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PLUTARCO DI CHERONEA




VITE DI ALESSANDRO E CESARE





ALESSANDRO


1) Biografia, non storia, è la materia che Plutarco intende trattare. Questa premessa per spiegare l'omissione consapevole di alcuni fatti storici per dar maggior risalto ai particolari della vita di Alessandro che meglio definiscono il carattere del personaggio.

2) Secondo la tradizione, Alessandro discendeva da Eracle attraverso Carano per parte di padre e da Eaco attraverso Neottolemo per parte di madre.
Filippo ed Olimpiade, ancora ragazzi, furono iniziati insieme al culto dei Cabiri, si innamorarono e decisero di sposarsi. Olimpiade sognò di essere colpita da un fulmine al ventre e Filippo di imprimere sul corpo della moglie con un sigillo l'immagine di un leone. L'indovino Aristandro di Telmesso interpretò i due sogni predicendo la nascita di un eroe.
Olimpiade, di origine epirota, era dedita a riti orfici e dionisiaci e spesso portava con se dei serpenti. Dicono che ciò fu causa di allontanamento fra Filippo ed Olimpiade.

3) Si narrava anche che Filippo avesse visto la moglie nel letto con un serpente e che un oracolo gli annunciò la perdita dell'occhio con cui l'aveva spiata.
Alessandro nacque nel giorno in cui ad Efeso un incendio distrusse il tempio di Artemide (forse il 20 luglio del 356 a.C.).

4) L'aspetto fisico di Alessandro era tramandato dalle statue di Lisippo e dai ritratti di Apelle.
Anche in gioventù, benché impetuoso e passionale, Alessandro fu dotato di controllo sui piaceri del corpo, mentre tutta la sua attenzione era rivolta al desiderio di gloria.

5) Una volta, ricevendo ambasciatori persiani in assenza del padre, li impressionò con la sua conversazione e con l'interesse che mostrava per i costumi del loro paese.
Non esultava per le vittorie del padre temendo che non gli rimanesse modo di compiere grandi imprese.
Si occupavano del giovane Alessandro molti educatori sui quali sovrintendeva un parente di Olimpiade di nome Leonida.

6) Quando a Filippo fu offerto il cavallo Bucefalo, Filippo intendeva rifiutarlo perché sembrava indomabile ma Alessandro, che aveva capito che l'animale era innervosito dalla propria ombra, lo fece volgere verso il sole e rapidamente riuscì a montarlo con grande commozione del padre.

7) Consapevole delle doti del figlio, Filippo decise di procurargli il migliore dei maestri ed ingaggiò il celebre Aristotele al quale riconobbe un alto onorario.
Aristotele insegnò all'allievo la politica e la morale ma anche argomenti di filosofia più profondi. Quando queste lezioni furono divulgate Alessandro rimproverò al maestro di aver reso noto a tutti quanto avrebbe dovuto rimanere sapere di pochi, ma Aristotele rispose che soltanto chi era già versato nella materia poteva comprendere i suoi concetti.

8) Da Aristotele Alessandro imparò la medicina e spesso si dedicò a prescrivere cure agli amici malati.
Amava la letteratura, in particolare l'Iliade, ed anche durante la sua grande spedizione si faceva mandare dei libri.
Il suo grande affetto per Aristotele si raffreddò nel tempo ma egli amò sempre la filosofia e protesse filosofi come Anassarco e Senocrate.

9) Quando Filippo partì per la guerra contro Bisanzio affidò il governo al sedicenne Alessandro che domò la ribellione dei Maidi e stabilì una colonia di Macedoni nel loro paese. A Cheronea (338 a.C.) si comportò eroicamente.
Quando Filippo divorziò da Olimpiade per sposare la giovane Cleopatra nipote di Attalo i rapporti fra padre e figlio si guastarono e durante il matrimonio Alessandro litigò con Attalo che lo aveva offeso e con il padre che arrivò a tentare di colpirlo con la spada.
Dopo questa lite Alessandro portò la madre in Epiro e si trasferì in Illiria dove visse per qualche tempo finché Filippo mandò un amico per persuaderlo a ritornare.

10) Quando Filippo trattò con il satrapo persiano Pissodaro un matrimonio politico fra la figlia del satrapo e Arrideo, Alessandro fu geloso dei preparativi (che interpretava come un passo di Arrideo verso il trono) e dissuase Pissodaro. Furibondo Filippo rimproverò Alessandro ed esiliò i suoi amici Arpalo, Nearco, Erigio e Tolomeo.
Il giovane nobile macedone Pausania fu oltraggiato da Attalo e non ottenendo soddisfazione da Filippo uccise quest'ultimo (336 a.C.). Olimpiade e, in misura minore, Alessandro furono ritenuti responsabili di aver sobillato Pausania.

11) Alessandro ereditò all'età di vent'anni un regno nel quale covavano rivolte e pericoli perché le conquiste di Filippo non erano ancora consolidate.
Con grande energia condusse una campagna militare per sedare rapidamente le sommosse e sconfisse fra gli altri la popolazione dei Triballi, nel territorio dell'odierna Bulgaria.
In Grecia attaccò ed espugnò Tebe che si era ribellata e, sperando che l'esempio spaventasse gli altri Greci, saccheggiò la città e vendette come schiavi migliaia di abitanti.

12) Durante il saccheggio di Tebe una donna di nome Timoclea (sorella di Teagene che era caduto a Cheronea combattendo contro Filippo) venne derubata e violentata da un ufficiale di Alessandro ma con un espediente riuscì ad ucciderlo. Ammirando la dignità ed il coraggio di Timoclea, Alessandro la lasciò libera con i suoi figli.

13) Sembra che in seguito Alessandro si pentisse della distruzione di Tebe e che questo rimorso lo inducesse in altre occasioni alla clemenza.
Comunque si riconciliò con gli Ateniesi che avevano tentato di soccorrere i Tebani e li prosciolse da qualsiasi accusa.

14) Durante la prima permanenza di Alessandro in Grecia (336 a.C.) i Greci riuniti a Corinto decisero di attaccare i Persiani sotto il comando supremo del giovane re.
Alessandro rese visita al filosofo Diogene di Sinope che si mostrò del tutto indifferente (gli chiese di scostarsi per non fargli ombra) suscitando l'ammirazione di Alessandro.
La sacerdotessa di Delfi affermò che Alessandro era invincibile e tanto bastò al Macedone in materia di vaticinii.

15) Le testimonianze di contemporanei come Aristobulo di Cassandreia e Duride non sono esattamente concordi sulle dimensioni dell'esercito macedone ma se ne ricava comunque che le risorse militari e finanziarie di Alessandro mentre stava per dar corso alle sue imprese erano piuttosto modeste.
Attraversato l'Ellesponto, Alessandro sostò a Troia per rendere omaggio alla stele di Achille.

16) L'esercito persiano attendeva i Macedoni lungo le rive del fiume Granico. Molti suoi ufficiali, preoccupati dalla profondità del fiume e dalle asperità del terreno, erano riluttanti ad attaccare ma Alessandro, comandando personalmente la cavalleria, affrontò la pericolosa traversata della corrente senza esitazioni e giunto sulla riva opposta rischiò più volte la vita in combattimenti corpo a corpo che Plutarco descrive nei dettagli.
Al termine della battaglia i Persiani sconfitti avevano perso migliaia di soldati mentre fra i Macedoni, stando a Aristobulo, si contavano soltanto trentaquattro caduti.

17) Alessandro conquistò Alicarnasso e Mileto, quindi ottenne la resa di Sardi e, incoraggiato da un presagio favorevole, passò ad occupare il litorale fino alla Fenicia ed alla Cilicia.
Nella città di Faselide rese omaggio alla statua dell'oratore Teodette, allievo di Aristotele.

18) Assoggettata la Frigia, Alessandro prese la città di Gordio in Bitinia dove si custodiva il carro del re Mida. Secondo una leggenda chi fosse riuscito a sciogliere il nodo che legava il carro sarebbe diventato re del mondo. Secondo alcuni storici Alessandro vi riuscì facilmente ma secondo gli altri spezzò il nodo con la spada.
Procedendo, Alessandro conquistò Paflagonia e Cappadocia. Intanto Dario muoveva verso di lui con un enorme esercito.

19) In Cilicia Alessandro si ammalò gravemente e poiché la malattia era sconosciuta e sembrava incurabile nessun medico osava tentare una terapia temendo di essere accusato in caso di insuccesso.
Solo Filippo di Acarnania, medico e amico di infanzia di Alessandro, preparò una pozione. Quando il Macedone stava per berla fu avvertito da una lettera di Parmenione che il medico era stato corrotto da Dario, ma Alessandro non prestò fede alla denuncia ed assunse serenamente la pozione dimostrando piena fiducia nell'amico.
Filippo di Acarnania, al quale Alessandro mostrò la lettera, rimase sconvolto dalla calunnia ma il conquistatore, dopo una breve crisi, riprese le forze e si presentò ai Macedoni esultanti.

20) Dario giunse ai monti della Cilicia e non ascoltò quanti gli consigliavano di combattere in luoghi aperti.
I due eserciti si scontrarono presso Isso e i Macedoni, in numero inferiore, riuscirono a manovrare più agevolmente fra le gole dei monti e le rive del fiume Pinaro. Alessandro partecipò attivamente alla battaglia e riportò una ferita a una coscia priva di conseguenze. I Persiani persero centodiecimila uomini e Dario fuggì. I Macedoni saccheggiarono il loro campo e Alessandro prese possesso della sontuosa tenda del re.

21) Alessandro prese sotto la propria protezione la moglie e la figlia del re garantendo loro la massima sicurezza ed un trattamento regale.
Concesse ai nemici di dare dignitosa sepoltura ai loro caduti e, pur ammirando la bellezza di molte prigioniere persiane, non si lasciò mai andare ad atti di lussuria.
Prima del matrimonio la sua unica donna fu Barsine, vedova dell'ufficiale Memnone e imparentata con la famiglia reale.

22) Filossero, capo delle province marittime, scrisse ad Alessandro per proporgli l'acquisto di due giovani e bellissimi schiavi. Alessandro reagì con indignazione, proibì simili commerci e punì adulterii ed altri atti di libidine.
Si mostrò sempre moderato anche con il cibo e rifiutò alcuni rinomati cuochi quando gli furono mandati da Ada regina di Caria.

23) Era temperante anche nel bere, ma protraeva volentieri i brindisi dopo cena perchè amava rimanere a conversare con i commensali.
Amava la caccia, l'esercizio fisico e la lettura, era amabile nella conversazione ma - riconosce Plutarco - sensibile all'adulazione e alquanto vanitoso.

24) Fra i paesi costieri soltanto Tiro oppose resistenza ad Alessandro che la assediò per sette mesi.
Durante questa impresa rischiò la vita rimanendo isolato per non lasciare indietro il pedagogo Lisimaco che, pur anziano, aveva voluto seguirlo nella spedizione.

25) L'indovino Aristandro predisse che Tiro sarebbe caduta entro la fine del mese suscitando ilarità perché ci si trovava nell'ultimo giorno del mese ma Alessandro decretò l'istituzione di un giorno intercalare e comandò subito un assalto tanto energico che Tiro si arrese, confermando l'esattezza del vaticinio.
Conquistata Gaza inviò al suo maestro Leonida una grande quantità di incenso e mirra, memore della parsimonia del precettore nell'uso di quelle sostanze durante i sacrifici.

26) La sua grande passione per Omero lo spinse a portare sempre con se una copia dell'Iliade e si diceva che la scelta dell'isola di Faro come luogo dove fondare Alessandria sia stata ispirata in sogno ad Alessandro dall'antico poeta.

27) Per visitare il tempio di Ammone Alessandro affrontò con l'esercito un pericoloso viaggio attraverso il deserto e si raccontavano prodigi come quello di uno stormo di corvi che avrebbe costantemente indicato la via da seguire.
Giunto al santuario ricevette un oracolo incoraggiante sul suo futuro potere e si sparse la voce che il dio lo avesse accolto come un figlio.

28) Alessandro incoraggiava il diffondersi della credenza delle sue origini divine con gli stranieri per consolidare la loro soggezione ma con i Greci evitava l'argomento o vi accennava con grande discrezione.

29) Tornato in Fenicia dall'Egitto, Alessandro indisse grandi giochi e spettacoli. Quando Dario gli presentò un'offerta per trattare la pace Alessandro gli rispose che se fosse venuto personalmente da lui lo avrebbe accolto cordialmente, altrimenti era già pronto ad attaccare.

30) Stateira, moglie di Dario III che era stata catturata dai Macedoni a Isso, morì di parto in prigionia. Un prigioniero persiano riuscì a fuggire e portò la notizia a Dario non senza lodare gli onori funebri che Alessandro aveva riconosciuto alla regina ed il trattamento che riservava agli altri prigionieri. In particolare il messaggero giurò che alle donne della casa di Dario non era stata arrecata alcuna offesa e convinse Dario della nobile correttezza del suo nemico.

30) Il grande scontro fra Macedoni e Persiani avvenute in una località detta Gaugamela (= Casa del Cammello). Plutarco descrive con drammaticità la notte che precede la battaglia con le tenebre punteggiate dagli innumerevoli fuochi da campo dei Persiani ed Alessandro che consulta l'indovino Aristandro celebrando riti misterici.
Io non rubo la vittoria avrebbe risposto il condottiero a chi gli proponeva di attaccare di notte per non spaventare i soldati con la vista dell'immenso esercito di Dario.

31) Lieto di essere finalmente giunto allo scontro diretto e sicuro della vittoria, Alessandro riposò tranquillamente ed al mattino affrontò la battaglia con serenità e presenza di spirito.
Parmenione, che comandava l'ala sinistra, si trovò in difficoltà e mandò a chiedere aiuto ad Alessandro per difendere le salmerie ma Alessandro, vestite le sue armi e montato Bucefalo, preferì passare direttamente all'attacco.

33) L'irruenza della cavalleria macedone comandata personalmente da Alessandro e seguita dalla falange che si muoveva compatta "come un'onda" mise subito in fuga i nemici.
Dario abbandonò il suo carro da guerra e fuggì in groppa a una cavalla, sarebbe forse caduto prigioniero se un altro appello di Parmenione non avesse distolto Alessandro dall'inseguimento.

34) Alessandro, proclamato re dell'Asia, offrì sacrifici agli dei, dichiarò abolita ogni tirannia in Grecia e donò parte del bottino agli alleati.
Per onorare le glorie del passato concesse benefici a Platea e a Crotone che aveva partecipato alla battaglia di Salamina contro i Persiani.

35) Alessandro visitò l'intera Babilonia. Plutarco inserisce una digressione sulle proprietà della nafta che veniva prelevata da una voragine nei pressi di Ecbatana. Il protagonista appare affascinato dal misterioso liquido così facilmente infiammabile da accendersi spontaneamente in prossimità delle fonti di calore.

36) Dopo il soggiorno a Babilonia, Alessandro raggiunse Susa e prese possesso della reggia e del suo grande tesoro.

27) A Susa Alessandro fece uccidere molti prigionieri, quindi proseguì la visita dell'impero conquistato mentre il suo esercito raccoglieva enormi bottini.

38) Durante un banchetto la cortigiana Taide amante di Tolomeo persuase Alessandro a dar fuoco alla reggia di Dario ma, dopo essersi lasciato tentare, Alessandro cambiò parere ed ordinò di spegnere l'incendio.

39) Generoso per natura, Alessandro lo divenne ancora di più con l'aumentare delle sue ricchezze, come Plutarco dimostra con alcuni esempi. Fra questi quello di Mazeo, già generale di Dario che passato ai Macedoni ottenne la satrapia di Babilonia.
Preoccupata per l'eccessiva magnificenza del figlio, Olimpiade scriveva ad Alessandro mettendolo in guardia contro le insidie celate nel rendere gli amici troppo ricchi e potenti.

40) Quando vedeva gli amici impigrirsi ed abbandonarsi al lusso li rimproverava senza asprezza cercando di ricondurli alla misura.
Non smise mai di esercitarsi nelle attività fisiche e nella caccia, una sua lotta contro un leone fu immortalata nelle sculture di Lisippo e di Leocare.

41) Le sue abitudini rigorose provocarono malcontento e molti suoi amici lo criticarono ma Alessandro continuò a trattarli con benevolenza come dimostra Plutarco con esempi riguardanti Efestione ed altri personaggi vicini al re.

42) Fu sempre premuroso verso gli amici e clemente nell'amministrare la giustizia.

Dopo la digressione l'autore riprende a narrare gli eventi: saputo che Dario era stato catturato da Besso satrapo della Battriana, Alessandro congedò i Tessali assegnando loro un ricco compenso, partì quindi per un lungo e difficile inseguimento.

43) Quando i Macedoni raggiunsero il campo di Besso trovarono Dario in fin di vita. Il re strinse la mano a un soldato macedone che gli aveva dato da bere e spirò benedicendo Alessandro per la benevolenza verso i suoi congiunti.
In seguito Alessandro catturò Besso che era fuggito dopo aver assassinato Dario e lo fece squartare. Quanto al corpo di Dario fu mandato alla madre a Persepoli regalmente adornato.

44) In Ircania fu rapito Bucefalo e Alessandro minacciò una strage degli abitanti ma tornò alla clemenza quando l'animale gli fu restituito.

45) Nella regione dei Parti, per la prima volta Alessandro adattò il proprio abbigliamento alla foggia orientale. Ciò dispiacque ai Macedoni che comunque accettarono volentieri la scelta grazie alla profonda ammirazione che nutrivano per il condottiero.

46) Alcuni fra i biografi di Alessandro raccontano che il conquistatore si unì ad un'amazzone, ma Plutarco respinge la notizia razionalizzandola con una proposta di matrimonio con una principessa scita ricevuta da Alessandro.

47) Alessandro consentiva di lasciare l'esercito a quanti desideravano tornare in Macedonia ma grazie al suo carisma pochi lo abbandonarono.
Intanto egli cercava di fondere la sua gente con i Persiani per raggiungere l'unione con metodi pacifici. Scelte trentamila giovani Persiani e fece insegnare loro la lingua greca.
Conobbe ad un banchetto la bella Rossane e se ne innamorò ma non volle unirsi a lei prima di averla sposata.
Affidò i rapporti con la nobiltà persiana all'amico Efestione mentre le relazioni con Greci e Persiani erano curate da Cratero che si mostrava più legato alle tradizioni. Quando Efestione e Cratero per un diverbio stavano per passare alle spade Alessandro intervenne per dividerli e dopo averli severamente rimproverati li riconciliò.

48) Filota figlio di Parmenione era stimato per il suo coraggio e per la sua generosità ma la ricchezza ottenuta lo aveva reso superbo e arrogante.
Si vantava di aver compiuto grandi imprese attribuendo a se stesso e ad altri generali le vittorie dei Macedoni. Alessandro ne fu informato e prese a controllarlo.

49) Filota, non sospettando di essere sorvegliato, continuò con le sue vanterie e la sua maldicenza ma quando fu sospettato di aver organizzato un attentato al re venne arrestato, interrogato e infine messo a morte. Inoltre Alessandro fece uccidere Parmenione, vecchio collaboratore di Filippo.

50) Un fatto analogo riguardò Clito che durante una festa rinfacciò ad Alessandro di avergli salvato la vita durante la battaglia del Granico.

51) Era nata una discussione violenta fra Clito e Alessandro perché il primo accusava il secondo di trattare come schiavi collaboratori ed amici. Molti si adoperarono per sedare gli animi ma Clito insisteva nelle sue ingiurie e Alessandro, sconvolto dall'ira, lo uccise con le sue mani.

52) Il giorno seguente Alessandro si pentì del gesto compiuto e cercò sollievo al suo rimorso nella compagnia del filosofo Callistene.

53) Callistene era ammirato per la sua eloquenza e per il suo modo di vivere ordinato, serio e sobrio. Aveva seguito Alessandro, come egli stesso dichiarava, per ottenere la ricostruzione di Olinto come Aristotele l'aveva ottenuta per Stagira, tuttavia la sua severità di costumi e l'asprezza dei suoi giudizi lo resero inviso ad Alessandro e a molti Macedoni.

54) Callistene rifiutava di prostrarsi di fronte a Alessandro, comportamento dignitoso a giudizio di Plutarco, ma che procurò la sua rovina.

55) Quando il giovane nobile Ermolao congiurò contro Alessandro (la "congiura dei paggi" del 327 a.C.), Callistene fu accusato di averlo sobillato. Nessuno dei congiurati interrogati sotto tortura fece il suo nome ma il filosofo fu arrestato e morì di malattia in prigione o, secondo alcuni, fu impiccato per ordine di Alessandro.

56) Demarato di Corinto, nonostante l'età avanzata, seguì Alessandro e ne fu sempre grande ammiratore. Morì di malattia e l'esercito gli tributò molti onori.

57) Prima di passare in India Alessandro fece incendiare molti carri che trasportavano il bottino per facilitare la marcia liberando i soldati del superfluo.

58) Era religioso e dava molta importanza ai presagi, ma sosteneva che il coraggio può vincere l'avversa fortuna e la virtù prevalere sulla forza bruta. Lo dimostrò conquistando l'inaccessibile rocca di Sisimitro e in molte pericolose imprese.

59) Il re di Taxila, una regione dell'India, si arrese spontaneamente ad Alessandro che lo trattò con benevolenza, ma in altre regioni i combattimenti furono duri e le stragi compiute dai Macedoni costituiscono per Plutarco una macchia sulla gloria di Alessandro.

60) Oltre il fiume Idaspe si svolse la campagna di Alessandro contro il re indiano Poro (Paurava). Plutarco descrive in particolare il pericoloso attraversamento del fiume sotto una pioggia torrenziale ed il successivo scontro con la cavalleria e con gli elefanti degli Indiani.
Una volta sottomesso Poro, Alessandro lo lasciò governare con la carica di satrapo.

61) Poco dopo la battaglia dell'Idaspe morì Bucefalo che ormai aveva raggiunto i trent'anni e Alessandro ne fu molto addolorato e gli dedicò una città da lui fondata in quei luoghi. Un altra città dedicò al suo amato cane Perita quando morì.

62) Alessandro avrebbe voluto raggiungere e superare il Gange ma i suoi soldati erano sfiniti e gli amici lo convinsero a rinunciare. A malincuore Alessandro ordinò di togliere il campo e fece costruire grandi altari agli dei come testimonianza del suo passaggio.

63) Fece costruire delle navi e prese a discendere i fiumi verso l'Oceano. Durante la navigazione si fermava spesso per sottomettere le popolazioni rivierasche.

Nel territorio della tribù dei Malli rischiò la vita trovandosi isolato in combattimento e fu gravemente ferito ma ancora una volta riuscì a sopravvivere.

64) Fece arrestare dieci gimnosofisti coinvolti in una ribellione e li sottopose ad una serie di difficili domande promettendo la morte a chi non avesse risposto in modo esatto. L'episodio è considerato non storico.
Le domande e le risposte (ad esempio Qual è l'animale più astuto? Quello che l'uomo non ha ancora conosciuto) sono tipiche della dottrina di questi filosofi orientali dediti alla meditazione e all'astinenza che divennero noti in occidente proprio in seguito all'impresa di Alessandro, dottrina che viene considerata affine a quella dei cinici.

65) Alessandro liberò i filosofi prigionieri ed incaricò Onesicrito di studiare le loro teorie.

66) Dopo sette mesi di navigazione fluviale Alessandro raggiunse l'Oceano, approdò ad un isola che chiamò Scilusti dove offrì sacrifici agli dei. Affidò la flotta a Nearco e a Onesicrito ed affrontò con l'esercito un terribile viaggio attraverso terre incolte durante il quale perse molti uomini a causa del caldo torrido, della fatica e della mancanza di viveri.
Dopo sessanta giorni raggiunse la Gedrosia in territorio persiano dove finalmente l'esercito venne rifornito e ristorato.

67) Alessandro riprese il viaggio con un corteo trionfale formato da molti carri sontuosamente addobbati. L'esercito marciava cantando e bevendo. Si tenevano spettacoli e danze bacchiche.

68) Quando si ricongiunse con Nearco, Alessandro decise di navigare lungo l'Eufrate e poi circumnavigare l'Africa ma scoppiò una grande ribellione.
Anche Olimpiade e Cleopatra si ribellarono ad Antipatro, Olimpiade si impossessò dell'Epiro e l'altra della Macedonia. Il conquistatore riprese la marcia per punire i ribelli inviando Nearco a scatenare guerre lungo il litorale.

69) In Persia, secondo un uso locale, distribuì denaro alle donne, quindi rese onore al sepolcro di Ciro facendo uccidere un uomo che lo aveva profanato.
Il nobile Calano, da tempo malato, volle morire stendendosi su una pira e facendosi dare fuoco.

70) A Susa Alessandro promosse le nozze dei suoi amici con donne persiane ed egli stesso sposò Stateira figlia di Dario.
Un ufficiale di nome Antigene, glorioso combattente già accanto a Filippo, tramò per appropriarsi indebitamente di donazioni in denaro elargite da Alessandro e venne scoperto ma fu perdonato in considerazione dei suoi meriti.

71) Alessandro arruolò i trentamila giovani Persiani che aveva fatto educare provocando la gelosia dei Macedoni ed infinite lamentele. Irritato, allontanò quanti protestavano e quando quelli si umiliarono chiedendo perdono li trattò con sufficienza per qualche giorno, infine ristabilì buoni rapporti, congedò con onore feriti e malati e dispose una pensione per gli orfani dei caduti.

72) Giunto a Ecbatana, Alessandro indisse spettacoli e giochi ma morì il suo intimo amico Efestione e Alessandro per vincere il dolore riprese a combattere. Sterminò una tribù di briganti detti Cossei definendo la strage "un sacrificio funebre per Efestione".
Stanziò una somma enorme per onorare la memoria dell'amico e prese ad esaminare molti progetti di opere strane e dispendiose.

73) Andando verso Babilonia (nella primavera del 323 a.C.) fu turbato da diversi presagi infausti.

74) Alessandro cominciò a sospettare degli amici e a temere Antipatro e i suoi figli Iolao e Cassandro. In particolare era in contrasto con Cassandro che lo temeva al punto di tremare davanti alla sua statua anche dopo essere divenuto re di Macedonia molti anni dopo.

75) Quando giunse il responso dell'oracolo di Ammone richiesto da Alessandro che ordinava di tributare a Efestione le esequie di un eroe, il re sciolse il lutto e riprese i simposi. Durante un festino offerto dall'amico Medio bevve molto vino ed il giorno successivo fu colto da una febbre violenta che in pochi giorni lo portò alla tomba.

76) I diari di corte raccontavano gli ultimi giorni di Alessandro tormentati dalla febbre e trascorsi in compagnia di Medio, Nearco ed altri ufficiali.

77) Sei anni dopo, in seguito ad una denuncia, Olimpiade mandò a morte molte persone accusate di aver avvelenato Alessandro e per lo stesso motivo fece disperdere le ceneri di Iolao che era già morto da tempo.
Anche Aristotele venne sospettato ma in realtà l'uccisione del conquistatore non venne mai dimostrata.
Rossane per gelosia uccise Stateira con la connivenza di Perdicca. Quest'ultimo divenne molto potente e si appropriò del trono prendendo con se Arrideo che era mentalmente minorato, si diceva, a causa di droghe somministrategli da Olimpiade.



CESARE


Ancora molto giovane, Cesare chiese al popolo una magistratura sacerdotale ma non la ottenne per l'opposizione di Silla. Parente di Mario che aveva sposato sua zia Giulia e genero di Lucio Cornelio Cinna, Giulio Cesare era detestato da Silla che diceva di "vedere in lui molti Marii" e intendeva mandarlo a morte.
Riuscì a sfuggire dall'arresto corrompendo un liberto di Silla e partì per la Bitinia dove fu ospitato dal re Nicomede. Durante il viaggio di ritorno fu catturato dai pirati e dovette mandare quanti lo accompagnavano in cerca di denaro per pagare il riscatto. Durante i trentotto giorni di prigionia trattò i pirati come servitori, ma una volta liberato per aver pagato il riscatto armò delle navi a Mileto e catturò i pirati, recuperò il denaro e fece crocifiggere i rapitori.
Prima di rientrare a Roma trascorse un periodo a Rodi per studiare presso Apollonio Molone, maestro di retorica. Molto versato nell'eloquenza rinunciò a conseguirne il primato volendo eccellere nelle attività politiche e militari.
Tornato a Roma fece processare Cneo Cornelio Dolabella per concussione con l'appoggio delle città greche che l'accusato aveva governato. Più tardi sostenne le stesse città in un processo contro Antonio Ibrida.
Per l'affabilità e la cortesia era benvoluto dai cittadini e offrendo molti banchetti si guadagnava un certo ascendente politico. Solo Cicerone sembra aver intuito sino dai primi tempi le mire tiranniche di Cesare.
Fu eletto tribuno militare (73 a.C.) e in occasione delle esequie della zia Giulia ne pronunciò l'elogio funebre e fece sfilare le statue di Mario suscitando grande scalpore. Pronunciò l'orazione funebre anche per la moglie Cornelia figlia di Cinna (morta nel 69 a.C.).
Rimasto vedovo partì per la Spagna come questore del pretore Caio Antistio Vetere e al ritorno sposò Pompeia (figlia di Quinto Pompeo Rufo, console nell'88 a.C.).
Contrasse molti debiti per pagare i banchetti che offriva, per la manutenzione della Via Appia della quale era stato nominato curatore, per offrire spettacoli, ma questa liberalità gli procurò la stima e la gratitudine del popolo.
Cercò di favorire la fazione mariana che era caduta in disgrazia e da edile fece collocare di notte nuove statue di Mario sul Campidoglio. Ovviamente per quest'azione fu attaccato dai sillani e in senato Lutazio Catulo lo accusò di mirare al potere con mezzi illeciti, ma Cesare seppe abilmente schivare le accuse.
Quando morì il pontefice Metello (Quinto Cecilio Metello Pio console nell'80 a.C., morto nel 63 a.C.) Cesare si candidò contro Publio Servilio Vatia Isaurico e Lutazio Catulo, quest'ultimo gli offrì una forte somma di denaro perché si ritirasse ma Cesare respinse la proposta e fu eletto pontefice massimo.
Durante il consolato di Cicerone fu l'unico a pronunciarsi contro la pena di morte per Publio Cornelio Lentulo Sura e Caio Cornelio Cetego, complici di Catilina, e fu sospettato di aver partecipato alla congiura. Conclusa la riunione le guardie del corpo del console stavano per uccidere Cesare che fu salvato dall'intervento di Caio Scribonio Curione e dello stesso Cicerone.
Quando pochi giorni dopo Cesare fu convocato in senato per chiarire la sua posizione il popolo minacciò di insorgere e si verificarono disordini. La plebe fu quietata con una distribuzione di grano proposta da Catone.
Durante la pretura di Cesare il ricco e nobile Publio Clodio Pulcro si innamorò di Pompeia, ma i due amanti avevano difficoltà ad incontrarsi a causa della vigilanza di Aurelia madre di Cesare.
In occasione della festa della Bona Dea (prima settimana di dicembre) i relativi riti misterici che erano riservati alle donne si svolsero in casa di Cesare che in quell'anno era pontefice massimo e pretore. Clodio ne approfittò per introdursi nella casa travestito da donna, ma fu scoperto e cacciato.
Il giorno seguente Clodio fu formalmente accusato di sacrilegio ed alcuni senatori aggiunsero altre accuse fra cui quella di incesto con la sorella moglie di Lucullo.
Cesare ripudiò la moglie ma non si pronunciò contro Clodio, forse per compiacere il popolo che lo difendeva per odio verso l'aristocrazia. Clodio venne assolto.
Dopo la pretura Cesare ebbe la provincia di Spagna ma i creditori ostacolavano la sua partenza, si rivolse a Crasso che lo desiderava dalla sua parte contro Pompeo e che lo aiutò finanziariamente.
In Spagna sedò le rivolte di Calaici e Lusitani, conquistò nuovi territori e governò saggiamente tornando in patria arricchito e benvoluto dai suoi soldati.
Poiché i candidati al consolato dovevano operare in città mentre gli aspiranti al trionfo dovevano rimanerne fuori, Cesare decise di rinunciare al trionfo che avrebbe potuto ottenere per i successi in Spagna e di portare avanti la campagna elettorale.
Riuscì a riconciliare Pompeo e Crasso formando con loro una coalizione che gli conferiva di fatto i massimi poteri garantendogli il consenso dei due uomini più potenti di Roma. Plutarco osserva che la guerra civile non fu provocata dalla discordia fra Cesare e Pompeo ma dalla loro concordia poiché prima di scontrarsi agirono insieme per abbattere l'aristocrazia.
Con l'appoggio del triumvirato Cesare vinse facilmente le elezioni ed ebbe il consolato insieme a Marco Calpurnio Bibulo (59 a.C.), avanzò subito proposte di legge gradite al popolo entrando in aperto contrasto con gli ottimati del senato.
Per consolidare l'alleanza con Pompeo gli fece sposare la figlia Giulia mentre egli stesso sposava Calpurnia figlia di Pisone facendo ottenere al suocero il consolato per l'anno seguente.
I tribuni della plebe fecero assegnare a Cesare la Gallia e l'Illirico per cinque anni, Catone si oppose e Cesare lo fece arrestare ma poi si accordò con un tribuno perché si opponesse all'arresto, preoccupato dal prestigio di cui il senatore godeva anche presso il popolo.
Cesare promosse la nomina a tribuno della plebe di Clodio al quale chiese l'esilio di Cicerone e rimase per tre mesi in armi alle porte di Roma finché l'oratore non venne esiliato.
Inizia qui il racconto delle gesta militari di Cesare in Gallia, racconto che Plutarco non sviluppa in ordine cronologico perché la sua intenzione non è quella di narrare gli eventi in modo storiografico ma quella di rappresentare i caratteri del generale Cesare dopo aver parlato di Cesare uomo politico emergente.
Mosso da un incontenibile desiderio di gloria, Cesare superava con la forza di volontà i limiti della sua condizione di uomo non robusto e malato di epilessia. Si sottoponeva alle stesse fatiche sopportate dai suoi soldati dei quali condivideva sofferenze ed abitudini. Per questi motivi oltre che per le sue capacità strategiche, i suoi uomini lo amavano e lo seguivano con una dedizione che superava il dovere.
Un'altra caratteristica di Cesare era la rapidità negli spostamenti, quando uscì da Roma per la prima campagna raggiunse il Rodano in soli otto giorni (marzo 58 a.C.).
Il primo combattimento delle guerre galliche fu contro Elvezi e Tigurini che avevano attaccato la Gallia Romana. Cesare sconfisse duramente gli Elvezi respingendoli nei loro territori mentre i Tigurini furono vinti dal suo luogotenente Labieno.
La guerra proseguì contro i Germani quando fu rotta l'alleanza che l'anno precedente Cesare aveva firmato con il loro re Ariovisto a causa dei tentativi dei Germani di invadere i territori limitrofi.
Le forze dei Germani scoraggiarono molti ufficiali romani, ma Cesare li colpì nell'orgoglio consentendo loro di tornare in patria se non avevano il coraggio di proseguire. All'avvicinarsi in massa delle legioni fu il turno dei Germani a perdersi d'animo. Attaccando i nemici di sorpresa Cesare ne fece strage e li respinse oltre il Reno.
Al termine dell'estate (del 58 a.C.) Cesare lasciò l'esercito a svernare in una regione pacifica e si dedicò al governo della Gallia Cisalpina, provincia che gli era assegnata, ma quando seppe che le popolazioni settentrionali si erano ribellate piombò su di loro. Molte delle popolazioni ribelli si arresero spontaneamente, non così i Nervii che combatterono strenuamente ma furono sterminati dalle legioni di Cesare.
Il senato decretò quindici giorni di festeggiamenti per queste imprese. Cesare trascorse l'inverno successivo nella valle del Po preparando tramite i suoi sostenitori la propria azione politica in Roma. Incontrò a Lucca Crasso, Pompeo, Appio Claudio Pulcro propretore della Sardegna, Quinto Cecilio Metello Nepote proconsole in Spagna e molti altri personaggi illustri. In questo convegno si decise di conferire il consolato a Pompeo e Crasso e si prorogò a Cesare l'incarico in Gallia per altri cinque anni.
Tornato in Gallia, Cesare trovò un'altra guerra perché delle tribù germaniche avevano oltre passato il Reno. Cesare avviò delle trattative ma i Germani lo attaccarono di sorpresa, azione sleale che Cesare non tardò a ricambiare: i barbari persero quattrocentomila uomini e i superstiti fuggirono oltre il fiume presso i Sigambri. Il generale decise di attaccare anche questi e per farlo con un'opera straordinaria costruì in soli dieci giorni un ponte sul Reno.
Entrato in Germani Cesare vi si trattenne diciotto giorni devastando il territorio nemico ma senza combattere perché i Germani erano fuggiti.
Affrontò quindi la spedizione in Britannia, primo romano a spingersi con una flotta nell'oceano. Prese l'isola ma giudicò che non valesse la pena di governarla e ripartì prendendo degli ostaggi e imponendo un tributo.
Gli giunse la notizia che la figlia Giulia, moglie di Pompeo, era morta di parto. Il neonato le sopravvisse pochi giorni. Furono in molti a Roma a preoccuparsi per la fine che la parentela fra Cesare e Pompeo portasse alla discordia.
Quando rientrò in Italia per l'inverno la Gallia si sollevò di nuovo e il capo Ambiorige massacrò l'esercito di Lucio Aurunculeio Cotta e di Quinto Titurio Sabino. Ambiorige intrappolò la legione comandata da Quinto Tullio Cicerone, il fratello dell'oratore, ma Cesare ne fu informato e si precipitò sul luogo dove, nonostante disponesse di pochi uomini, con un'abile strategia massacrò i nemici.
In quella regione le insurrezioni ebbero fine ma altre e più gravi ne nacquero in altre zone della Gallia, alla testa dei ribelli era un giovane capo di nome Vercingetorige.
Cesare si mosse immediatamente verso gli insorti non preoccupandosi del clima invernale nè dell'opposizione contro di lui che stava prendendo forza a Roma. Nel territorio dei Lingoni il grosso delle forze dei ribelli che appartenevano a diverse popolazioni circondò le legioni romane che dopo una lunga battaglia ed una grande strage riuscirono a mettere in fuga i superstiti.
Vercingetorige con quanto rimaneva del suo esercito riparò ad Alesia (Mont-Auxois), città che Cesare cinse subito d'assedio ma venne a sapere che altri combattenti Galli stavano accorrendo ed erano centinaia di migliaia.
Per evitare di essere preso fra gli assediati e i soccorritori Cesare fece rapidamente costruire due cinte murarie a protezione delle legioni. Si rivolse quindi verso i nemici provenienti dall'esterno e li sconfisse con tale rapidità che quando i difensori di Alesia se ne resero conto la battaglia era già finita.
Gli assediati si arresero poco dopo e Vercingetorige si consegnò spontaneamente al generale vincitore.
Dopo la morte di Crasso i rapporti fra Cesare e Pompeo precipitarono: il primo doveva eliminare il secondo per ottenere il potere assoluto e Pompeo doveva eliminare Cesare perché era divenuto troppo pericoloso.
A Roma vigevano disordine e anarchia e non erano infrequenti scontri armati fra le opposte fazioni.
Su proposta di Catone il senato nominò Pompeo console unico (52 a.C.) e prorogò i suoi incarichi nelle province di Spagna e Africa. Cesare si candidò a sua volta al consolato e chiese di veder prorogati i suoi mandati come Pompeo. Si opposero Marco Claudio Marcello e Lucio Cornelio Lentulo Crure i quali non risparmiarono alcun mezzo per diffamare Cesare.
Pompeo mandò a chiedere al rivale la restituzione delle legioni che gli aveva prestato per la guerra in Gallia e quando i comandanti di queste legioni rientrarono in Italia si diedero a loro volta a calunniare Cesare. Questa situazione, secondo Plutarco, indusse Pompeo nell'errore di sottovalutare l'avversario.
Il senato si riunì per decidere sulla situazione, i due contendenti non si trovavano a Roma; Cesare era rappresentato da Curione e Pompeo dal suocero Quinto Cecilio Metello Pio Scipione.
Fu letta la proposta di Cesare che suggeriva che entrambi deponessero le armi per trattare la questione da privati cittadini. L'idea incontrava la piena approvazione popolare ma in senato nacquero accese discussioni e i consoli sciolsero la seduta.
Tornato a Roma dalla Cilicia, Cicerone cercò di fare da mediatore, le richieste di Cesare erano ragionevoli e Pompeo si stava orientando ad accoglierle ma il console Lentulo si oppose e cacciò dal senato i rappresentanti di Cesare.
Questi aveva con se una sola legione ma decise di agire immediatamente: partì a tarda sera e giunto al Rubicone si fermò per riflettere e per discutere con Caio Asinio Pollione e pochi altri amici, turbato dall'importanza del momento, quindi prese improvvisamente la sua decisione e pronunciata la famosa frase "si getti il dado" passò il fiume e prima di giorno occupò Rimini.
Seguirono giornate drammatiche di agitazione e paura in tutta Italia. Pompeo, sconvolto, veniva spesso accusato di aver aiutato Cesare a raggiungere il potere di cui ora godeva. Scontri, tumulti e risse si verificavano ovunque.
Infine Pompeo lasciò Roma seguito da gran parte dei senatori. Anche molti cesariani, impauriti e confusi, fuggirono dalla città e Labieno, fidato luogotenente di Cesare, passò a Pompeo.
Avvicinandosi a Roma Cesare si dimostrava clemente verso quanti faceva prigionieri. Lucio Domizio Enobarbo, dopo aver tentato il suicidio, accolse Cesare a Corfinio, ma poi passò di nuovo a Pompeo.
Le notizie sul comportamento di Cesare rincuorarono i Romani e una parte di loro rientrò in città.
Dopo la presa di Corfinio, Cesare che aveva raccolto molti soldati lungo la strada, intercettò Pompeo ma questi evitò lo scontro e corse ad imbarcarsi a Brindisi mentre Cesare, che non aveva navi, dovette rinunciare a seguirlo e si diresse a Roma.
Affrontò il senato con atteggiamento benevolo mostrando di voler tentare un accordo con Pompeo, ma respinse duramente un tribuno della plebe che voleva impedirgli di accedere al tesoro erariale.
Decise quindi di cacciare dalla Spagna i legati di Pompeo Lucio Afranio e Marco Terenzio Varrone Reatino (il famoso erudito) e portò la guerra nella provincia finché non riuscì ad impadronirsi dell'esercito di Pompeo.
Tornato a Roma, nel 49 a.C., emise in qualità di dittatore alcuni provvedimenti fra cui restituire i diritti civili ai figli dei proscritti di Silla e dopo undici giorni depose la dittatura per assumere il consolato insieme a Servilio Isaurico.
Nonostante si fosse in gennaio portò l'esercito a Brindisi per imbarcarlo e cercare Pompeo creando un certo malcontento fra i soldati che ritardarono la marcia ed arrivati al porto scoprirono che Cesare era già salpato.
Partirono con un secondo tragitto delle navi guidati da Antonio ma nel frattempo Cesare per non restare a corto di uomini rischiò senza successo una traversata durante una tempesta.
Ricevuti i rinforzi cominciò a provocare Pompeo che era avvantaggiato dalla posizione migliore e dagli abbondanti rifornimenti mentre i soldati di Cesare arrivarono a cibarsi di radici. Si svolse una serie di scaramucce e in un'occasione Pompeo attaccò improvvisamente e Cesare subì una grave sconfitta a Durazzo in seguito alla quale decise di spostarsi in Macedonia (zona per lui più favorevole) per affrontare l'esercito di Scipione proveniente dalla Siria, sperando che Pompeo lo seguisse.
Dal canto suo Pompeo riprese a temporeggiare contando di indebolire con l'attesa il nemico che era tormentato dalla scarsità di cibo, dalla fatica e dalle malattie. Tuttavia poiché tutti i suoi ufficiali erano ansiosi di combattere, controvoglia si mosse per seguire i cesariani.
In Tessaglia Cesare prese la città di Gonfi dove i suoi uomini riuscirono a rifocillarsi e curarsi, quindi si portò nella piana di Farsalo dove mise il campo in attesa degli scontri.
Pompeo giunse nei primi giorni di agosto e subito offrì la battaglia con soddisfazione di Cesare che si affrettò a disporre l'esercito in campo. Le tre ali in cui i soldati furono divisi erano comandate da Cneo Domizio Calvino, Antonio e dallo stesso Cesare. Insieme a Pompeo guidavano l'esercito avversario il suocero Scipione e Domizio Enobarbo.
All'inizio della battaglia la cavalleria di Pompeo attaccò l'ala sinistra nemica ma Cesare aveva dato ordine ai suoi fanti di fronteggiarla mirando con i giavellotti al viso, ciò che spaventò molto i cavalieri giovani e inesperti di Pompeo che presto fuggirono. A questo punto Pompeo, colto dalla disperazione, si ritirò nel suo campo per poi allontanarsi con pochissimi compagni.
Cesare prese il campo nemico e fece molti prigionieri che in gran parte furono arruolati nel suo esercito. Perdonò molti pompeiani fra cui Bruto che poi lo uccise.
Cesare inseguì Pompeo fino ad Alessandria ma qui giunto trovò che il suo nemico era già stato ucciso.
In Egitto Cesare combattè una guerra da molti ritenuta non necessaria. Gli si opponeva l'eunuco Potino, uno dei consiglieri di Tolomeo, fautore dell'uccisione di Pompeo che aveva esiliato Cleopatra e si sforzava di allontanarlo dall'Egitto.
Cesare fece rientrare Cleopatra (Plutarco cita il singolare episodio della regina trasportata in un sacco avvolto di coperte) e subito ne rimase affascinato, la riconciliò con il fratello Tolomeo e l'associò al trono.
Quando fu noto che Potino tramava con il comandante delle sue truppe Achilla per eliminare il conquisatore, Cesare lo fece uccidere, ma Achilla fuggì per tornare poco dopo con un esercito ed attaccare Alessandria (ottobre 48 a.C.).
Assediato nel palazzo reale con pochi soldati, Cesare dovette resistere in attesa di rinforzi correndo grandi pericoli. Alla fine Cesare prevalse e sconfisse i nemici ai quali si era unito anche Tolomeo XIV che scomparve durante la battaglia (27 marzo 47 a.C.).
Partendo per la Siria Cesare lasciò sul trono d'Egitto Cleopatra che poco dopo gli partorì un figlio che fu chiamato Cesarione.
Intanto Farnace figlio di Mitridate aveva occupato Bitinia e Cappadocia (precedentemente sottratte al padre da Pompeo) sconfiggendo Domizio. Cesare distrusse il suo esercito con tale rapidità che comunicò a Roma la vittoria con il motto "Venni, vidi, vinsi" poi divenuto famoso.
Tornò in Italia al termine del suo secondo anno di dittatura (26 novembre 46 a.C.) e fu nominato console per l'anno successivo.
In questo periodo Cesare fu criticato da molti per la mitezza con cui aveva sedato una rivolta militare nella quale erano stati uccisi Cosconio (tribuno della plebe nel 59 a.C.) e Publio Sulpicio Galba (pontefice massimo nel 57 a.C.). Anche il comportamento di alcuni suoi aiutanti non era gradito ai Romani, come nel caso di Publio Cornelio Dolabella (tribuno della plebe nel 47 a.C.) e di Marco Antonio.
Catone e Metello Scipione (suocero di Pompeo) avevano raccolto forze in Africa con l'aiuto di Giuba I, Cesare li affrontò traghettando in Africa i suoi soldati che si trovarono in difficoltà per carenza di cibo.
Dopo alcune scaramucce sfavorevoli per i cesariani, Scipione decise di venire alla battaglia decisiva e preparò un campo fortificato presso la città di Tapso, ma Cesare si mosse in modo fulmineo e in un solo giorno conquistò le postazioni avversarie ed uccise cinquantamila nemici.
Si diresse quindi a Utica, città difesa da Catone che non aveva partecipato alla battaglia, ma all'arrivo seppe del suicidio del suo rivale e, dicono, se ne dispiacque. In seguito scrisse l'Anticato, opera polemica in risposta all'elogio di Catone composto da Cicerone.
Tornato a Roma celebrò il trionfo sulla Gallia, l'Egitto, il Ponto e l'Africa. In quest'occasione sfilò nel corteo trionfale il giovanissimo Giuba II che in seguito divenne un famoso scrittore.
Seguirono grandi feste con banchetti e distribuzioni di donativi ai soldati. Si tenne quindi il censimento che svelò quanto tragicamente la popolazione fosse diminuita a causa della guerra civile.
Cesare passò in Spagna per combattere contro i figli di Pompeo (Cneo Pompeo e Sesto Pompeo) che avevano organizzato un grande esercito. Li sconfisse a Munda in una delle sue battaglie più difficili e pericolose, che fu anche l'ultima da lui combattuta. In seguito celebrò un altro trionfo che non piacque a molti Romani che giudicarono indegno solennizzare una tragedia della patria.
Cesare assunse la carica di dittatore a vita, che equivaleva in pratica a una monarchia e gli adulatori gareggiarono nel rendegli ogni sorta di onori.
Si mostrò clemente con i suoi nemici liberando tutti e in alcuni casi concedendo loro delle cariche, Bruto e Cassio furono nominati pretori, le statue di Pompeo vennero ricollocate. Rifiutò la guardia del corpo e riprese ad offrire feste e donativi al popolo, studiò ogni modo per compiacere anche gli ottimati desiderando governare con il consenso generale.
Mai sazio di gloria progettò una spedizione contro i Parti al ritorno della quale avrebbe fatto un giro lungo i confini dell'impero. Progettò anche opere civili come la deviazione dell'ultimo tratto del Tevere per migliorarne la navigabilità e la bonifica della pianura laziale.
La sua riforma del calendario, di grande utilità pratica, fu studiata e realizzata da filosofi e matematici.
Ciò che portò Cesare alla rovina fu l'aspirazione al regno che suscitò l'odio dei Romani che per antica tradizione aborrivano la monarchia. Cesare ricusava ogni accenno all'argomento ma alcuni suoi atteggiamenti venivano considerati irrispettosi nei confronti del senato e della città.
Durante la festa dei Lupercali (15 febbraio), Cesare osservava la cerimonia dai Rostri in abbigliamento trionfale quando Antonio, che partecipava alla corsa rituale, gli offrì per due volte una corona d'alloro. Cesare rifiutò fra gli applausi del popolo.
Molti contavano su Bruto che era genero e nipote di Catone e pareva discendere dall'antico Bruto fondatore della Repubblica, ma Bruto, che da Cesare era stato perdonato a Farsalo ed aveva ottenuto cariche e favori, si sentiva in debito verso il dittatore. Ma a poco a poco la sua ambizione andò riscaldandosi, stimolata da quanti lo incitavano.
Si dice che intanto si verificassero prodigi e segni premonitori. Calpurnia sognò la morte violenta del marito e la mattina seguente lo pregò di non uscire e di rimandare la seduta del senato. Turbato dalle parole di Calpurnia, Cesare stava per mandare Antonio a congedare i senatori quando Decimo Giunio Bruto Albino, uomo di fiducia di Cesare ma partecipe alla congiura, lo schernì per la sua debolezza e lo accompagnò in strada.
Artemidoro di Cnido che era a conoscenza della congiura tentò di informare Cesare passandogli uno scritto ma il dittatore non riuscì a leggerlo a causa della massa di gente che gli stava intorno.
Quel giorno il senato si riuniva nella Curia Pompeia, edificio pubblico eretto da Pompeo e ornato con la sua statua. Decimo Bruto si occupò di trattenere Antonio all'esterno mentre Cesare entrava accolto dai senatori in piedi e da alcuni compagni di Bruto che gli andarono incontro con Tillio Cimbrio, supplice per un fratello esule.
Tillio afferrò la sua tunica dando il segnale ai congiurati. Il primo a colpire fu Publio Servilio Casca Longo e subito Cesare si trovò circondato. Dicono che smise di difendersi e si coprì il volto quando vide Bruto estrarre il pugnale. Cadde ai piedi della statua di Pompeo imbrattandola di sangue. I senatori fuggirono sconvolti comunicando il panico alla gente in strada. Antonio e Lepido si rifugiarono in case non loro; Bruto e i suoi compagni, ostentando i pugnali insanguinati, si diressero al Campidoglio chiamando il popolo alla libertà.
Il giorno successivo Bruto tenne un discorso nel foro che il popolo accolse senza entusiasmo. Il senato si riunì e tentò di normalizzare la situazione deliberando onori divini per Cesare e confermando le sue leggi ma anche assegnando cariche ed onori ai congiurati.
Quando fu aperto il testamento di Cesare però i Romani, scoprendo che il dittatore aveva disposto donativi per ogni cittadino, reagirono contro i congiurati e li cercarono per ucciderli ma senza riuscire a trovarli. Ne fece le spese un amico di Cesare di nome Cinna che venne ucciso perché scambiato per un omonimo congiurato.
Il demone di Cesare perseguitò i suoi uccisori fino ad annientarli. Cassio si suicidò con il pugnale che aveva usato contro Cesare, Bruto vide uno spettro che gli annunciava la disfatta di Filippi, lo rivide durante gli scontri e si tolse la vita.
Una cometa apparve per sette notti dopo la morte di Cesare e per tutto l'anno il sole si levò pallido emanando un calore languido e tenue.