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Storia Augusta

Vita di Adriano

Di Elio Sparziano


La famiglia di Adriano era originaria del Piceno, poi trasferitasi in Spagna. Suo padre Elio Adriano detto Afro era cugino di Traiano, la madre si chiamava Domizia Paolina ed era originaria di Cadice. Sua sorella Paolina sposò Giulio Urso Serviano. Adriano sposò Vibia Sabina.
Il primo membro della famiglia a raggiungere la carica di senatore fu Marullino, bisnonno di Adriano.
Adriano nacque a Roma il 24 gennaio del 76 d.C. Rimasto orfano di padre a dieci anni ebbe come tutori Traiano e Acilio Attiano. Studiò con passione la letteratura greca.

A quindici anni si trasferì in Spagna dedicandosi alla carriera militare ed alla caccia. Richiamato da Traiano tornò a Roma e ricoprì la prima carica pubblica come membro della corte giudiziaria.
Sotto Domiziano fu inviato nella Mesia Inferiore (Bulgaria), in quel tempo gli fu ripetutamente predetto che sarebbe diventato imperatore.
Traiano venne adottato da Nerva ed alla morte di questi Adriano cercò di raggiungere Traiano per essere il primo a comunicargli la notizia. Serviano, cognato di Adriano, si adoperò per screditarlo, tuttavia Adriano con l'aiuto del generale Lucio Licinio Sura recuperò la stima di Traiano del quale sposò una nipote.

Nel 101 d.C. Adriano fu questore. In quel periodo approfondì lo studio delle lettere latine. Ebbe la carica di curator actorum senatus, cioè il compito di curare la redazione degli atti del Senato.
Nel 103 d.C. fu eletto tribuno della plebe.
Durante la campagna di Traiano in Dacia, Adriano ebbe il comando della legione "Minervia" e compì imprese che lo resero celebre.
Successivamente ebbe la pretura e l'incarico di allestire i giochi stanziati da Traiano.
Legato in Pannonia, respinse i Sarmati e ristabilì la disciplina nell'esercito. Nel 108 d.C. ottenne il consolato. In quel periodo Sura rese nota l'intenzione di Traiano di adottare Adriano.

Appoggiato da Plotina, moglie di Traiano, e dai più influenti consiglieri dell'imperatore, Adriano ottenne cariche prestigiose ed un secondo consolato. I maldicenti sostenevano che Adriano corrompeva i liberti di corte e che avrebbe sedotto i "fanciulli che godevano il favore dell'imperatore" per ottenere questi successi.
Si trovava in Siria come legato imperiale quando, il 9 agosto 117 d.C., seppe di essere stato adottato da Traiano, due giorni dopo riceveva la notizia della morte dell'imperatore.
Non mancarono sospetti e pettegolezzi: si diceva che Traiano avrebbe voluto in effetti designare il giurista Lucio Nerazio Prisco e che delle sue ultime parole si fosse fatta circolare una versione contraffatta da Plotina.
Non appena divenne imperatore, Adriano inaugurò una politica di pace e di clemenza. Rinunciò alle province situate oltre il Tigri e l'Eufrate perché si rese conto che non avrebbe potuto controllarle. Evitò di ricorrere a sanzioni contro i suoi avversari politici e non prese provvedimenti contro quanti erano sospettati di cospirazione, come Laberio Massimo e Crasso Frugi.
Adriano chiese al Senato di rendere onori divini a Traiano, quindi rifiutò il trionfo che i Senatori gli avevano decretato per la guerra partica e volle che nel carro trionfale, al suo posto, venisse collocato il ritratto di Traiano. Rifiutò anche l'appellativo di Padre della Patria ed altri onori. Si recò quindi in Mesia per risolvere una rivolta e concluse con i re dei Rossolani un nuovo trattato di pace.
Adriano scampò dalla congiura di Avidio Nigrino. I congiurati vennero giustiziati per decisione del Senato, contro il volere di Adriano, ed egli cercò di cancellare l'impressione negativa derivata da questo fatto elargendo donativi al popolo e scusandosi pubblicamente.
Ancora per conquistare il favore dei sudditi, istituì un servizio postale a sue spese, condonò molti debiti contratti da cittadini con le casse imperiali ed aumentò molti sussidi stanziati da Traiano.
Concesse contributi e vitalizi ai bisognosi, offrì giochi e spattacoli e mostrò in tutto grande liberalità.
Accettava che si allestissero giochi in suo onore solo nel giorno del suo compleanno. Conferì cariche ed onori ma rese rare le nomine di nuovi senatori per innalazare il prestigio del Senato.
Vietò che i cavalieri partecipassero a processi a carico dei senatori.
Conferì al cognato Serviano, che onorava molto, il terzo consolato.
Abbandonò parte delle province conquistate da Traiano (Siria, Mesopotamia ed Armenia) e fece demolire il teatro eretto dal predecessore in Campo Marzio.
Fece in modo di sostituire i prefetti del pretorio che avevano sostenuto la sua elezione perché temeva che diventassero troppo potenti: Attiano fu sostituito da Turbone e Sulpicio Simile da Septicio Claro.
Nella vita quotidiana si comportava sempre con grande semplicità trattando gli amici in modo disponibile e cordiale.
Adriano soggiornò presso le sue truppe in Gallia ed in Germania e pur aspirando alla pace si preoccupò di mantenere il suo esercito in ottime condizioni di allenamento e di disciplina.
Proseguendo il suo viaggio, Adriano giunse in Britannia (nel 122 d.C.) dove attuò numerose riforme e fece costruire il Vallum Hadriani, un muro che divide la provincia romana dal territorio dei barbari (lungo circa 118 km segue approssimativamente il confine fra Inghilterra e Scozia).
Sostituì alcuni funzionari sospettati di intrattenere rapporti troppo intimi con sua moglie Sabina, fra questi il prefetto Septicio Claro e lo storico Svetonio Tranquillo, segretario imperiale.
Amava curiosare nelle vicende private di quanti gli erano vicini ed aveva il vizio di intrattenere relazioni intime con uomini adulti e con donne sposate.
Proseguì il suo viaggio in Gallia dove dedicò una basilica a Plotina, morta in quei giorni, poi in Spagna e trascorse l'inverno a Tarragona (122 d.C.-123 d.C.).
Aggredito da un folle riuscì a ridurlo all'impotenza, quindi dispose che venisse curato, senza alcuna punizione.
Risolse con tatto e diplomazia situazioni delicate, come il malcontento per la leva militare in Spagna ed una minaccia di guerra contro i Parti.
In seguito Adriano visitò l'Asia Minore e la Grecia (123 d.C. - 125 d.C.), volle essere iniziato ai misteri Eleusini e presenziò, in Attica, ai giochi in qualità di agonoteta (presidente).
Fu ancora in Sicilia ed in Africa e continuò, passando di tanto in tanto da Roma, a visitare le province dell'impero.
Visitando l'Asia strinse rapporti amichevoli con molti sovrani e punì molto duramente i procuratori ed i governatori romani che si erano macchiati di qualche colpa.
Durante la sua visita in Egitto morì il giovane Antinoo, caro all'imperatore, il quale, secondo alcuni, si sarebbe sacrificato per salvare la vita di Adriano.
Chiudendo bruscamente il racconto dei viaggi di Adriano, viaggi che in realtà durarono fino al 134 d.C., cioè ancora per quattro anni dopo la morte di Antinoo, l'autore presenta un rapido schizzo del carattere dell'imperatore: appassionato di letteratura, espertissimo di aritmetica, geometria, pittura, musica, dedito ai piaceri eppure estremamente competente in fatto di armi e strategia militare. Un carattere contraddittorio per molti aspetti, sempre incostante. Qui, come in molti altri brani della biografia, l'autore si dimostra combattuto fra ammirazione ed ostilità verso Adriano.
Molto generoso con gli amici, l'imperatore tendeva però a dare eccessivo peso alla maldicenza e ciò provoco la rovina di diversi illustri personaggi, come il già citato Septicio Claro.
Adriano compose un'autobiografia che divulgò sotto falso nome, si occupava con passione anche di astrologia ed intratteneva rapporti amichevoli con ogni genere di erudito e di artista ma si dice che la sua preferenza andò al retore Favorino (che pure nel 131 d.C. subì il confino).
Nonostante l'acredine che di tanto in tanto dimostra nei confronti del suo protagonista, il biografo non manca di celebrare la generosità di Adriano, generosità che andava dallo scambiare doni con gli amici in occasione dei Saturnali, al concedere grandi onori ai sovrani degli stati clienti.
Adriano amministrava la giustizia tramite un consiglio (organo che sotto di lui divenne permanente) che comprendeva famosi giuristi quali Giuvenzio Celso e Salvio Giuliano.
Emanò leggi per mitigare la condizione degli schiavi e per regolare le eredità. Fra i suoi provvedimenti in merito alla vita cittadina, famoso il regolamento che stabiliva turni alterni per uomini e donne nell'accesso alle terme (per evitare che la promiscuità creasse scandali e disordini).
Adriano amava molto gli spettacoli e ne indisse di grandiosi. Fece restaurare o costruire molte grandi opere architettoniche a Roma. Vengono qui ricordati il restauro del Pantheon, la Basilica di Nettuno (eretta da Agrippa nel 25 a.C.), il foro di Augusto e le terme di Agrippa.
In genere non faceva apporre il proprio nome su queste opere. Fecero eccezione il tempio che dedicò a Traiano, il tempio della Bona Dea, il suo mausoleo (Castel Sant'Angelo), ed il ponte antistante (oggi Ponte Sant'Angelo).
Cordiale e spiritoso, amava la conversazione e si dilettava a porre e risolvere quesiti. Era dotato di ottima memoria e di grandi capacità oratorie.
Adriano privò i liberti della casa imperiale di tutte le cariche pubbliche mettendo fine alla corruzione che si era creata sotto i suoi predecessori.
Intervenne sempre in favore delle popolazioni colpite da carestie, epidemie o terremoti. Fu benvoluto dall'esercito e seppe guadagnarsi l'amicizia degli stati confinanti, come Parti e Iberi.
Mantenne la disciplina civile come quella militare, occupandosi dei costumi dei senatori e dei notabili e frenando il lusso e gli sprechi nei banchetti.
Quando Adriano si ammalò decise di occuparsi di designare un successore ma, stando all'autore, prese a sospettare di molte persone che fino ad allora erano state fra i suoi favoriti. Costrinse al suicidio Serviano, sospettato di aspirare all'impero.
Infine designò Ceionio Commodo e lo adottò dandogli il nome di Elio Vero Cesare, ma questi morì poco dopo (1 gennaio 138 d.C.) sembra per una cura sbagliata.
Dopo la morte di Ceionio Commodo, Adriano adottò Arrio Antonino (Antonino Pio) a condizione che questi adottasse a sua volta Lucio Vero, figlio del defunto Ceionio Commodo, e Marco Antonino (il futuro Marco Aurelio).
La malattia di Adriano, dopo temporanee guarigioni e ricadute, lo portò infine alla decisione di lasciare la reggenza ad Antonino e ritirarsi a Baia dove poco dopo morì (10 luglio 138 d.C.).
In punto di morte avrebbe composto i versi:
Animula vagula blandula,
Hospes comesque corporis
Qua nunc abibis loca
Pallidula, rigida, nudula
Nec, ut soles, dabis iocos.

Antonino gli fu vicino fino all'ultimo momento e questa affettuosa assistenza è citata dall'autore come una delle possibili ragioni per cui ebbe il soprannome di "Pio".
Seguendo chiaramente lo stile di Svetonio, l'autore conclude la biografia con una descrizione della persona e del carattere di Adriano: alto e distinto, portava i capelli ben pettinati e la barba lunga. Di fisico robusto, si manteneva in costante allenamento.
Amava la caccia, i banchetti e gli spettacoli. Si fece costruire la splendida villa di Tivoli dove volle riprodurre molti monumenti dell'impero che aveva visitato durante i suoi viaggi.
Non lasciò un buon ricordo di se presso i senatori che volevano annullare le sue leggi, ma Antonino Pio lo impedì ed impose che gli si tributassero onori divini.



Vita di Elio Vero

Di Elio Sparziano


Il testo si apre con una dedica a Diocleziano (da alcuni ritenuta non autentica) nella quale l'autore precisa che intende trattare anche di coloro che hanno ottenuto il titolo di cesare senza riuscire a raggiungere la carica di imperatore.
Ceionio Commodo fu adottato da Adriano (136 d.C.). Rimase famoso per essere stato il primo a ricevere il titolo di cesare. Della famiglia di Elio Vero, dice l'autore, si parlerà nella biografia di Lucio Vero, figlio del nostro, che fu figlio adottivo e successore di Antonino Pio.
Adottato da Adriano, Elio Vero ottenne la carica di pretore, il governo della Pannonia e due consolati. Egli sostenne queste cariche con dignità ma la sua salute era molto malferma, tanto che Adriano si pentì di averlo adottato. Pare che Adriano, intuendo che Elio Vero sarebbe morto presto, abbia pensato di designare un altro successore ma fu preceduto dai fatti: Elio Vero infatti morì poco dopo essere tornato dalla provincia (1 gennaio 138), stroncato forse da una cura sbagliata.
Elio Vero era colto e brillante, bello ed elegante era buon oratore e dotato di vena poetica.
Gli si attribuiva l'invenzione di un pasticcio di carni detto tetrafarmaco che fu piatto prediletto di Adriano e si diceva che amasse banchettare su un letto cosparso di petali di rosa.
Amava leggere Apicio, Ovidio e Marziale, era propenso al piacere e alle avventure extraconiugali.
Ebbe un figlio che fu adottato da Antonino Pio insieme a Marco Aurelio. Adriano festeggiò l'adozione con ricche elargizioni al popolo ed all'esercito ma quando si rese conto della debolezza del prescelto ebbe a dire di essersi "appoggiato a un muro malfermo" e di aver sprecato il denaro dei donativi.
Alla morte di Elio Vero, Adriano ordinò esequie imperiali, quindi designò Antonino Pio chiedendogli di adottare Lucio Vero e Marco Aurelio e di dare in moglie al primo la figlia Faustina Minore.




Vita di Antonino Pio

Di Giulio Capitolino


Tito Aurelio Fulvo Boionio Antonino Pio, di origine gallica, era figlio del consolare Aurelio Fulvo a sua volta figlio di Tito Aurelio Fulvio, anche egli di rango consolare.
La madre, Arria Fadilla, era figlia di Arrio Antonino, due volte console, e di Boionia Procilla.
Nacque a Lanuvio il 19 settembre dell'86 d.C. e fu allevato in Etruria.
Di bell'aspetto e di grande ingegno, fu colto, onesto e di carattere mite. Ebbe dal Senato il soprannome di Pio per motivi non noti, forse per le cure prestate ad Adriano morente, forse per gli onori che volle tributare al predecessore o, forse, per la sua condotta in generale.
Fu questore nel 111 d.C., pretore nel 116 e console nel 120. Sotto Adriano fu governatore di una parte dell'Italia, probabilmente la Campania, poi proconsole in Asia. Tornato a Roma divenne membro del consiglio di Adriano.
Quando Adriano lo adottò (25 febbraio 138 d.C.) pose come condizione che Antonino adottasse a sua volta Lucio Vero (figlio di Elio Vero) e il futuro Marco Aurelio (che prima dell'adozione si chiamava Marco Annio Vero).
Alla morte di Adriano, avvenuta a Baia, Antonino curò il trasporto delle spoglie a Roma ed insistette per divinizzare il defunto imperatore. Accettò il soprannome di Pio ed il titolo di Augusta per la moglie Faustina, declinando altri onori. Confermò le cariche di funzionari e governatori nominati da Adriano.
Affidò le operazioni militari ai suoi luogotenenti fra i quali Lollio Urbico, già generale nella guerra giudaica sotto Adriano, che sottomise i Britanni e diresse la costruzione di un nuovo terrapieno (il Vallo di Antonino).
Istituì a corte costumi molto austeri e dimostrò grande rispetto per il Senato.
Dopo tre anni di regno perse la moglie Faustina alla quale il Senato dedicò un tempio, giochi, statue ed altri onori. Grazie alla sua moderazione ed al suo buon governo godette sempre di grande prestigio. Visse prevalentemente a Roma e nei suoi poderi in Campania.
Lasciò in Roma molte opere pubbliche e sistemò monumenti ed edifici. Costruì il porto di Gaeta, i bagni di Ostia, l'acquedotto di Anzio ed i templi di Lanuvio.
Intervenne sempre in favore delle vittime della carestia e di altre calamità, come il terremoto di Rodi (140 d.C.) ed un grave incendio a Roma.
Ricevette a Roma l'omaggio di Farasmane, re degli Iberi, nominò Pacoro re dei Lazi ed evitò con la diplomazia incidenti fra i Parti ed altre popolazioni asiatiche. In generale svolse in Oriente una politica di pace e di diplomazia risolvendo numerose questioni aperte da tempo.
Fece sposare sua figlia Faustina Minore con Marco Aurelio ed affidò l'educazione di questi al filosofo stoico Apollonio.
Amava il teatro, la caccia, la pesca e la conversazione.
Insieme ai suoi giureconsulti lasciò una profonda impronta nel diritto (spesso ripresa nel "corpus" di Giustiniano).
Ammalatosi, morì dopo pochi giorni (7 marzo 161 d.C.).
Era alto di statura e "il suo aspetto aveva una severa maestà". Il Senato lo divinizzò immediatamente e decretò per lui i massimi onori funebri.
La biografia si chiude con il paragone di Antonino con Numa Pompilio "per felicità di regno, per bontà, per moderazione e per religiosità".



Vita di Marco Aurelio

Di Giulio Capitolino


Marco Aurelio era figlio di quell'Elio Vero che era stato designato da Adriano come suo successore ma che morì prima dello stesso Adriano. Nacque a Roma il 26 aprile 121 d.C. Sposò Annia Faustina, figlia di Antonino Pio, che era suo padre adottivo.
Fin dall'infanzia fu affidato a precettori che lo avviarono allo studio della filosofia, fu poi allievo del grammatico greco Alessandro di Cotieno e dei latini Trosio Apro, Pollione ed Eutichio Proculo di Sicca.
Studiò oratoria con vari maestri fra i quali Erode Attico e Cornelio Frontone. Verso tutti i suoi maestri si dimostrò più tardi affettuosamente riconoscente. L'imperatore Adriano seguì personalmente l'educazione di Marco e lo fece entrare nel collegio dei Salii all'età di otto anni. A quindici anni prese la toga virile e si fidanzò, per volontà di Adriano, con la figlia di Lucio Vero, figlio adottivo dell'imperatore.
Seguendo i principi della filosofia stoica, viveva in modo molto frugale, era sobrio, riservato e molto disponibile con chi si rivolgeva a lui. Pur essendo versato nelle arti e nelle attività sportive, le abbandonò privilegiando gli studi filosofici.
Alla morte prematura di Lucio Vero, Adriano considerò Marco troppo giovane per essere designato suo successore (aveva diciotto anni), quindi adottò Antonino Pio, a condizione però che questi adottasse Marco e Marco a sua volta adottasse Lucio Vero (è un errore dell'autore, in effetti Antonino Pio adottò sia Marco Aurelio, sia Lucio Vero).
Marco accolse la notizia dell'adozione con preoccupazione, consapevole della responsabilità e degli inconvenienti del potere, ed accettò controvoglia di trasferirsi nella casa privata di Adriano.
In forza dell'adozione entrò a far parte della famiglia Aurelia ed incominciò ad essere chiamato Marco Aurelio. Si mantenne sobrio e modesto anche quando venne nominato questore a soli diciotto anni in deroga alle leggi sui limiti di età.
Alla morte di Adriano (10 luglio 138 d.C.) Antonino Pio si recò a Baia per provvedere al trasporto della salma a Roma mentre Marco rimase in città per organizzare le onoranze funebri.
Poco dopo Marco Aurelio si fidanzò con la figlia di Antonino Pio, annullando il precedente fidanzamento, fu eletto console e ricevette il titolo di cesare insieme a molti altri onori.
Pur occupatissimo dalle sue cariche e dai suoi rapporti con il nuovo imperatore, Marco non interruppe mai i suoi studi di filosofia.
Nel 145 sposò Faustina, figlia di Antonino, dalla quale ebbe una figlia.
Sul letto di morte Antonino Pio designò suo successore Marco Aurelio e questi associò al regno Lucio Lucio Aurelio Vero Commodo. Fu il primo caso in cui l'impero ebbe contemporaneamente due imperatori. Fece fidanzare il collega con sua figlia Annia Lucilla.
Ad Antonino Pio vennero tributati grandi onori funebri ed ebbe sepoltura nel mausoleo di Adriano. Il tranquillo regno dei due nuovi imperatori fu turbato da una grave inondazione del Tevere che, distruggendo case e bestiame, provocò la carestia.
Mentre Marco e Vero si prodigavano per lenire le sofferenze della cittadinanza, scoppiò la guerra con i Parti, si profilò la minaccia di un conflitto in Britannia ed i Catti occuparono la Germania e la Rezia.
Il compito di agire contro i Britanni fu affidato a Calpurnio Agricola, Aufidio Vittorino fu incaricato di fronteggiare i Catti ed il comando delle operazioni contro i Parti fu assunto personalmente da Vero, mentre Marco Aurelio rimase a Roma per governare lo Stato.
Giunto in Siria, Vero si dedicò più alla caccia ed ai divertimenti che alle operazioni militari, delegando il comando ai suoi generali, ma a Roma Marco Aurelio si dimostrò tollerante verso la leggerezza del collega.
La spedizione ebbe comunque buon esito e ad entrambi gli imperatori furono conferiti i titoli di Armeniaco e Partico.
In quel periodo Marco Aurelio emanò un importante provvedimento che prevedeva la registrazione di tutte le nascite di cittadini liberi presso i prefetti.

Marco Aurelio si dimostrò sempre molto rispettoso del Senato, affidava ai senatori la formulazione delle sentenze in molti processi e prese vari provvedimenti per rendere onore ai senatori ed aumentare il loro prestigio.
Partecipava ogni volta che poteva alle riunioni del Senato e rivolse particolare attenzione a migliorare le procedure giudiziarie.
In generale governò con saggezza prendendo molti opportuni provvedimenti anche in materia economica e fiscale.
I suoi rapporti con il popolo, racconta l'autore "erano ispirati a quel senso di libertà che aveva caratterizzato l'età repubblicana". Dimostrando sempre grande equilibrio ed indulgenza "seppe rendere buoni i cattivi ed ottimi i buoni".
Mentre era ancora in corso la guerra con i Parti, ne scoppiò un'altra con i Marcomanni, contro i quali Marco Aurelio guidò tre spedizioni (167, 174 e 179).
Contro i Marcomanni mossero entrambi gli imperatori, dopo aver offerto solenni sacrifici. Vero, che era appena tornato dalla campagna in Oriente durata cinque anni, partecipava mal volentieri. L'esercitò superò le Alpi ed il suo avanzare indusse molti barbari insorti a cercare la trattativa. Vero, che insisteva per tornare a Roma, ottenne il consenso di Marco Aurelio ma morì poco dopo.
Marco tributò al fratello adottivo onori divini, non di meno circolarono maldicenze e si insinuò che Vero fosse stato avvelenato per volere di Marco.
Dopo la morte di Vero, stando all'autore, "Marco Aurelio, rimasto al potere da solo, governò lo stato molto più validamente", essendosi liberato dagli intralci e dagli imbarazzi provocati dalla condotta di Vero, non sempre esemplare.
Condusse a termine con successo la difficile guerra contro i Marcomanni in una delicata situazione aggravata dalla pestilenza che colpiva la popolazione, e celebrò il trionfo insieme al figlio Commodo, da lui nominato cesare. Per sostenere le spese di guerra senza gravare troppo sull'erario, Marco Aurelio vendette all'asta molti beni preziosi del tesoro imperiale.
Marco Aurelio morì a sessantuno anni (17 marzo 180 d.C.) dopo aver felicemente governato l'impero per diciotto anni. Morto nel compianto generale, ricevette onori divini e per molto tempo la sua statua figurò fra quelle dei Penati di molte famiglie romane.
Commodo, figlio e successore di Marco Aurelio, indusse molti a pensare che fosse figlio di un adulterio, ipotesi corroborata dalla non irreprensibile condotta dell'imperatrice Faustina.
A questo punto il testo "torna indietro" alla morte di Vero, ciò è dovuto probabilmente al fatto che i paragrafi precedenti costituiscono un'interpolazione.
Vero, dunque, fu sepolto con tutti gli onori nella tomba di Adriano e durante le esequie, Marco Aurelio dichiarò la sua intenzione di continuare a governare con ancora maggiore giustizia.
Prima di ripartire per la guerra in Germania, Marco Aurelio fece risposare la figlia Lucilla, vedova di Lucio Vero, con l'anziano Claudio Pompeiano e poiché questi non era all'altezza del rango della sposa, fece in modo che venisse eletto per due volte console.
Delegato ai suoi ufficiali il compito di controllare i disordini nati in quel periodo in Spagna ed in Africa, Marco Aurelio riorganizzò con grande perizia l'esercito e giunse a risolvere definitivamente la guerra contro i Marcomanni ed altre genti germaniche.
In quel periodo Marco Aurelio perse un figlio di nome Vero Cesare di soli sette anni e, ligio ai precetti della filosofia stoica, contenne il suo dolore e limitò le manifestazioni di lutto.
Intanto la pestilenza continuava ad imperversare e per rimpiazzare le perdite subite dall'esercito a causa dell'epidemia Marco Aurelio reclutò schiavi, gladiatori, detenuti e mercenari.
La ribellione aveva coinvolto tutti i popoli compresi fra il confine dell'Illirico e la Gallia, Marco riuscì a sottometterli ed operò numerose deportazioni in Italia.
Partecipò personalmente alla campagna contro i Germani e non si lasciò mai persuadere ad allontanarsi dalle fatiche e dai rischi del fronte. A guerra finita conferì al figlio Commodo la toga virile e lo designò console.
Amministrò le finanze con cura e parsimonia, parco nelle elargizioni di fondi statali ma generoso con le persone meritevoli.
In campo giudiziario dimostrò sempre grande clemenza e giustizia, controllando che i giudici rispettassero scrupolosamente le procedure. Evitò di infierire anche contro i sostenitori di Avidio Cassio che aveva ordito una congiura in Oriente per impadronirsi del potere. Per risolvere questa ribellione Marco si recò in Oriente dove trattò gli insorti con clemenza e, una volta eliminato Avidio Cassio, ristabilì la pace e l'ordine.
Durante questo viaggio, Faustina, moglie di Marco Aurelio, morì improvvisamente di malattia (176 d.C., secondo alcuni morì suicida) ed ebbe dal marito grandi onori funebri, nonostante la sua discutibile fama.
Conclusa la missione in Oriente, Marco Aurelio soggiornò ad Atene dove volle essere iniziato ai Misteri Eleusini.
Rientrato a Roma celebrò un trionfo quindi ripartì per riprendere le operazioni contro i Marcomanni ma morì poco dopo. Secondo l'autore prima di morire Marco Aurelio si rammaricò di lasciare l'impero nelle mani di Commodo che "incominciava già a dar prova di immoralità e di crudeltà".





Vita di Lucio Vero

Di Giulio Capitolino


Lucio Ceionio Elio Commodo Vero Antonino, ebbe il nome di Elio per volere di Adriano ed i nomi di Vero ed Antonino per essere stato adottato da Antonino Pio.
Sul suo conto l'autore pronuncia fin dalle prime righe un giudizio che tratteggia chiaramente il carattere di Lucio Vero: "non si può collocare nè tra i buoni nè tra i cattivi imperatori in quanto non fu certo un modello di virtù ma neanche un mostro di vizio".
Regnò insieme a Marco Aurelio con autorità quasi pari. I suoi costumi differivano da quelli di Marco, era libero e spensierato, ma anche ingenuo e sincero.
Figlio naturale di Lucio Elio Vero, che era stato adottato da Adriano e che sarebbe stato imperatore se non fosse morto precocemente, apparteneva ad una famiglia prestigiosa. Nacque a Roma il 15 dicembre 130 d.C.
Morto Elio Vero, Adriano aveva adottato Antonino Pio ordinandogli di adottare a sua volta Marco Aurelio e Lucio Vero. Ricevette una sofisticata educazione tramite numerosi precettori fra i quali Frontone che fu maestro anche di Marco Aurelio.
Durante la gioventu, al contrario di Marco Aurelio, non ricevette particolari onori e non ricoperse cariche pubbliche. Sembra non fosse particolarmente stimato da Antonino Pio che avrebbe continuato a tenerlo con se solo per rispettare la volontà di Adriano, comunque quando Marco Aurelio divenne imperatore lo volle associare al potere.
Inizialmente Lucio Vero si mostrò molto discreto e rispettoso nei confronti di Marco Aurelio, ma giunto in Siria (gli era stato affidato il comando della guerra contro i Parti) si lasciò andare a più discutibili costumi. Amava gozzovigliare, frequentare in incognita taverne malfamate e organizzare giochi di gladiatori.
Offriva sontuosi banchetti al termine dei quali ogni commensale riceveva in dono il paggio che lo aveva servito e molti ricchi regali.
Marco Aurelio , che a quanto pare aveva affidato a Lucio Vero la missione in Oriente per corroborarne il carattere, si doleva degli stravizi del fratello adottivo ma li tollerava e non intervenne mai contro di lui.
Anche durante la guerra contro i Parti, Lucio Vero - tenendosi lontano dai luoghi delle operazioni militari - continuò la sua vita di gaudente.
I suoi luogotenenti, Stazio Prisco, Avidio Cassio e Marzio Vero, spesero quattro anni per concludere la guerra partica e Lucio Vero ne ricavò onori, titoli e trionfo.
Durante la guerra, pare a Babilonia, scoppiò una pestilenza che si diffuse rapidamente in Europa perché le legioni, rientrando in patria, diffusero il contagio.
Rientrato in sede Lucio Vero si mostrò meno deferente che in passato nei confronti di Marco Aurelio e prese a praticare liberamente le sue abitudini, sempre circondato da schiere di istrioni ed altri loschi individui che aveva portato con se dall'Oriente.
Quando più tardi scoppiò la guerra germanica, Marco Aurelio non ritenne opportuno affidare il comando a Lucio Vero nè partire da solo lasciandolo a Roma incontrollato, così i due imperatori partirono insieme. Lucio Vero partecipò poco volentieri, cercando di evitare gli impegni militari ed organizzando comunque attività più frivole e piacevoli. Appena gli fu possibile insistette per tornare a Roma ma fu stroncato da un colpo apoplettico sulla via del ritorno.
Come in molte altre simili occasioni si mormorò che Lucio Vero fosse stato avvelenato dalla moglie Lucilla (figlia di Marco Aurelio) o dalla suocera Faustina.
Di aspetto piacente ed alto di statura, Vero sapeva affascinare ed incutere rispetto nonostante la sua mediocre eloquenza. L'autore lo paragona per vari motivi a Nerone ma precisa che di questi non aveva "la crudeltà e lo spirito beffardo".
Visse quarantadue anni, regnando per undici (errori di Giulio Capitolino, Lucio Vero visse trentanove anni regnando per nove).






Vita di Avidio Cassio

Di Volcacio Gallicano


Discendente dalla famiglia dei Cassii, Avidio Cassio era figlio di Avidio Severo (Caio Avidio Eliodoro, segretario di Adriano e prefetto d'Egitto sotto Antonino Pio).
Sembra che in gioventù abbia cospirato contro Antonino Pio e Lucio Vero lo aveva segnalato a Marco Aurelio come sospetto.
Duro ma valente generale, Avidio Cassio era estremamente severo con i suoi soldati, severità che diveniva crudeltà quando si trattava di punire insubordinati e disertori. Amava paragonarsi a Mario quale tutore della disciplina militare e a Catilina quale avversario del potere imperiale e della tirannide.
Marco Aurelio gli affidò il comando delle sue legioni in Oriente proprio perché riteneva necessario ristabilire la disciplina. Avidio condusse con successo spedizioni in Armenia, Arabia ed Egitto e divenne molto popolare.
Durante una malattia di Marco Aurelio, Avidio Cassio si fece proclamare imperatore. Lo aveva istigato Faustina, moglie di Marco Aurelio, che disperava delle condizioni del marito e considerava i propri figli troppo giovani. Per ottenere l'acclamazione dei soldati sembra che Avidio diffuse volontariamente la voce della morte dell'imperatore.
Informato della ribellione Marco Aurelio non si infuriò ma il Senato dichiarò Avidio Cassio nemico pubblico e confiscò tutti i suoi beni. Quando Avidio venne ucciso dai suoi soldati fu per tutti un sollievo perché molti avevano temuto la guerra civile ma Marco Aurelio si rammaricò di non aver potuto trattare l'usurpatore con clemenza.
Citando brani di lettere fra Marco Aurelio e Faustina, l'autore di questa biografia vuole scagionare l'imperatrice che - a suo dire - fu del tutto estranea al tentativo di Avidio Cassio.
Faustina infatti esortava il marito a punire duramente i complici di Avidio Cassio per salvaguardare se stesso e la sua famiglia da possibili pericoli ma l'imperatore rispondeva che non avrebbe punito i parenti dell'usurpatore e che avrebbe scritto al Senato di trattare con clemenza anche le altre persone implicate.
Infatti i parenti di Avidio Cassio non subirono alcuna pena, riebbero i beni confiscati e vissero tranquilli almeno finché il regno non passò a Commodo che aprì nuove proscrizioni.
Nell'insieme positivo il giudizio su Avidio Cassio sull'autore che sostiene che sarebbe stato un imperatore giusto ed onesto anche se estremamente severo.





Vita di Commodo

Di Elio Lampridio


Commodo nacque il 31 agosto 161 presso Lanuvio insieme al gemello Antonino.
Ricevette una raffinata educazione impartita dai migliori maestri ma prevalse in lui il carattere corrotto e vizioso.
Ancora fanciullo ebbe il titolo di Cesare, a quattordici anni fu ammesso in un collegio sacerdotale. Accompagnò il padre Marco Aurelio in Egitto e in Siria, ricoprì il consolato prima dell'età legale e il 26 novembre 176 fu dichiarato coimperatore, quindi seguì ancora il padre per la guerra in Germania.
La condotta dissoluta di Commodo ebbe libero sfogo dopo la morte di Marco Aurelio (180). Il giovane imperatore concluse rapidamente la guerra contro i Marcomanni ed i loro alleati accettando le condizioni di pace proposte dai nemici e tornò a Roma dove accolse nel palazzo imperiale i suoi compagni di baldoria e si dedicò ad orge e stravizi arrivando a costruire un lupanare nel quale fungeva da lenone.
Questi scandali gli procurarono l'odio dei senatori, odio che egli ripagò con estrema crudeltà.
Sua sorella Lucilla con il cugino Ummidio Quadrato ed il figliastro Claudio Pompeiano Quinziano, aiutati dal prefetto Tarrutenio Paterno, ordirono una congiura per uccidere Commodo, ma a Pompeiano che avrebbe dovuto essere l'esecutore materiale mancò il coraggio e la trama venne scoperta. Commodo fece uccidere i congiurati e mandò in esilio sua madre e sua sorella.
Commodo affidò la gestione del potere al prefetto Perenne che ne abusò in ogni modo con uccisioni, confische e ladrocinii, mentre lui si dedicava completamente ai suoi vizi con trecento concubine e trecento amasi.
Fece uccidere la sorella Lucilla esule a Capri e si dice che violentò le altre sorelle. Mandò in esilio e poi fece uccidere anche la moglie colpevole di adulterio. Perenne arrogò a suo figlio successi militari conseguiti da altri generali. Un giorno fu accusato di aver sostituito a suo arbitrio dei comandanti e, dichiarato nemico pubblico, venne trucidato (pare che avesse ordito una congiura insieme al figlio).
Perenne fu sostituito dal liberto Cleandro che si mostrò ancora più crudele e spregiudicato. Vendeva cariche e favori per denaro, sostituiva continuamente prefetti e consoli e non esitava a far eliminare i suoi avversari.
Anche Cleandro cadde presto in disgrazia: durante una sommossa popolare Commodo non lo protesse e venne linciato dalla folla. Analoga fine toccò a tutti i suoi successori. Poiché le rendite dell'impero non bastavano a coprire le sue spese, Commodo condannò a morte molti illustri personaggi per confiscare i loro beni.
Ironicamente il Senato attribuì a Commodo gli appellativi di Pio, Felice, Britannico ed Ercole romano, quest'ultimo con riferimento ai giochi circensi nei quali amava esibirsi. Arrivò a definire ufficialmente Roma "Colonia Commodiana".
Si fece adoratore di Iside e prese a portare sempre con se la statuetta di Anubi con la quale percuoteva i sacerdoti. Con i più assurdi travestimenti inscenava giochi e spettacoli nel corso dei quali venivano uccise molte persone.
I vizi già dimostrati durante l'infanzia furono esasperati dal potere ed innumerevoli furono le vittime che fece uccidere o mutilare per le ragioni più assurde.
Debole, malaticcio ed indolente dimostrava forza e vigore solo nel circo quando si trattava di uccidere le belve, attività che esercitava con assiduità e talento.
Durante il suo impero, nonostante tutto, i suoi generali vinsero i Mauri e i Daci, pacificarono la Pannonia, la Germania e la Britannia.
L'avidità degli amministratori e l'incompetenza di Commodo portarono ad una grave carestia mentre in un clima di generale corruzione era possibile con il denaro comprare di tutto, dall'esito dei processi alla condanna a morte degli avversari.
Infine il prefetto Quinto Emilio Leto e la concubina di Commodo Marcia organizzarono una congiura per ucciderlo: dopo un fallito tentativo di avvelenamento lo fecero strangolare da un gladiatore (31 dicembre 192).
Il popolo avrebbe voluto gettare nel Tevere il suo cadavere ma Pertinace lo fece seppellire nella tomba di Adriano.
Non lasciò opere pubbliche ad eccezione delle terme fatte costruire da Cleandro.
Il Senato fece distruggere le sue statue e cancellare tutte le iscrizioni che lo riguardavano. La sua memoria venne dannata finché non fu riabilitata da Settimio Severo.





Vita di Elvio Pertinace

Di Giulio Capitolino


Era figlio di un liberto di nome Elvio Successo, mercante di lana dalla cui pertinacia nel commercio avrebbe preso il soprannome. Nacque sull'Appennino nella fattoria materna.
Dopo una preparazione sommaria fu allievo di Sulpicio Apollinare, quindi si dedicò all'insegnamento che presto abbandonò per diventare centurione.
Sotto Antonino Pio partì per la Siria, quindi partecipò alla guerra partica (Lucio Vero).
Fu in Britannia, in Mesia, quindi tornò in Italia per qualche tempo. Avuto il comando della flotta sul Reno fu in Germania, poi in Dacia finché non perse la fiducia di Marco Aurelio e venne destituito da ogni incarico.
Riabilitato per intercessione di Claudio Pompeiano tornò nell'esercito e qualche successo militare gli permise di riconquistare la stima dell'imperatore e di entrare nel senato.
Marco Aurelio, che aveva ascoltato delazioni poi rivelatesi false, lo ricompensò per l'ingiustizia subita con la dignità pretoria (che lo equiparava ai senatori che avevano ricoperto la pretura) e poi con il consolato.
Dopo la rivolta di Avidio Cassio, Pertinace fu ancora in Mesia e in Dacia ed infine ebbe il governo della Siria.
Dopo quattro anni tornò a Roma ed entrò per la prima volta nella curia come senatore, ma intanto Marco Aurelio era morto e Perenne, prefetto di Commodo, gli ordinò di ritirarsi in Liguria.
Dopo tre anni (186 d.C.) fu riabilitato e mandato in Britannia per reprimere una rivolta. Una legioni si ammutinò e Pertinace fu gravemente ferito. Una volta puniti i responsabili dell'ammutinamento preferì lasciare l'incarico e fu trasferito in Africa.
Alla morte del prefetto di Roma Seio Fusciano, Pertinace ne ebbe la carica e si comportò con tanto equilibrio che Commodo gli fece avere un secondo consolato (192 d.C.).
Quando Commodo venne ucciso, Pertinace, sostenuto da Claudio Pompeiano, dal prefetto Leto e da un funzionario di nome Ecletto, venne proclamato imperatore dai pretoriani, aveva sessantasei anni.
Il senato offrì il titolo di Augusta anche a Flavia Tiziana, moglie di Pertinace, ma il nuovo imperatore rifiutò questo onore come rifiutò il titolo di Cesare per il figlio.
Il suo atteggiamento austero e marziale non piacque ai soldati che dopo poco la nomina fecero un primo tentativo di sostituire il nuovo imperatore con un senatore di nome Triario Materno Lascivio il quale non volle accettare e fuggì da Roma dopo aver informato Pertinace.
Questi, molto preoccupato, confermò ai soldati le concessioni di Commodo ed abolì i processi di lesa maestà.
Pertinace introdusse riforme in materia fiscale ed in materia giudiziaria, tentò di migliorare le condizioni delle finanze statali che Commodo aveva portato alla rovina, ciò lo costrinse a misure che risultarono impopolari. Vendette all'asta tutti i beni del predecessre, compresi gli schiavi, le concubine ed il sontuoso guardaroba.
Dimezzò le spese della corte e fece di tutto per ridurre i prezzi al consumo. Nonostante le sue prove di saggio amministratore della cosa pubblica, nel privato era considerato avido e avaro.
Si comportava sempre cortesemente con tutti e partecipava attivamente alle riunioni del senato.
Un personaggio di nome Falcone pronunciò in senato gravi accuse contro l'imperatore suffragandole con la falsa testimonianza di un suo servo che si spacciava per figliasto di Fabia Ceionia, sorella di Lucio Vero.
La montatura fu scoperta ma Falcone (che secondo alcuni era in buona fede) fu perdonato per volontà di Pertinace.
La congiura fatale fu ordita dal prefetto del pretorio Leto, deluso perché Pertinace non gli riconosceva l'importanza che avrebbe desiderato.
Leto sollevò i soldati che sorpresero Pertinace nel palazzo e lo uccisero. Era con lui Ecletto che perse la vita nel tentativo di difenderlo.
Pertinace aveva un aspetto venerando: anziano, con i capelli crespi ed una lunga barba, era alto di statura.
Secondo l'autore non era un grande oratore, sembrava cordiale ma spesso dissimulava ed era molto avaro.
Consumava pasti frugali ed aveva abitudini morigerate.
Era molto modesto, non amava la vita di corte e le manifestazioni della dignità imperiale. Pare che pensò più volte di deporre il potere.
L'autore insiste sull'avidità di Pertinace che, anche da imperatore, continuò ad esercitare il commercio tramite incaricati. Tuttavia si deve tener presente che questo tipo di critica è un tratto comune a tutta la Storia Augusta.
La moglie Flavia Tiziana non gli era fedele, Pertinace a sua volta pare avesse una relazione con Cornificia (forse la figlia di Marco Aurelio).
Lasciò un figlio ed una figlia.
La morte di Pertinace fu un sollievo per i soldati e per i cortigiani che non gradivano le sue idee di disciplina, serietà e moderazione, ma il popolo lo rimpianse perché lo aveva giudicato in grado di ripristinare gli antichi costumi.
Dopo averlo ucciso i soldati fecero scempio del suo cadavere che più tardi fu sepolto con tutti gli onori per volontà di Didio Giuliano.
Settimio Severo gli dedicò una solenne commemorazione, in quell'occasione furono dedicati a Pertinace dei giochi ed un culto.
Era nato il 1 agosto del 126 d.C. e fu ucciso il 28 marzo 193 d.C., dopo aver regnato per due mesi e venticinque giorni.



Vita di Didio Giuliano

Di Elio Sparziano


Didio Giuliano discendeva dal famoso giureconsulto Salvio Giuliano. Era figlio di Clara Emilia e di Petronio Didio Severo ed ebbe due fratelli: Didio Procolo e Nummio Albino. La famiglia viveva nel Milanese.
Fu educato presso Domizia Lucilla, madre di Marco Aurelio.
Iniziò la carriera molto presto e fu questore a ventiquattro anni, quindi edile e pretore. Ebbe il comando della XXII Legione Primigenia in Germania, quindi il governo della Gallia Belgica dove una vittoria sui Cauchi gli fruttò il consolato. Combattè quindi contro i Catti, governò la Dalmazia poi la Germania Inferiore, infine fu sovrintendente in Italia alle distribuzioni ai poveri.
Sospettato di aver congiurato contro Commodo fu processato ed assolto ed ottenne il governo della Bitinia.
Fu collega di Pertinace nel consolato del 175 e suo successore nel proconsolato in Africa.
Alla morte di Pertinace contese il titolo imperiale a Flavio Sulpiciano, suocero del defunto ed ottenne la nomina dai pretoriani.
Distribuite larghe elargizioni ai soldati, si mise a disposizione del senato.
I senatori confermarono la nomina ascrivendo Didio Giuliano al patriziato e conferirono il titolo di auguste alla moglie Mallia Scandilla ed alla figlia Didia Clara.
Il popolo non gradiva il nuovo imperatore e lo riteneva responsabile della morte di Pertinace.
Circolò la voce che avesse subito ripreso i banchetti ed i lussi di Commodo ma secondo l'autore la diceria era falsa e Giuliano era oltremodo sobrio.
L'ostilità popolare si manifestò fin dai primi giorni del regno di Giuliano con disordini e minacce. L'imperatore tollerava tutto con grande pazienza nella difficile situazione in cui si trovava. Anche quando si trattò di dar sepoltura a Pertinace dovette fare attenzione a non deludere il popolo, che lo rimpiangeva, e a non irritare i pretoriani, che lo avevano ucciso.
Preoccupato dal prestigio di Pescennio Nigro governatore della Siria, Giuliano mandò un sicario ad ucciderlo. Pescennio Nigro si ribellò ed altrettanto fece, inaspettatamente per Giuliano, Settimio Severo che si trovava nell'Illirico.
Giuliano inviò a Severo degli ambasciatori per convincerlo a sottomettersi ma che in realtà avevano l'ordine di eliminarlo e fece morire Leto e Marcia sospettandoli di complicità con Severo.
Gli ambasciatori tradirono Giuliano e passarono a Severo che nel frattempo si era impadronito della flotta di Ravenna.
Anche il prefetto del pretorio Tullio Crispino mandato contro Severo passò al nemico.
Il sostegno dei pretoriani non era affidabile e quando Giuliano pretese dai senatori che intercedessero per lui presso Severo molti gli si rivoltarono contro.
Cambiò allora atteggiamento e propose che Severo fosse associato all'impero, proposta subito approvata dal senato.
Quando Severo respinse l'offerta di associazione e preferì dichiararsi nemico di Giuliano, questi rimase completamente sconcertato ed arrivò a ricorrere a sortilegi e pratiche magiche per scongiurare il pericolo.
Fra i suoi estremi tentativi di resistenza armò i gladiatori di Capua e chiamò a dividere l'impero Claudio Pompeiano, genero ed ex generale di Marco Aurelio, che rifiutò perché ormai molto vecchio.
Intanto Severo procedeva verso Roma portando dalla sua parte le legioni stanziate lungo il cammino ed inviando messaggi ai pretoriani perché gli consegnassero gli assassini di Pertinace.
Infine il senato destituì Giuliano e mandò sicari ad ucciderlo.
Restituito ai familiari, il corpo di Didio Giuliano fu sepolto lungo la via Labicana a cinque miglia da Roma.
Morì a cinquantasei anni (sessanta secondo Dione Cassio) dopo due mesi e cinque giorni di impero.
Gli si rimproverava di essere goloso e superbo, ma in realtà era molto modesto. Sbagliò, secondo l'autore, nella scelta delle persone alle quali accordare fiducia.



Vita di Settimio Severo

Di Elio Sparziano


Settimio Severo era nato a Leptis in Africa l'8 aprile 146 d.C. (l'11 aprile secondo Dione Cassio), suo padre ed i suoi antenati avevano la cittadinanza romana ed appartenevano all'ordine equestre.
A diciotto anni si trasferì a Roma dove, grazie all'appoggio di parenti molto influenti, fu eletto senatore.
Nella giovinezza fu passionale ed irrequieto, processato per adulterio venne assolto. Fu questore nel 171, quindi governatore della Sardegna poi proconsole in Africa.
Sotto Marco Aurelio fu tribuno della plebe e nello stesso periodo sposò Marcia (Paccia Marciana).
A trentadue anni ebbe la pretura e fu mandato in Spagna. Scaduta la carica andò ad Atene per completare gli studi. Fu quindi legato nella Gallia Lugdunese.
Rimasto vedovo volle cercare una nuova moglie tramite l'aiuto degli astrologi e la trovò in Siria, Giulia Domna dalla quale poco dopo ebbe il primo figlio (Bassiano, poi detto Caracalla).
Fu trasferito in Pannonia come proconsole poi, sotto Commodo, in Sicilia dove fu accusato di cospirazione e venne assolto.
Per volere di Commodo ebbe il consolato (181 d.C.). Nello stesso anno nacque il secondo figlio (Geta). Un anno dopo ebbe il comando dell'esercito in Germania ed in questa occasione divenne famoso per il suo comportamento esemplare.
Mentre si trovava in Germania Commodo venne ucciso (193 d.C.) e fu eletto Didio Giuliano, ma il suo esercito proclamò imperatore Settimio Severo. Giuliano lo fece dichiarare dal Senato nemico della patria e gli mandò incontro dei messi per prendere in consegna l'esercito ma Severo li corruppe. Intanto anche le legioni dell'Illiria e della Gallia avevano riconosciuto Severo come imperatore, così Giuliano propose di dividere il potere, ma forse era solo un espediente per prendere tempo.
Severo scrisse ai Pretoriani di uccidere Giuliano e l'ordine venne eseguito, così il suo rivale venne eliminato mentre Severo era ancora in marcia verso Roma.
Severo si accampò a Terni poi, su invito del Senato, raggiunse Roma dove entrò con l'esercito in armi. I soldati si comportarono come razziatori e così - nota l'autore - l'entrata di Severo in Roma comportò una serie di odiosi atti di terrorismo.
Fra i primi provvedimenti di Severo furono un decreto che stabiliva che un imperatore non avrebbe potuto condannare a morte un senatore senza approvazione del Senato e il decreto di divinizzazione di Pertinace, seguito dalle cerimonie del caso.
Settimio Severo ordinò la condanna a morte di tutti gli amici di Giuliano e la confisca dei loro beni. Amministrò oculatamente l'annona che dotò di grandi scorte di viveri.
Mosse quindi verso Oriente per risolvere la questione del rivale Pescennio Nigro al quale promise l'impunità se avesse accettato di andare in esilio. Fece invece uccidere il proconsole d'Asia Emiliano, generale delle truppe di Nigro.
Nigro non si arrese e Severo lo sconfisse ed uccise nei pressi di Cizico, mandò quindi in esilio i suoi familiari e ridusse i privilegi delle città che avevano aiutato Nigro. Fu clemente con i senatori che avevano parteggiato per il suo rivale, condannandone a morte uno solo. Compì spedizioni punitive contro Parti ed Abiadeni, sostenitori di Nigro, quindi tornò a Roma.
Poco dopo scoppiò nelle Gallie la rivolta di Clodio Albino che fu dichiarato nemico pubblico insieme ai suoi sostenitori. Mentre marciava contro Albino, Severo conferì al figlio Bassiano il titolo di cesare.
In una prima battaglia contro Albino, Severo fu gravemente ferito ma successivamente riuscì a sconfiggere il rivale e mandò a Roma la sua testa mozzata. Sospettando connivenze dei senatori con Albino si vendicò facendo divinizzare Commodo.
Seguì la proscrizione dei parenti, amici e sostenitori di Albino dei quali Severo fece strage confiscandone i beni. Con questo sistema accrebbe sensibilmente i mezzi dell'erario ed il suo patrimonio personale.
Fece giustiziare Narcisso che aveva strangolato Commodo e fece dichiarare nemico pubblico Plauziano, costringendolo a fuggire, successivamente lo riabilitò e lo richiamò a Roma con grandi onori ma, alla fine, lo fece uccidere.
Dopo aver offerto spettacoli ed elargizioni partì per la guerra contro i Parti.
Partito da Brindisi raggiunse la Siria e penetrò nel territori nemico respingendo una prima volta i Parti, quindi tornò in Siria per completare i preparativi della guerra e per eliminare gli ultimi sostenitori di Pescennio Nigro.
Alla fine dell'estate del 197 d.C. Settimio Severo espugnò Ctesifonte, capitale dei Parti. Per acclamazione dell'esercito suo figlio Bassiano ebbe il titolo di Augusto, Geta quello di cesare e lo stesso Severo quello di Partico.
Severo si trasferì ad Antiochia, dove nominò console Bassiano e poi ad Alessandria.
Durante questo viaggio emanò leggi che prevedevano sanzioni contro chi si convertisse alla religione giudaica o cristiana, istituì un Senato ad Alessandria e visitò con interesse l'Egitto.
Fra le imprese di Settimio Severo l'autore ricorda che soggiogò i Persiani, gli Arabi e gli Abiadeni. Costruì un vallo attraverso la Britannia (forse restaurò quello di Adriano).
Fu amante della cultura e della filosofia, autore di un'autobiografia relativamente obiettiva. Nel privato fu tollerante, anche nei confronti della moglie Giulia che pare lo tradisse.
Era di bell'aspetto, molto imponente, aveva una voce armoniosa che non perse mai l'accento africano, molto sobrio nel nutrirsi.
Morì di malattia in Britannia, ormai anziano dopo diciotto anni di regno e fu sepolto nella tomba di Marco Aurelio.
Morendo Settimio Severo si rallegrò di lasciare due figlio suoi possibili successori, ma uno venne ucciso dal fratello e l'altro finì malamente a causa dei suoi costumi. Del resto, nota l'autore, i grandi uomini non hanno mai avuto figli alla propria altezza e cita una serie di esempi concludendo con il deplorevole Bassiano che, nonostante le sue splendide terme, fu sempre disprezzato dal popolo che lo chiamò Caracalla.
Vengono quindi raccontati una serie di presagi che precedettero la morte dell'imperatore.
Lasciò notevoli opere pubbliche in molte città dell'impero e a Roma fece restaurare tutti gli edifici che ne avevano bisogno. Lasciò enormi riserve di grano e di olio.
La sua salma, o secondo alcuni un'urna contenente le sue ceneri, fu portata dalla Britanni a Roma dove venne accolta con grandi onori.



Vita di Pescennio Nigro

Di Elio Sparziano


Le notizie biografiche su Pescennio Nigro erano confuse e lacunose. Sembra fosse originario di Quino, figlio di Annio Fusco e di Lampridia.
Era violento, avido e di modesta cultura, sobrio ma libidinoso.
Ricoprì a lungo cariche militari secondarie finché non ebbe da Commodo il comando dell'esercito in Siria.
Dopo la morte di Pertinace i pretoriani elessero Didio Giuliano mentre Pescennio Nigro e Settimio Severo venivano proclamati imperatori dalle rispettive truppe.
Giuliano, che non godeva del favore popolare e non era amato neanche dai senatori, si comportò in quel frangente con scarsa abilità e fu presto eliminato.
A Roma Pescennio Nigro aveva dei sostenitori sia fra il popolo, sia nella classe senatoria.
Pescennio era stato amico di Severo e quando questi aveva governato la Gallia Lugdunense, Pescennio aveva collaborato nel reprimere disertori e sediziosi dando buona prova di se come militare dalla ferrea disciplina.
Pescennio era molto stimato anche da Commodo che gli fece avere il consolato e dallo stesso Severo che, a quanto pare, si rammaricava di averlo come nemico.
Allo scoppio della rivolta di Pescennio, Severo occupò la Bitinia e si recò personalmente in Asia per risolvere la situazione.
Pescennio si impadronì della Grecia, della Tracia e della Macedonia perpetrando grandi stragi e quando propose di dividere l'impero Severo lo fece dichiarare nemico pubblico insieme al suo generale Emiliano.
Le forze di Severo sconfissero Emiliano e l'imperatore offrì a Pescennio la possibilità di ottenere il perdono arrendendosi ed andando in esilio.
Pescennio rifiutò e fu sconfitto presso Cizico. Gravemente ferito, morì poco dopo.
La testa di Pescennio venne esibita sulla punta di una lancia nelle strade di Roma, la moglie ed i figli furono uccisi ed il patrimonio confiscato. Precisa l'autore che moglie e figli di Pescennio furono giustiziati solo più tardi quando Severo inasprì le misure a seguito della ribellione di Albino.
Pescennio era alto di statura, di bell'aspetto ed aveva capelli nerissimi che, forse, gli avevano procurato il soprannome di Nigro.
Era molto sobrio nel mangiare ed estremamente continente nelle cose del sesso (qui l'autore è in contraddizione con quanto ha affermato all'inizio di questa stessa biografia).
Fu un ottimo militare, console insigne e generale severissimo. Fu indotto al tentativo di usurpazione dai consigli del suo generale Emiliano.
L'autore riconosce la brevità di questa biografia e si scusa per la difficoltà di trovare ulteriori notizie, quindi conclude con una serie di aneddoti sul modo rigidissimo di Pescennio di mantenere la disciplina fra i suoi soldati.>


Vita di Clodio Albino

Di Giulio Capitolino


Alla morte di Pertinace seguirono contemporaneamente quattro imperatori: Didio Giuliano eletto a Roma, Settimio Severo in Siria, Pescennio Nigro in Oriente e Clodio Albino in Gallia.
In effetti Albino fu nominato cesare da Severo (fu poi proclamato imperatore nel 196 d.C. dopo la morte di Pescennio Nigro).
L'autore riporta una lettera (di dubbia autenticità) con la quale Commodo, dopo aver conferito ufficialmente il titolo di cesare ad Albino, lo istruiva sul comportamento da tenere con le truppe e con i funzionari e parlava dei sui sospetti nei confronti di Severo.
Albino rifiutò la nomina offertagli da Commodo perché aveva intuito che l'imperatore era prossimo alla rovina e non voleva essere coinvolto. Accettò invece il titolo da Severo il quale nei primi tempi del suo regno aveva pensato a Pescennio Nigro ed a Clodio Albino come suoi possibili successori, anche se poi cambiò idea.
Figlio di Ceionio Postumo e di Aurelia Messalina, Albino apparteneva ad una famiglia di origine africana, antica ma di modeste condizioni.
Fu chiamato Albino per il candore della sua pelle da neonato ed anche in onore alla famiglia degli Albini con la quale i genitori erano imparentati.
Trascorse l'infanzia e l'adolescenza in Africa dimostrandosi più interessato alle cose militari che agli studi.
Appena gli fu possibile intraprese la carriera militare. Quando divenne tribuno ebbe il comando della cavalleria in Dalmazia, poi quello delle legioni in Mesia.
I suoi successi militari in Gallia spinsero Commodo a proporgli il titolo di cesare che, come si è visto, rifiutò. Fu edile, pretore e sotto Severo ottenne il consolato.
Severo, sapendolo gradito ai senatori, progettò di associarlo all'impero, ma infine gli inviò dei sicari che avrebbero dovuto attirarlo in un tranello ed ucciderlo. Albino si insospettì, fece catturare gli emissari di Severo e con la tortura ottenne da loro la verità.
Saputo che l'imperatore aveva ordinato di ucciderlo, mosse senza indugio contro di lui con un grosso esercito (196 d.C.).
La guerra in Gallia si svolse con alterne fortune fino a quando Severo assunse personalmente il comando e sconfisse Albino.
Il vinto fu portato moribondo al cospetto dell'imperatore. Forse aveva tentato il suicidio o forse era stato ferito dai suoi stessi soldati.
Severo fece giustiziare moglie e figli del rivale e fece esporre per molti giorni il suo cadavere.
Su Albino esistevano opinioni discordi: lo stesso Severo che nella sua autobiografia lo definiva uomo malvagio e disonesto in precedenza lo aveva stimato.
Era goloso, beveva troppo, era burbero e crudele nelle punizioni.
Era amato dai senatori che odiavano Severo. Questi fece giustiziare tutti coloro che avevano avuto rapporti, anche soltanto epistolari, con Albino.
La biografia si chiude con alcune dichiarazioni di Albino in favore del potere senatorio e con una lettera di Commodo che vuole dimostrare come già questo imperatore considerasse Albino ambizioso e pericoloso.



Vita di Antonino Caracalla

Di Elio Sparziano


Figlio di Settimio Severo, Giulio Bassiano poi detto Caracalla, fu un fanciullo amabile ed intelligente.
Mostrando particolari doti di umanità e di generosità, intercedeva spesso presso il padre per alleviare una condanna o per aiutare qualcuno in difficoltà.
Incline agli studi, mite e benevolo, era amato da tutti.
Ma quando uscì dalla fanciullezza rivelò ben altro carattere, divenne superbo e severo e cominciò a coltivare una smodata ammirazione per le gesta di Alessandro Magno.
Dopo la morte del padre accusò il fratello Geta di aver tramato contro di lui e lo fece uccidere.
Questo gesto non fu gradito alle legioni che protestarono apertamente. Il nuovo imperatore evità una rivolta con elargizioni di denaro quindi tentò maldestramente di giustificare il proprio operato di fronte ai senatori.
Seguì un periodo di terrore durante il quale Caracalla fece morire chi era stato amico di Geta e chiunque dimostrasse di piangerne la morte, compresi personaggi illustri quali il giurista papiniano, il prefetto Mecio Leto, il consolare Pompeiano nipote di Marco Aurelio ed Elvio Pertinace figlio dell'imperatore Pertinace.
Conclusa questa strage Bassiano partì per la Gallia dove portò il panico con i suoi modi tirannici quindi si diresse in Dacia ed attraversando la Rezia fece una strage fra gli abitanti.
Durante il viaggio in Asia rischiò di morire in un naufragio. Continuò ad emanare condanne a morte per i più futili motivi.
Scoppiata la guerra contro i Parti andò ad Alessandria dove arruolò molti soldati che poi, improvvisamente, fece uccidere. Dopo aver ordinato un'altra strage fra i cittadini di Alessandria tornò in Asia dove affrontò alcuni scontri di di scarsa importanza con i Parti per i quali ottenne comunque dal senato il titolo di Partico.
Svernò a Edessa e quando stava per riprendere la guerra fu ucciso per iniziativa del prefetto del pretorio Macrino che divenne suo successore, era il 6 aprile 217.
Tornando sulla morte di Papiniano, l'autore precisa che era stato l'educatore di Bassiano e di Geta e che si era sempre sforzato di mantenere la concordia fra i due fratelli. Sarebbe stato ucciso per aver rifiutato di pronunciare in senato false accuse contro Geta per giustificare il fratricidio.
Bassiano morì a quarantatre anni (errore del biografo, ne aveva ventinove) dopo aver regnato per sei. Lasciò un figlio al quale fu imposto il nome di Antonino: Marco Antonino Eliogabalo.
Fu un uomo corrotto e crudele, odiato da tutti.
Lasciò in Roma le sue famose terme, costruite con accorgimenti architettonici molto innovativi.
Il soprannome Caracalla gli venne da una particolare lunga veste che adottò per primo.
Introdusse a Roma (o meglio diffuse più largamente) il culto di Iside alla quale dedicò splendidi templi.
Si macchiò anche di incesto con la matrigna Giulia Domna (in realtà era la madre, ma la storia di questo amore incestuoso è pura invenzione).
Malgrado tutto il suo assassino e successore Macrino lo volle divinizzare per attirare la simpatia dei pretoriani, i soli che rimpiangessero Caracalla.



Vita di Antonino Geta

Di Elio Sparziano


In apertura l'autore afferma che sulla vita di Geta, ucciso prima di poter esercitare il potere, non avrà molto da dire.
Settimio Severo, forse su consiglio della moglie Giulia Domna, aveva imposto ad entrambi i figli il nome di Antonino e li considerava entrambi suoi successori.
Severo usava il nome Antonino in omaggio ad Antonino Pio che lo aveva nominato "avvocato del fisco", cioè curatore delle finanze imperiali, oppure in onore di Marco Aurelio che aveva ricevuto quel nome per adozione.
Geta nacque forse a Milano sotto il consolato di Severo e Vitellio (189 d.C.) da Giulia Domna che Severo aveva sposato prima di diventare imperatore.
A corto di notizie, l'autore riferisce una serie di presagi riguardanti la nascita e il destino di Geta e racconta che era un giovane di bell'aspetto, goloso e avido ma non crudele.
In gioventù si era mostrato contrario alle proscrizioni decretate dal padre che erano invece molto gradite a Bassiano.
Amava leggere gli autori antichi ed apprezzava i piaceri della tavola. Era il favorito della madre ma era odiato dal fratello.
Quando fu ucciso una parte dell'esercito si ribellò ma Bassiano riuscì a calmarla con offerte di premi e di denaro, seguì la strage dei sostenitori di Geta, veri o presunti.
Al giovane Pertinace figlio dell'omonimo imperatore, una battuta di spirito costò la vita, del resto Bassiano lo considerava un possibile rivale e temeva la sua popolarità.
Geta ebbe uno splendido funerale ma Bassiano minacciò di uccidere anche la madre perché lo temeva.
Stranamente Bassiano in seguito si commuoveva quando gli capitava di ricordare il fratello ma poi sfogava la propria sete di sangue uccidendo a caso chi era stato amico di Geta e chi era stato suo avversario.



Vita di Opilio Macrino

Di Giulio Capitolino


Nel primo paragrafo di questa biografia l'autore parla della difficoltà che incontra chi cerchi di narrare la vita di personaggi oscuri che solo per brevissimo tempo hanno retto l'impero, come avvenne nel caso di Macrino.
Macrino è definito uomo di umili origini, che tradiva anche nell'aspetto esteriore la sfrontatezza del carattere.
Considerato da tutti l'uccisore di Caracalla non era amato dai soldati. Quanto al Senato lo accettò in odio a Caracalla, si disse che chiunque sarebbe stato migliore dell'uccisore del proprio fratello.
Sul passato di Macrino circolavano voci contrastanti ma comunque denigratorie: si diceva che era stato un servitore di corte cacciato per cattiva condotta, oppure un gladiatore e quindi un cacciatore di belve per il circo. In ogni caso nell'ambiente senatorio, del quale la Storia Augusta è in genere portavoce, si tendeva a disprezzarlo per le sue modeste origini.
Di certo si sapeva che aveva vissuto alcuni anni in Africa dove, svolto un praticandato notarile, era divenuto avvocato del fisco.
Preso il potere aggiunse al proprio nome quello di Severo ed associò all'impero il figlio Diadumeno al quale conferì il nome di Antonino, quindi inviò a Roma le spoglie del predecessore.
Preoccupato perché le truppe erano molto legate a Caracalla, aumentò i salari ottenendo una certa tranquillità in una situazione in generale molto tesa.
Macrino comunicò al Senato la notizia della proclamazione sua e del figlio e chiese che il consesso la ratificasse (l'autore riporta brani di una lettera probabilmente inventata).
I senatori, che come si è detto erano lietissimi della morte di Caracalla, ratificò la nomina ed iscrisse fra i patrizi Macrino e Diadumeno.
Poco dopo Macrino partì per una campagna contro i Parti sperando di consolidare la sua posizione con una vittoria, tuttavia era in condizione di inferiorità rispetto al nemico che aveva recentemente subito gravi violenze contro la popolazione civile da parte di Caracalla ed era quindi agguerritissimo.
Macrino fu per qualche tempo in grado di fronteggiare i Parti, poi avviò trattative di pace che il nemico accettò senza difficoltà considerando che Caracalla era morto.
Conclusa la guerra si ritirò ad Antiochia dove "si abbandonò a una vita di piacere".
Viveva a corte una certa Giulia Mesa, figlia di un sacerdote di nome Giulio Bassiano, la cui figlia Giulia Soemia era a sua volta madre di Eliogabalo Bassiano Vario, allora tredicenne, che celebrava riti nel tempio del dio Sole.
Giulia Mesa e Giulia Soemia sparsero la voce che il ragazzo fosse figlio naturale di Caracalla e Mesa, che era molto ricca, promise donativi ai soldati in caso di incoronazione del nipote.
In breve tempo l'esercito conferì a Eliogabalo le insegne imperiali ed il nome di Antonino mentre Macrino si trovava ancora in Antiochia.
Macrino incaricò di intervenire il prefetto Ulpio Giuliano ma questi fu ucciso dai suoi soldati che passarono a Eliogabalo.
A questo punto fu Eliogabalo a muovere verso Antiochia con i molti soldati che lo sostenevano e quando si giunse allo scontro Macrino fu rapidamente sconfitto. Fuggiti, Macrino e Diadumeno furono catturati in Bitinia ed uccisi.
Macrino fu colpevole di efferate crudeltà, inflisse ai soldati punizioni terribili condannandoli spesso ad essere torturati prima di morire.
In campo giudiziario abolì i rescritti degli imperatori precedenti, cioè le opinioni scritte che questi, consultati dai giudici, avevano rilasciato in quanto riteneva che avessero avuto validità contingente nel momento in cui erano stati compilati ma non valore generale.



Vita di Antonino Diadumeno

Di Elio Lampridio


Alla morte di Caracalla il prestigio degli Antonini era molto alto, per questo motivo Macrino nel farsi proclamare imperatore dalle truppe impose il nome di Antonino al figlio Diadumeno (Diadumeniano in Cassio Dione) che in quel momento aveva circa nove anni e che contemporaneamente ebbe il titolo di Cesare.
Furono elargite donazioni, coniate monete con il nome Antonino Diadumeno e Macrino dispose che negli accampamenti fossero esposte insegne e vessilli in onore del figlio.
Evidentemente privo di notizie documentate e certe sul suo personaggio, l'autore nutre questa biografia con discorsi e documenti di dubbia attendibilità, descrive Diadumeniano come un giovane di bellissimo aspetto e passa senz'altro a parlare dei prodigi riguardanti il breve regno del figlio di Macrino.
Fra insoliti comportamenti degli uccelli e nascita di animali anomali spicca un prodigio in particolare, Diadumeno sarebbe nato con una specie di diadema sul capo e per questo chiamato Diademato, nome che fu sostituito più tardi.
Osservando quest ed altri prodigi e considerando significativo il fatto che Diadumeno era nato il giorno dell'anniversario della nascita di Antonino Pio, indovini ed astrologi predissero che sarebbe divenuto imperatore, anche se per breve tempo.
L'autore insiste molto sull'importanza del nome Antonino che fu imposto a Diadumeno nel momento dell'incoronazione e su quanto Macrino andasse fiero di avere un figlio con quel nome.
Dopo un regno di soli tredici mesi Macrino e Diadumeno vennero assassinati.
Il giovane Diadumeno ebbe comunque il tempo di dimostrare la violenza e la crudeltà del suo animo. L'autore cita delle lettere in cui il giovane rimproverava il padre per aver usato clemenza nei confronti di alcuni ufficiali insubordinati.



Vita di Antonino Eliogabalo

Di Elio Lampridio


Elio Lampridio esordisce affermando che non avrebbe voluto scrivere la biografia di questo imperatore depravato del quale sarebbe meglio perdere la memoria. Tuttavia lo ha fatto considerando che non fu il solo imperatore corrotto e nota come gli imperatori saggi ed onesti morirono nei loro letti mentre persone come Eliogabalo, Caligola e Nerone finirono tutti trucidati.
Eliogabalo, dopo la morte di Macrino e Diadumeno, fu proclamato imperatore dai soldati ai quali si era fatto credere che fosse figlio di Bassiano Caracalla.
In realtà ara figlio di un sacerdote della divinità orientale Elagabal e si chiamava Vario Avito, assunse il nome Eliogabalo quando a sua volta ebbe accesso alla carica sacerdotale tradizionale della sua famiglia, mentre quando divenne imperatore si fece chiamare Marco Aurelio Antonino.
La madre di Vario, Simiamira, aveva sempre condotto vita dissoluta e si diceva fosse stata amante di Caracalla. La sua influenza sul figlio era assoluta e condizionò tutte le decisioni dell'imperatore.
Da Antiochia Eliogabalo mandò emissari a Roma per far ratificare la sua nomina dal senato che lo acclamò festosamente per odio verso Macrino e Diadumeno.
Eliogabalo trascurò gli affari di governo per dedicarsi al culto del suo dio al quale dedicò un nuovo tempio sul Palatino. Intendeva trasferire in quel tempio gli oggetti di culto di tutte le religioni per fare in modo che tutti i fedeli facessero riferimento ai sacerdoti di Elagabal.
Simiamira fu ammessa dal figlio anche alle sedute del senato (prima donna a Roma) e fu costituito un senaculum composto di sole donne e da lei presieduto.
Eliogabalo era omosessuale, estremamente libidinoso ed amava organizzare rappresentazioni nelle quali si offriva nudo ai suoi amasii. I legionari cominciarono a pentirsi di averlo eletto e a pensare di sostituirlo con il cugino Alessandro.
Eliogabalo faceva commercio delle cariche politiche e militari e si circondava di sordidi consiglieri che spesso erano suoi amanti.
Sedusse una vestale (Aquila Severa che sposò nel 221) e profanò i templi in nome di Elagabal. Nell'affermare la superiorità del suo dio, Eliogabalo non rispettò i templi di alcuna divinità, praticò rituali osceni ed arrivò a compiere sacrifici umani immolando bambini di famiglie nobili, il malcontento contro questo imperatore dai costumi così depravati crebbe rapidamente, soprattutto da parte di chi vedeva i propri meriti ignorati, e si comincià a pensare di eliminarlo mentre crescevano le simpatie riscosse da Alessandro.
Eliogabalo "sposò" un atleta di nome Aurelio Zotico celebrando una vera e propria cerimonia nuziale e Zotico approfittò in ogni modo della situazione per procurarsi illeciti guadagni tramite minacce, calunnie e delazioni.
Assegnò prestigiosi incarichi ai personaggi più disparati dediti ai suoi stessi vizi: un saltimbanco divenne prefetto del pretorio (Valerio Eutichiano), un auriga prefetto dei vigili, un barbiere prefetto dell'annona.
Non svolgeva alcuna attività politica e di governo se non in compagnia della nonna Giulia Mesa la cui autorità compensava la sua mancanza di prestigio di fronte al senato.
Venutogli in odio Alessandro, che pure aveva adottato, lo allontanò dalla corte ed ordinò la revoca del titolo di cesare ma il senato lasciò cadere l'ordine perché riconosceva l'onestà e la rettitudine di Alessandro.
Fece di tutto per screditarlo e tramò per farlo eliminare ma non trovò nessuno disposto ad uccidere Alessandro, anzi infine i soldati non sopportarono di assistere a questa persecuzione e si rivoltarono contro Eliogabalo.
Prelevato e portato al sicuro Alessandro e i suoi familiari, i soldati insorti minacciavano di uccidere l'imperatore. Trattando con i prefetti i soldati accettarono di risparmiare la vita di Eliogabalo a patto che questi allontanasse i suoi ignobili consiglieri.
Eliogabalo fu costretto ad accettare ma poco dopo riprese a tramare ed ordinò a tutti i senatori di allontanarsi da Roma per poter liberamente eliminare Alessandro. Tuttavia soldati e pretoriani presero l'iniziativa, trucidarono i complici di Eliogabalo quindi uccisero lo stesso imperatore in una latrina dove si era nascosto (marzo 222 d.C.).
Lo gettarono in una cloaca ma poiché questa era troppo stretta per il suo corpo il cadavere, appesantito con della zavorra, fu gettato nel Tevere dopo essere stato trascinato per il circo.
Durante il regno di Eliogabalo furono realizzate alcune opere pubbliche: il tempio del dio Elagabal, il restauro dell'Anfiteatro Flavio, il completamento delle terme di Caracalla alle quale fu aggiunta una serie di porticati poi completata sotto Alessandro.
Venne uccisa anche Simiamira ed in seguito un decreto vietò per sempre l'accesso delle donne in senato.
Della vita di Eliogabalo si ricordavano anche stravaganti raffinatezze: coperte intessute d'oro, pentole d'argento, vasi d'argento con decorazioni oscene. Anche nei banchetti sfoggiava particolare ricercatezza con vini speziati, salsicce di ostrica, triclini coperti di rosa.
Allevava belve addomesticate per divertirsi a spaventare gli ospiti, nutriva i cani con fegato d'oca, i leoni con carni di fagiano o di pappagallo, i cavalli con uve pregiate.
Organizzò spettacoli assurdi e follemente dispendiosi come canali di vino che affluivano nel circo allagato per le battaglie navali, amava indossare una quantità eccessiva di gioielli e, in sintesi, viveva sempre nel segno del lusso e dello sperpero.
La biografia prosegue con la descrizione degli usi più depravati di Eliogabalo, ma spesso è evidente che si tratta di grottesche esagerazioni.



Vita di Alessandro Severo

Di Elio Lampridio


Dopo l'uccisione di Eliogabalo fu nominato imperatore Aurelio Alessandro, cugino e figlio adottivo del predecessore.
Il senato conferì immediatamente ad Alessandro tutti i titoli e prerogative imperiali tentando di consolidare la sua posizione per superare gli instabili umori dell'esercito che da tempo condizionavano la scelta e le fortune degli imperatori.
Figlio di Mamea, Alessandro aveva avuto ottimi precettori ed aveva ricevuto una solida educazione. Mostrò sempre grande rispetto e considerazione per letterati e uomini di cultura.
Si dimostrò modesto rifiutando molti onori ed abrogando le mode lussuose introdotte da Eliogabalo.
Portava il nome di Alessandro in onore del Macedone ma quando il senato, per lo stesso motivo, gli offrì il titolo di Magno lo rifiutò così come non volle quello di Antonino, pur essendo parente di Caracalla.
L'autore riporta, ma sono quasi certamente invenzioni letterarie, le acclamazioni dei senatori che volevano indurre Alessandro ad accettare i titoli di Magno e di Antonino e l'orazione con cui l'imperatore li rifiutava.
Alessandro non accettò i titoli offerti dal senato ma più tardi l'esercito per acclamazione gli aggiunse il nome di Severo. In realtà l'affermazione è infondata: Alessandro prese volontariamente il nome di Severo per ricordare i suoi legami con Settimio Severo, d'altro canto Alessandro fu favorevole al senato e viene continuamente elogiato da Elio Lampridio che, come tutti i compilatori della Storia Augusta, era di chiara posizione filosenatoria.
Vari eventi e combinazioni erano stati interpretati come presagio del destino imperiale di Alessandro, ad esempio il fatto che la nutrice si chiamasse Olimpia e suo marito Filippo, i nomi dei genitori di Alessandro Magno.
Salito al potere, Alessandro allontanò dalle cariche pubbliche gli infidi accoliti di Eliogabalo, epurò il senato e l'ordine equestre. Rivide gli organici amministrativi nelle province e affidò la supervisione delle vertenze giudiziarie ai presidenti del tribunale fra i quali era il famoso giurista Ulpiano.
Riformò il fisco e le procedure previste per deliberare in materia fiscale prevedendo nuove severissime pene per i giudici corrotti. Volle che tutti i prefetti del pretorio fossero anche senatori per diminuire i conflitti fra le due funzioni.
Modificò anche l'etichetta ufficiale eliminando tutti i cerimoniosi omaggi all'imperatore voluti da Eliogabalo.
Incentivò il commercio e l'edilizia e ripristinò la distribuzione di derrate al popolo eliminando le truffe che si verificavano sotto Eliogabalo. Era estremamente affabile e cortese con tutti, anche troppo a giudizio della madre Mamea e della moglie Memmia. Molto osservante nella sua religione tollerò e non perseguitò Cristiani e Giudei.
Sapeva farsi amare dai soldati ma quando necessario applicava la disciplina con grande severità.
Completò le terme di Caracalla e costruì le sue terme (in realtà si trattò della ricostruzione di quelle di Nerone) e le rese gratuite finanziandole con un'imposta sull'artigianato, restaurò edifici ed acquedotti e creò un vasto parco.
Si dilettava di musica, poesia e pittura ed era molto interessato all'astrologia, che fece insegnare nelle scuole.
Ricoprì tre consolati (222, 226, 229). Aveva abitudini semplici: si alzava di buon mattino e, se poteva, celebrava un sacrificio per i Lari, a volte cacciava o pescava. Quindi si dedicava all'amministrazione pubblica con la collaborazione di amici fidati. Quando era necessario non si lamentava se doveva lavorare per molte ore.
Terminato il lavoro riservava del tempo alla lettura di autori greci e latini, quindi agli esercizi ginnici.
Dopo una colazione semplice e nutriente si occupava della corrispondenza, quindi incontrava gli amici o aveva colloqui privati con il consigliere Ulpiano. Anche i banchetti offerti da Alessandro non erano mai sontuosi ma sempre di buon gusto.
Odiava ipocriti e millantatori e si racconta come fece condannare a morte un individuo che spacciandosi per amico dell'imperatore vendeva favori e raccomandazioni.
La biografia prosegue con dettagliate descrizioni delle abitudini alimentari di Alessandro e dei suoi costumi sessuali, tutti improntati a grande serietà e moderazione.
A titolo di curiosità si può citare la passione di Alessandro per l'allevamento di volatili di ogni razza che curava personalmente in grandi voliere ma sostenendo ogni spesa senza gravare sulle casse dello stato.
Alessandro varò alcune riforme in materia finanziaria (conio di nuove monete, diminuzione delle imposte) ed istituzionale (revisione della durata e delle prerogative delle magistrature).
Un episodio singolare, e probabilmente inventato, narrato nel chiaro intento di dimostrare quanto Alessandro fosse mite e moderato riguarda un certo Ovinio Carmillo che fu scoperto a tramare per impadronirsi del potere. Invece di farlo processare Alessandro lo invitò ad unirsi a lui nelle fatiche di una spedizione militare. Dopo un solo giorno il cospiratore, stremato, rinuncià a tutto pronto a morire ma venne graziato e rimandato a casa sua dove visse serenamente finchè non fu eliminato sotto Massimino.
Venne invece giustiziato Macriano, suocero di Alessandro, per aver attentato alla vita dell'imperatore e la figlia venne ripudiata.
Durante la campagna militare in Persia l'esercito di Alessandro Severo si distinse per organizzazione e disciplina. In quell'occasione l'imperatore dotò alcuni reparti di scudi ornati d'argento e d'oro ad imitazione di Alessandro Magno.
Anche durante le imprese militari Alessandro si comportava sempre con molta modestia e condivideva il rancio delle truppe. Tuttavia manteneva la disciplina con grande rigore e puniva duramente i soldati colpevoli di reati o violenze ai danni delle popolazioni civili.
Guidò una spedizione in Persia e sconfisse Artaserse (un condottiero persiano che aveva preso il potere uccidendo il re dei Parti Artabane V). Il biografo elogia il coraggio di Alessandro e la sua attiva partecipazione alla campagna.
Dopo aver spartito fra le truppe un ricchissimo bottino, l'imperatore tornò a Roma dove celebrò il trionfo (233 d.C.) e tenne, stando all'autore, alcuni solenni discorsi.
Altre vittoriose campagne furono condotte in quel periodo dai generali Furio Celso nella Mauritania Tingitana, Valerio Macrino nell'Illirico, Giunio Palmato in Armenia.
Nel 234 Alessandro partì per fermare le devastazioni dei Germani in Gallia. Qui giunto trovò le legioni che vi erano stanziate nella più completa insubordinazione e, come era suo costume, prese subito severi provvedimenti disciplinari, ma venne assassinato da alcuni soldati mentre si trovava in un campo militare (inverno 235).
Aveva ventisette anni (erroneamente il testo dice ventinove) ed aveva regnato per tredici anni. Con lui fu uccisa la madre Mamea.
Grande fu la costernazione fra i soldati, che fecero giustizia sommaria degli assassini, e dei senatori che prevedevano tempi duri sotto il nuovo imperatore Massimino il quale, fra l'altro, era sospettato di essere il mandante dell'omicidio.
Furono tributati ad Alessandro solenni onori funebri, gli furono dedicati un cenotafio in Gallia ed un grandioso sepolcro a Roma.
Dopo la sua morte, fino al regno di Aureliano, quanti ressero l'impero tennero il potere per brevi periodi, in un clima di grave instabilità.
Secondo il biografo Alessandro non solo fu un buon sovrano ma ebbe anche ottimi ed integerrimi consiglieri (compresa la madre).
Concludendo, l'autore ricorda i nomi dei più stretti collaboratori di Alessandro: Fabio Sabino, Domizio Ulpiano, Elio Gordiano, Giulio Paolo, Claudio Venaco, Catilio Severo, Elio Sereniano, Quintilio Marcello.



Vita dei Due Massimini

Di Giulio Capitolino


Caio Giulio Vero Massimino detto il Trace viene definito in questa biografia "Massimino il Vecchio" per distinguerlo dal figlio Caio Giulio Vero Massimo citato nello stesso testo. Nacque in un villaggio della Tracia (nel 173 d.C.) da genitori di origine gotica.
Dotato di eccezionale prestanza fisica intraprese la carriera militare e presto si fece notare per le sue vittorie nelle gare di lotta dall'imperatore Settimio Severo che lo inserì nella sua guardia del corpo.
In questa posizione di favore divenne molto popolare nonostante la giovane età. Fu centurione sotto Caracalla per ricoprire gradi più alti ma si ritirò all'avvento di Macrino, che odiava, e tornò a vivere in Tracia dedicandosi al commercio.
Tornò nell'esercito sotto Eliogabalo ma non superò il grado di tribuno. Solo con Alessandro Severo ottenne di nuovo una posizione prestigiosa. Secondo Giulio Capitolino sarebbe stato iscritto all'ordine senatoriale ma pare che la notizia sia infondata. Comunque Alessandro gli affidò un'intera legione di reclute con l'incarico di curarne l'addestramento.
Nello svolgere questo compito Massimino ebbe grande successo ed ottenne da Alessandro la carica di comandante in capo dell'intero esercito.
Massimino comandò con grande rigore ristabilendo al disciplina ma quando Alessandro venne ucciso furono molti a ritenere che proprio Massimino fosse il mandante.
Fu il primo imperatore ad essere eletto dai soldati senza decreto del senato e seppe farsi apprezzare dall'esercito mantenendo l'ordine senza mai ricorrere alla forza. Ben diverso, tuttavia, era il suo atteggiamento verso la popolazione civile con la quale non evitava la violenza, la tortura e le condanne a morte.
Era temuto dal senato e a Roma si pregava che non venisse mai in città. Massimino si vergognava delle proprie umili origini e per tenerle nascoste fece sopprimere tutti coloro che ne erano a conoscenza. Diffidava della nobiltà e fece morire anche tutti i consiglieri di Alessandro.
Fin dai primi tempi del suo impero Massimino intraprese campagne militari con l'intento di consolidare il proprio prestigio ed offuscare la memoria di Alessandro Severo. Mentre era impegnato in una di queste campagne un certo Magno cospirò contro di lui. Il cospiratore venne presto scoperto ed eliminato, ma l'evento indusse Massimino ad inasprire i suoi metodi. Per l'autore, tuttavia, è possibile che la congiura fosse un'invenzione dello stesso Massimino.
Un'altra rivolta riguardò delle truppe fedeli alla memoria di Alessandro ma fallì quando l'uomo che intendevano incoronare venne assassinato.
Massimino condusse una vittoriosa campagna in Germania durante la quale si espose personalmente combattendo sempre in prima fila. Dopo aver represso la rivolta dei Germani (236 d.C.), Massimino si portò a Sirmio per attaccare i Sarmati e dare inizio ad un suo piano di espansione verso nord.
Ma le violenze e gli abusi di Massimino erano ormai intollerabili e a Roma fu ordita una congiura mentre le truppe di stanza in Africa si ribellavano e nominavano imperatore il proconsole Gordiano.
L'esito di questa rivolta, che era stata scatenata dall'avidità di un procuratore del fisco, venne approvato dal senato che inviò le insegne imperiali a Gordiano e al figlio Gordiano II.
A Roma si scatenò una persecuzione contro i sostenitori di Massimino della quale fu vittima, fra gli altri, il prefetto Sabino.
Il senato dichiarò Massimino e suo figlio nemici pubblici e la rivolta si estese rapidamente a tutte le province (236 d.C.). Dal canto suo Massimino, dopo una prima reazione di incontenibile ira, organizzò un attacco contro Gordiano incentivando le proprie truppe con ricche elargizioni.
In Africa Gordiano II morì combattendo contro un certo Capelliano, un ex governatore che parteggiava per Massimino, e lo stesso Gordiano, consapevole della superiorità militare del rivale, si impiccò.
A queste notizie il senato, prevedendo la reazione di Massimino, si affrettò a conferire il titolo imperiale a due personaggi: Massimo Pupieno e Balbino, mentre nominò cesare il giovane Gordiano III, nipote di Gordiano.
Il primo partì per affrontare Massimino mentre il secondo cercava di mettere ordine a Roma in preda a sommosse e guerra civile.
Massimino, che marciava verso l'Italia, si trovò privo di rifornimenti fra Emona (Lubiana) ed Aquileia a causa della resistenza passiva delle popolazioni locali e si creò un forte malcontento fra i suoi soldati.
Scontrandosi con gli abitanti di Aquileia, Massimino fu sconfitto e la tensione fra le sue truppe aumentò quando Massimino commise l'errore di far giustiziare molti ufficiali.
Quando giunse da Roma il divieto del senato di fornire aiuti ed approvvigionamenti a Massimino i soldati, esasperati, trucidarono l'imperatore ed il figlio.
Dopo la morte di Massimino le suo truppe giurarono fedeltà a Massimo (Pupieno) e a Balbino.
L'ultima parte del testo è dedicata a Massimino il Giovane che, secondo l'autore, era molto bello e sarebbe diventato prestante come il padre se non fosse stato ucciso così presto.
A differenza del padre aveva ricevuto una certa istruzione, curata da buoni maestri. Era superbo ed insolente ma moderato nel bere e nei costumi sessuali a dispetto delle dicerie provocate dalla sua straordinaria avvenenza.
Quando le teste dei due Massimini uccisi furono mostrate alla folla il popolo esultò per la morte del padre ma compianse quella del figlio che, forse, avrebbe meritato una sorte migliore.



Vita dei Tre Gordiani

Di Giulio Capitolino


Gordiano I

Gordiano I (o Gordiano il Vecchio) nacque da Mezio Marullo e Ulpia Gordiana in una famiglia che vantava discendenze dai Gracchi (da cui il cognome di Semproniano) e da Traiano.
Molto ricco, Gordiano possedeva a Roma la domus pompeiana e molte terre nelle province. Dopo il consolato (213) ebbe da Alessandro Severo il proconsolato d'Africa.
Era un uomo colto e fu autore di componimenti poetici e di un poema epico in trenta libri intitolato Antonineide.
Fu questore, edile e pretore e durante lo svolgimento di queste cariche offrì al popolo splendidi spettacoli.
Secondo Giulio Capitolino, Gordiano I fu due volte console, una sotto Caracalla ed una sotto Alessandro Severo, ma sembra che la notizia relativa al secondo consolato non sia corretta e che sia piuttosto da attribuirsi a Gordiano II.
Ebbe un figlio con il suo stesso nome (Gordiano II) ed una figlia, Mezia Faustina, moglie del consolare Giulio Belbo e madre di Gordiano III. Il biografo, evidentemente favorevole ai Gordiani che rappresentavano l'aristocrazia senatoria, indirizza molti encomi a Gordiano I lodandone nobiltà, giustizia, moderazione ed eleganza.
Gordiano ottenne il proconsolato della provincia d'Africa e durante la sua carica si verificò una ribellione contro gli abusi di un procuratore che venne ucciso. I ribelli decisero di affidare l'impero a Gordiano I ed al figlio Gordiano II che si trovava in Africa in qualità di luogotenente del padre.
Gordiano si mostrò molto riluttante ma alla fine accettò l'impero.
Al momento della nomina Gordiano I aveva circa ottanta anni. Stabilì la sede del suo governo a Cartagine e di qui inviò un'ambasciata a Roma che fu accolta positivamente dal senato.
A Roma fu ucciso il prefetto Vitaliano, sostenitore di Massimino ritenuto particolarmente pericoloso e venne esposta l'immagine dei Gordiani nell'accampamento dei soldati. Intanto il senato dichiarava Massimino nemico della patria promettendo un premio per la sua uccisione.
La seduta nella quale il senato prese queste decisioni era un "senatoconsulto segreto" per evitare che Massimino reagisse senza dar tempo ai Gordiani di organizzarsi, tuttavia Massimino venne comunque informato e, dopo una crisi d'ira già descritta nella precedente biografia, chiamò a se il figlio e riunì le truppe per marciare su Roma ma si rese conto che l'umore dei soldati era incerto e poco promettente.
Intanto Gordiano aveva destituito il governatore di Mauretania Capelliano il quale non esitò ad attaccare. Gordiano II si scontrò con lui e cadde sul campo.
Poco dopo Gordiano I si rese conto di non poter competere militarmente con Massimino e si impiccò.

Gordiano II

Gordiano il Giovane era figlio di Gordiano I e di Fabia Orestilla che si diceva discendere da Adriano (ma la notizia non è attendibile).
Luogotenente del padre, era celebre per i suoi costumi e per la sua cultura letteraria formata con la guida del precettore Sereno Sammonico.
Era stato questore sotto Eliogabalo e pretore sotto Alessandro Severo.
Beveva volentieri vino aromatizzato ed aveva fama di essere grande amatore, pare avesse ventidue concubine e moltissimi figli.



Vita di Massimo e Balbino

Di Giulio Capitolino


Nota: in questa duplice biografia l'imperatore Pupieno viene chiamato Massimo ma l'autore precisa che questo è il nome generalmente utilizzato dalle fonti greche mentre quelle romane utilizzano il nome di Pupieno e conclude che Massimo e Pupieno siano la stessa persona.

Dopo la morte dei due Gordiani, Massimino marciava verso Roma ed i senatori erano in preda al panico.
Vettio Sabino, futuro prefetto dell'Urbe, propose la nomina di due imperatori, Massimo (Pupieno) e Balbino, affidando al primo il compito di fronteggiare Massimino, al secondo quello di rimanere a Roma a governare. Il senato approvò immediatamente e per accontentare i sostenitori dei Gordiani nominò cesare Gordiano III nonostante avesse solo tredici anni.
I primi provvedimenti dei nuovi imperatori furono la deificazione dei due Gordiani defunti e la nomina di Vettio Sabino e Pinario Valente rispettivamente a prefetto dell'Urbe e prefetto del pretorio.
Pupieno era plebeo, figlio di un artigiano, ed aveva trascorso l'infanzia in casa dello zio paterno Pinario Valente.
Dedicò poco tempo allo studio e molto alla carriera militare, fu tribuno militare, pretore, quindi proconsole in Grecia poi in Gallia.
Combattè nell'Illirico contro i Sarmati e sul Reno contro i Germani. Era prefetto dell'Urbe quando fu eletto imperatore.
Buon mangiatore, era moderato nel bere e nel sesso. Era molto alto, austero e sempre serio, si dimostrò comunque onesto e clemente.
Balbino era di famiglia nobile, aveva ricoperto due consolati ed amministrato diverse province. Più portato per le cariche civili che per quelle militari, era popolare e benvoluto.
Elegante, di bell'aspetto e raffinato, indulgeva volentieri ai piaceri della tavola e dell'amore.
Insieme all'impero Pupieno e Balbino ricevettero la podestà tribunizia, la carica di pontefici massimi e il titolo di padri della patria.
Dopo le consuete cerimonie ed i giochi celebrativi, Pupieno partì con l'esercito contro Massimino. A proposito degli spettacoli di gladiatori che si usava allestire in occasione della nomina degli imperatori, l'autore riferisce che molti ritenevano che si trattasse di offrire sacrifici umani a Nemesi, la forza del destino.
Pupieno non era amato dalla plebe e la sua elezione provocò gravi disordini che si placarono solo con la nomina a cesare di Gordiano III. Partito Pupieno, comunque, Balbino incontrò difficoltà nel mantenere l'ordine in città.
Pupieno sostò presso Ravenna per prepararsi allo scontro ma intanto Massimino ed il figlio furono sconfitti dagli abitanti di Aquileia ed uccisi dai loro soldati.
Pupieno ricevette le teste dei due Massimini e le inviò a Roma dove Balbino offrì un'ecatombe per ringraziare gli dei.
Benché Pupieno non avesse alcun merito riguardo alla fine di Massimino, il senato gli tributò grandi onori suscitando la gelosia di Balbino che riteneva, forse a ragione, che a causa delle sommosse aveva corso rischi maggiori del collega che non aveva combattuto.
Pupieno assunse il comando dell'esercito di Massimino e ripartì verso Roma, ma i soldati non erano soddisfatti di dover obbedire a due imperatori scelti dal senato e la situazione prese a farsi minacciosa.
Seguì comunque un periodo di tranquillità durante il quale i due imperatori, protetti da guardie del corpo germaniche, governarono con saggezza e moderazione.
Tuttavia fra i due regnavano il disaccordo e la rivalità, i soldati se ne accorsero e decisero di approfittarne. In un momento in cui il palazzo imperiale era quasi deserto perché molti si trovavano ad uno spettacolo, i soldati attaccarono sorprendendo Pupieno da solo. L'imperatore mandò a chiamare il corpo di guardia che era presso Balbino ma questi, temendo un inganno, rifiutò di lasciar andare le guardie.
I soldati trovarono Pupieno e Balbino che litigavano e li uccisero entrambi, quindi proclamarono imperatore Gordiano III.


A questo punto del testo si incontra un'ampia lacuna per la quale sono andate perdute le biografie di Filippo l'Arabo, Decio, Erennio Etrusco, Ostiliano, Treboniano Gallo, Volusiano, Emiliano, e Valeriano.



Vita dei due Valeriani

Di Trebellio Pollione


Gran parte della biografia di Valeriano è perduta, ne rimangono soltanto i brani conclusivi.
Si tratta di una serie di "documenti" sicuramente falsi: alcune lettere di sovrani orientali alleati dei Persiani che consigliano a Sapore I di liberare Valeriano e non sottovalutare la potenza di Roma ed il resoconto di una riunione del Senato nella quale, sotto Decio, Valeriano veniva nominato censore.
Il tono è encomiastico e teso a dare di Valeriano un ritratto fin troppo positivo, probabilmente ciò si deve al giudizio non imparziale dell'autore che apprezzava molto il rispetto di Valeriano per il Senato.
Conclude il libro un breve cenno a Valeriano il Giovane, figlio di Valeriano, che viene definito bello, riservato, modesto e colto, del tutto dissimile dal fratellastro Gallieno. Viene precisato che il sepolcro nei pressi di Milano che recava l'iscrizione "A Valeriano imperatore" apparteneva a Valeriano il Giovane e non al padre. L'equivoco era comune ed aveva fatto credere a molti che i Persiani avessero restituito le spoglie dell'imperatore prigioniero.



Vita dei Due Gallieni

Di Trebellio Pollione


L'autore si dimostra subito molto ostile verso Gallieno accusandolo di depravazione e di aver gioito delle disgrazie del padre Valeriano la cui cattura da parte dei Persiani lo aveva reso unico imperatore.
Il generale Macriano e il prefetto Ballista riorganizzarono l'esercito e Macriano fece proclamare augusti i suoi figli, quindi incaricò Pisone di recarsi in Acaia per rimuovere il governatore Valente che stava abusando della carica. Valente si fece proclamare imperatore e Pisone fece altrettanto ma fu presto eliminato da sicari di Valente.
Macriano e il figlio Macriano Minore furono sconfitti nell'Illirico da Domiziano generale di Aureolo, uno dei rivali di Gallieno.
Odenato si preparò ad affrontare Quieto, l'altro figlio di Macriano, ma il giovane fu ucciso dai suoi soldati fomentati da Ballista e Odenato si impadronì di gran parte dell'Oriente, mentre Aureolo dominava l'Illirico e Gallieno governava a Roma.
Gallieno si dimostrò soddisfatto della situazione e si rallegrò per la fine di Macriano, offrì spettacoli ed organizzò combattimenti di fiere (in realtà pare che in quel momento l'imperatore fosse impegnato contro Ingenuo e Postumo).
Intanto Emiliano tentava di usurpare il potere in Egitto ma veniva sconfitto e catturato da Teodoto generale di Gallieno. Mandato a Roma fu giustiziato mentre Teodoto assumeva il governo dell'Egitto.
Un altro imperatore sorse in Gallia con l'appoggio della popolazione locale: Postumo. Gallieno intervenne personalmente assediando la città in cui si trovava Postumo ma fu ferito e tornò a Roma, così Postumo governò indisturbato la Gallia per sette anni.
La situazione era molto difficile a causa dei focolai di rivolta presenti ovunque nell'impero, inoltre si verificò un gravissimo terremoto e un'epidemia decimò le truppe in Oriente. Proprio in questo momento così difficile i Goti occuparono la Tracia, devastarono la Macedonia e assediarono Tessalonica.
I Goti furono respinti dal generale Marciano ma poco dopo gli Sciti attaccarono le province orientali ed incendiarono il tempio di Diana a Efeso.
Si verificò inoltre una rivolta delle truppe imperiali (non ne conosciamo la causa) che saccheggiarono Bisanzio e massacrarono i cittadini.
Scuotendosi dalla sua apatia, Gallieno affidò a Claudio, il futuro imperatore, la missione di sconfiggere Postumo e si recò personalmente a Bisanzio dove fece trucidare gli insorti. Tornato a Roma celebrò grandi giochi per il suo decennale.
Anche in questa occasione l'autore dipinge Gallieno come uno sciocco, totalmente ottenebrato dagli stravizi e dalla propria vanità: inscenò una processione sfarzosa con finti prigionieri persiani al termine della quale fece bruciare dei buffoni che gli avevano mancato di rispetto.
Intanto Odenato re di Palmira combatteva contro i Persiani per liberare Valeriano e riscattare l'onore dei Romani senza ricevere alcun aiuto da Gallieno.
Mentre gli Sciti continuavano la loro campagna penetrando in Cappadocia, si verificò una nuova ribellione fra le truppe romane alla quale, di nuovo, Gallieno rispose con una sanguinaria repressione.
Dopo aver tanto denigrato Gallieno l'autore spezza qualche lancia in suo favore ricordando come fosse buon poeta e uomo di spirito. Gli riconosce inoltre di aver compiuto un atto di giustizia conferendo a Odenato il titolo di augusto per i suoi meriti militari.
Odenato morì in una congiura e sua moglie Zenobia assunse la reggenza per i figli ancora minori. Finalmente Gallieno decise di attaccare la persia ed inviò un esercito comandato dal generale Eraclliano ma durante il viaggio questo esercito fu sconfitto e disperso da quello di Zenobia (la notizia non è attendibile).
Altre guerre proseguivano: gli Sciti risalivano il Danubio portando gravi danni, i Goti (Eruli) penetravano in Acaia. Contro gli uni e gli altri combatterono con alterne vicende le legioni romane. Dexippo, generale e storico romano, sconfisse i Goti e li disperse in Epiro. Anche lo stesso Gallieno contribuì battendo i Goti nell'Illirico e inducendoli a ritirarsi.
Stanchi del malgoverno di Gallieno i suoi generali congiurarono contro di lui e scelsero Claudio per succedergli. Approfittando della guerra in corso fra Gallieno e Aureolo i congiurati attirarono in trappola l'imperatore e lo assassinarono insieme al fratellastro Valeriano il Giovane.
Marciano, uno dei congiurati, calmò gli animi dei soldati distribuendo denaro attinto dalle casse dell'erario e subito dopo Claudio assunse il potere.
La biografia di Gallieno si conclude con una galleria di aneddoti sulla vanità e la dissolutezza di questo imperatore che altri autori antichi e moderni hanno invece giudicato in modo più positivo.

Salonino


Salonino era figlio di Gallieno e nipote di Valeriano.
L'autore avanza ipotesi contrastanti e non documentate sul nome esatto del personaggio che in realtà si chiamava Publio Licinio Cornelio Salonino Valeriano, come risulta dalle iscrizioni.
Della vita di Salonino, che fu vittima dei congiurati che uccisero il padre, l'autore ricorda solo un episodio dell'infanzia, quando il principino sottrasse per gioco le cinture che i soldati invitati ad un banchetto si erano tolte.



Vita dei Trenta Tiranni

Di Trebellio Pollione


Sostenitore di Claudio il Gotico, Trebellio inserì la biografia degli usurpatori che avrebbero tentato di liberare l'impero dal pessimo governo di Gallieno, predecessore di Claudio.
Per rendere più ricca la raccolta ed arrivare ad un numero di trenta ad imitazione dei Trenta Tiranni di Atene, Pollione non esitò ad includere personaggi che pur ribellandosi non salirono mai al trono, altri che vissero in tempi diversi e addirittura figure totalmente inventate.
Lo stesso autore premette che si tratta di personaggi spesso oscuri sui quali si hanno scarsissime notizie.

Ciriade
Nobile e ricco ma depravato, dissipò il suo patrimonio e poi fuggì in Persia dove convinse il re Sapore ad attaccare il territorio romano.
Ottenuto il titolo di augusto e il comando dell'esercito portò la guerra nelle province orientali, ad Antiochia e a Cesarea di Cappadocia. Fu ucciso dai suoi soldati prima che Valeriano movesse contro di lui.
Il personaggio è stato identificato con il Mereade di Antiochia di cui parla Ammiano Marcellino che rubò il denaro pubblico, fuggì da Roma e comandò le truppe di Sapore attaccando Antiochia ma fu fatto uccidere dallo stesso re persiano.

Postumo
Marco Cassiano Latinio Postumo Augusto, fu inviato in Gallia da Gallieno con il compito di governare per il piccolo Salonino figlio dell'imperatore e di vegliare sulla vitae sull'educazione del ragazzo.
Salonino fu ucciso, forse per iniziativa di Postumo o forse dai Galli che odiavano Gallieno, e Postumo fu proclamato augusto. Governò per sette anni preoccupandosi di migliorare le condizioni di vita in Gallia.
Gallieno intraprese una spedizione contro Postumo ma fu ferito e rinunciò. Durante la ribellione di Lolliano Postumo fu ucciso dai suoi soldati per la sua eccessiva severità.

Postumo il Giovane
Figlio del precedente, fu associato al potere dal padre che gli conferì il titolo di cesare poi quello di augusto e con il padre trovò la morte durante la ribellione di Lolliano.
Questo personaggio è inventato dall'autore o, se visse, non ebbe mai la porpora.

Lolliano
Durante la ribellione di Lolliano fu ucciso Postumo. Lolliano (Caio Ulpio Cornelio Leliano Augusto) era uomo valoroso e fu buon governante ma per ricostruire fortezze distrutte da un'invasione dei Germani impose ai soldati eccessive fatiche e fu assassinato da Vittorino.
Nota : In effetti Postumo assediò a Magonza Leliano che cadde in combattimento, ma avendo proibito il saccheggio della città venne a sua volta ucciso dai soldati.

Vittorino
Marco Plavonio Vittorino Augusto combattè con Postumo contro Gallieno.
Dopo la morte di Postumo e quella di Lolliano fu proclamato imperatore e fu governante capace e moderato ma essendo estremamente libidinoso venne ucciso da uno scrivano di cui aveva violato la moglie.

Vittorino il Giovane
Figlio del precedente, fu proclamato cesare alla morte del padre ma venne subito ucciso dai soldati.
Questo personaggio è probabilmente immaginario.

Mario
Marco Aurelio Mario Augusto fu eletto dopo la morte di Vittorino e regnò per tre giorni. Era un fabbro che aveva svolto la carriera militare fino ai gradi più alti e si dice che andasse orgoglioso del suo vecchio mestiere.
A titolo di curiosità l'autori ricorda che le mani di Mario erano dotate di forza eccezionale.
Fu ucciso da un soldato, suo vecchio compagno di lavoro.
Nota: si ritiene che il regno di Mario, sia pur breve, fu più lungo di tre giorni, divenne imperatore prima di Vittorino e non dopo come dice Pollione.

Ingenuo
Ingenuo era governatore della Pannonia quando fu proclamato imperatore dalle legioni in Mesia (258), sotto la minaccia dei Sarmati che premevano ai confini dell'impero.
Ingenuo, che era un valoroso comandante consapevole di essere l'unico in grado di fronteggiare il pericolo, accettò senza esitazioni, ma Gallieno, accantonando per l'occasione le sue oziose occupazioni, attaccò l'avversario e lo uccise infierendo anche sui soldati e sugli abitanti della Mesia.

Regilliano
Governatore dell'Illiria, fu eletto imperatori dagli abitanti della Mesia dopo la fine di Ingenuo ma una volta sconfitti i Sarmati fu fatto uccidere nel timore di una nuova repressione da parte di Gallieno.
Regilliano era originario della Dacia ed era un esperto soldato apprezzato da Claudio II e da Gallieno che lo considerata un possibile rivale, si diceva tuttavia che l'idea di nominarlo imperatore fosse nata da un gioco di parole fra il suo nome e la declinazione di "rex" (rex, regis, regi ...).

Aureolo
Generale in Illiria, salì come gli altri al potere per volontà dei suoi soldati.
Quando fu inviato ad affrontare il tentativo di usurpazione di Macriano riuscì con la corruzione a far passare dalla sua parte molti soldati nemici, a questo punto disponendo di un forte esercito divenne un temibile avversario per Gallieno che cercò un accordo con lui.
Aureolo sopravvisse a Gallieno e morì combattendo contro Claudio che gli concesse una dignitosa sepoltura presso un ponte che prese il suo nome (a Pontirolo sull'Adda).

Macriano

Marco Fulvio Macriano Augusto.
Quando Valeriano fu catturato dai Persiani il suo prefetto Ballista e il suo generale in capo Macriano decisero di opporre a Gallieno, figlio di Valeriano, lo stesso Macriano che essendo avanti negli anni associò subito al potere i figli Macriano il Giovane e Quieto.
Marciando per affrontare Gallieno, Macriano incontrò nell'Illirico Aureolo che riuscì a far disertare trentamila dei suoi soldati, lo sconfisse grazie al suo generale Domiziano e lo uccise.

Macriano il Giovane
Figlio del precedente, fu un giovane molto forte e un valoroso soldato ma il suo destino fu di finire sconfitto insieme al padre da Domiziano generale di Aureolo.

Quieto
Figlio di Macriano, fu associato al potere insieme al fratello Macriano il Giovane. Dopo la sconfitta dei due Macriani riparò in Oriente ma Odenato signore di Palmira, manovrato da Gallieno, lo fece uccidere insieme al prefetto Ballista.

Odenato
Odenato principe di Palmira prese il potere insieme alla moglie Zenobia e al figlio maggiore Erode. Combattè contro i Persiani occupando Nisibi e le regioni orientali compresa la Mesopotamia, sconfisse e mise in fuga il re Sapore.
Si volse quindi contro Macriano ma questi era partito per affrontare Aureolo e quando Odenato seppe che era morto eliminò anche Quieto.
Odenato ed il figlio Erode furono uccisi da un parente di nome Meonio che si fece a sua volta proclamare imperatore (quest'ultima notizia non è confermata da altre fonti).

Erode
Figlio di Odenatoe della sua prima moglie (non di Zenobia), fu associato al potere dal padre.
Era effeminato e molto raffinato, amante del lusso e degli oggetti preziosi, molto viziato dal padre e trattato freddamente dalla matrigna.
Morì insieme al padre.

Meonio
Meonio uccise Odenato ed Erode spinto dall'invidia e forse congiurando con Zenobia che voleva eliminare il figliastro per favorire i propri figli Erenniano e Timolao.
Depravato e immorale, anche Meonio venne ucciso dai soldati.

Ballista
Non è certo se Ballista sia stato imperatore. Secondo alcuni si fece eleggere quando Quieto fu ucciso da Odenato per timore di fare la stessa fine, secondo altri fu ucciso da soldati inviati da Aureolo quando si era già ritirato a vita privata.
Valoroso comandante e ottimo politico, aveva goduto della piena fiducia di Valeriano.

Valente
Anche Valente fu ottimo soldato e politico, era stato nominato proconsole d'Acaia da Gallieno.
Macriano, vedendo in lui un pericoloso rivale, mandò Pisone ad ucciderlo. Valente comprese il pericolo e si fece proclamare imperatore ma poco dopo fu assassinato dai soldati.
Valente il Vecchio
Zio o prozio di Valente, aveva in precedenza usurpato il potere ed ed era finito assassinato come il nipote.
Nota: da identificare probabilmente con Giulio Valerio Liciniano che si proclamò imperatore durante un'assenza di Decio

Pisone
Inviato a uccidere Valente che si proclamò imperatore, Pisone fuggì in Tessaglia dove fu a sua volta nominato imperatore dai suoi sostenitori ma poco dopo venne assassinato.
Pisone, che portava il soprannome di Frugi (Frugale), era uomo virtuoso, da sempre apprezzato dagli imperatori che aveva servito. Alla notizia della sua morte il senato votò per lui gli onori divini e gli dedicò una statua e una quadriga.

Emiliano
Generale romano in Egitto, si trovò in pericolo a causa di una sommossa scoppiata per motivi banali, per salvarsi si proclamò imperatore con l'appoggio dei soldati che odiavano Gallieno.
Esercitò il potere con grande energia respingendo i barbari che tentavano di invadere l'Egitto, ma venne fatto catturare e strangolare da Gallieno.

Saturnino
Generale di grande esperienza, famoso per le sue vittorie sui barbari, apprezzato dai suoi soldati che lo elessero imperatore ma più tardi lo uccisero perché non tolleravano la disciplina da lui imposta.

Tetrico il Vecchio
Vitruvia o Vittoria, madre di Vittorino, alla morte del figlio convinse il suo stretto parente Tetrico, allora governatore della Gallia, ad assumere il potere.
Tetrico governò a lungo con buoni risultati ma quando si trattò di affrontare Aureliano, consapevole di non poter contare sui suoi soldati, preferì arrendersi ed ebbe salva la vita.
Inizialmente Aureliano si mostrò poco clemente e trascinò Tetrico nel suo trionfo insieme a Odenato e alla sua famiglia, ma poi lo riabilitò e lo nominò governatore d'Italia.

Tetrico il Giovane
Figlio del precedente, fu con lui esposto nel trionfo di Aureliano ma in seguito fu riabilitato e riebbe i suoi beni.
L'autore elogia la bellissima casa dei Tetrici sul Celio.

Trebelliano
Trebelliano fu nominato "capo pirata" dagli abitanti dell'Isauria e si autoproclamò imperatore.
Riuscì a regnare per un certo tempo in quella regione montuosa protetto dalle difese naturali del territorio ma infine un generale di Claudio lo sconfisse e lo uccise.
Successivamente Claudio trasferì in Cilicia buona parte degli Isauri per evitare nuove ribellioni.
Trebelliano non viene citato da altre fonti e probabilmente è un personaggio inventato.

Erenniano
Erenniano e Timolao erano i figli di Odenato. Alla morte del padre la madre Zenobia assunse la reggenza e la tenne a lungo con molta energia. Non è nota la fine dei due fratelli che forse furono fatti eliminare da Aureliano.

Timolao
L'autore rimanda a quanto detto per Erenniano con l'aggiunta di una nota sulla passione di Timolao per lo studio del latino.

Celso
Celso fu proclamato imperatore dalle legioni della provincia d'Africa, regnò solo sei giorni prima di essere assassinato. Il suo corpo fu dato in pasto ai cani dai sostenitori di Gallieno.
Come Trebelliano anche questo personaggio potrebbe essere inventato.

Zenobia
Discendente della stirpe dei Tolomei e seconda moglie di Odenato, rimasta vedova adottò ornamenti regali e assunse il potere come reggente per i figli Erenniano e Timolao.
Salita al potere sotto Gallieno, continuò a regnare negli anni di Claudio che preso dalla guerra contro i Goti non si curò di lei.
Fu infine sconfitta e spodestata da Aureliano che la trascinò nel suo trionfo.
Si dice che fosse una donna bellissima ed estremamente casta. Dotata di forte ascendente sui soldati nonostante la sua severità e di grandi doti di comandante ed amministratrice.

Vittoria
Vittoria o Vitruvia, madre di Vittorino, dopo la morte del figlio, di Postumo, Lolliano e Mario convinse Tetrico a proclamarsi imperatore ed ebbe il titolo di "madre degli accampamenti".
Morì durante il regno di Tetrico, non si sa se uccisa o di morte naturale.

Tito
Trebello Pollione premette che questa biografia e la successiva di Censorino sono un'appendice per completare il numero dei trenta usurpatori ma che appartengono ad epoche diverse da quella dei personaggi fin qui trattati.
Tito, infatti, era tribuno dei Mauri sotto Massimino quando si proclamò imperatore forse perché costretto dai soldati. Governò sei mesi quindi fu ucciso dai soldati stessi poco prima che Magno si ribellasse a Massimino.
Fu un uomo eccellente, ma sfortunato come imperatore.

Censorino
Uomo d'armi e senatore, era stato due volte console ed aveva ricoperto molte altre cariche.
Durante il regno di Claudio si era ritirato in una sua tenuta anziano e claudicante per una vecchia ferita quando i soldati lo vollero come imperatore ma dopo soli sei giorni lo uccisero non sopportando il suo amore per la disciplina.

Claudio II

Di Trebellio Pollione


I primi quattro paragrafi di questa biografia costituiscono un panegirico in onore di Claudio II che si diceva fosse antenato di Costanzo Cloro, contemporaneo dell'autore.
Il primo atto di Claudio, una volta eletto imperatore, fu un editto per allontanare dal potere Aureolo, questi fu abbandonato dai suoi soldati e morì a Milano.
Si verificò una grande invasione di Goti (269 d.C.), si trattava di trecentoventimila uomini e di duemila navi (l'autore da grande risalto a questi numeri) ma Claudio riuscì a fronteggiarle facendo grande strage degli invasori.
La guerra si svolse in Mesia dove Claudio ottenne una grande vittoria presso Marcianopoli, ma si combattè anche a Bisanzio e Tessalonica. In quello stesso periodo gli Egiziani furono aggrediti dai Palmireni, li sconfissero e si sottomisero volontariamente a Roma.
Nel 270 quanto rimaneva dell'orda dei Goti fu devastato dalla peste, tanto che Claudio smise di occuparsene. Una parte dei suoi soldati fu attaccata da pochi Goti mentre si dedicava al saccheggio. In quelle circostanze il manipolo nemico riuscì ad uccidere duemila soldati. Claudio punì i responsabili dell'insubordinazione mandandoli in catene a Roma perché fossero destinati ai giochi del circo.
La peste dilagò rapidamente, anche Claudio ne fu contagiato e dopo poco ne morì. Salì al potere suo fratello Quintillo che regnò solo pochi giorni, quindi morì a sua volta forse ucciso dai suoi soldati (per altre fonti morì suicida).
Claudio aveva due fratelli, Quintillo e Crispo, da quest'ultimo nacque Claudia che sposò il nobile Eutropio e fu madre di Costanzo Cloro. Non lasciò figli. Era alto di statura, aveva volto largo e pieno e mani fortissime. Era stato lottatore in gioventù. Morigerato e riservato, beveva poco.
In conclusione l'autore riporta il testo di alcune presunte lettere di Valeriano, Decio e Gallieno che lodavano Claudio ed un encomio ufficiale rivoltogli dal Senato quando, ancora generale, aveva valorosamente combattuto in Illiria.



Vita di Aureliano

Di Flavio Vopisco


Lucio Domizio Aureliano Augusto era di umili origini. Non si conosce con certezza il luogo della sua nascita, forse Sirmio o la Dacia Ripense o la Mesia.
Sua madre era sacerdotessa del Sole Invitto e sulla sua infanzia e sulla sua giovinezza si raccontavano prodigi, presagi, profezie.
Alto, muscoloso e di bell'aspetto era poco dedito ai piaceri e severissimo nella disciplina. Si diceva che prima di diventare imperatore avesse dimostrato grande valore combattendo contro i Sarmati e contro i Galli.
In una lettera ad un luogotenente aveva dettato i suoi precetti in tema di disciplina, esigeva che i soldati si comportassero civilmente, senza tormentare i provinciali e senza sperperare la paga nelle osterie.
In un'altra lettera indirizzata al prefetto di Roma, l'imperatore Valeriano lodava Aureliano e gli assegnava compensi straordinari per il suo operato. Aureliano ebbe più volte la carica di tribuno o di generale, sempre conseguendo vittorie e successi.
L'autore racconta una serie di episodi (probabilmente inventati) nei quali Aureliano, prima di essere imperatore, riceveva premi ed onori da Valeriano, otteneva il consolato, veniva adottato dal suo superiore Ulpio Crispino (personaggio ignoto, citato solo nella Storia Augusta).
Aureliano divenne ancora più famoso durante l'impero di Claudio e dopo la morte di questi e del fratello Quintillo salì al potere. Era reduce da guerre contro i Sarmati, gli Svevi, i Marcomanni, aveva avuto più volte il comando della cavalleria o il comando supremo.
Combattè di nuovo i Marcomanni e subì una sconfitta nei pressi di Piacenza, ma in seguito riuscì a concludere positivamente la guerra con una serie di vittorie.
La disfatta di Piacenza aveva creato disordini a Roma ed Aureliano ne punì i responsabili con estrema durezza mandando a morte anche diversi senatori.
Poco dopo (271 d.C.) Aureliano iniziò la costruzione di una nuova cerchia di mura intorno a Roma. Durante l'estate dello stesso anno iniziò una campagna contro Zenobia regina di Palmira e durante la marcia sconfisse i barbari che lo ostacolavano ed espugnò le città di Tiana in Cappadocia e di Antiochia. Scontratosi con l'esercito di Zenobia presso Emesa lo mise in fuga dopo una grande battaglia, quindi mosse verso Palmira con l'intento di espugnarla e ristabilire la pace in Oriente. L'assedio risultò più difficile del previsto perchè i Palmireni erano molto determinati e ben organizzati. Aureliano tentò di proporre la resa a Zenobia con una lettera garantendo l'impunità a lei ed ai suoi sudditi. Al netto rifiuto della regina Aureliano riprese l'assedio, intercettò i soccorsi inviati da Persiani e Saraceni e costrinse la città alla resa. Zenobia tentò di fuggire a dorso di dromedario ma venne catturata.
Aureliano risparmiò Zenobia per esibirla in trionfo ma fece uccidere tutti i suoi funzionari tra i quali il filosofo Cassio Longino maestro di greco della regina. L'imperatore evitò il saccheggio e lasciò una guarnigione di guardia alla città. Qualche tempo dopo i Palmiresi si ribellarono di nuovo e trucidarono la guarnigione; Aureliano tornò a Palmira e questa volta la rase al suolo sterminando la cittadinanza.
Represso il tentativo dell'usurpatore Firmo, Aureliano si rivolse contro Tetrico, ancora padrone delle Gallie ma questi gli si arrese consegnandogli spontaneamente le proprie legioni.
Tornato a Roma Aureliano celebrò un grandioso trionfo su Zenobia e su Tetrico, che fece sfilare nel corteo, quindi indisse giochi e spettacoli per festeggiare le sue vittorie.
Aureliano combattè ancora in Gallia, quindi tornò in Illiria per affrontare un attacco persiano ma durante questo viaggio venne ucciso da un suo ufficiale di nome Mucapore. A provocare la congiura che portò all'assassinio di Aureliano era stato il suo segretario Mnesteo (Eros in altri autori) che essendo stato minacciato dal Aureliano e disperando di aver salva la vita, aveva coinvolto altri ufficiali dicendo loro che Aureliano li voleva uccidere, nella speranza che - come effettivamente avvenne - uno di essi eliminasse l'imperatore.
Così morì Aureliano dopo cinque anni e sei mesi di governo. Fra gli eventi rilevanti della sua vita l'autore ricorda anche la rivolta degli addetti alla zecca, un'amnistia generale e l'annullamento dei debiti verso lo Stato, la rinuncia alla provincia di Dacia istituita da Traiano troppo difficile da difendere.
Il Senato e l'esercito tendevano ad evitare la responsabilità di eleggere un nuovo imperatore e trascorsero sei mesi prima che fosse scelto il successore di Aureliano. Infine l'investitura toccò a Tacito, il più anziano dei senatori, che in morte di Aureliano aveva avanzato la proposta, approvata dal Senato, di tributare onori divini al defunto.
Aureliano fece costruire le Terme invernali a Trastevere ed iniziò un nuovo Foro ad Ostia. Aumentò le elargizioni di pane alla popolazione e tentò, senza successo, di istituire anche una distribuzione gratuita di vino.
A Roma preferiva abitare negli Horti Sallustiani (sul Quirinale) invece che nel palazzo imperiale. Visse con costumi semplici senza sfoggiare lusso e cattivo gusto. Conclude l'autore: il suo fu un regno felice. Il popolo lo amava e lo rispettava.



Vita di Tacito

Di Flavio Vopisco


Dopo la morte di Aureliano, l'impero rimase vacante per sei mesi. Durante questo interregno il potere fu amministrato dal senato in accordo con i militari. La popolazione era tranquilla e non i verificarono disordini e tentativi di usurpazione. Per sei mesi esercito e senato si invitarono reciprocamente a scegliere il nuovo imperatore, incarico che entrambe le parti declinavano per non rischiare decisioni impopolari.
Il 25 settembre (275) il console Velio Cornificio Gordiano, in senato, sollecitò la scelta del nuovo imperatore facendo leva sui pericoli che l'impero correva lungo i suoi confini con i Germani e con i Persiani. Tacito, che aveva precedenza di parola, si alzò per rispondere al console ma tutti gli altri senatori presero ad acclamarlo chiedendogli pressantemente di assumere il potere. Tacito tentò di rifiutare giustificandosi con la sua età che lo rendeva inadatto al comando, ma tutti i senatori insistettero ripetendo in coro il loro invito e citando altri imperatori che erano arrivati già vecchi all'impero.
Il console Mecio Faltonio Nicomaco tenne un ispirato discorso sui danni arrecati allo stato da imperatori troppo giovani come Nerone o Eliogabalo e le sue parole valsero a convincere Tacito che finalmente accettò la nomina. Seguì la presentazione al popolo e alle truppe del nuovo imperatore. Tacito promise ai soldati il tradizionale donativo e ordinò di dedicare statue d'oro e d'argento alla memoria di Aureliano. Tra i suoi primi atti fu la richiesta del consolato per suo fratello Floriano ma il senato rifiutò dichiarando che i termini per l'elezione dei consoli supplenti erano ormai scaduti, scrupolo procedurale che Tacito approvò con soddisfazione.
Tacito donò allo stato il suo patrimonio personale e dettò vari provvedimenti in materia di moralità dei costumi e di ordine pubblico, promosse opere pubbliche che in parte finanziò di tasca propria.
Era frugale nel mangiare e quasi astemio. Faceva il bagno di rado e così, da vecchio, godette sempre buona salute.
Il senato, felice di aver recuperato il diritto di eleggere l'imperatore, decretò cerimonie di ringraziamento e sacrifici e scrisse alle province per divulgare in tutto l'impero la notizia della sua rinnovata dignità.
Tacito eliminò tutti coloro che avevano partecipato all'uccisione di Aureliano; ricacciò indietro i barbari sconfinati nella Meotide ma non ebbe modo di compiere altre imprese perché morì dopo solo sei mesi di regno, non si sa se di malattia o ucciso dai soldati.
Gli succedette nell'impero il fratello Floriano che si arrogò il potere di propria iniziativa enza l'approvazione del senato. Dopo due mesi Floriano fu ucciso a Tarso dai soldati mentre l'esercito, con l'appoggio del senato e del popolo, aveva eletto Probo.
La biografia si conclude con alcuni brani tratti dalle lettere con cui i senatori annunciarono il recupero della facoltà di eleggere gli imperatori.





Vita di Probo

Di Flavio Vopisco

Oriundo di Sirmio, Probo era figlio di un centurione che morì in Egitto lasciando la moglie, un figlio e una figlia. La famiglia era dotata di un modesto patrimonio e non vantava parentele importanti, un rapporto di parentela con l'imperatore Claudio il Gotico di cui parlava una fonte greca non è in alcun modo confermato. Molto robusto e vigoroso già da ragazzo, ebbe giovanissimo il grado di tribuno sotto Valeriano.
Probo fu premiato per gli atti di valore compiuti combattendo contro i Sarmati e contro i Quadi e fu promosso da Valeriano comandante della Terza Legione Felice. La carriera di Probo proseguì con ottimi risultati anche sotto Gallieno, Aureliano e Claudio.
Probo era molto amato dai suoi soldati per la sua moderazione e per la correttezza con cui distribuiva i bottini. Combattè a lungo in Africa dove lasciò diverse opere realizzate con il lavoro dei suoi soldati come ponti, templi, basiliche e opere di bonifica. Respinse un tentativo dei Palmireni di invadere l'Egitto. Dopo la morte di Tacito, mentre Floriano si impadroniva del potere, Probo fu acclamato imperatore dalle legioni in oriente. Poco dopo Floriano venne ucciso dai soldati e Probo, senza alcuna opposizione, divenne unico imperatore con la conferma unanime dei senatori.
Probo confermò le prerogative del senato, come la nomina di proconsoli e funzionari e il giudizio in appello contro le sentenze della corte suprema. Punì gli attentatori di Aureliano e di Tacito e assunse il comando di tutti gli eserciti europei che erano stati di Floriano.
Partì con l'esercito per le Gallie (277) che erano state invase dai Germani, li sconfisse in molte battaglie e riprese loro sessanta città. Dopo aver ucciso quattrocentomila barbari respinse oltre il Reno i Germani superstiti. Stabilì avamposti oltre il Reno a guardia dei confini. Continuò a combattere i Germani finché questi non si prostrarono al suo volere e consegnarono ostaggi e tributi. Recuperò le ricchezze sottratte dagli invasori e aggiunse altri bottini scrisse al senato delle sue vittorie e ordinò di decretare solenni ringraziamenti agli dei.
Replicò nell'Illiria contro i Sarmati il successo ottenuto in Gallia, proseguendo verso oriente catturò ed uccise il brigante Palfuerio e riportò l'ordine in Isauria e in Panfilia. Sottomise i Blemmi che avevano attaccato l'Egitto [sembra che la campagna contro i Blemmi sia stata condotta dai generali di Probo senza l'intervento dell'imperatore], respinse le proposte di pace dei Parti limitandosi a stabilire una tregua.
Dopo queste campagne, Probo sistemò in Tracia centomila Bastarni che si comportarono lealmente mentre Gepidi, Grautungi e Vandali, a loro volta stanziati in territori dell'impero, crearono molti problemi e furono a lungo combattuti, poi sconfitti.
Probo combattè non solo contro i barbari ma anche contro altri usurpatori: Saturnino, Proculo, Bonoso hai quali è dedicato il successivo capitolo della Storia Augusta.
Probo celebrò il trionfo sui Germani e sui Blemmi, distribuì donativi al popolo e allestì grandi giochi, Offrì una caccia realizzando una piccola foresta di alberi trapiantati nell'arena, fece entrare migliaia di cinghiali, cervi e altri animali selvatici che permise al popolo di cacciare. Presentò anche combattimenti tra bestie feroci e lotte tra gladiatori.
Fu ucciso a tradimento dai soldati mentre traversava l'Illirico diretto in Persia. Tra i possibili moventi di questo omicidio l'autore indica la speranza di Probo di realizzare un impero ovunque pacificato dove non ci sarebbe più stato bisogno di soldati. Quando Probo ordinò ai soldati di scavare un grande canale presso Sirmio per bonificare terreni, i soldati si ribellarono, lo inseguirono fino a una torre di vedetta, e lì lo uccisero.
Durante i cinque anni del suo impero, Probo combattè un numero incredibile di battaglie, forgiò ottimi generali come Caro e Diocleziano. L'autore prosegue con l'encomio paragonando quello di Probo agli imperi di Traiano, Adriano, degli Antonini o di Augusto.
I discendenti di Probo si ritirarono dalla vita pubblica e si stabilirono nel Veronese.
Senato e popolo piansero la morte di Probo e quando fu eletto Caro tutti furono preoccupati per la vita dissipata di suo figlio Carino.




Vita di Firmo, Saturnino, Proculo e Bonoso

Di Flavio Vopisco


Per rispetto della completezza, Flavio Vopisco dedica un libro a questi quattro personaggi che detennero l'impero per brevi periodi. L'autore ha affrontato discussioni in passato a proposito di Firmo ed ha accertato che per qualche tempo detenne effettivamente il potere e fu ritratto sulle monete.
Firmo era nativo di Seleucia, fu allevato da Zenobia e arrivò ad occupare Alessandria d'Egitto prima di essere annientato da Aureliano.
Correva voce che fosse ricchissimo grazie ai suoi commerci che arrivavano fino in India. Lasciò due zanne d'elefante con le quali Aureliano avrebbe voluto realizzare un trono per Giove, invece più tardi Carino le regalò a una donna che ne fece un letto.
Firmo era alto, scuro di carnagione con i capelli crespi e una cicatrice sulla fronte, così peloso che molti lo chiamavano ciclope, gran mangiatore di carne, beveva poco vino. Aveva vivacissima intelligenza e forza fisica eccezionale.
Si ribellò a Aureliano in difesa di Zenobia, venne sconfitto e giustiziato, forse impiccato. Aureliano annunciò al popolo la sua fine con un editto.
Saturnino, oriundo della Gallia, aveva servito sotto Aureliano che gli aveva affidato il comando della frontiera orientale ma gli aveva proibito di recarsi in Egitto per timore che provocasse disordini. Vopisco giudica molto male gli Egiziani, iracondi, superbi, insolenti, sediziosi e sostiene la sua opinione citando una lettera in cui Adriano esprimeva idee simili nei confronti degli Egiziani.
Morto Aureliano, Saturnino si recò in Egitto dove effettivamente gli proposero di essere proclamato augusto, si recò quindi in Palestina e qui accettò la porpora. Era un uomo di buona cultura e aveva studiato retorica. Quando fu dichiarato imperatore espresse i suoi dubbi e i suoi timori parlando dei rischi del potere.
Si deve distinguere questo Saturnino dall'omonimo dei tempi di Gallieno. Questo visse e fu ucciso sotto Probo. Proba avrebbe voluto risparmiargli la vita ma i soldati lo strangolarono.
Proculo, originario di Albenga, apparteneva a una famiglia nobile che si era arricchita con la pirateria. Sua moglie Vituriga lo spinse a usurpare il potere e ad armare duemila sabini a proprie spese.
Uomo coraggioso, sempre con le armi in pugno, aveva comandato legioni con il grado di tribuno e compiuto molti atti di valore, Vopisco lo definisce "strano miscuglio di valore, disonestà e lussuria". Lo proclamarono imperatore gli abitanti di Lione per i quali combattè valorosamente contro gli Alemanni. Fu tradito dai Franchi che voleva aiutare e, inseguito da Probo, fu infine preso e giustiziato.
Bonoso era nato in Spagna ma era originario della Britannia. Rimasto orfano del padre da bambino militò in fanteria, poi in cavalleria, e fece carriera fino a diventare comandante in capo delle truppe stanziate sul confine della Resia.
Quando i Germani incendiarono alcune navi romane sulReno, assunse il potere per evitare di essere punito e si scontrò a lungo con Probo. Infine fu sconfitto e impiccato.
Probo risparmiò la moglie e i due figli, fece avere un vitalizio alla vedova. La donna si chiamava Anila e aveva sposato Bonoso per volontà di Aureliano.




Vita di Caro, Carino e Numeriano

Di Flavio Vopisco


L'equilibrio del regno di Probo non durò a lungo: i soldati si ribellarono e tutti temettero il ritorno di tiranni come Domiziano o Nerone. Per dimostrare l'alternanza del destino di Roma, l'autore accenna al buon governo dei primi re seguito dal dispotismo di Tarquinio il Superbo, l'invasione dei Galli, la minaccia di Pirro, le guerre puniche. Ogni volta Roma si risollevò per ricadere poi sotto una nuova sciagura. Dopo la guerra sociale e la guerra civile fu Augusto a dare nuova vita alla città. Dopo aver subito altri tiranni rialzò il capo sotto Vespasiano e Tito. Patì la ferocia di Domiziano e poi ebbe di nuovo benessere sotto Nerva, Traiano e Marco Aurelio, ai quali seguì il crudele Commodo.
Venendo a Caro, uomo mediocre ma più bono che malvagio, sulle cui origine esistevano opinioni contrastanti (Illirico, Cartagine, Milano), ma è comunque certo che i suoi antenati erano romani.
Dopo aver ricoperto tutti i gradi della carriera militare e civile fu eletto prefetto del pretorio da Probo che gli concesse vari onori. Appena nominato imperatore, Caro assunse il comando della spedizione contro la Persia e nominò cesari i suoi due figli affidando la difesa della Gallia a Carino e portando con se Numeriano ancora giovanissimo. Caro partì per la Persia con l'esercito di Probo, affrontò e vinse i Sarmati, occupò la Mesopotamia e arrivò a Ctesifonte ma morì improvvisamente, si diceva, colpito da un fulmine o di malattia.
Numeriano figlio di Caro era un brillante oratore e pubblicò un volume di versi. Accompagnò il padre in Persia ma dopo la morte del padre venne ucciso dal suocero Apro con la propria spada.
Diversamente da Caro e Numeriano, Carino fu "l'uomo più sconcio che la storia ricordi", adultero e corruttore della gioventù. Il padre lo nominò reggente delle Gallie, dell'Italia, dell'Illirico, della Spagna e della Britannia con il titolo di Cesare e i pieni poteri. Si macchiò di ogni sorta di infamia, stupri e oscenità, si circondò di mimi, cantori, meretrici e ruffiani. Invitava sempre i suoi accoliti a banchetti di esagerata abbondanza.
I suoi costumi scandalizzavano anche il padre che avrebbe progettato di farlo uccidere. Quando seppe della morte del padre e del fratello si lasciò andare ancora di più ai vizi e ai delitti. Combattè a lungo contro Diocleziano e alla fine fu vinto e ucciso in battaglia.
Dopo la morte di Caro, Carino e Numeriano salirono al potere "quattro principi eccellenti": Diocleziano, Massimiano, Galerio e Costanzo.
Durante l'impero di Caro, Carino e Numeriano si tennero giochi famosi, si esibirono un acrobata e un saltimbanco con un orso e si ammirarono altre attrazioni come una macchina che eruttava fiamme, giochi, rappresentazioni teatrali, musici.