esule e supplice in terra straniera, ma sostiene di avere un grande merito, quello di aver salvato non soltanto
Giasone
ma tutti gli
Argonauti
restituendo alla Grecia eroi come
Orfeo
,
Linceo
,
Castore e Polluce
. Ma
Creonte
è inamovibile nella sua decisione:
Medea
deve lasciare immediatamente il paese. La supplica di
Medea
, che cambiando tono chiede a
Creonte
di concederle ancora poche ore per prendere commiato dai suoi figli, convince infine il pur diffidente
Creonte
ad accordarle ancora un giorno di tempo.
Interviene di nuovo il coro descrivendo l'impresa degli
Argonauti
che qui viene vista come nefasta, contraria all'ordine naturale delle cose. Affrontando e superando mari lontani gli
Argonauti
hanno cambiato le leggi e i costumi degli uomini che prima vivevano tranquilli nelle proprie terre.
L'incontro con
Giasone
è altamente drammatico:
Medea
lo accusa di essere un "mostro di ingratitudine" che ha dimenticato tutto l'aiuto avuto da lei in Colchide e durante il viaggio di ritorno.
Giasone
sostiene di averle salvato la vita convincendo
Creonte
, che avrebbe voluto sopprimerla, ad allontanarla da Corinto. Quando
Medea
chiede a
Giasone
di lasciar partire i figli con lei e
Giasone
rifiuta sostenendo di amarli troppo per potersene privare,
Medea
dice fra se di aver trovato il punto debole dell'uomo. E' in questo momento che la donna concepisce e decide l'aspetto più orribile della vendetta, l'uccisione dei propri figli per punire
Giasone
.
La preparazione dei filtri velenosi con i quali
Medea
ucciderà la rivale ed il re è descritta dalla nutrice, vengono impiegati i letali umori di draghi e belve del mito, infine
Medea
torna in scena per invocare tutte le potenze infernali perché l'aiutino a portare a termine la sua vendetta.
Un nunzio entra in scena per far conoscere al pubblico l'orrenda fine del re e di sua figlia
Creusa
, ridotti in cenere nel palazzo reale divorato da un incendio (provocato dai doni stregati inviati da
Medea
) che non si riesce a spegnere e che l'acqua sembra alimentare.
La magia di
Medea
ha distrutto la famiglia reale e la maga a questo punto pronuncia un monologo nel quale appare con forza il tema della crisi interiore provocata dalla lotta fra sentimenti contrastanti. Il rancore verso
Giasone
la spinge ad attuare il proposito di uccidere i figli, il sentimento materno la trattiene ma alla fine prevale il desiderio di vendetta. Salita sul tetto della casa con i figli,
Medea
li uccide entrambi sorda alle preghiere di
Giasone
che offre la propria vita in cambio di quella dei bambini. Come in
Euripide
Medea
esce di scena volando su un carro trainato da draghi (anche se qui il macchinario scenico non è necessariamente presente perché la maga ne annuncia l'arrivo), ma in
Seneca
l'ultima battuta di
Giasone
(
Va ad attestare che non ci sono dei dove tu passi
) costituisce una definitiva maledizione che è stata a ragione definita l'anti-apoteosi di
Medea
.