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PLUTARCO Di CHERONEA


VITE DI SERTORIO E EUMENE


SERTORIO


Fin dall'inizio Plutarco dichiara la sua positiva opinione su Sertorio, paragonandolo a grandi condottieri come Annibale, Filippo II di Macedonia, Antigono I Monoftalmo, tutti personaggi che per uno scherzo del fato erano, come Sertorio, privi di un occhio.
In comune con Eumene, protagonista dell'altra biografia di questa coppia, aveva l'abilità militare ed il destino di una morte ingiusta e violenta.
Quinto Sertorio era figlio di un cavaliere di Norcia. Orfano di padre, fu educato dalla madre, studiò oratoria ma preferì la carriera militare.
Combattè contro Cimbri e Teutoni nella campagna in Gallia di Quinto Servilio Cepione e dopo una sconfitta dei Romani riuscì a salvarsi attraversando il Rodano a nuoto nonostante l'armatura.
Ancora in Gallia con Mario si infiltrò fra i nemici per carpire informazioni e fu premiato per l'intelligenza ed il coraggio dimostrati.
Dopo questa guerra passò in Spagna nel presidio di Castulone. Il suo campo subì molte perdite per un attacco notturno dei Celtiberi ma Sertorio vendicò immediatamente i caduti con astuzia entrando in città con pochi uomini e facendo strage egli abitanti in età di portare le armi.
Al ritorno in Italia fu eletto questore. Partecipò alla guerra marsica, divenne comandante e combattè con grande coraggio. Quando perse un occhio in battaglia fu orgoglioso della mutilazione che dimostrava a tutti il suo eroismo.
Quando scoppiò la guerra civile fra i consoli Cinna e Ottavio, Sertorio scelse di allearsi con Cinna, forse odiava Silla perché si era opposto alla sua candidatura come tribuno della plebe.
Cinna e Sertorio furono sconfitti e dovettero fuggire da Roma ma cominciarono a raccogliere tutte le truppe di stanza in Italia.
Mario tornò dall'Africa ma Sertorio si oppose alla sua alleanza sapendolo troppo violento, tuttavia quando venne informato che era stato Cinna a richiamare Mario smise di opporsi per rispetto all'impegno preso dal collega.
Dopo la tregua Cinna e Mario scatenarono un'ondata di violenza e solo Sertorio si mostrò moderato. Quando l'orda degli schiavi arruolati da Mario superò ogni limite nella vendetta contro gli ex padroni, Sertorio li fece uccidere in massa.
Dopo la morte di Mario, il figlio Mario il Giovane si impadronì illegalmente del consolato ma Silla, con un colpo di stato, prese il potere ed instaurò la sua dittatura.
In queste circostanze Sertorio lasciò l'Italia e riparò in Spagna dove raccolse truppe arruolando le popolazioni locali ed i cittadini romani residenti nella regione e, forte della propria esperienza, cominciò accurati preparativi militari.
Tuttavia quando un esercito romano comandato da Gaio Annio superò i Pirenei, Sertorio non si ritenne ancora in grado di affrontarlo e fuggì in Africa, quindi ad Ibiza dove fu sconfitto in una battaglia navale.
Superato lo stretto di Gibilterra mise la propria base presso la foce del Betis e di qui intervenne in Mauretania contro un tentativo di prendere il trono da parte di un nobile locale appoggiato da Silla. Vinto un esercito romano si appropriò della regione garantendosi rinforzi per le future battaglie in Spagna.
Sertorio godeva di una reputazione di grande abilità militare, coraggio, saggezza e moderazione. Queste doti spinsero i Lusitani a chiedergli di diventare loro capo. Di nuovo Sertorio dimostrò le sue capacità di organizzatore trasformando l'orda potente ma indisciplinata dei Lusitani in un esercito regolare con il quale rapidamente conquistò la Spagna Citeriore, trasferendovi il proprio quartier generale.
Quando un cacciatore gli regalò una cerva bianca neonata che gli si affezionò e si comportava con lui come un cagnolino addomesticato, Sertorio ebbe l'idea di sfruttare la superstizione degli Iberici a proprio vantaggio. Lasciò infatti credere che la cerva fosse un dono di Artemide: attraverso l'animale la dea gli avrebbe fatto avere suggerimenti e protezione.
Sertorio riportò numerose vittorie: sconfisse Cotta nello stretto della Mellaria, Fufidio presso il Betis, il proconsole della Spagna Citeriore Domizio Calvino, Toranio e più volte Cecilio Metello che fu soccorso da Lucio Manlio e da Pompeo Magno.
Fra i suoi vari successi Plutarco ricorda più dettagliatamente la liberazione della città di Longobriga, conseguita con particolare abilità strategica, e la lotta contro i Caracitani. Questi ultimi abitavano nelle grotte ed era impossibile attaccarli con l'esercito quando vi si rifugiavano. Sertorio studiò il comportamento dei venti e fece preparare grandi cumuli di terra fine di fronte all'entrata delle caverne. Quando il vento si alzò i nemici, soffocati dalla polvere, furono costretti ad uscire allo scoperto.
Si procurava la benevolenza dei propri seguaci con ogni metodo: prodigalità, tolleranza, donativi. Quanti combattevano con lui erano orgogliosi delle ricche decorazioni delle proprie uniformi e gli Iberici gli erano grati per l'istituzione della scuola di Osca che curava l'istruzione dei giovani locali (che di fatto erano trattenuti come ostaggi).
Da Roma giunse un esercito cinno-mariano comandato da Perperna il quale, molto vanitoso per la sua nobiltà e le sue ricchezza, avrebbe voluto combattere da solo ma i suoi soldati lo obbligarono a unirsi a Sertorio del quale conoscevano la fama.
Sertorio combattè ancora contro Pompeo conquistando la città di Laurone e sconfiggendolo presso il Sacrone, dove Pompeo fu gravemente ferito. Il suo luogotenente Afranio saccheggiò il campo di Sertorio ma questi lo sorprese e fece strage dei suoi soldati.
Combattè contro Metello la battaglia di Segonzia (forse l'attuale Langa de Duero), Metello fu ferito ed il suo comandante Caio Memmio venne ucciso, tuttavia Sertorio fu sconfitto. Senza perdersi d'animo, Sertorio prese tempo con una manovra diversiva e, radunate tutte le altre truppe, attaccò in più punti costringendo le forze nemiche a separarsi.
Metello era piuttosto anziano ed ormai coltivava abitudini tranquille e lussuose mentre Sertorio era giovane, allenato e pronto alle fatiche ed ai pericoli della vita militare.
Pur di riuscire a catturarlo ed ucciderlo Metello promise enormi premi a chi gli avesse consegnato Sertorio. Dal canto suo Sertorio - stando a Plutarco - provava intensi sentimenti di patriottismo e più di una volta comunicò ai suoi avversari che sarebbe stato disposto a deporre le armi per poter tornare a Roma e vivere da privato cittadino.
Plutarco coglie ogni occasione per sottolineare le qualità del suo protagonista, dal notare che avrebbe preferito essere uno sconosciuto nella sua patria all'essere un uomo potente altrove, al raccontare il lutto ed il valore di Sertorio quando venne informato della morte della madre.
Venuto a conoscenza delle imprese di Sertorio, Mitridate VI Eupatore re del Ponto che si stava riprendendo dalla sconfitta infertagli da Silla, gli inviò dei messi offrendogli aiuti finanziari e militari e chiedendo in cambio la convalida del suo potere sull'Asia Minore ed un gruppo di ufficiali che addestrassero il suo esercito.
Sertorio accolse la prima richiesta soltanto parzialmente in quanto sostenne che i Romani avevano tolto a Mitridate territori che erano loro e che il re aveva ingiustamente occupato. Quanto alla seconda inviò in oriente delle forze comandate dal senatore esule Marco Mario, suo seguace.
Intanto Perperna, geloso del prestigio di Sertorio, non tollerava di essergli sottoposto e prese a parlar male di lui agli altri senatori incitandoli alla rivolta. Presto ne nacque una congiura. Furono commessi abusi e violenze ai danni della popolazione locale attribuendone la responsabilità a Sertorio e provocando disordini.
A questo punto Sertorio, che era sempre stato prudente e moderato, mutò carattere e si lasciò andare alla collera reprimendo i ribelli con crudeltà. Fra l'altro fece uccidere o vendere come schiavi gli studenti della scuola che aveva istituito ad Osca.
Infine i congiurati convinsero Sertorio a partecipare ad un banchetto nel corso del quale lo pugnalarono a morte.
Morto Sertorio i suoi seguaci spagnoli si arresero quasi subito, Perperna tentò di prendere in mano la situazione ma venne presto sconfitto.
Saggiamente Pompeo bruciò tutte le carte di Sertorio ed eliminò Perperna per evitare nuove sedizioni.



EUMENE


Quella di Eumene è in assoluto la più breve fra le biografie composte da Plutarco, nella coppia Sertorio ed Eumene la vita del romano precede quella del greco mentre nelle Vite Parallele di solito è il contrario. Questi fatti fanno ritenere agli studiosi che Plutarco fosse particolarmente interessato a Sertorio mentre Eumene deve essere stato scelto soltanto perché la sua vicenda comportava opportuni termini di paragone.
Eumene era di umili origini ma ebbe comunque una buona educazione. Filippo di Macedonia lo prese con se quando era ancora un ragazzo.
Dopo la morte di Filippo divenne capo della cancelleria reale di Alessandro, quindi ebbe incarichi militare di crescente importanza fino a divenire comandante della cavalleria.
Sposò una giovane persiana come molti suoi colleghi e come lo stesso Alessandro che promuoveva questi matrimoni favorevoli all'integrazione fra conquistatori e conquistati.
Fu spesso in contrasto con Efestione, il più caro amico di Alessandro, ed alla sua morte rischiò di perdere la fiducia del re che, tremendamente addolorato, era divenuto ostile a chiunque non fosse stato in ottimi rapporti con l'amico scomparso. Ma Eumene era scaltro e seppe far mostra di tale cordoglio da convincere Alessandro e recuperarne la stima.
Dopo la morte di Alessandro si astenne dall'intervenire nei dissidi fra la falange ed i funzionari del re. Nella successiva spartizione dell'impero ebbe la satrapia di Cappadocia che comprendeva anche la Paflagonia ed il Ponto Eusino fino a Trapezunte.
Questi territori, tuttavia, erano ancora in mano ai persiani ed il reggente Perdicca ordinò a Leonnato ed Antigono di occuparli militarmente per insediarvi Eumene. Antigono ignorò l'ordine ricevuto. Quanto a Leonnato fu distolto dall'appello di Ecateo tiranno di Cardia attaccato da Antipatro. Leonnato confidò ad Eumene la sua intenzione di impadronirsi della Macedonia e di sposare Cleopatra sorella di Alessandro Magno e lo invitò a partecipare all'impresa contro Antipatro ed a riconciliarsi con Ecateo che Eumene considerava un despota. Non fidandosi, Eumene fuggì presso Perdicca al quale rivelò i progetti di Leonnato. Poco dopo fu insediato come satrapo in Cappadocia ma in breve preferì tornare presso Perdicca.
Perdicca lo rimandò in Cappadocia incaricandolo di riordinare le cose in Armenia dove Neottolemo (ex ufficiale di Alessandro) andava provocando problemi. Eumene tentò inutilmente di trattare con Neottolemo, quindi passò ad organizzare una cavalleria per contrastarne le truppe. Quando infatti Neottolemo lo attaccò fu propria grazie a questa cavalleria che riuscì a sconfiggerlo.
Neottolemo si rifugiò presso Cratero ed Antipatro che stavano muovendo contro la Cappadocia ed avevano inviato proposte di alleanza ad Eumene che le aveva rifiutate.
Cratero ed Antipatro attaccarono la Cappadocia, Perdicca - impegnato contro Tolomeo - affidò il comando ad Eumene.
Consapevole del grande prestigio di Cratero, Eumene diffuse fra le sue truppe la falsa notizia che avrebbero dovuto combattere contro mercenari stranieri ed evitò di schierare soldati macedoni.
Durante la battaglia Eumene uccise personalmente Neottolemo in duello e venne ferito. Anche Cratero morì in combattimento.
Intanto Perdicca era stato ucciso in Egitto durante un ammutinamento. Quando giunse al suo campo egiziano la notizia della fine di Cratero, i Macedoni decretarono la condanna a morte di Eumene ed affidarono ad Antigono e ad Antipatro il compito di combatterlo.
Cautamente Eumene decise di svernare in Frigia dove recuperò la stima e la fiducia dei suoi uomini distribuendo onori e regalie.
Durante la guerra con Antigono venne sconfitto a causa di un tradimento e subì forti perdite. Dopo aver giustiziato il traditore e sepolto i caduti ebbe casualmente occasione di piombare nel campo nemico incustodito e saccheggiarlo. Sarebbe stato un ricco bottino ma Eumene preferì rinunciare per non appesantire gli spostamenti dell'esercito.
Eumene congedò gran parte dei soldati e si rifugiò a Nora sul confine fra Licaonia e Cappadocia. Prima di attaccarlo Antigono lo invitò a trattare. Anche se i due non trovarono un accordo il colloquio fu amichevole e quando Eumene uscì dal suo campo Antigono lo accompagnò per proteggerlo dai propri soldati.
Assediato in Nora escogitò espedienti per mantenere attivi soldati e cavalli. Con l'occasione Plutarco descrive il suo protagonista definendolo nel complesso più raffinato di altri generali.
Quando morì Antigono e scoppiò una forte rivalità fra Cassandro e Poliperconte, Antigono progettò di impadronirsi dell'intero impero, perciò volle concludere rapidamente l'assedio di Nora e propose la pace ad Eumene chiedendogli di sottoscrivere un giuramento di fedeltà. Eumene accettò ma modificò in alcuni punti il testo del giuramento dichiarandosi fedele non solo ad Antigono ma anche ad Olimpiade; senza essersene resi conto i Macedoni di Antigono tolsero l'assedio. Quando Antigono lesse il testo modificato ordinò di riprendere immediatamente a combattere ma Eumene era già fuggito.
Coalizzandosi contro Antigono molti contattarono Eumene: Poliperconte e Filippo Arrideo gli ordinarono di combatterlo inviandogli le truppe degli Argiraspidi (i veterani di Alessandro), mentre Olimpiade lo invitò ad allevare il figlio del defunto re. Peucerta, satrapo di Persia, si unì ad Eumene mettendogli a disposizione le sue risorse militari.
Per guadagnare la fiducia degli Argiraspidi che lo guardavano con sospetto in quanto non macedone, Eumene decise di tenere le riunioni in un'apposita tenda nella quale campeggiava un trono a simboleggiare la presenza di Alessandro.
Inoltre si fece prestare grosse somme dagli ufficiali in modo che quelli, per non perdere il proprio credito, evitassero di ucciderlo e anzi tutelassero la sua vita.
Antigono ed Eumene si scontrarono lungo il fiume Pasitigri (Piccolo Tigri, nei pressi di Susa) ed Eumene ottenne un'importante vittoria dimostrando le proprie capacità di comandante. I suoi soldati lo stimavano al punto di rifiutare di combattere quando, malato, Eumene si assentò.
Durante la malattia di Eumene, tuttavia, i soldati non rispettarono gli ordini degli ufficiali e si accamparono in modo troppo disperso fornendo al nemico un grosso vantaggio, Eumene riparò astutamente all'errore ordinando di accendere molti fuochi per dare l'impressione di un unico vasto accampamento.
L'ammirazione di cui godeva Eumene ingelosì i capi degli Argiraspidi che presero a complottare, decisero quindi di lasciargli vincere Antigono per poi eliminarlo, ma quanti fra loro avevano prestato danaro ad Eumene (come egli stesso aveva previsto) lo avvertirono del complotto.
Dopo aver riflettuto Eumene decise di affrontare Antigono prima di provvedere al proprio destino. Schierò le sue truppe che spazzarono via in un colpo la falange nemica, senza che nessuno fosse in grado di resistere a questi veterani che sterminarono la maggior parte degli avversari. Tuttavia la cavalleria di Antigono sconfisse Peucesta e riuscì ad impadronirsi di tutte le salmerie del nemico.
Dopo la battaglia i cospiratori trattarono con Antigono la restituzione dei bagagli ed Antigono chiese in cambio Eumene vivo. Gli Argiraspidi accettarono e catturarono il loro comandante.
E' da notare che per "bagagli" si intende non soltanto tutti i beni che i soldati avevano accumulato con i bottini di tutta la carriera ma anche le loro mogli ed i loro figli. Chiaramente di fronte ad una perdita di questo tipo la fedeltà verso il comandante (oltre tutto non macedone) passava in secondo piano. Infatti Eumene volle parlare loro prima di essere consegnato ad Antigono ma non per chiedere di essere liberato o protetto ma per pregarli di ucciderlo e consegnare al nemico il suo cadavere. Tuttavia gli Argiraspidi non vollero dargli ascolto.
Antigono fece incatenare Eumene ma qualche giorno dopo, memore dell'antica amicizia, rese la sua prigionia più sopportabile facendolo slegare e consentendogli di ricevere conforto e compagnia da chi desiderava dargliene.
Antigono rimase a lungo indeciso: il figlio Demetrio e l'ammiraglio cretese Nearco gli consigliavano di lasciar vivere Eumene ma molti altri insistevano per sopprimerlo.
Infine Antigono decise di lasciarlo morire di fame ma dopo tre giorni, dovendo improvvisamente levare il campo, mandò un uomo a sgozzarlo.
Antigono permise che il suo cadavere venisse cremato e le ceneri restituite alla famiglia.
Considerando gli Argiraspidi malvagi, Antigono li affidò al satrapo dell'Arecosia Sibirsio ordinandogli di logorarli perché nessuno di loro tornasse più a casa.


CONFRONTO


Nel confronto Sertorio risulta di gran lunga migliore di Eumene:
  • Sertorio comandò grazie alla considerazione in cui era tenuto, Eumene su uomini che non sapevano comandare;
  • Sertorio ottenne il potere per merito, Eumene se ne impadronì;
  • Eumene aveva più nemici;
  • Eumene era litigioso, Sertorio mite;
  • Eumene combattè per ambizione, Sertorio per necessità.

    Ma le accuse mosse ad Eumene in questa conclusione spesso non corrispondono con quanto narrato nella biografia del personaggio; probabilmente Plutarco risente delle contraddizioni delle sue fonti ma è comunque evidente la sua intenzione di esaltare Sertorio.