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PINDARO

OLIMPICHE


OLIMPICA I

PER IERONE DI SIRACUSA CON IL CAVALLO MONTATO (476aC)

Ierone, tiranno di Siracusa, montando il sauro Ferenico (portatore di vittoria) ha vinto la gara del "cavallo montato" nell'olimpiade del 476 aC.
La sua fama, dice Pindaro, ora si spande nel Peloponneso, fiorente colonia dell'eroe lidio Pelope.
Di Pelope si era innamorato Posidone. Figlio di Tantalo, fu rapito durante un banchetto offerto dal padre agli dei, da Posidone. Pindaro rifiuta la versione tradizionale del mito secondo cui Pelope sarebbe stato ucciso da Tantalo e le sue carni imbandite agli dei per verificare la loro onniscienza. In quella versione del mito solo una dea (Demetra, o Temi, o Rea) avrebbe distrattamente mangiato una spalla del bambino. Più tardi Hermes ricomponeva e ridava magicamente vita al corpo di Pelope sostituendo la spalla mancante con una in avorio. Tantalo che era stato tanto caro agli dei, fu da essi punito con l'eterna pena della fame e della sete.
Pelope, tornato alla vita e fra gli uomini, partecipò alla gara indetta da Enomao, figlio di Ares e re dell'Elide, per la mano di sua figlia Ippodamia.
Enomao aveva già vinto tredici sfidanti (si trattava di misurarsi con lui in una gara di quadrighe da Pisa a Corinto) Pelope chiese aiuto a Posidone ed ottenne un carro d'oro con cavalli alati che gli permise di vincere la corsa e conquistare la mano di Ippodamia.
Da Pelope ed Ippodamia nacquero dei figli ( fra cui Tieste).
A Pelope si offriva ogni anno un montone nero che veniva sgozzato presso la sua tomba, che si trovava nel recinto sacro comprendente gli impianti sportivi di Olimpia. L'ode si chiude con l'augurio a Ierone di rinnovare il successo delle sue gesta e la speranza di Pindaro di essere nuovamente chiamato a cantarle.


OLIMPICA II

PER TERONE DI AGRIGENTO, CON IL CARRO

Terone, tiranno di Agrigento, vinse la gara delle quadrighe nell'Olimpiade del 476, l'ode potrebbe essere un encomio per esecuzione solistica invece che un vero e proprio epinicio, considerando che alla stessa vittoria si ispira Olimpica III.
Pindaro prende spunto dall'idea degli Emmenidi (il genos di appartenenza di Terone) di discendere da Cadmo per introdurre nell'ode cenni alla leggenda di quell'eroe e della sua stirpe.
Fra le figlie di Cadmo, mitico fondatore di Tebe, fu Semele madre di Dioniso che morì folgorata dalla vista del suo amato Zeus in armi.
Anche Ino fu figlia di Cadmo, dopo essersi uccisa perché resa folle da Era fu trasformata in una dea marina (Leucotea) e vive eternamente nel mare in compagnia delle Nereidi.
Da Laio, nipote di Cadmo, nacque Edipo, da questi Polinice e, nonostante la tragedia di questa casata, sopravvisse Tersandro, dal quale ebbe origine il genos degli Emmenidi.
Ora Terone ha vinto la gara e "il successo scioglie dall'ossessione chi tenta la prova". Di qui muove una lunga digressione sulla giustizia ultramondana che premia gli spiriti dei giusti nell'"isola dei Beati", mentre chi ha errato è severamente giudicato e punito. Fra i beati sono Peleo, Cadmo ed Achille, il campione greco della guerra di Troia.
L'ode si chiude con l'encomio della "generosa mano di Terone" encomio che forse, dice Pindaro, l'invidia tentava di disperdere (forse alludendo alla rivalità verso Terone dei suoi cugini).


OLIMPICA III

PER TERONE DI AGRIGENTO, CON IL CARRO, PER LE TEOSSENIE

Il vincitore è lo stesso Terone di Agrigento dell'Olimpica II. Le Teossenie erano feste nelle quali si immaginava di invitare gli dei a banchetto.
Pindaro rievoca il mito di Eracle che aveva voluto il serto di olivo come premio al vincitore dei giochi olimpici. Eracle aveva portato l'olivo dal paese degli Iperborei, a settentrione, lungo il corso dell'Istro (Danubio) e lo aveva piantato per rendere più verde e gradevole il sito dei giochi, presso Pisa.
Salendo all'Olimpo Eracle aveva affidato la guida dei giochi ai Dioscuri (che erano infatti venerati in un altare presso la linea di partenza dell'ippodromo).


OLIMPICA IV

PER PSAUMI DI CAMARINA

Il componimento è molto breve, in pratica Pindaro si limita a far pesare, in onore del vincitore, le gesta e la vittoria dello stesso.
Ricorda in proposito il mito dell'argonauta Ergino che vinse una gara di corsa nell'isola di Lemno, stupendo quanti lo avevano creduto troppo vecchio a causa della sua precoce calvizia.


OLIMPICA V

PER PSAUMI DI CAMARINA, CON IL CARRO TIRATO DA MULE


L'atleta è lo stesso di Olimpica IV. La vittoria qui celebrata dovrebbe risalire all'Olimpiade del 456 aC.
Lodando la vittoria di Psaumi l'autore celebra anche la ricostruzione di Camarina, avvenuta nel 461 aC, dopo che Gelone di Siracusa, nel 484 aC l'aveva rasa al suolo.


OLIMPICA VI

PER AGESIA DI SIRACUSA, CON IL CARRO TIRATO DA MULE


Vittoria databile fra il 476 e il 468. Il mito qui rievocato è quello dei Sette contro Tebe, in particolare l'elogio funebre pronunciato del re argivo Adrasto in onore di Anfiarao, scomparso in una voragine durante la lotta.
Più avanti Pindaro riprende un altro mito, quello di Iamo, capostipite del "genos" del vincitore.
La ninfa Pitane, sedotta da Posidone, generò Evadne, Evadne a sua volta - amata da Apollo - generò Iamo.
Iamo, partorito di nascosto nei boschi per sottrarlo all'ira di Epito, tutore di Evadne, fu nutrito da due serpenti ed ottenne da Apollo il dono della chiaroveggenza. Iamo edificò un altare con funzioni oracolari, da allora sempre servito dalla sua stirpe.


OLIMPICA VII

PER DIAGORA DI RODI, NEL PUGILATO

Olimpiade del 464. Secondo lo storico Giorgone di Rodi, il testo dell'ode fu riprodotto in lettere d'oro nel tempio di Atena Lindia.
L'ode si apre con la bella immagine di un brindisi nuziale al quale il poeta paragona l'offerta dei propri versi al vincitore.
Anche qui si celebra il mito dell'eroe al quale la famiglia del vincitore faceva risalire le proprie origini: si tratta di Tlepolemo, figlio di Eracle. Qui Pindaro modifica in più punti la versione tradizionale del mito di Tlepolemo, colonizzatore di Rodi. Lo dice nato da Astidamia (figlia di Amintore, re di Ormenio in Tessaglia), anziché da Astioche. Avendo Tlepolemo ucciso lo zio materno Licimnio, fratello di Alcmena in uno scatto d'ira, abbandonò la propria casa e si recò nell'isola di Rodi. Nella tradizione si tratta di una fuga dei parenti di Licimnio, mentre Pindaro fa consigliare a Tlepolemo la partenza da parte di un oracolo.



OLIMPICA VIII

PER ALCIMEDONTE DI EGINA, NELLA LOTTA DEI RAGAZZI


La vittoria si riferisce all'olimpiade del 460.
L'accenno mitico, qui assai molto più contenuto che altrove, è a Eaco, figlio di Zeus e della ninfa Egina, colonizzatore pre-dorico dell'isola di Egina.
Eaco che partecipò con Apollo e Posidone alla costruzione delle mura di Troia, in quanto il fato prescriveva la collaborazione di un mortale per evitare che le mura risultassero del tutto indistruttibili.


OLIMPICA IX

PER EFARMOSTO DI OPUNTE, NELLA LOTTA


Olimpiade del 468. La città di Opunte si trova presso lo stretto di Eubea nella meridionale. Dopo un breve riferimento alla lotta di Eracle contro altre divinità, Pindaro passa a parlare del mito di Deucalione e Pirra che dopo il diluvio si insediarono ad Opunte e diedero vita alla stirpe dei Lai gettandosi pietre alle spalle.
Si parla quindi di Locro, figlio di Anfictione, che sposò Protogenia, figlia di Opunte I, già incinta di Zeus. Il bambino che Locro credeva suo figlio si chiamò Opunte II ed il suo nome passò alla città. Fra quanti onorarono e furono amici di Opunte si ricordano Menezio (figlio di Attore e di Egina) ed il suo famoso figlio Patroclo, l'amico di Achille.
Si ricordano infine le altre imprese atletiche di Efarmosto.


OLIMPICA X

PER AGESIDAMO DI LOCRI EPIZIFIRII, NEL PUGILATO DEI RAGAZZI


La vittoria risale al 476, ma la composizione del carme è successiva, infatti Pindaro annuncia, in apertura, una sua riparazione per non aver parlato in precedenza dell'impresa. Pindaro accenna metaforicamente alle difficoltà di Agesidamo precedenti alla vittoria, ricordando come perfino Eracle ebbe problemi nello scontro con Cicno.
Si ricorda quindi l'episodio delle stalle di Augia che Eracle fu condannato a ripulire durante le due fatiche e lo spergiuro del re Augia che, ad impresa compiuta rifiutò di pagare il compenso pattuito, spergiuro vendicato da Eracle. Eracle è già ricordato anche come istitutore di giochi olimpici.


OLIMPICA XI

PER AGESIDAMO DI LOCRI EPIZEFIRI, NEL PUGILATO DEI RAGAZZI

L'atleta è lo stesso celebrato in Olimpica X, probabilmente si tratta anche della stessa gara.
Il componimento è molto breve (20 versi) e rinunciando ai consueti riferimenti mitici, consiste con un encomio del vincitore. Non mancano frasi memorabili: gli elogi sono "greggi di parole che la nostra lingua vuole pascolare".


OLIMPICA XII


PER ERGOTELE DI IMERA, NEL FONDO


Si ritiene che l'ode sia del 466 e si riferisca non solo alla vittoria di Ergotele nel 472, ma a tutta la sua carriera.
Pindaro invoca la Fortuna perché protegga Imera, di recente affrancata da varie invasioni ad opera dei cartaginesi (480), di Trasideo (figlio di Terone), e di Trasibulo (figlio di Ierone).
Segue l'encomio di Ergotele originario di Cnosso, vincitore ad Olimpia e due volte a Delfi.


OLIMPICA XIII


PER SENOFONTE DI Corinto, NELLO STADIO E NEL PENTLATON


Olimpiade del 464.
Encomio del casato di Senofonte (gli Oligetidi) e delle glorie istituzionali, militari ed artistiche di Corinto.
Si sottolinea l'eccezionalità della duplice vittoria di Senofonte e si ricordano i suoi successi in altri agoni.
Si ricordano vari riti connessi a Corinto, quello di Sisifo, quello di Medea e Giasone, quello di Bellerofonte, domatore di Pegaso.
A Corinto Bellerofonte tentò a lungo di domare Pegaso finchè Atena non lo aiutò donandogli il morso. Con la mitica cavalcatura l'eroe vinse le Amazzoni, la Chimera ed il popolo dei Solimi.


OLIMPICA XIV

PER ASOPICO DI ORCOMENO, NELLO STADIO


La vittoria è forse del 488.
Invocazione alle Cariti, alle quali in Orcomeno, si tributava un culto molto antico, in un santuario situato presso la fonte sacra alla ninfa Acidalia.
In onore delle Cariti si celebrava una festa (detta Charitesia) con gare musicali e danze notturne.