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PINDARO
ISTMICHE
ISTMICA I
PER ERODOTO DI
TEBE
VINCITORE COL CARRO
L'Istmica prima fu scritta in onore di Erodoto di
Tebe
, vincitore della gara con il carro. Al momento della vittoria
Pindaro
era impegnato nella composizione di un inno ad
Apollo
che gli era stato commissionato dagli abitanti di
Ceo
. Il sovrapporsi di questi due impegni è il tema della prima parte dell'ode. Il poeta non può tralasciare di cantare gli impegni del suo connazionale (che sarebbe tralasciare di onorare le glorie patrie) e si scusa con gli altri committenti promettendo che riuscirà a portare comunque a compimento entrambi gli inni.
Del vincitore Erodoto non abbiamo che le notizie che
Pindaro
ci fornisce in questa Istmica o che comunque possono essere ricavate dal contesto. La sua partecipazione alla gara con il carro basta a indicarcelo come dotato di possibilità economiche ed il tono complessivo dell'ode suggerisce che doveva trattarsi di un nobile o comunque di un personaggio di rilievo.
Aveva partecipato alla gara personalmente, cioè oltre ad essere il proprietario del carro nel era stato anche l'auriga, situazione questa non troppo comune alla quale
Pindaro
da molta evidenza, anzi alla quale apertamente si ispira nella scelta dei miti di riferimento. Il fatto che Erodoto guidasse il carro indica che doveva essere ancora piuttosto giovane, ma non troppo se in precedenza aveva già ottenuto le innumerevoli vittorie alle quali
Pindaro
accenna verso la fine dell'inno.
Era figlio, ci dice il poeta, di un Asopodoro che aveva conosciuto la tragedia dell'esilio da
Orcomeno
ma che al momento della vittoria del figlio era già tornato in patria e "all'antica fortuna". Alcuni critici ritengono che Asopodoro sia da identificarsi con uno dei comandanti della cavalleria tebana a
Platea
(479 a.C.), in quella battaglia
Tebe
era schierata con i
Persiani
e, con la sconfitta di questi, si spieghereppe l'esilio di Asopodoro.
I personaggi mitici che
Pindaro
sceglie di paragonare ad Erodoto sono tre:
Eracle
,
Castore
e
Iolao
.
Eracle
viene scelto in quanto nato a
Tebe
ed eroe per antonomasia;
Castore
e
Iolao
in quanto entrambi forti atleti ed esperti nella guida del carro.
In particolare
Castore
, uno dei
Dioscuri
, era domatore di cavalli ed auriga, nel mito spartano, mentre il fratello
Polluce
eccelleva nel pugilato.
Iolao
era auriga e fedele compagno di
Eracle
, tradizionalmente considerato il primo vincitore delle gare con il carro nei giochi di
Olimpia
.
Nell'ode vengono cantate le gare disputate e vinte da questi eroi, così come le molte in cui Erodoto ha ottenuto la vittoria. E' giusto celebrare queste vittorie, dice il poeta, perché lo scopo dell'atleta è la gloria, mentre tutti gli altri uomini tendono solo a combattere la fame.
Ed altrettanto giusto sarà ringraziare
Posidone
, benigno patrono dei giochi, che ha concesso ad Erodoto la vittoria.
L'ode si chiude con l'augurio al suo destinatario di poter vincere altre gare nei giochi olimpici ed in quelli pitici.
ISTMICA II
PER
SENOCRATE DI AGRIGENTO
VINCITORE COL CARRO
Il committente di questa ode è
Trasibulo di Agrigento
che, dopo la morte del padre
Senocrate
, volle così commemorarne l'ultima vittoria agonistica.
Il componimento è atipico, nel senso che manca del consueto paragone del vincitore con un personaggio del mito.
Si apre con una considerazione che ha fatto molto discutere i critici: non sono più i tempi in cui il poeta cantava disinteressatamente "dolcissimi inni ai ragazzi", dice
Pindaro
rivolgendosi a
Trasibulo
, ora si osserva sempre il detto proverbiale che vuole che l'uomo sia quanto possiede, vale a dire anche la poesia ha un costo. Questa premessa si conclude con la costatazione della saggezza del committente.
Poiché si ritiene probabile che la stessa vittoria di
Senocrate
cantata nella seconda Istmica fosse stata argomento di un inno di
Simonide
commissionato personalmente dal vincitore, sembra ammissibile che l'inconsueta apertura pindarica si riferisca a
Simonide
il quale, stando a varie testimonianze antiche che ci sono pervenute, era tutt'altro che disinteressato. Dal canto suo
Pindaro
potrebbe aver rifiutato il compenso per questo breve componimento in segno di affetto per la casa degli
Emmenidi
e di partecipazione al compianto per la scomparsa di
Senocrate
.
L'encomio comprende la citazione di tre vittorie riportate da
Senocrate
: la più recente, che era forse esplicito oggetto della richiesta di
Trasibulo
, era stata conquistata nei giochi istmici, preceduta da una vittoria a
Delfi
nel 490 e da una ad
Atene
. In quest'ultimo caso l'auriga era stato Nicomaco, vincitore anche ad
Olimpia
in nome di
Terone
. Entrambi questi precedenti trionfi erano ricordati da
Pindaro
nella sesta pitica.
Sull'Istmo è
Posidone
a concedere il trofeo, l'ambito serto di apio, a
Delfi
è
Apollo
mentre, con bella immagine, ad
Atene
Senocrate
(e con lui Nicomaco) ha gareggiato "stretto alle
Cariti"
, sue compagne ed alleate.
Quanto a Nicomaco,
Pindaro
ricorda che gli araldi lo proclamarono vincitore con piacere avendo goduto della sua ospitalità. Anche questo passaggio non è molto chiaro, probabilmente gli araldi erano stati ospiti di Nicomaco quando erano passati nella sua città (forse
Atene
) durante il loro viaggio per annunciare i giochi.
Negli ultimi due versi del componimento
Pindaro
, che fin qui si è rivolto a
Trasibulo
, cambia interlocutore per affidare a Nicasippo il compito di consegnare l'ode stessa al tiranno agrigentino. La seconda Istmica fu infatti composta in
Grecia
dove il poeta era tornato dopo un lungo soggiorno in
Sicilia
. A Nicasippo
Pindaro
affida anche una precisa raccomandazione per il destinatario: benché le virtù di
Senocrate
possano suscitare l'invidia,
Trasibulo
non dovrà mai tacere il valore del padre o celare i suoi versi che "non son fatti per essere immobili".
ISTMICA III
PER MELISSO DI
TEBE
VINCITORE CON I CAVALLI
Connazionale di
Pindaro
, il Melisso di
Tebe
destinatario di questa ode apparteneva alla stirpe dei Clonimidi, famiglia che aveva riportato molte vittorie nelle gare ippiche, imparentata con l'antica dinastia tebana dei Labdacidi. Melisso, che aveva vinto con i cavalli nei giochi Istmici pochi mesi prima, conseguì un'altra vittoria nei giochi nemei e commissionò a
Pindaro
due canti, le Istmiche terza e quarta. A rigore la terza istmica dovrebbe quindi essere definita una nemea, ma i codici antichi che hanno tramandato l'opera di
Pindaro
hanno inserito il componimento nella serie delle Istmiche quasi considerandolo un'appendice della quarta, ben più lunga e articolata.
L'uomo che vive la propria fortuna senza superbia, dice
Pindaro
nei primi versi, gode più a lungo della felicità. Così è per Melisso che ha avuto la sorte di vincere premi "gemelli" confermando il suo valore. Si menziona l'antenato Cleonimo, vincitore di numerose gare e, riprendendo il tema iniziale della fortuna, si ricorda che le cose della vita sono mutevoli e solo gli dei sono invulnerabili. Il poeta si riferisce forse con questa conclusione pessimistica al giorno luttuoso in cui la casata dei Cleonimidi perse quattro suoi membri in una sola battaglia, evento ricordato anche nell'Istmica IV.
ISTMICA IV
PER MELISSO DI
TEBE
VINCITORE CON I CAVALLI
Il protagonista è lo stesso Melisso dell'Istmica III, ma qui la gara è di maggiore importanza, come si è detto nel paragrafo precedente l'Istmica III fu una sorta di "supplemento" per celebrare anche una successiva vittoria di Melisso ai giochi nemei.
L'ode si apre con l'elogio della stirpe dei Cleonimidi che pur godendo di gloria e di stima generale aveva conosciuto la tragedia di perdere quattro suoi membri in un solo giorno di battaglia. Ora però, dice
Pindaro
, la vittoria di Melisso fa rifiorire la casa e ridesta la fama delle numerose antiche imprese agonistiche dei Cleonimidi i quali riprendono a gareggiare perché il silenzio avvolge chi non partecipa. Ma anche cimentandosi nelle gare si è soggetti alla sorte e può accedere che chi vale di meno abbia la meglio, grazie ad una mossa più abile.
Qui
Pindaro
passa a cantare le lodi di Melisso non più come auriga ma come lottatore nel pancrazio, specialità in cui si era cimentato nel passato con alterne fortune.
Del resto anche
Aiace Telamonio
si era visto battere da
Ulisse
(al quale vennero assegnate le armi di
Achille
), comunque il suo valore ebbe la fama che meritava grazie al verso immortale di
Omero
, così
Pindaro
canterà le gesta di Melisso perché la fama di lui possa superare i colpi avversi della sorte.
Melisso, dunque, è un pancraziaste forte, abile ed astuto, di bassa statura ma massiccio e difficile da atterrare. Anche
Eracle
non era alto e riuscì a battere il gigantesco
Anteo
.
Con il doppio riferimento mitologico ad
Aiace
e ad
Eracle
,
Pindaro
sviluppa uno schema complesso.
Gli elementi del discorso sono: la forza e l'astuzia (qualità indispensabili per vincere nel pancrazio), la sorte che può favorire l'uno o l'altro dei concorrenti, la funzione del poeta le cui lodi tramandano la fama e possono rendere giustizia a chi, pur valoroso, sia stato battuto per sfortuna o per l'astuzia dell'avversario.
Dunque a Melisso non mancano la forza e l'astuzia ma è stato talvolta battuto (come
Aiace
), ma alla fine dell'ode si citano incontri vittoriosi in cui Melisso ha a sua volta dimostrato grande abilità mettendo in pratica i suggerimenti del suo allenatore Orsea.
Il riferimento implicito alla mossa di
Eracle
che strangola
Anteo
tenendolo sollevato per impedire alla Terra sua madre di dargli nuove energie è qui evidente. Il mitico scontro fra
Eracle
, possente ma di bassa statura, ed il gigante figlio della Terra funge perfettamente da modello rappresentativo delle qualità dell'atleta, non a caso infatti
Pindaro
sceglie di parlare di questa fra le tante imprese di
Eracle
.
Si è visto come il canto di
Pindaro
compensi la sfortuna di Melisso, così come quello di
Omero
la sorte di
Aiace
.
A completare la complessa simmetria dell'ode vengono citati i figli morti di
Eracle
e di
Megara
che in qualche modo corrispondono ai Cleominidi caduti in battaglia, quindi possiamo riepilogare:
Il contesto reale
Il riferimento mitico
Melisso sconfitto dalla sorte e dall'astuzia dell'avversario
Aiace
battuto da
Ulisse
nell'assegnazione delle armi di
Achille
L'inno di
Pindaro
restituisce la fama a Melisso
I versi di
Omero
garantiscono la fama di
Aiace
Melisso, di bassa statura, vince nel pancrazio con l'astuzia e con i consigli di Orsea
Eracle
sconfigge
Anteo
sollevandolo da terra
I quattro Cleonimidi morti in battaglia
I figli di
Eracle
e di
Megara
qui insolitamente rappresentati in armi
Un componimento dunque molto articolato dal punto di vista concettuale, ma anche una prova della miglior poesia pindarica, ma perché venga apprezzato questo aspetto non si può che rimandare al testo.
ISTMICA V
PER FILACIDA DI EGINA VINCITORE NEL PANCRAZIO
L'ode si apre con un'invocazione a
Teia
, madre del sole e simbolo della luce. E' la luce che consente di veder risplendere l'oro, le navi gareggiare in mare, gli atleti competere e vincere.
Solo due cose procurano felicità: la fortuna e le parole di lode, ma è solo
Zeus
che le concede.
A Filacida, che aveva già riportato due vittorie nel pancrazio nei giochi istmici ed in precedenza aveva vinto anche a
Nemea
insime al fratello Pitea, ora
Pindaro
dedica la sua ode, ma un inno ad un campione di
Egina
non può non contenere un riferimento al mitico
Eaco
ed alla sua discendenza.
Gli
Eacidi
annientarono
Troia
due volte, la prima al seguito di
Eracle
(
Telamone
), la seconda al seguito degli
Atridi
(
Achille
).
Furono gli
Eacidi
ad uccidere
Cicno
,
Ettore
,
Memnone
, a ferire
Telefo
e la loro patria,
Egina
, li onora di fama imperitura, fama che viene paragonata ad una torre, mentre le vittorie sono le pietre con le quali la torre stessa è stata costruita.
E la gloria di
Egina
si ripete nel presente come dimostra la battaglia di Salamina, decisa dai marinai egineti "nella pioggia micidiale di
Zeus
".
I vincitori però non dovranno vantarsi perché è da
Zeus
che proviene la vittoria. Sarà il canto del poeta a dare forma alle loro imprese e, allora, chi si prepara a gareggiare conosca il valore di Filacida e di Pitea e la loro destrezza nella lotta.
ISTMICA VI
PER FILACIDA DI EGINA VINCITORE NEL PANCRAZIO
La gara per la quale l'epinicio fu composto è databile prima del
480 a.C.
Il dedicatario dell'ode è un giovane nobile di
Egina
, lo stesso al quale è dedicata l'Istmica V, di qui il riferimento mitico ai figli di
Eaco
,
Telamone
e
Peleo
, che erano appunto eroi locali di
Egina
.
Telamone
, racconta
Pindaro
, fu compagno di
Eracle
in molte imprese. Nel loro primo incontro, ad
Egina
nella casa di
Telamone
, questi aveva offerto ad
Eracle
una coppa d'oro per libare agli dei ed
Eracle
aveva levato a
Zeus
la solenne preghiera di far nascere al suo ospite un figlio valoroso.
Zeus
aveva manifestato il suo consenso inviando l'aquila ed
Eracle
aveva profetizzato a
Telamone
la nascita di un eroe, esortandolo a chiamarlo
Aiace
.
Da questa breve ma intensa scena epica, il poeta torna all'attualità della sua ode ricordando in sintesi le altre vittore di Filacida e di suo fratello Pitea.
ISTMICA VII
PER STREPSIADE DI
TEBE
VINCITORE NEL PANCRAZIO
Strepsiade di
Tebe
vinse la gara del Pancrazio in una data ignota, un suo zio omonimo era caduto in battaglia difendendo
Tebe
.
Come nell'inizio dell'Istmica I,
Pindaro
si rivolge alla ninfa
Tebe
, eponima della città. Le chiede di quale delle antiche glorie tebane si rallegrò di più: per
Dioniso
,
Eracle
,
Iolao
, per la vittoria sugli Argivi di
Adrasto
o per l'alleanza con gli Spartani.
Ma anche quando è così glorioso il passato viene presto dimenticato se non viene immortalato nel canto dei poeti.
Quindi
Pindaro
canta Strepsiade perché vengano per sempre ricordati le sue vittorie, la sua bellezza ed il suo valore. Nello stesso canto vuole anche celebrare la memoria dell'altro Strepsiade, l'eroico caduto emulo di
Meleagro
, di
Ettore
, di
Anfiarao
.
Il cordoglio fu indicibile ma, dopo quella tempesta,
Posidone
ha voluto che tornasse il sereno con questa vittoria.
Dunque
Pindaro
canta "cingendo di corone la gloria" e si augura che l'invidia degli dei non lo colpisca perché desidera avviarsi alla vecchiaia ed alla morte con la presente serenità.
Solo gli dei sono immortali e tutti dobbiamo morire, siamo troppo limitati per raggiungere "la dimora degli dei pavimentata di bronzo". Lo tentò
Bellerofonte
e fu disarcionato da
Pegaso
. Ciò che è dolce oltre misura finisce sempre nell'amarezza.
L'ode si conclude con un'invocazione ad
Apollo
perché conceda a Strepsiade una vittoria anche nelle gare di
Delfi
.
ISTMICA VIII
PER CLEADRO DI
EGINA
VINCITORE NEL PANCRAZIO
Pindaro
invita i giovani a formare un corteo festoso in onore del giovane Cleandro e a recarsi fino alla casa di suo padre Telesarco, dallo splendido portico.
Si celebra infatti la vittoria nel pancrazio di Cleandro di
Egina
il quale, benché molto giovane, aveva già vinto altre gare a Megara, Epidauro e
Nemea
.
Anche il poeta, benché triste, invocherà la Musa per unirsi ai festeggiamenti ed offrirà alla folla un dolce canto ora che un dio ha liberato l'Ellade da un'insostenibile pietra di
Tantalo
. La "pietra di
Tantalo
" di cui si parla è il pericolo dell'invasione persiana, definitivamente scongiurato con la vittoria di
Platea
(agosto 479 a.C.), l'ode deve risalire quindi ad una data di poco posteriore a quell'evento.
Quanto alla tristezza di
Pindaro
, si riferisce all'incresciosa vicenda di
Tebe
, sua città, durante la guerra persiana: gli oligarchi tebani, infatti, sperando di rimanere al potere in caso di vittoria persiana, si erano alleati con il nemico e, dopo
Platea
, gli Spartani avevano assediato
Tebe
facendoseli consegnare per giustiziarli.
Inoltre
Pindaro
ammette che la paura dei pericoli corsi ha indebolito la sua ispirazione, è meglio guardare al presente invece che alle ingannevoli previsioni del futuro.
Ma la libertà permette di medicare i dolori sofferti e la speranza deve essere cosa cara agli uomini.
Un poeta tebano deve cantare le glorie di
Egina
perché
Tebe
ed
Egina
furono sorelle gemelle, figlie di
Asopo
ed entrambe amate da
Zeus
.
Il dio pose la prima vicino alla fonte Dirce e la seconda nell'isola di Oinona.
Egina
generò
Eaco
, così saggio da dare consigli anche agli dei, che fu capostipite di una schiatta di eroi.
Quando
Zeus
e
Posidone
contesero per avere
Teti
,
Themis
rivelò che da le sarebbe nato un figlio più forte del padre e suggerì di darla in sposa a
Peleo
, figlio di
Eaco
.
Da
Teti
nacque
Achille
, del quale i poeti cantarono le gesta: ferì
Telefo
in
Misia
, provocò la fine di
Troia
eliminando i suoi più forti difensori. Per il suo valore gli dei vollero che fosse celebrato anche dopo la morte, per lo stesso motivo
Pindaro
inneggia anche alla vittoria del defunto Nicocle, cugino di Cleandro che fu vincitore di gare di pugilato. Non meno valoroso è stato Cleandro, vincitore anche a Megara e ad Epidauro.