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GIORGIO VASARI

LE VITE DEI PIU' ECCELLENTI PITTORI, SCULTORI E ARCHITETTI

IN PREPARAZIONE


Dedica a Cosimo Medici duca di Firenze e Siena


La seconda edizione dell'opera, completato dopo diciotto anni dalla precedente, viene presentata e dedicata dall'Autore a Cosimo I de' Medici, duca di Firenze, poi Granduca di Toscana.
Vasari descrive le numerose aggiunte e correzioni apportate alla prima edizione e l'inserimento dei ritratti di quasi tutti gli artisti nominati.
Secondo il gusto dell'epoca la dedica, scritta in tono encomiastico, termina con l'invito dell'Autore a scusare i difetti dell'opera.
Sostanzialmente gli stessi temi sono trattati nella dedica della prima edizione, anche in questo caso il destinatario è Cosimo I de' Medici. Il dichiarato obiettivo di Vasari è quello di preservare da un immeritato oblio i nomi, le vite e le opere dei grandi artisti dai tempi di Cimabue ai suoi giorni.

Agli artefici del disegno


Proemio di tutta l'opera


Introduzione alle tre arti del disegno



Cimabue


Nacque a Firenze nel 1240 Giovanni Cimabue da nobile famiglia. Fu mandato a studiare presso il convento di Santa Maria Novella dove un parente insegnava grammatica. Giovanni trascorreva molto tempo a disegnare e quando vennero a Firenze dei pittori greci trascurò spesso le lezioni per guardarli lavorare finchè il padre comprese la sua disposizione all'arte e fece in modo che potesse studiare con quei pittori. Grazie al suo talento naturale Giovanni apprese rapidamente e presto superò la tecnica dei maestri. Il suo nome divenne molto noto ed egli, per tener fede alla sua fama, si dedicò a dipingere con molta diligenza. A Firenze realizzò una tavola su San Francesco ed alcune Madonne fra le quali la Maestà di Santa Trinità (oggi agli Uffizi). Affrescò nell'Ospedale del Porcellana un'Annunciazione ed un Cristo. Dipingeva le figure e le loro vesti in modo più naturale di quanto non facessero i Greci.
Dipinse un Crocifisso in legno per i Frati di Santa Croce che lo presentarono al convento di San Francesco a Pisa dove realizzò un altro Crocifisso ed una Madonna con Bambino ed Angeli (oggi alla Galleria dell'Accademia a Firenze).
Ancora a Pisa dipinse una tavola con la storia di S. Agnese per la chiesa di San Paolo in Ripa d'Arno.
Divenuto celebre fu chiamato ad affrescare la Basilica di Assisi: dipinse storie della vita di Gesù e della vita di San Francesco, l'Assunzione in Cielo di Maria, i Quattro Evangelisti, i Quattro Dottori della Chiesa. Completate le volte dipinse sulle pareti storie del Vecchio Testamento. Richiamato a Firenze da esigenze personali, lasciò incompiuto il lavoro che fu terminato da Giotto molti anni più tardi. A Firenze dipinse nel chiostro di Santo Spirito e, per Santa Maria Novella, la Madonna Rucellai (oggi agli Uffizi). Pare che mentre Cimabue dipingeva questa tavola, fu condotto ad ammirarlo il re Carlo d'Angiò che si trovava in visita a Firenze. Ottenne un incarico come architetto per la fabbrica di Santa Maria del Fiore a Firenze insieme ad Arnolfo Lapi.
Morì a sessanta anni, nel 1300 (pare che la data non sia del tutto esatta) e fu sepolto in Santa Maria del Fiore. Fra i suoi discepoli fu Giotto. La sua fama, considera il Vasari, sarebbe stata maggiore se non fosse stata oscurata da quella di Giotto e cita in merito i versi in cui Dante afferma altrettanto. Un ritratto di Cimabue si trova negli affreschi di Simone Senese nel capitolo di Santa Maria Novella.

Arnolfo di Lapo (Arnolfo di Cambio)


Questa biografia inizia con una lunga digressione sugli antichi architetti che non hanno lasciato traccia della propria identità nelle loro opere e sui primi ad averle firmate.
Fra questi ultimi era Buono (o Bon) che nel XII secolo lavorò a Ravenna, a Napoli dove completò Castel Capuano e restaurò Castel dell'Ovo, a Venezia dove gettò le fondamenta del Campanile di San Marco, a Pistoia (Chiesa di Sant'Andrea), a Firenze (S. Maria Maggiore) e ad Arezzo.
La digressione continua citando gli architetti Guglielmo e Bonanno, artefici della Torre di Pisa, e Marchionne Aretino autore della Torre delle Milizie a Roma, della Pieve di Arezzo e di altre opere.
Poco dopo la morte di San Francesco, i frati di Assisi decisero di costruire un grande santuario e chiamarono il maestro tedesco Jacopo che progettò il noto complesso comprendente tre chiese sovrapposte.
Divenuto molto famoso, Jacopo venne chiamato a Firenze dove rimase il resto della sua vita prendendo, secondo il costume fiorentino, il nome di Lapo. A Firenze ed in altre città della Toscana, Lapo realizzò ponti, chiese ed altre opere. Quando morì lasciò erede della sua arte il proprio figlio Arnolfo allora trentenne.
Arnolfo, che aveva studiato architettura con il padre e disegno con Cimabue, godeva a Firenze di una grande reputazione ed ebbe incarico di importanti realizzazioni come la Loggia di Orsammichele e quella di Piazza dei Priori.
Restaurò la Badia di Firenze e ne costruì il campanile.
Nel 1294 progettò la chiesa di Santa Croce in Firenze e ristrutturò il Battistero di San Giovanni.
Il successo della sua opera gli procurò la cittadinanza fiorentina ed il compito di realizzare il primo progetto della Basilica di Santa Maria del Fiore. A giudizio di Vasari è grazie all'ottima progettazione di Arnolfo che la struttura della Chiesa può sopportare il peso della cupola di Brunelleschi.
Nel 1298 fu gettata la prima pietra alla presenza delle massime autorità civili e religiose e di tutto il popolo e fu scelto il nome di Santa Maria del Fiore.
Nello stesso anno Arnolfo iniziò la costruzione del Palazzo dei Signori, opera che fu ostacolata da problemi politici in quanto avrebbe dovuto in parte occupare un terreno di proprietà degli Uberti, in quel periodo ribelli ed esuli.
Dopo aver realizzato queste ed altre opere minori, Arnolfo di Lapo morì nel 1300. Aveva circa settant'anni.


Nicola e Giovanni Pisani


Lavorando al Duomo di Pisa, il giovane Nicola Pisano ebbe occasione di studiare alcune sculture antiche, fra cui un Meleagro e Cinghiale Calidonio, e secondo il Vasari questa esperienza influenzò profondamente il suo stile conferendogli qualità e realismo a quel tempo inusitati.
Nel 1225 Nicola fu chiamato a Bologna dove realizzò l'arca funebre di San Domenico, completata nel 1231.
Tornato in Toscana, Nicola lavorò alla Badia di Firenze ed al Palazzo degli Anziani di Pisa (demolito e rifatto ai tempi del Vasari) e a vari palazzi e chiese pisane. Sua opera architettonica di particolare rilievo fu il campanile di San Nicola di Pisa con un sistema di scale a chiocciola interne che Antonio da Sangallo imiterà nel pozzo di Orvieto.
A Lucca scolpì una Deposizione nella facciata del Duomo (lunetta del portale).
L'arte ed il successo di Nicola suscitarono l'invidia di molti artisti contemporanei che si sforzarono di emularlo, così accadde, ad esempio, fra quanti in quegli anni lavorarono al Duomo di Milano.
Nicola lavorò alle decorazioni del Duomo di Siena ed al progetto del Battistero nella stessa città; ristrutturò il Duomo di Volterra quindi, tornato a Pisa, realizzò il Pergamo del Battistero nel quale intagliò fra l'altro un Giudizio Universale.
Visto il Pergamo di Pisa, i Senesi ne commissionarono un altro per il loro Duomo.
Ancora in Toscana lavorò come architetto ad Arezzo e a Cortona, nel 1267 fu chiamato da papa Clemente IV a Viterbo dove restaurò la chiesa dei Frati Predicatori, quindi da Carlo d'Angiò a Napoli per costruire una chiesa in memoria dei caduti della battaglia di Tagliacozzo.
Sostò quindi ad Orvieto dove lavorò alla facciata della Chiesa di Santa Maria, allora in costruzione.
Divenuto anziano, Nicola si ritirò a Pisa affidando la bottega al figlio Giovanni.
Giovanni realizzò il monumento funebre di papa Urbano IV a Perugia e, nella stessa città, le decorazioni in marmo e in bronzo della Fontana Maggiore.
Quando Giovanni tornò a Pisa il padre Nicola era ormai morto. A Pisa Giovanni realizzò le decorazioni della chiesa di Santa Maria della Spina, quindi ebbe la commissione di costruire il nuovo Camposanto nei pressi del Duomo.
Finita quest'opera si recò a Napoli (1283) dove fu ingaggiato da Carlo d'Angiò nella costruzione di Castel Nuovo. Tornato in Toscana disegnò la facciata del Duomo di Siena, quindi scolpì l'altare maggiore per il Vescovato di Arezzo.
Passato a Firenze partecipò alle decorazioni di Santa Maria del Fiore e del Battistero, quindi lavorò a Bologna (chiesa di San Domenico) e a Prato (monastero femminile di San Nicola).
Per i Pistoiesi realizzò il pulpito della chiesa di Sant'Andrea scolpendovi un Giudizio Universale e Storie della vita di Gesù.
Chiamato di nuovo a Perugia, Giovanni si occupò del monumento sepolcrale di papa Benedetto IX morto in quella città.
Dai Pisani ebbe l'ordine di costruire il pulpito della Cattedrale, opera notevolissima che completò nel 1320.
L'ultima opera di Giovanni fu il progetto della Cappella del Sacro Cingolo nel duomo di Prato dove venne custodita una reliquia portata dalla Terra Santa e ritenuta la cintura della Vergine Maria.
Giovanni morì nel 1320 e fu sepolto nel Camposanto di Pisa, nella stessa tomba che custodiva le spoglie del padre Nicola.


Andrea Tafi


Come Cimabue, Andrea Tafi (Andrea di Ricco detto Tafo) destò meraviglia per la novità del suo stile. Fu considerato eccezionale maestro dell'arte del mosaico ma in realtà, racconta Vasari, dovette andare in cerca di aiuto fra i pittori greci impegnati a Venezia per affrontare le decorazioni del Battistero di San Giovanni a Firenze.
Insieme ad un pittore greco di nome Apollonio, Andrea Tafi realizzò i mosaici della tribuna del Battistero: Angeli, Arcangeli, Cherubini, Serafini, Potestà, Troni e Dominazioni, storie dell'Antico Testamento, della vita di Gesù e della vita di San Giovanni Battista.
Fece inoltre, senza l'aiuto di Apollonio, il mosaico del Cristo situato sopra la cappella maggiore.
Secondo Vasari l'opera di Andrea Tafi è di pregevole esecuzione ma stilisticamente mediocre, come quella di frate Jacopo da Turrita (altro artefice dei mosaici del Battistero); ma per il livello artistico di quei tempi quei mosaici furono considerati capolavori ed i loro autori riccamente premiati e altamente considerati.
Andrea visse ottantuno anni e morì nel 1294 (ma la notizia non è sicura).
Le sue opere furono studiate da Gaddo Gaddi e da Giotto, Buonamico Buffalmacco fu suo discepolo. In conclusione il merito di quest'artista, secondo il biografo, consiste più nella sua funzione di introduttore in Italia dell'arte musiva e di perfezionatore della tecnica che non nella stesse sue realizzazioni.

Gaddo Gaddi


La tecnica pittorica di Gaddo Gaddi (Gaddo di Zenobi) si rivelò migliore di quella di Andrea Tafi e di altri pittori. Ciò fu dovuto anche alla grande dimestichezza di Gaddo con Cimabue del quale fu sincero amico.
Fu amico anche di Andrea Tafi con il quale collaborò nel Battistero apprendendo l'arte del mosaico e realizzando le figure dei Profeti.
Passato a lavorare da solo decorò la lunetta di un portale di Santa Maria del Fiore con un mosaico (Incoronazione della Vergine) e fu chiamato a Roma nel 1308 da papa Clemente V per altri mosaici in San Giovanni in Laterano, San Pietro e Santa Maria Maggiore.
Tornato in Toscana lavorò ad Arezzo (Duomo Vecchio più tardi crollato e ricostruito) e a Pisa (Assunzione della Madonna in Duomo).
Seguì un periodo di riposo a Firenze durante il quale Gaddo si dedicò con grande pazienza a piccoli mosaici composti da frammenti di gusci d'uovo.
Dipinse inoltre molte tavole, tutte di apprezzabile qualità.
Morì a settantatre anni nel 1312 e fu sepolto in Santa Croce.
Fra i suoi allievi fu il figlio Taddeo che completò la sua preparazione nella bottega di Giotto e lasciò un ritratto del padre in compagnia di Andrea Tafi.

Margaritone


Margarito di Magnano, detto Margaritone, fu pittore, scultore ed architetto di Arezzo.
Vasari lo considera membro del gruppo di artisti del XIII secolo che "lavoravano alla greca", la cui fama fu oscurata da Cimabue e da Giotto.
Margaritone lavorò a lungo dipingendo tavole ed affreschi nell'abbazia camaldolese di San Clemente in Arezzo, poi demolita ai tempi di Cosimo de'Medici durante il rifacimento della cinta muraria.
Le opere superstiti dimostrano che l'artista lavorava "con buon giudizio e con amore", nonostante lo stile "greco" che Vasari non apprezza.
Fra i suoi numerosi dipinti Vasari ricorda un Crocifisso ligneo che l'artista inviò a Firenze a Farinata degli Uberti e che fu successivamente esposto nella Chiesa di Santa Croce.
Fu attivo in varie località della Toscana ed anche a Roma nel portico di San Pietro, su commissione di Urbano IV.
Nel 1275 incontrò papa Gregorio X che, in viaggio dalla Francia verso Roma, sostava a Firenze ed entrò a far parte della corte del pontefice. Quando Gregorio X morì ad Arezzo (1276), Margaritone lavorò alla sua tomba collocata nel duomo di quella città dimostrandosi, a giudizio di Vasari, migliore come scultore che come pittore.
Come architetto lavorò al Vescovado di Arezzo, opera finanziata da un donativo di Gregorio X, che non completò a causa della guerra fra Aretini e Fiorentini culminata nella battaglia di Campaldino del 1289.
Fu ideatore di nuove tecniche per la preparaziione dei supporti in legno e in tela da dipingere.
Vasari ricorda ancora opere di Margaritone collocate a San Giovanni a Roma, nella chiesa di Santa Caterina a Pisa e in quella di San Francesco ad Assisi, nonché il disegno per il Palazzo dei Governatori di Ancona eseguito nel 1270. Margaritone morì a settantasette anni e fu sepolto nel Duomo Vecchio di Arezzo, poi crollato e demolito.


Giotto


Giotto figlio di Bondone nacque nel 1267 a Vespignano, nel contado di Firenze.
All'età di dieci anni divenne discepolo di Cimabue che notò il suo talento vedendolo disegnare mentre badava alle pecore del padre. Molto presto, grazie alle sue innate capacità ed agli insegnamenti del maestro, divenne il più famoso pittore del suo tempo.
Amico e coetaneo di Dante Alighieri, lo ritrasse insieme a Brunetto Latini e a Corso Donati nella Badia di Firenze. Viene ricordato ed elogiato anche da Boccaccio in una novella del Decameron.
Le prime opere di Giotto si trovano a Firenze: Cappella dell'Altar Maggiore della Badia, Santa Croce (Vita di San Francesco, Storie di San Giovanni Battista, Storie di San Giovanni Evangelista, Martirio degli Apostoli, Natività, Sposalizio della Vergine, Adorazione dei Magi, Incoronazione di Maria, ecc.), Chiesa del Carmine (Vita di San Giovanni Battista), Palazzo di Parte Guelfa (ritratto di Clemente IV).
Recandosi in Assisi per completare opere iniziate da Cimabue, sostò ad Arezzo dove dipinse nella Pieve (San Francesco e San Domenico e nel Duomo (Lapidazione di Santo Stefano).
Nella basilica superiore di Assisi dipinse trentadue Storie della vita di San Francesco, opere che gli procurarono grande fama. Passò quindi alla Basilica Inferiore dove realizzò le allegorie delle virtù ed un San Francesco che riceve le Stigmate.
Giotto tornò a Firenze e dipinse una tavola di San Francesco alla Verna da mandare a Pisa (oggi si trova al Louvre). Recatosi quindi a Pisa affrescò la facciata del Camposanto con Storie della vita di Giobbe che comprendevano il ritratto di Farinata degli Uberti.
In quel periodo un inviato del papa Benedetto IX visitava la Toscana per conoscere i migliori pittori e ad ognuno chiedeva dei disegni da mostrare al Pontefice. Giotto si limitò a disegnare un cerchio perfetto che bastò a dimostrare la sua superiorità al Papa e ai suoi consiglieri.
Benedetto IX convocò Giotto a Roma e gli commissionò opere in San Pietro. A Roma Giotto divenne amico di Oderisi da Gubbio, il miniatore molto abile e noto al quale Vasari dice di preferire Franco Bolognese. Oderisi da Gubbio e Franco Bolognese sono entrambi citati da Dante nell'XI canto del Purgatorio.
Tornato a Firenze dopo sei anni di assenza, presto Giotto ripartì per seguire ad Avignone il nuovo papa Clemente V (probabile errore di Vasari, sembra che il pittore non si sia mai recato in Francia).
Fu poi a Padova dove dipinse una cappella nella chiesa di Sant'Antonio, a Verona per lavorare per gli Scaligeri e per i frati di San Francesco e a Ferrara presso gli Estensi.
Fece visita all'esule Dante Alighieri a Ravenna dove i signori da Polenta gli commissionarono un affresco, soggiornò quindi ad Urbino, ad Arezzo e a Lucca producendo altre opere.
Chiamato a Napoli da Roberto d'Angiò, dipinse affreschi in Santa Chiara e in Castel dell'Ovo. Arguto conversatore oltre che grande artista, Giotto entrò in confidenza con il re che amava intrattenersi con lui guardandolo lavorare.
Da Napoli si recò a Gaeta, Roma, quindi a Rimini dove dipinse per i Malatesta opere nella chiesa di San Francesco (oggi perdute). Ancora a Firenze realizzò un crocifisso in legno per la chiesa di San Marco ed uno per Santa Maria Novella.
Nel 1327 disegnò il sepolcro del vescovo Guido Tarlati di Pietramala, signore di Arezzo (cattedrale di San Donato, Arezzo).
Dello stesso periodo: il Crocifisso del Monastero degli Angeli a Firenze, le opere per Frati Umiliati d'Ognissanti di Firenze ed una piccola tavola a tempera con la Morte della Madonna il cui realismo fu particolarmente lodato da Michelangelo. Il 9 luglio 1334 iniziarono i lavori per il Campanile di Santa Maria del Fiore con una solenne cerimonia per la posa della prima pietra.
Giotto era autore del progetto del campanile ma non visse tanto a lungo da vederlo completato e dopo di lui i lavori furono diretti da Taddeo Gaddi.
Dopo un nuovo periodo a Padova ed un altro a Milano, infatti, Giotto tornò a Firenze e vi morì nel 1336 con grande dispiacere dei cittadini. Fu sepolto in Santa Maria del Fiore.
Furono suoi allievi Taddeo Gaddi e Puccio Capanna, quest'ultimo autore di affreschi a Rimini, Assisi, Firenze e Pistoia.
Vasari cita numerose opere di Puccio Capanna lodandolo per aver fatto sua la maniera di Giotto e ricorda che morì giovane per eccesso di lavoro.
Altri discepoli di Giotto furono Ottaviano da Faenza che lasciò opere a Faenza e Ferrara, Pace da Faenza (opere a Bologna e Forlì), Guglielmo da Forlì (cappella dell'altar maggiore di San Domenico a Forlì), Piero Laurati, Simone Menni, Stefano Fiorentino, Pietro Cavallini.
La biografia si conclude con due aneddoti. Il primo è tratto da una novella di Franco Sacchetti e parla di come Giotto si prese gioco di una persona grossolana che pretendeva di farsi dipingere un blasone senza aver alcun titolo di nobiltà, il secondo racconta di una mosca dipinta da Giotto sul naso di una figura di un quadro di Cimabue. La mosca era così verosimile che Cimabue tentò più volte di scacciarla.
Lorenzo il Magnifico fece scolpire una statua di Giotto da Benedetto la Maiano e la espose in Santa Maria del Fiore con un'epigrafe latina composta Angelo Poliziano.

Agostino e Agnolo


I due fratelli senesi Agostino ed Agnolo (Agostino di Giovanni attivo fra il 1312 e il 1347 e Agnolo di Ventura attivo fra il 1312 e il 1349) si dedicarono alla scultura e all'architettura con grande talento ed ottimi risultati.
Agostino divenne aiuto di Giovanni Pisano quando questi si trovava a Siena per lavorare alla facciata del Duomo e presto coinvolse nell'apprendistato il fratello Agnolo.
Con Giovanni Pisano i due fratelli lavorarono ad Arezzo e a Pisa.
Dopo la morte del maestro tornarono a Siena dove lavorarono alla facciata settentrionale del Duomo (1317) e alla porta romana (1321).
Divenuti ormai famosi furono chiamati a Orvieto per scolpire alcuni profeti per la facciata della chiesa di Santa Maria.
Passando per Orvieto mentre si recava a Napoli, Giotto apprezzò queste statue e raccomandando i due scultori fece loro avere la commissione di scolpire il sepolcro del vescovo Guido Tarlati di Pietramala su disegno dello stesso Giotto.
Adornano il sepolcro dodici storie della vita del vescovo intagliate da Agostino e Agnolo: la ricostruzione delle mura di Arezzo, la presa di Lucignano, di Chiusi, quella del castello di Fronzoli, la resa del castello di Rondine agli assedianti aretini, la presa del castello del Bucine in Valdarno, della rocca di Caprese, la distruzione del castello di Laterino, la conquista di Monte Sansavino, infine i soggiorni del vescovo ammalato a Montenero e a Massa e la traslazione del suo corpo ad Arezzo.
Nel 1329 Agostino ed Agnolo erano a Bologna per scolpire statue di santi per la chiesa di San Francesco.
Durante il loro soggiorno i bolognesi consegnarono spontaneamente la città al papa il quale chiese si costruisse una fortezza per ospitare le sue permanenze in città. Il progetto fu affidato ad Agostino e Agnolo ma venne poi interrotto a causa di mutamenti della situazione politica.
Nello stesso periodo i due fratelli guidarono la costruzione di argini ed altre opere per contenere le acque del Po dopo una disastrosa inondazione nel Ferrarese.
Tornati a Siena nel 1338 lavorarono alla chiesa di Santa Maria nei pressi del Duomo ed alle opere idrauliche per la fontana della piazza principale.
Nel 1344 portarono a completamento la costruzione della torre campanaria del Palazzo della Signoria.
Agnolo andò ad Assisi per realizzare una cappella nella chiesa inferiore e Agostino, rimasto a Siena, morì e fu sepolto nel Duomo. Non si conoscono invece le circostanze della morte di Agnolo.
Vasari vuole concludere questa biografia ricordando alcuni artisti minori del periodo, come gli orefici aretini Pietro e Paolo che appresero il disegno da Agostino e Agnolo, l'orefice fiorentino Cione, autore delle decorazioni in argento dell'altare di S. Giovanni Battista in Firenze e di un reliquiario in argento di San Zanobi nella chiesa di Santa Reparata; l'aretino Forzore di Spinello e il fiorentino Lionardo di Giovanni, discepoli del precedente.
Discepoli di Agostino e Agnolo furono anche Iacopo Lanfrani di Venezia, autore della chiesa di San Francesco a Imola e di varie opere a Bologna e fondatore della chiesa di Sant'Antonio a Venezia; Iacobello e Pietro Paulo veneziani (chiesa di San Domenico a Bologna).
Stefano


Pietro Laurati


Andrea Pisano


Secondo Vasari Andrea Pisano, contemporaneo di Giotto, fu il maggior scultore della sua epoca. Fu tanto apprezzato a Firenze che vi si stabilì trascorrendovi gran parte della vita.
In gioventù studiò con attenzione le statue antiche che la flotta pisana, forte di conquiste e vittorie, riportava da tutto il Mediterraneo. Queste ricerche, unite all'esame del disegno di Giotto, gli permisero di formarsi uno stile scultoreo del tutto nuovo per i suoi tempi.
Iniziò scolpendo delle piccole statue per la chiesa di Santa Maria a Ponte a Pisa ed il successo di questo lavoro gli procurò l'ingaggio per lavorare alla fabbrica del Duomo di Firenze.
Qui Andrea scolpì una statua di Bonifacio VIII, quelle di San Girolamo, Sant'Ambrogio, Sant'Agostino, San Gregorio, Santo Stefano e San Lorenzo, tutte per la facciata di Santa Maria del Fiore.
Oltre che per il Duomo, Andrea lavorò per altre chiese ed edifici su incarico del Comune di Firenze, come scultore e come architetto. Vasari legge nelle sue fonti che lo scultore si allontanò per un periodo da Firenze per lavorare a Venezia ma fornisce la notizia come non accertata.
Dopo aver costruito fortificazioni presso Porta al Prato, ebbe l'incarico di fondere in bronzo una delle porte del Battistero di San Giovanni. Andrea lavorò a quest'opera e al tabernacolo dell'altar maggiore di San Giovanni per ventidue anni, inoltre scolpì su disegno di Giotto le piccole statue in marmo che adornano la porta del campanile di Santa Maria del Fiore ed altre decorazioni per lo stesso edificio.
I rilievi della prota rappresentano momenti della vita di San Giovanni Battista. L'opera fu posta all'entrata principale del Battistero, poi spostata sul lato che guarda verso la chiesa della Misericordia al momento di collocare la porta realizzata da Lorenzo Ghiberti.
Andrea fu aiutato nel lavoro dal figlio Nino e, nella fusione, da alcuni maestri veneziani.
In quegli anni Andrea Pisano lavorò anche a Pistoia dove progettò la chiesa di San Giovanni e scolpì la tomba di Cino da Pistoia, letterato e poeta.
Operò come architetto per Gualtieri di Brienne (signore di Firenze, 1342-43) occupandosi prevelentemente delle mura e di varie fortificazioni e preparando progetti mai realizzati a causa della caduta del duca.
Come riconoscimento alla sua arte, Andrea ottenne dalla Signoria la cittadinanza fiorentina.
Fra i suoi allievi fu Tommaso Pisano che lavorò al Camposanto e al Duomo di Pisa e fu forse suo figlio.
Il figlio Nino si dedicò alla scultura e fra le se prime opera fu una statua della Madonna in Santa Maria Novella che era stata iniziata dal padre.
Andrea Pisano morì nel 1345 e fu sepolto in Santa Maria del Fiore. Aveva settantacinque anni.

Buonamico Buffalmacco


Buonamico di Cristofano (in realtà Buonamico di Martino) detto Buffalmacco fu discepolo di Andrea Tafi.
Scrissero di lui Boccaccio nel Decamerone e Franco Sacchetti nel Trecentonovelle.
Da quest'ultima opera Vasari riporta due aneddoti: per evitare che il maestro lo svegliasse per lavorare prima dell'alba, Buffalmacco trovò il modo di fissare delle piccole candele sul dorso degli scarafaggi facendo credere ad Andrea Tafi che si trattasse di demoni che lo perseguitavano. L'unico rimedio era quello di lavorare di giorno perché i demoni possono agire soltanto al buio.
Nel secondo episodio Buffalmacco, disturbato da una vicina che filava di notte, riesce a versare sale nelle vivande preparate dalla donna e poi convince il marito di lei che questi errori dipendevano dall'eccessiva stanchezza della donna in modo da farle proibire i lavori notturni.
Concluso l'apprendistato, Buffalmacco lavorò al Monastero delle Donne affrescando Storie della vita di Cristo, opera già distrutta ai tempi di Vasari.
Vasari, che mostra di gradire l'aneddotica burlesca sul conto di Buffalmacco, racconta altri due episodi che si sarebbero svolti in questo convento. Poiché il pittore usava lavorare in un abbigliamento molto poco curato le monache credettero che si trattasse di un garzone e sollecitarono l'intervento personale del maestro. Buffalmacco le ingannò tenendo presso di se un fantoccio con cappello e mantello che le religiose osservavano attraverso un'apertura.
Quando le suore dissero che il colorito delle figure dipinte sembrava troppo pallido, Buffalmacco asserì che fosse necessario stemperare i colori nel vino ed ottenne generosi rifornimenti dell'ottima vernaccia della badessa.
Buonamico dipinse poi Storie di San Giacomo nella Badia di Settimo, anche questi affreschi si rovinarono presto a causa di un sale che il pittore usava mescolare ai colori.
Dipinse tavole con soggetti religiosi per la Certosa di Firenze e per la Badia di Firenze.
Il biografo nota, parlando di queste tavole, che a dispetto della sua reputazione comica, Buffalmacco lavorava con talento e professionalità.
Lavorò a Bologna e Assisi, fu quindi chiamato dal vescovo Guido Tarlati e qui gli capitò uno strano caso narrato dal Sacchetti: avendo trovato colori e dipinti devastati dopo una pausa domenicale, Buffalmacco credette che l'atto vandalico fosse opera di un rivale invidioso e ne parlò al vescovo che pose uomini armati a guardia degli affreschi. Si scoprì così che il vandalo era una bertuccia di proprietà del vescovo che voleva imitare il pittore.
Si diceva che, tornato a Firenze, Buffalmacco scampò per caso al crollo di un ponte avvenuto durante la festa di Calendimaggio.
Passò quindi a Pisa dove affrescò Storie del Vecchio Testamento nella San Paolo in Ripa d'Arno.
Collaborò a quest'opera Bruno di Giovanni, altro pittore ricordato da Boccaccio, che dipinse una Sant'Orsola nella stessa chiesa.
Soddisfatti dal lavoro di Buonamico, i Pisani gli commissionarono altri affreschi nel Camposanto. Buonamico dipinse Storie del Vecchio Testamento, Dio Creatore con le gerarchie degli Angeli, Passione di Cristo, Resurrezione, Apparizione di Cristo Risorto agli Apostoli.
Buffalmacco e Bruno spesero rapidamente quanto avevano guadagnato a Pisa e, poveri come prima, tornarono a Firenze dove lavorarono in Santa Maria Novella ad un Martirio di San Maurizio che Vasari dice di aver studiato dovendo dipingere delle armi antiche.
Dopo un periodo trascorso a Cortona (opere perdute) il pittore fu ad Assisi per affrescare la cappella del cardinale Egidio Alvaro (Egidio Albornoz) nella Basilica Inferiore, quindi a Perugia (Chiesa di San Domenico, Storie di Santa Caterina).
Ottenuto dai Perugini l'incarico di dipingere un Sant'Ercolano, racconta Sacchetti, Buffalmacco fu disturbato dall'impazienza dei committenti e si vendicò ornando il capo del Santo con una corona di lasche (pesci di lago).
A sessantotto anni, dopo una vita ricca di opere e di burle, Buffalmacco morì in miseria nell'ospedale di Santa Maria Nuova.

Ambrogio Lorenzetti


Il pittore senese Ambrogio Lorenzetti (notizie dal 1327 al 1347) fu esperto realizzatore di affreschi. Secondo Vasari la scena di tempesta da lui dipinta nel convento dei frati minori di Siena fece scuola per la tecnica adottata.
Si parla dei suoi affreschi per l'Ospedale (Natività della Madonna, per il convento di Sant'Agostino (Apostoli, Santa Caterina, Passione di Cristo), Palazzo della Signoria (Guerra di Sinalunga), tutti a Siena.
Dopo aver lavorato a Massa e a Orvieto, dipinse a Firenze una tavola (Trittico, oggi agli Uffizi) e degli affreschi per la chiesa di San Procolo.
Nel 1335 lavorò a Cortona, quindi tornò a Siena dove visse il resto della sua vita serenamente, dedicandosi anche a studi di lettere e filosofia e partecipando alla vita politica della città.
Morì a ottantatre anni anni, la sua ultima opera fu una tavola per l'abbazia di Monte Oliveto.

Pietro Cavallini


Simone


Taddeo Gaddi


Andrea di Cione Orcagna


Nato a Firenze si dedicò ancora bambino alla scultura come allievo di Andrea Pisano, pochi anni dopo studiò la pittura con l'aiuto del fratello Bernardo con quale collaborò nel dipingere nella Cappella Maggiore di Santa Maria Novella un affresco che più tardi fu rovinato dall'umidità e rifatto dal Ghirlandaio.
Sempre in Santa Maria Novella, Andrea e Bernardo affrescarono la Cappella degli Strozzi con scene del Paradiso e dell'Inferno ispirate alla Divina Commedia.
A Firenze i due fratelli lavorarono insieme anche nella chiesa di San Pietro Maggiore, nella chiesa dei Servi, in San Romeo e in Sant'Apollinare.
Andrea fu chiamato a Pisa a lavorare nel Camposanto dove dipinse un Giudizio Universale inserendo fra le varie figure un ritratto di Castruccio signore di Lucca.
L'affresco comprende una raffigurazione della morte che indica numerosi cadaveri di ogni età, sesso e condizione. Presso ad alcune figure sono scritte parole, come se parlasseso, sono versi dell'Orcagna stesso che si dilettava anche di poesia.
Lasciando il fratello a lavorare a Pisa, Andrea tornò a Firenze dove dipinse un altro Giudizio Universale in Santa Croce. Fra le figure di questo affresco compaiono il papa Clemente VI, il famoso medico Dino del Garbo, il mago Cecco d'Ascoli.
In quel periodo l'artista si dedicò allo studio dell'architettura e vinse il concorso indetto dal Comune di Firenze per progettare la loggia della piazza comunale. Per questa loggia Andrea scolpì sette statue rappresentanti le virtù teologali e cardinali. Durante la costruzione della loggia dipinse una tavola per la Cappella Strozzi in Santa Maria Novella (Cristo in gloria e santi) che firmò e datò 1357.
Gli fu quindi assegnato l'incarico di realizzare un tabernacolo per la Madonna della Compagnia di Or San Michele, opera che fu finanziata con le donazioni votive per la peste del 1348 e che Andrea realizzò con un progetto molto complesso, unendo ai marmi altri materiali pregiati e collegando le parti senza calce con legamenti di rame. Fra le figure scolpite che circondano il tabernacolo una è l'autoritratto dell'Orcagna.
Andrea Orcagna morì a sessant'anni nel 1389 lasciando molte opere, alcune delle quali incompiute che furono completate da Bernardo il quale sopravvisse pochi anni al fratello.
Furono suoi discepoli Bernardo Nello di Giovanni Falconi che lavorò nel Duomo di Pisa, Tommaso di Marco fiorentino e Francesco Traini.

Tommaso detto Giottino


Giovanni da Ponte


Agnolo Gaddi


Duccio


Antonio Viniziano


Il pittore veneziano Antonio studiò a Firenze con Agnolo Gaddi e terminato l'apprendistato tornò a Venezia dove ebbe l'incarico di dipingere una delle sale del consiglio. Lavorò molto bene ma, causa l'invidia di altri pittori, non ottenne il meritato riconoscimento e tornò deluso a Firenze eleggendola sua patria.
Nella chiesa di Santo Spirito a Firenze dipinse Storie della vita di Cristo, quindi nella chiesa di Santo Stefano al Ponte Vecchio scene della vita del santo, opere di ottima fattura.
I suoi affreschi a Sant'Antonio al ponte della Carraia erano andati distrutti per la demolizione della chiesa già ai tempi di Vasari.
Lavorò quindi a Pisa, nel Camposanto, dove dipinse scene della vita del Beato Ranieri con molto realismo. Vasari descrive con ammirazione le scene dei miracoli del beato piene di personaggi della vita quotidiana (osti, ragazze, mendicanti, malati), resi con grande naturalezza.
Antonio lavorava sempre a fresco, mai ritoccando a secco, e questo ha garantito alle sue opere un ottimo livello di conservazione.
Da Pisa Antonio tornò a Firenze dove realizzò altri dipinti fra i quali una bella Trasfigurazione di Cristo nella Certosa.
Appassionato studioso di scienze naturali, fu anche un buon medico. Morì a Firenze nel 1384, forse di peste, aveva settantaquattro anni.
Furono suoi discepoli Gherardo Starnini e Paolo Uccello.

Iacopo di Casentino


Spinello


Gherardo Starnina


Lippo


Il pittore fiorentino Lippo nacque intorno al 1354 e si avvicinò tardi alla carriera artistica ma il suo talento naturale diede presto i suoi frutti.
Iniziò nel monastero camaldolese di San Benedetto poco fuori Firenze, affrescando una cappella. Ad Arezzo affrescò un'Adorazione dei Magi nella chiesa di S. Antonio e la cappella di San Iacopo e San Cristoforo nel Vescovado.
Dopo aver lavorato a Bologna e a Pistoia, tornò a Firenze dove nel 1383 affrescò in Santa Maria Maggiore le Storie di San Giovanni Evangelista.
Dipinse gli sportelli del tabernacolo di San Giovanni (Vasari confonde diversi pittori di nome Lippo, in questo caso si tratto di Lippo di Benivieni) e, ancora nel Battistero, restaurò i mosaici sopra la porta (Lippo di Corso, 1402).
Nei dintorni di Firenze lavorò nella chiesa di San Giovanni fra l'Arcora e in Sant'Antonio, fuori Porta a Faenza.
Lippo era un pittore molto abile ed originale ma molte sue opere andarono perdute nell'assedio di Firenze. Inoltre morì ancora giovane, ucciso da un suo avversario con il quale aveva avuto una lite violenta.
Nello stesso periodo visse a Bologna un altro pittore di nome Lippo Dalmasi (Lippo di Dalmasio) che fu autore, fra l'altro, di una Madonna in San Petronio, degli affreschi della porta di San Proclo e di un Cristo con San Pietro e San Paolo nella Chiesa di San Francesco.

Don Lorenzo monaco degli Angeli di Firenze


Taddeo Bartoli


Taddeo di Bartolo di Mino (non di Bartolo di Fredi come scrive erroneamente Vasari) nacque a Siena nel 1362.
Fra le sue prime opere l'autore ricorda una Circoncisione di Nostro Signore del 1388 (oggi al Louvre).
Il pittore divenne famoso quando affrescò la cappella del Palazzo della Signoria di Siena e fu chiamato a Padova da Francesco da Carrara per lavorare nella Cappella dell'Arena (gli sono attribuiti gli affreschi del Coro) e nella Basilica del Santo.
Dopo un breve soggiorno a Siena si trasferì a Pisa dove affrescò la Cappella dell'Annunziata nel Duomo, una Madonna nel Campo Santo ed una tavola per la sagrestia della Chiesa di San Francesco, quest'ultima firmata e datata 1394.
Nello stesso periodo dipinse a Volterra e Monte Uliveto, ritrasse papa Gregorio XI per la chiesa di S. Agostino di Arezzo.
A Perugia decorò una cappella nella Chiesa di San Domenico (ma la critica moderna attribuisce l'opera a Benedetto di Bindo) e lavorò nella chiesa di San Francesco.
Dopo il 1398 tornò a Siena dove continuò a dipingere finché non morì di malattia a cinquantanove anni (1422).
Fu suo nipote e discepolo Domenico Bartoli che lasciò opere di buona qualità in S. Trinità a Firenze e nell'Ospedale di Siena.

Lorenzo di Bicci


Proemio della parte seconda


Iacopo della Quercia


Iacopo di maestro Piero di Filippo della Quercia (località del senese), scultore, iniziò a diciannove anni realizzando a Siena una statua equestre per le esequie del capitano Giovanni d'Azzo Ubaldini. La statua era composta di vari materiali (legno, fieno, terra, colla) e la tecnica usata sarebbe invenzione dello stesso Iacopo.
Per il Duomo di Siena fece due tavole intagliate ed alcune statue di profeti in marmo ma la cacciata di Orlando Malevolti, suo protettore, lo costrinse ad abbandonare il lavoro.
Si trasferì a Lucca dove il signore della città, Paolo Guinigi, la cui moglie era morta in quei giorni, gli commissionò un monumento funebre, il celebre Monumento di Ilaria del Carretto, che fu collocato nella cattedrale di San Martino. Quando Paolo Guinigi fu deposto (1429) il monumento rischiò di essere distrutto ma la sua bellezza indusse gli insorti a conservarlo.
Iacopo andò a Firenze per partecipare al concorso per una delle porte del Battistero, preparò una bellissima formella in bronzo (perduta) ma non vinse, perciò si spostò a Bologna dove Giovanni Bentivoglio gli commissionò i rilievi che incorniciano il portale della chiesa di San Petronio.
Tornato a Lucca scolpì un polittico per la cappella della famiglia Trenta (nella chiesa di San Frediano). Dopo alcuni lavori a Firenze Iacopo tornò a Siena dove ottenne l'importante incarico di realizzare una fontana per Piazza del Campo. Le figure scolpite per Fonte Gaia comprendono una Madonna col Bambino, le sette Virtù Teologali, Storie dell'Antico Testamento, Storie della vita di San Giovanni Battista.
Il successo di Fonte Gaia fu tale che la signoria di Siena nominò Iacopo cavaliere e gli affidò la direzione dei lavori di costruzione del Duomo inoltre da quel momento molti lo chiamarono Iacopo Della Fonte.
Lo scultore morì dopo tre anni. Fu uno dei pochi artisti che riuscirono ad ottenere in vita il giusto riconoscimento da parte dei concittadini.
Furono suoi discepoli il lucchese Domenico Galigano e Niccolò Bolognese, detto Niccolò dell'Arca per aver completato l'arca di San Benedetto lasciata incompiuta da Nicola Pisano.

Niccolò Aretino


Dello


Nanni d'Antonio di Banco


Luca della Robbia


Paolo Uccello


Paolo Uccello dedicò molto tempo e molte energie allo studio della prospettiva, esagerando secondo il Vasari.
Le sue prime opere furono affreschi con temi religiosi in varie chiese fiorentine. In una cappella di Santa Maria Maggiore dipinse un'Annunciazione con particolari effetti prospettici che danno allo spettatore l'illusione di uno spazio più ampio del reale.
A proposito di un suo lavoro in San Miniato si raccontava che avesse abbandonato l'opera incompiuta perché stufo del formaggio che gli veniva quotidianamente servito all'abbazia, ma quando spiegò il problema a due frati che lo riferirono all'abate questi, molto divertito, lo fece tornare e gli procurò altri cibi.
Amava dipingere animali, specialmente gli uccelli (da cui il soprannome). Moltissimi ne dipinse nelle sue Storie della Creazione nel chiostro di Santa Maria Novella.
Nello stesso chiostro realizzò un Diluvio Universale, una delle sue opere migliori che gli procurò grande fama. Vicino al Diluvio dipinse l'Ebbrezza di Noè (nel quale il personaggio di Cam aveva le fattezze del pittore Dello, amico di Paolo) e il Sacrificio di Noè all'approdo dell'arca.
Affrescò in Santa Maria del Fiore il condottiero Giovanni Acuto a cavallo, lavorò quindi a un ciclo di storie di San Benedetto nella chiesa di Santa Maria degli Angeli (opera perduta).
Invitato da Donatello, Paolo si recò a Padova per affrescare i Giganti nel palazzo Vitali (opera perduta).
Teneva in casa una tavola da lui dipinta con i ritratti di cinque personaggi che considerava innovatori: Giotto come iniziatore della pittura dei suoi tempi, Brunelleschi nell'architettura, Donatello per la scultura, se stesso per la prospettiva e l'amico Giovanni Manetti per la matematica.
Infine, vecchio e depresso per il giudizio negativo di Donatello sull'affresco Incredulità di San Tommaso sulla chiesa di San Tommaso nel Mercato Vecchio, si ritirò nella sua casa e smise di lavorare.
Morì povero e dimenticato nel 1432 all'età di ottantatre anni.

Lorenzo Ghiberti


Lorenzo Ghiberti, figlio di Cione o di Bartoluccio (nato a Firenze fra il 1378 e il 1381) imparò dal padre l'arte dell'orefice, ma fin da giovane si interessò anche di disegno, scultura e pittura.
Nel 1400 a causa di un'epidemia e di disordini politici, Lorenzo lasciò Firenze e si recò a Rimini dove dipinse alcune stanze della residenza di Pandolfo Malatesta.
Conclusa la pestilenza, Lorenzo fu avvertito dal padre che la corporazione dei Mercanti di Firenze aveva indetto una gara per due nuove porte in bronzo per il Battistero e, nonostante i tentativi di Pandolfo Malatesta per trattenerlo, lasciò la Romagna e tronò alla sua città.
Furono scelti sette artisti fra i quali Brunelleschi, Donatello e Iacopo della Quercia e fu loro assegnato il compito di realizzare in un anno una formella di bronzo che rappresentasse il Sacrificio di Isacco.
Allo scadere del termine una giuria di trentaquattro esperti scartò quattro delle prove, quindi Brunelleschi e Donatello si ritirarono spontaneamente affermando che l'opera di Lorenzo era migliore della loro.
Così Lorenzo, procuratosi un locale per fondere nei pressi di Santa Maria Novella, avviò il lavoro iniziando dal telaio.
Seguì lo schema adottato a suo tempo da Andrea Pisano fondendo venti storie del Nuovo Testamento ed altre otto formelle raffiguranti gli Evangelisti e i Dottori della Chiesa. Nelle venti formelle superiori fece: L'annunciazione, La nascita di Cristo, La visita dei Magi, Cristo che disputa con i dottori, Il battesimo di Cristo, Il diavolo che tenta Gesù, La cacciata dei mercanti dal tempio, Il naufragio degli Apostoli, La trasfigurazione sul Monte Tabor, La resurrezione di Lazzaro, L'arrivo di Gesù a Gerusalemme, La cena con gli Apostoli, La meditazione nell'orto degli ulivi, L'arresto di Gesù, La flagellazione, Cristo davanti a Pilato, Cristo che porta la Croce, La Crocifissione, La Resurrezione, La Pentecoste.
Quando furono installate le porte procurarono a Lorenzo la pubblica ammirazione ed egli ebbe l'incarico di realizzare una statua di bronzo di San Giovanni Battista che fu collocata in una delle nicchie esterne di Orsanmichele.
Passò quindi a Siena per Due storie di San Giovanni Battista per il Battistero di quella città, poi tornò a Firenze per altre statue nelle nicchie di Orsanmichele, quelle di San Matteo e di Santo Stefano.
Realizzò per Santa Maria Novella il sepolcro di Leonardo Dati, generale dei frati predicatori per Santa Croce, i sepolcri di Lodovico degli Albizi e di Niccolò Valori.
Su commissione dei Medici fece un reliquiario dei martiri Proto, Iacinto e Nemesio che fu collocato nella chiesa del Monastero degli Angeli. Lavorò quindi al sepolcro di San Zenobi vescovo di Firenze. Si cimentò anche come orefice per i Medici, per papa Martino V e per papa Eugenio IV.
La Corporazione dei Mercanti gli commissionò la terza porta del Battistero decidendo che avrebbe sostituito quella di Andrea Pisano da spostarsi all'entrata laterale dell'edificio. I committenti concessero piena libertà alla creatività di Lorenzo e non posero limiti di tempo o di spesa.
Lorenzo divise la porta in dieci riquadri raffiguranti episodi biblici. Fra i molti personaggi pose il proprio ritratto e quello del padre.
I riquadri rappresentano: Adamo ed Eva, Caino e Abele, L'arca di Noè, Abramo e Isacco, Giacobbe e Esaù, Le storie di Giuseppe, Mosè che riceve la Legge, Giosuè e le trombe di Gerico, Davide e Golia, Salomone e la regina di Saba.
Quando gli fu chiesto un giudizio sulle porte di Lorenzo, Michelangelo le definì adatte per il Paradiso.
L'opera richiese venti anni di lavoro. Collaborarono con Lorenzo Ghiberti grandi artisti quali Filippo Brunelleschi, Masolino da Panicale, Niccolò Lamberti, Parri Spinelli, Antonio Filareto, Paolo Uccello, Antonio Pollaiolo.
In riconoscimento alla sua arte Lorenzo fu nominato magistrato e ricevette un podere presso Badia di Settimo.
Il progetto di far rifare a Lorenzo la porta di Andrea Pisano non fu realizzato per l'improvvisa morte dell'artista.
Il figlio Bonaccorso completò con grande diligenza le rifiniture delle porte del Battistero, ma non fece altre opere perché morì molto giovane.


Masolino


Parri Spinelli


Masaccio


Filippo Brunelleschi


Filippo di Ser Brunellesco fu sparuto nella persona ma di ingegno incomparabile e dotato di numerose virtù.
Il padre Ser Brunellesco, stimato cittadino di Firenze, aveva sposato una giovane della nobile famiglia degli Spini dalla quale nel 1377 nacque Filippo. Gli studi di Filippo tendevano a farlo diventare notaio come il padre ma, poiché egli dimostrava altre inclinazioni, Brunellesco lo mandò a lavorare come apprendista presso un suo amico orefice.
Filippo apprese rapidamente l'arte orafa e prese ad esercitarla ad alto livello dedicandosi anche all'orologeria, quindi si interessò alla scultura e strinse una profonda amicizia con il giovane Donatello, contemporaneamente cominciò a realizzare le sue prime opere architettoniche.
La sua prima scultura di grandi dimensioni fu una statua di Maria Maddalena in legno che andò perduta in un incendio nel 1471. Dipingeva spesso ambienti cittadini per portare avanti il suo studio della prospettiva e perfezionare la sua tecnica in questo senso, tecnica che insegnò all'amico Masaccio.
Fu introdotto da messer Paolo del Pozzo Toscanelli allo studio della matematica e della geometria.
Una volta criticò un crocifisso di Donatello e si dedicò a scolpirne uno, poi esposto in Santa Maria Novella, che Donatello giudicò miracoloso per la perfezione delle membra.
Filippo e Donato furono chiamati dalle arti dei Beccai e dei Lanaioli per scolpire due statue per Orsanmichele ma Filippo lascià la commissione all'amico che la svolse con maestria.
Nel 1401 si svolse il concorso per una nuova porta del Battistero alla quale parteciparono sia Filippo che Donatello ma conclusero entrambi che la prova di Lorenzo Ghiberti era stata la migliore e si prodigarono con grande generosità per convincere i giudici ad assegnare la vittoria a Lorenzo. Filippo donò la formella con il Sacrificio di Isacco preparata per il concorso a Cosimo de' Medici che la fece esporre nella sagrestia di San Lorenzo.
Poco dopo Filippo Brunelleschi e Donatello si trasferirono a Roma per studiare sui modelli classici rispettivamente l'architettura e la scultura. In particolare Filippo studiò la volta del Pantheon mentre si concentrava nella ricerca di una soluzione per la cupola della nuova basilica di Firenze.
Quando i loro fondi furono esauriti, Donato tornò a Firenze e Filippo rimase a Roma dove per mantenersi cominciò a collaborare con alcuni orefici suoi amici.
Tornò a Firenze nel 1407 e presentò una sua revisione del progetto di Arnolfo di Cambio per la basilica nella quale la cupola risultava alleggerita e più facile da costruire.
Per molti anni Filippo si trattenne a Firenze proseguendo nei suoi studi per la cupola e collaborando di tanto in tanto con Ghiberti. Ripartì per Roma ma fu presto richiamato a Firenze per essere consultato sul problema della cupola che non si riusciva a costruire in quanto le imbracature in legname allora in uso risultavano inadeguate per il volume e per il peso dell'opera.
Filippo, pur ardendo dal desiderio di ottenere la direzione dei lavori, si mostrò indifferente e propose di indire un concorso convocando i migliori architetti d'Italia e d'Europa ed anche quando nel 1417 gli fu offerto l'incarico non si lasciò coinvolgere e ripartì per Roma. In realtà Filippo aveva proposto il concorso perché voleva che l'impossibilità di costruire la cupola con i metodi tradizionali venisse ufficialmente sancita dai maggiori esperti del tempo.
Il convegno si tenne nel 1420 e furono presentate alcune soluzioni complesse e costose, ma quando Filippo sostenne che l'unico modo per realizzare l'opera era costruita a sezioni che si regessero reciprocamente senza bisogno di pilastri ed impalcature fu giudicato folle ed allontanato bruscamente.
Filippo non si lasciò scoraggiare e contattando uno ad uno giudici ed esperti li convinse a riaprire la discussione ed infine, pur rifiutando di spiegare nei dettagli il suo progetto, riuscì ad ottenere l'incarico, sia pure con molte difficoltà e con l'intesa di verificare la fattibilità del lavoro quando la cupola fosse stata costruita fino all'altezza di dodici braccia.
Tuttavia una fazione di artigiani e di cittadini sostenne che sarebbe stato imprudente affidare una simile opera ad un solo architetto e pretese che Filippo venisse affidato da un collega nella direzione dei lavori. Fu scelto Lorenzo Ghiberti e Lorenzo fu così offeso da questa imposizione che fu sul punto di rinunciare all'impresa. La collaborazione fu difficile ed i due artisti si trovarono presto in competizione.
Irritato dal fatto che Lorenzo, pur percependo lo stesso compenso, evitava di assumere responsabilità, Filippo si finse malato costringendo Ghiberti ad ammettere di non essere in grado di dirigere da solo la costruzione, quindi lo obbligò a farsi carico di un compito di sua scelta e riuscì finalmente a dimostrare l'inadeguatezza del collega e rivale.
Alla fine a Filippo fu resa piena autonomia decisionale ma presto incontrò altre difficoltà con una parte dei lavoratori che reagiva negativamente al suo rigore. Filippo seppe risolvere con grande energia anche questa situazione licenziando i lavoratori sediziosi e poi riassumendoli a salario ridotto.
Quando decise di mostrare pubblicamente il modello dettagliato della cupola che aveva costruito fu a tutti evidente la cura minuziosa della sua progettazione e la grande ingegnosità delle soluzioni.
Filippo organizzò il lavoro con idee brillanti, come un sistema di ruote e contrappesi per trasportare i carichi in alto o come l'iniziativa di aprire un'osteria nella cupola in costruzione per evitare che gli operai perdessero tempo scendendo e risalendo quando avevano bisogno di ristoro. Infaticabile, seguiva personalmente ogni momento del lavoro e vigilava anche sulla preparazione e la cottura dei mattoni.
Anche per la lanterna sulla sommità della cupola vennero presentati vari progetti e Filippo sosteneva che il modello giusto era soltanto uno, quello rispondente ai suoi calcoli del peso necessario a dare coesione alla struttura.
Mentre la costruzione della cupola procedeva, Brunelleschi si occupava anche di altre fabbriche e progetti a Firenze per i Medici e a Milano per i Visconti.
Progettò l'abbazia di Fiesole, finanziata da Cosimo de' Medici, partecipò al progetto per la chiesa di San Lorenzo in Firenze iniziata da Giovanni di Bicci dei Medici e completata dal figlio di questi Cosimo, per la stessa chiesa realizzò la sacrestia.
Realizzò il modello di un Palazzo Medici che non venne mai costruito e progettò la rotonda di Santa Maria degli Angeli che rimase incompiuta a causa della guerra fra Firenze e Lucca.
Su commissione della famiglia Pitti, Brunelleschi progettò il grande palazzo che fu realizzato dopo la sua morte dal suo collaboratore Luca Fancelli. Fu anche scenografo e realizzò gli apparati scenici per la rievocazione dell'Annunciazione che si teneva in San Felice in Piazza, costruendo ingegnosi macchinari che animavano effetti sorprendenti come un volo di angeli sul pubblico che Vasari descrive con dovizia di particolari.
Nel 1445 il Marchese di Mantova lo invitò nella sua città per progettare gli argini del Po. Lavorò quindi a Pisa e a molti altri progetti per edifici fiorentini.
Intanto Filippo era impegnato anche nel progetto di ristrutturazione della chiesa di Santo Spirito a Firenze e del convento annesso.
Filippo morì il 16 aprile 1446 e fu sepolto solennemente in Santa Maria del Fiore nel cordoglio generale dei concittadini. Il Buggiano, suo discepolo, eseguì il suo ritratto in un busto che fu collocato nel Duomo.

Donato, scultore fiorentino


Michelozzo Michelozzi


Antonio Filarete e Simone


Giuliano da Maiano


Piero della Francesca


Fra' Giovanni da Fiesole


Leon Battista Alberti


Lazzaro Vasari


Antonello da Messina


Alessio Baldovinetti


Vellano da Padova


Fra' Filippo Lippi


Paolo Romano, Mino, Chimenti Camicia


Andrea del Castagno e Domenico Veneziano


Gentile da Fabriano e Vittore Pisanello


Pesello e Francesco Peselli


Benozzo


Francesco di Giorgio e Lorenzo Vecchietto


Galasso Galassi


Antonio Rossellino e Bernardo suo fratello


Desiderio da Settignano


Mino da Fiesole


Lorenzo Costa


Ercole Ferrarese


Iacopo, Giovanni e Gentile Bellini


Cosimo Rosselli


Cecca


Don Bartolomeo abate di San Clemente


Gherardo


Domenico Ghirlandaio


Antonio e Piero Pollaiolo


Sandro Botticelli


Alessandro detto Sandro era figlio di Mariano Filipepi. Si mostrò irrequieto e insoddisfatto dell'istruzione ricevuta, tanto che il padre lo affidò al suo compare Botticello, orefice.
Sandro, che era un abile disegnatore, chiese di essere introdotto alla pittura e fu condotto a Frà Filippo del Carmine che ne fece un vero pittore.
Ancora giovinetto dipinse nella mercatura di Firenze e nella chiesa di S. Spirito (cappella dei Bardi). Nella chiesa di Ogni Santi dipinse a fresco un S. Agostino sforzandosi di superare i contemporanei e in particolare Domenico Ghirlandaio, autore di un San Girolamo nella stessa chiesa.
Aveva raggiunto una buona reputazione quando realizzò un'incoronazione della Madonna in San Marco. Lavorò per Lorenzo de Medici il Vecchio e nella villa del duca Cosimo realizzò la Nascita di Venere e la Primavera.
In casa Pucci illustrò in quattro tavole una novella di Boccaccio. In San Pietro Maggiore dipinse per Matteo Palmieri una tavola con l'assunzione di Maria e innumerevoli figure di santi e angeli.
Nella piccola tavola "adorazione dei Magi" in Santa Maria Novella, i tre re avevano le fattezze di Cosimo il Vecchio, Giuliano de Medici padre di Clemente VII e Giovanni figlio di Cosimo. La notorietà raggiunta con queste opere gli procurò la commissione di papa Sisto IV per gli affreschi della Cappella Sistina: Cristo tentato dal diavolo, Mosè che uccide l'egiziano, Mosè dissetato dalle figlie di Ietro. Concluso questo incarico Botticelli tornò a Firenze dove si dedicò ad illustrare la Divina Commedia. Questo lavoro richiese molto tempo durante il quale il pittore non ebbe incarichi retribuiti e si trovò in grandi ristrettezze tanto che evitò la fame per gli aiuti degli amici e di Lorenzo de'Medici.
Sandro era piacevole e spiritoso e amava organizzare scherzi per i discepoli e gli amici. Una volta, racconta Vasari, truccarono un dipinto di un apprendista sovrapponendo ai volti degli angeli che circondavano la Madonna le facce dipinte su carta di alcuni cittadini. Il giovane pittore fu molto stupito dalla sostituzione ma i presenti fecero finta non non vederla e lo convinsero di aver veduto ciò che non era.
Quando nella casa vicina alla sua si stabilì un tessitore con otto telai molto rumorosi, Sandro gli chiese di risolvere il problema e quello rispose che in casa sua poteva fare quello che voleva. Sandro allora sistemò una pietra in bilico su un muro della sua casa, messa in modo tale che cadendo avrebbe distrutto il tetto e i telai del vicino. Alle proteste del tessitore, Botticelli rispose che in casa sua poteva fare quello che voleva e così fu necessario trovare accordi ragionevoli.
Una volta Sandro accusò un amico di eresia perché senza avere lettere o a pena saper leggere commenta Dante e mentova il suo nome invano.
Durante la sua vita guadagnò molto ma tutto dilapidò con il suo disordine. Da vecchio camminava aiutandosi con due bastoni.
Morì di malattia a settantotto anni nel 1515 e fu sepolto in Ogni Santi a Firenze.
Vasari cita ancora alcune opere: il ritratto dell'amante di Giuliano de'Medici e quello di Lucrezia Tornabuoni, un Bacco che beve da un barile; un'Assunta con coro d'angeli nel duomo di Pisa, il baldacchino di Or San Michele, la tavola dei Magi in Santa Maria Novella.

Benedetto da Maiano


Andrea Verrocchio


Andrea Mantegna


Filippo Lippi


Bernardino Pinturicchio


Francesco Francia


Francesco Raibolini detto il Francia nacque a Bologna nel 1450 da onesta famiglia artigiana.
Ancora bambino fu preso come apprendista nella bottega di un orefice ed imparò molto bene quest'arte come dimostrano molti suoi lavori in argento custoditi a Bologna. La sua eccellenza di orefice di mostrò soprattutto nel conio delle medaglie, attività che svolse per la zecca dei Bentivoglio finché questi ressero Bologna. Quando i Bentivoglio furono cacciati da Giulio II, Francesco coniò una medaglia con l'immagine del pontefice che gli valse la conferma del suo lavoro per la zecca anche sotto il nuovo governo.
Dedicatosi anche alla pittura studiò a lungo le tecniche del colorito, fra i suoi primi dipinti furono una Madonna con santi e offerente che fu collocata nella chiesa della Misericordia fuori Bologna (oggi si trova nella Pinacoteca Nazionale di Bologna), una Natività per la stessa chiesa ed un'Annunciazione per la chiesa dell'Annunziata.
Alla pittura ad olio aggiunse l'affresco e, su commissione di Giovanni Bentivoglio, dipinse in una sala del Palazzo Bentivoglio Giuditta ed Oloferne, opera che fu molto ammirata dai contemporanei.
La fama di Francesco uscì dall'ambiente bolognese ed egli fu chiamato a realizzare opere per Modena, Parma, Reggio Emilia, Cesena, Ferrara.
Dopo aver dipinto altre tavole per le chiese bolognesi di San Lorenzo e di San Giobbe, passò in Toscana per lavorare a Lucca, quindi nel ducato di Urbino.
Quando era ormai anziano, il Francia entrò in rapporti epistolari con Raffaello Sanzio, che all'epoca lavorava a Roma.
Quando Raffaello dipinse una Santa Cecilia che gli era stata commissionata per la chiesa di San Giovanni in Monte di Bologna, spedì il quadro al Francia pregandolo di curarne la sistemazione e il Francia, che desiderava molto vedere la opere di Raffaello ma non ne aveva mai avuto occasione, si affrettò a liberare il dipinto ricevuto dall'imballaggio.
Secondo alcuni l'emozione di Francesco Francia nell'ammirare l'opera di Raffaello fu tale che il pittore cadde in un profondo stato di malinconia misconoscendo la propria arte e pochi giorni dopo ne morì.
Forse non fu questa la causa, comunque il Francia morì improvvisamente nel 1510 e fu sepolto in Bologna.

Pietro Perugino


Fu la povertà a fare da stimolo per Pietro Perugino che in gioventù non si arrese mai al freddo, alla fame e alla fatica pur di vincere la miseria.
Nacque a Perugia da un pover'uomo di Castello della Pieve di nome Cristofano. Fu allevato tra gli stenti, mandato a lavorare come fattorino presso un pittore medioche che parlava sempre della grandezza degli artisti fiorentini e di come Firenze fosse la città perfetta per chi voleva diventare famoso. Questi discorsi, confermati da molte altre persone, indussero Pietro a trasferirsi a Firenze.
Studiò con Andrea Verrocchio e dalle sue prime opere divenne apprezzato e conosciuto a Firenze. In pochi anni i suoi lavori furono collocati in Italia, Francia, Spagna e altri paesi dai mercanti che lo tenevano in grandissima considerazione.
Molte cose di Pietro erano anche nella chiesa del convento dei frati gesuiti di Firenze. Vasari si sofferma su questa chiesa che era andata distrutta. Dedicata a San Giusto, era stata progettata da Antonio di Giorgio da Settignano. L'interno era riccamente decorato e custodiva una tavola di Domenico Ghirlandaio e un crocifisso di Benedetto da Maiano. Vengono descritti con ammirazione il coro di questa chiesa, il portale, il porticato esterno, il chiostro, si parla anche del monastero e dei suoi ambienti, del curatissimo orto. Uno dei più bei complessi religiosi di Firenze.
Questi edifici andarono distrutti nell'assedio di Firenze e delle opere che Pietro Perugino vi aveva dipinto si salvarono solo due tavole, una raffigurante Gesù nell'orto con gli Apostoli addormentati e l'altra una Pietà.
Il priore dello stesso convento degli Ingesuati gli fece affrescare diversi ambienti ma era avaro e diffidente e temendo che il pittore rubasse il colore blu ultramarino, particolarmente costoso, era sempre presente mentre Pietro dipingeva. Infastidito, Pietro si prese la soddisfazione di recuperare il colore dall'acqua in cui puliva i pennelli e renderlo al priore deprecando apertamente la sua diffidenza.
Pietro dipinse altre tavole per le chiese di San Francesco e Sant'Agostino a Siena e per San Gallo a Firenze. Per il Cristo morto con San Giovanni e la Madonna dipinto sulla scala laterale di San Pier Maggiore, Pietro usò i colori con tale perizia che l'opera resistette alla pioggia e al vento conservandosi perfettamente.
Grazie alla fama raggiunta in Italia e all'estero, il Perugino fu chiamato a Roma da Sisto IV per lavorare nella Cappella Sistina insieme ad altri grandi artisti. Dipinse Cristo che consegna le chiavi a San Pietro con l'aiuto di Bartolomeo della Gatta.
La nascita e il battesimo di Cristo, Mosè bambino salvato alla figlia del Faraone, e nella parete dell'altare l'Assunzione della Madonna (in quest'ultimo dipinto era raffigurato anche Sisto IV in ginocchio) furono distrutti sotto Paolo III quando Michelangelo dipinse il Giudizio Universale.
Oltre agli affreschi della Sistina Pietro dipinse in Roma per palazzo Borgia, nella chiesa di San Marco, nel palazzo degli Apostoli. Queste opere gli procurarono lauti guadagni con i quali il pittore decise di lasciare Roma per tornare a Perugia dove realizzò molte altre opere fra cui gli affreschi della sala delle udienze del Collegio del Cambio, lo Sposalizio della Vergine per il Duomo, il Polittico di S. Agostino,
Venne il momento in cui, dopo aver tanto lavorato, Perugino cominciò a ripetersi e le sue figure a somigliarsi eccessivamente fra loro. Geloso di Michelangelo, faceva spesso mordaci battute nei suoi confronti, quando il Buonarroti reagì definendo goffa la sua arte la questione finì in tribunale, dove ne rimase Pietro con assai poco onore.
Quando Filippino Lippi morì lasciando incompiuta la pala per l'altare maggiore della chiesa dei Frati de'Servi di Firenze (la Basilica della Santissima Annunziata), i frati ne affidarono il completamento a Pietro, ma il lavoro finito venne duramente criticato dai Fiorentini perché il pittore aveva riprodotto le stesse figure di molte opere precedenti. Il Perugino si difese sostenendo che quelle figure erano sempre piaciute a coloro che ora le criticavano ma, continuando le polemiche, preferì lasciare Firenze e tornare nella sua città.
Vittore Scarpaccia ed altri


Iacopo detto l'Indaco


Luca Signorelli


Luca Signorelli, nato a Cortona intorno al 1445, fu discepolo di Pietro dal Borgo a San Sepolcro (Piero della Francesca) la cui pittura imparò ad imitare perfettamente.
Fra le sue prime opere furono gli affreschi della Cappella di Santa Barbara in San Lorenzo di Arezzo, i dipinti a olio per la Compagnia di Santa Caterina, la tavola di San Nicola da Tolentino e i due angeli in affresco per la chiesa di S. Agostino ad Arezzo.
Ancora ad Arezzo affrescò la Cappella degli Accolti nella chiesa di San Francesco. Per il Duomo di Perugia dipinse la Pala di S. Onofrio rappresentando la Madonna, alcuni Santi ed un bellissimo angelo che accorda il liuto.
Per San Francesco di Volterra dipinse una Circoncisione di Gesù più tardi restaurata dal Sodoma. Nelle chiese di Città di Castello dipinse una serie di affreschi (ne restano pochi frammenti). A Cortona, sua città natale, lavorò per la chiesa di Santa Margherita, per la Compagnia di Gesù e nella Pieve.
Lavorò a Siena in S. Agostino, quindi si recò a Firenze dove dipingendo per Lorenzo il Magnifico se ne procurò il favore.
Le sue opere furono apprezzate a Chiusi (Monaci di Monte Oliveto), Montepulciano, Foiano ed altri luoghi della Valdichiana.
Affrescò una cappella del Duomo di Orvieto completando il lavoro di Giovanni da Fiesole e dipingendo con grande inventiva impressionanti storie dell'Apocalisse.
Il livello dell'arte di Luca fu tale che anche Michelangelo non disdegnò in alcune occasioni di riprenderne lo stile.
Su commissione di papa Sisto, Signorelli affrescò la sagrestia del Santuario di Loreto. Lo stesso papa lo chiamò a Roma per le decorazioni della Cappella Sistina (Testamento e morte di Mosè).
In vecchiaia, dopo aver lavorato per i più importanti principi italiani, Luca tornò a Cortona dove continuò a dipingere per passione. In questo periodo realizzò una grande pala, Madonna col Bambino e Santi su commissione della Compagnia di San Girolamo di Arezzo.
In occasione della collocazione di quest'opera Signorelli si recò ad Arezzo dove soggiornò in casa Vasari e l'Autore, che all'epoca aveva otto anni, ricorda con affetto come il pittore si interessasse ai suoi progressi nel disegno e come raccomandasse al padre di farlo proseguire negli studi artistici.
Tornato a Cortona, Luca accettò una commissione per il palazzo del Cardinale Silvio Passerini, ma morì durante il lavoro all'età di ottantadue anni.


PARTE TERZA


Proemio


Leonardo da Vinci


Giorgione


Antonio da Correggio


Piero di Cosimo


Bramante


Fra' Bartolomeo


Mariotto Albertinelli


Raffaellino del Garbo


Torrigiano


Giuliano e Antonio da Sangallo


Raffaello da Urbino


Raffaello, dice il Vasari, fu dotato non solo di eccezionali doti artistiche ma anche di tutte le virtù dell'animo che rendono una persona modesta, affabile e gradevole.
Nacque in Urbino nel 1483, figlio di Giovanni de'Santi, un pittore modesto ma ottima persona che volle allevare e educare il figlio nella propria casa insegnandogli i migliori costumi. Crescendo Raffaello dimostrò presto la propria inclinazione artistica e ancora bambino divenne un valido aiuto del padre.
Quando si rese conto di non poter insegnare di più, il brav'uomo provò a far entrare il ragazzo nella bottega di Pietro Perugino che in quel momento era considerato uno dei migliori pittori in attività. Giovanni si recò a Perugia e vi soggiornò per un periodo in attesa di Pietro che era a Roma, quindi attese di essere entrato in confidenza prima di chiedere al maestro di accettare suo figlio come allievo. Il Perugino accettò e dal primo incontro fu colpito dalla gentilezza del giovane. Raffaello imparò così rapidamente e così bene la lezione di Pietro che presto divenne difficile distinguere i suoi disegni da quelli del maestro.
Con Pietro lavorò a Perugia a una tavola a olio per Maddalena degli Oddi, la tavola rappresenta la Madonna assunta in Cielo con Cristo e i dodici Apostoli, solo un occhio molto esperto potrebbe riconoscere le figure dipinte dal Perugino e quelle di Raffaello (l'opera è oggi nella Pinacoteca Vaticana). Completato questo lavoro, Raffaello visitò Citta di Castello dove dipinse tavole per le chiese di Sant'Agostino, San Domenico e San Francesco.
Pinturicchio che stava lavorando al duomo di Siena lo invitò a collaborare e Raffaello disegnò alcuni cartoni ma quando sentì parlare di Leonardo e Michelangelo non seppe resistere al desiderio di vedere le loro opere a Firenze. Qui fu ospitato da Taddeo Taddei con il quale si sdebitò dipingendo dei quadri per lui. Fece amicizia con Ridolfo Ghirlandaio, Aristotele San Gallo, Lorenzo Nasi, quer quest'ultimo dipinse la Madonna del Cardellino.
Raffaello fu costretto dalla morte dei genitori a tornare a Urbino dove dipinse due Madonne ed altri quadri per Guidobaldo da Montefeltro.
Di nuovo a Perugia dipinse opere per la chiesa dei Frati de'Servi, in San Severo, nel monastero femminile di S. Antonio da Padova. Per la nobildonna Atlanta Baglioni dipinse un "compianto su Cristo morto" (pala Baglioni).
Tornato a Firenze eseguì i ritratti di Agnolo Doni e della consorte Maddalena Dossi e un quadro con Gesù Bambino e San Giovannino. Secondo Vasari durante il soggiorno a Firenze Raffaello cambiò profondamente il suo stile, tanto che le sue opere precedenti potrebbero essere di un altro pittore, e ciò grazie allo studio approfondito dei più eccellenti maestri del suo tempo.
Il Bramante gli procurò l'incarico di affrescare in Vaticano le stanze di Giulio II. Giunto a Roma Raffaello constatò che quelle stanze erano già state in parte decorate da Piero della Francesca, Luca da Cortona, Pietro della Gatta, Bramantino da Milano. Iniziò quindi il suo lavoro dalla Stanza della Segnatura dove fece un grande affresco con le figure di filosofi, sapienti e scienziati (La scuola di Atene) fra i quali rappresentò Bramante, Federico II duca di Mantova e se stesso.
Dopo aver ammirato questo affresco, Giulio II ordinò di distruggere tutte le opere presenti in quegli ambienti per lasciare le pareti libere per Raffaello.
Ancora nella stanza della segnatura, Raffaello dipinse il Parnaso con le figure dei grandi poeti dell'antichità, con Apollo tra le Muse e ancora un gruppo di poeti più moderni: Dante, Petrarca, Boccaccio ed altri.
Nella parete di fronte alla Scuola di Atene, Raffaello dipinse Cristo e la Madonna con numerosi santi sulle nuvole, sotto altri santi disputano sui Vangeli ed ascoltano le spiegazioni di quattro dottori della Chiesa. Su tutti il Padre Eterno, dal punto più alto del dipinto, fa scendere lo Spirito Santo.
Sulla parete seguente (di fronte al Parnaso) dipinse Giustiniano che consegna le leggi ai dottori perché le perfezionino, il papa che consegna le decretali canoniche e, in alto, le virtù teologali: Temperanza, Fortezza e Prudenza.
Entusiasta del risultato, Giulio II chiamò per gli arredi Frà Giovanni da Verona, famoso intagliatore di cui Vasari ricorda opere a Chiusi, Siena e Napoli (Il rivestimento ligneo delle pareti sotto gli affreschi andò probabilmente distrutto durante il sacco dei Roma del 1527).
Guglielmo da Marcilla


Cronaca


Domenico Puligo


Andrea da Fiesole


Vincenzio da San Gimignano e Timoteo da Urbino


Andrea del Monte Sansovino


Benedetto da Rovezzano


Baccio da Montelupo


Lorenzo di Credi


Lorenzetto


Baldassarre Peruzzi


Giovan Francesco detto il Fattore e Pellegrino da Modana


Andrea del Sarto


Per Vasari l'unico limite di Andrea del Sarto fu il carattere timido e troppo mite che riflettendosi nella sua pittura le toglieva ardore e fierezza. Se non avesse sofferto di ciò, la sua pittura "senza errori" sarebbe stata paragonabile a quella dei più grandi maestri.
Andrea, detto del Sarto dal mestiere del padre, nacque a Firenze nel 1478. Compiuti gli studi elementari inizià ad apprendere l'oreficeria ma un pittore di nome Gian Barile notò il suo modo di disegnare e lo prese nella sua bottega come apprendista.
Dopo tre anni, notando l'innata abilità dell'allievo, Gian Barile lo sistemò presso la bottega di Piero di Cosimo, pittore più capace e conosciuto, il quale si affezionò rapidamente al nuovo apprendista.
Con grande passione Andrea trascorreva il suo tempo libero in una sala del convento di Santa Maria Novella dove erano esposti costumi di Michelangelo e di Leonardo. Qui conobbe Francia Bigio del quale divenne molto amico. I due giovani decisero di prendere una stanza in comune per dividere le spese ed iniziarono insieme ad occuparsi dei primi lavori: dipinti di argomento religioso commissionati da un sacrestano parente del Francia.
Andrea dipinse quindi dodici storie di San Giovanni Battista, fra le quali il Battesimo di Cristo, nel Chiostro dello Scalzo da poco realizzato a spese della compagnia che portava lo stesso nome.
Poco dopo realizzò una tavola per la chiesa dei Frati Eremitani di S. Agostino presso la porta di San Gallo.
In quel periodo Andrea strinse amicizia anche con Jacopo di Sannazzaro ed accettò di dipingere per un compenso irrisorio le storie di San Filippo Benizzi nel Chiostro della Ss. Annunziata accogliendo la proposta di un sacrestano che prometteva un piccolo guadagno ma grande celebrità.
In effetti la rinomanza di questo lavoro gli procurò mole commissioni fra cui quella dei monaci di Vallombrosa (per i quali dipinse una pala con quattro santi: San Benedetto, San Giovanni Gualberto, San Salvi e San Bernardino degli Uberti), ritratti di personaggi illustri ed immagini sacre.
Lavorò ancora per la Ss. Annunziata, quasi in competizione con l'amico Francia Bigio del quale ammirava la tecnica nell'affresco, e realizzò la Natività della Vergine ed il Viaggio dei Magi. In questo ultimo dipinto ritrasse se stesso, Iacopo Sansovino ed il musico Aiolle.
Allo stesso periodo risalgono una tavola per la Badia di San Godenzo ed un'Annunciazione per i frati di San Gallo. Presso questa opera dipinse una predella Iacopo da Pontormo, allievo di Andrea.
Dipinse anche delle Madonne per vari committenti fiorentini, opere che furono considerate fra le sue migliori, e divenne molto apprezzato.
Benché si facesse pagare molto poco guadagnava di che vivere agiatamente per se e per la sua famiglia. La sua serenità, tuttavia, fu turbata quando si innamorò di una giovane vedova e la sposò, vivendo da allora nei tormenti della gelosia.
Per i frati di Santa Croce dipinse una Madonna dette delle Arpie per le figure che ornano il piedistallo sul quale si trova Maria. Vasari descrive dettagliatamente quest'opera, fra le più importanti del pittore: la figura della Madonna con il Bambino in braccio ed un libro in una mano è sostenuta da due putti. Ai suoi lati sono rappresentati San Francesco d'Assisi e San Giovanni Evangelista.
Grazie alla crescente fama di Andrea che aveva decorato anche alcuni carri per l'annuale processione di San Giovanni, i Frati dello Scalzo decisero di fargli completare il loro cortine. Nell'aggiungere nuove Storie di San Giovanni a quelle già dipinte pare che Andrea si ispirasse a Albrecht Durer.
Baccio Bandinelli, noto disegnatore e scultore, commissionò un suo ritratto ad Andrea del Sarto per studiarne la tecnica mentre lo dipingeva, tuttavia non risulta che mise mai in pratica quanto apprese in quell'occasione.
Alcune opere di Andrea erano state vendute in Francia dove anche il re si interessò alla produzione dell'artista che infatti alcuni anni dopo si trasferì in Francia per qualche tempo.
Intanto Andrea lavorò a Firenze a molte opere fra le quali gli apparati scenici per accogliere una visita di papa Leone X e alcuni dipinti per i Frati di San Gallo.
Quando finalmente si recò in Francia (1518), Andrea fu accolto con grande entusiasmo da Francesco I che gli fece ricchi doni di benvenuto e ricompensò sempre il suo lavoro con generosità. In Francia Andrea dipinse, fra l'altro la Carità (ora al Louvre) ma dopo meno di due anni, pressato dalle lettere della moglie chiese licenza al re per rientrare a Firenze, giurando di tornare entro pochi mesi. Non mantenne la parola e Francesco I, indignato, interruppe i rapporti con lui.
A corto di danaro, Andrea tornò a lavorare per i Frati dello Scalzo e dipinse quattro nuove storie di argomento biblico. Fra le opere di questo periodo una Madonna con le fattezze della moglie di Andrea. Partecipò inoltre, insieme a Francia Bigio ed al Pontormo, alle decorazioni della Ville Medicea di Poggio a Caiano (1520).
Nel 1523 un'epidemia di peste colpì Firenze e Andrea si trasferì con la famiglia nel Mugello dove lavorò ad una tavola per il monastero femminile di San Pietro a Luco.
A questo punto Vasari racconta un curioso episodio: il duca di Mantova Federico II, di passaggio a Firenze, notò in casa Medici un ritratto di Leone X opera di Raffaello e se ne innamorò. Giunto a Roma il duca chiese il quadro allo stesso Leone X che cortesemente promise di farglielo avere.
Ottaviano dei Medici, che non intendeva separarsi dall'opera, ne fece fare una copia a Andrea del Sarto e la spedì a Mantova spacciandola per l'originale. La copia risultò così perfetta che nè il duca nè il suo pittore di corte Giulio Romano si accorsero della sostituzione. Qualche tempo dopo Vasari, allora molto giovane, fece visita a Giulio Romano e seppe dimostrargli che il ritratto era di mano di Andrea. Giulio Romano affermò di apprezzare ancora di più il quadro perché è cosa fuor di natura che un uomo eccellente imiti si bene la maniera d'un altro e la faccia così simile.
Andrea completò il ciclo del Chiostro dello Scalzo con un'ultima storia (la nascita di San Giovanni Battista) che dipinse in uno stile rinnovato e con proporzioni diverse, sotto l'influenza di Michelangelo.
Dipinse quindi per i monaci di Vallombrosa, avanzando dei colori voleva fare un altro ritratto alla moglie ma poiché questa rifiutava di posare, Andrea dipinse il suo autoritratto (oggi agli Uffizi).
Fra le ultime opere di Andrea fu il Sacrificio di Isacco dipinto su invito di Giovanbattista della Palla che tentava di riconciliare il pittore con il re di Francia.
Ottaviano dei Medici non comprò da Andrea un'altra Madonna col Bambino e San Giovannino perché impegnato nella difesa di Firenze, ed esortò il pittore a vendere l'opera ad altri, ma Andrea conservò il quadro e lo ripresentò dopo la fine della guerra ad Ottaviano che fu lieto di acquistarlo.
I mercenari che assediavano Firenze la lasciarono infetta. Andrea si ammalò gravemente, trascurò il cibo e poco dopo morì in solitudine, abbandonato anche dalla moglie che temeva il contagio. Fu sepolta nella Chiesa dei Servi a cura dei Frati dello Scalzo, aveva quarantadue anni.
Era stato un uomo timido, schivo, faceva pagare pochissimo la propria opera e dimostrò sempre un carattere mansueto.
Vasari in certa misura se ne rammarica in quanto ritiene che se Andrea avesse avuto una personalità più forte anche la sua pittura ne avrebbe tratto beneficio.
Fra i suoi numerosi discepoli (molti dei quali furono allontanati dall'arroganza della moglie) furono il Pontormo, Francesco Salviati e Giorgio Vasari.

Madonna Properzia de'Rossi


Alfonso Lombardi, Michelagnolo da Siena, Girolamo S. Croce, Dosso e Battista


Giovanni Antonio Licinio da Pordenone a altri pittori del Friuli


Giovanni Antonio Sogliani


Girolamo da Trevigi


Pulidoro da Caravaggio e Maturino Fiorentino


Rosso Fiorentino


Bartolomeo da Bagnacavallo e altri pittori fiorentini


Francia Bigio


Morto da Feltro e Andrea Cosimo Feltrini


Marco Calavrese


Francesco Mazzuoli


Iacomo Palma e Lorenzo Lotto


Fra' Iocondo, Liberale e altri Veronesi


Francesco Granacci


Baccio d'Agnolo


Valerio Vicentino, Giovanni da Castel Bolognese, Matteo dal Nasaro e altri


Marcantonio Bolognese


Antonio da Sangallo il Giovane


Nato a Firenze il 12 aprile 1484, si chiamava in realtà Antonio Cordini. Suo padre Bartolomeo Picconi di Mugello gli insegnò il suo mestiere di bottaio e legnaiolo. Apparteneva ad una famiglia di architetti ed artisti, suo nonno era Francesco Giamberti, scultore ed intagliatore in legno, suoi zii gli architetti Antonio da Sangallo il Vecchio e Giuliano da Sangallo.
Nato a Firenze il 12 aprile 1484, si chiamava in realtà Antonio Cordini. Suo padre Bartolomeo Picconi di Mugello gli insegnò il suo mestiere di bottaio e legnaiolo. Apparteneva ad una famiglia di architetti ed artisti, suo nonno era Francesco Giamberti, scultore ed intagliatore in legno, suoi zii gli architetti Antonio da Sangallo il Vecchio e Giuliano da Sangallo.
Nel 1503 si trasferì a Roma dove lavoravano gli zii Antonio e Giuliano. Quando Giuliano tornò a Firenze per curare la sua calcolosi, Antonio divenne apprendista e presto aiutante del Bramante. Secondo Vasari Antonio il Giovane si dimostrò tanto capace e solerte da guadagnare la piena fiducia del Bramante che nel 1512 gli affidò importanti lavori riguardanti il Corridoio dei fossati di Castel Sant'Angelo, opera che tuttavia venne interrotta dalla morte di Giulio II. Antonio completò la costruzione della chiesa di Santa Maria di Loreto e costruì il Palazzo Baldassini su ordine del giurista Melchiorre Baldassini il quale, soddisfattissimo, fece affrescare una sala del palazzo da Perino del Vaga. Costruì la casa dei Centelli presso la Torre di Nona ed il Palazzo Farnese di Gradoli. Ancora a Gradoli restaurò la rocca di Capo di Monte quindi progettò la fortezza di Caprarola.
Per il cardinale Albornoz realizzò una cappella ed una sepoltura nella chiesa romana di San Iacopo degli Spagnoli, la cappella fu dipinta da Pellegrino da Modena ed ornata con una statua di S. Iacopo opera del Sansovino. Poco dopo Bartolomeo Ferrantino gli commissionò un palazzo in Amelia. Antonio continuò a realizzare le sue opere: un palazzo in Roma per Antonio di Monte cardinale di Santa Prassede, uno a Tolentino su commissione del cardinal d'Arimini. Intanto morì Bramante e papa Leone nominò tre architetti per la fabbrica di San Pietro: Raffaello Sanzio, Giuliano da Sangallo, fra' Giocondo da Verona. Poco dopo Giocondo lasciò Roma e Giuliano, ormai molto anziano, si ritirò a Firenze. Antonio ottenne l'incarico dello zio Giuliano e continuò la fabbrica in compagnia di Raffaello. In quel periodo fu scelto, per le fortificazioni di Civitavecchia, il progetto di Antonio, ciò procurò grande prestigio all'autore che fu incaricato anche i porre riparo ad un errore di progettazione di Raffaello che minacciava di far crollare le logge papali.
Leone, Antonio restaurò la rocca di Montefiascone e realizzò due tempietti sull'isola Visentina nel lago di Bolsena e la chiesa di Santa Maria di Monferrato a Roma. Alla morte di Leone fu eletto Adriano VI che non fu certo un protettore delle arti tanto che minacciò di demolire la Cappella Sistina perché considerava oscene le figure nude. Sotto il suo pontificato la fabbrica di San Pietro fu praticamente arrestata ed Antonio si dedicò a piccole opere di restauro. Per buona fortuna delle arti Adriano VI morì ed il Seggio passò a Clemente VII che riprese immediatamente i lavori. Per Clemente, Antonio sistemò i giardini del Vaticano, rifece la facciata della Zecca Vecchia di Roma e completò le Logge Vaticane interrotte dalla morte di Leone. Tracciò le basi per le fortificazioni di Parma e Piacenza e, affidatone il completamento ad altri architetti, tornò a Roma dove realizzò nuovi ambienti nei palazzi del Vaticano per poi passare a Loreto. Qui ampliò, consolidò e restaurò la cattedrale dando prova di grande perizia ed esperienza.
Dopo il sacco di Roma il papa rifugiò ad Orvieto ed ordinò ad Antonio da Sangallo di costruire il famoso pozzo per garantire l'approvvigionamento idrico in caso di assedio. Antonio realizzò il pozzo con due scale che non si incrociano mai per evitare ostacoli alle bestie da soma utilizzate per il trasporto dell'acqua: una soluzione del tutto nuova che destò stupore e ammirazione.
Ancora durante il pontificato di Clemente, Antonio progettò la fortezza fiorentina di Porta al Prato con Alessandro Vitelli e Pierfrancesco da Viterbo, opera che fu completata con straordinaria velocità.
In quel periodo si trovò impegnato contemporaneamente in cinque grandi opere distanti fra loro: le fortezze di Firenze e di Ancona, la cattedrale di Loreto, il Pozzo di San Patrizio e il palazzo Apostolico di Orvieto. Antonio non mancò mai di seguire minuziosamente i lavori supplendo alle distanze con la collaborazione del fratello Battista.
Per Paolo III, successore di Clemente VII, lavorò alla fortezza ed al palazzo della città di Castro e realizzò un grande arco trionfale in legno per la visita a Roma dell'imperatore Carlo V. Lavorò alle fortificazioni e all'urbanistica di Nepi, ai bastioni di Roma che comprendono la Porta di Santo Spirito ed alla Cappella Paolina in Vaticano. Costruì la fortezza di Perugia (Rocca Paolina) per la quale vennero abbattute le case dei Baglioni e la fortezza di Ascoli. Anche queste due opere destarono stupore per la velocità della realizzazione.
Rivedendo e modificando l'originario progetto di Bramante, realizzò un grandioso modello in legno per la Basilica di San Pietro, secondo un suo disegno successivamente modificato da Michelangelo. In ogni caso ad Antonio da Sangallo sono dovute molte opere di fondazione che assicurarono in modo magistrale la stabilità della Basilica.
Nel 1546 Antonio fu inviato da Paolo III a regolare le acque delle Marmore per risolvere una contesa fra Narni e Terni che risaliva ai tempi di Cicerone.
Antonio svolse il lavoro (un'opera di ingegneria idraulica sul fiume Velino detta Cava Paolina) ma per i disagi dell'ambiente e del clima si ammalò e poco dopo morì.
In conclusione della biografia Vasari ricorda un concorso indetto da Paolo III (Alessandro Farnese) per i cornicioni del suo palazzo al quale partecipò Vasari stesso e che fu vinto da Michelangelo. Questa iniziativa non fu molto gradita al Sangallo, evidentemente geloso dei suoi rapporti con la Chiesa e con la famiglia Farnese.

Giulio Romano


Sebastiano del Piombo


Perino del Vaga


Domenico Beccafumi


Giovann'Antonio Lappoli


Niccolò Soggi


Niccolò detto il Tribolo


Pierino da Vinci


Baccio Bandinelli


Giuliano Bugiardini


Cristoforo Gherardi detto Doceno


Iacopo da Pontormo


Simone Mosca


Girolamo e Bartolomeo Genga e Giovambattista San Marino


Michele San Michele


Giovannantonio detto il Sodoma


Bastiano detto Aristotile


Benvenuto Garofalo e Girolamo da Carpi


Ridolfo, Davide e Benedetto Grillandai


Giovanni da Udine


Battista Franco


Giovanfrancesco Rustichi


Giovann'Agnolo Montorsoli


Francesco de'Salviati


Daniele Ricciarelli da Volterra


Taddeo Zucchero


Michelangelo Buonarroti


Vasari apre questa biografia affermando che Dio fece nascere Michelangelo per dimostrare cosa sia la perfezione dell'arte.
Michelangelo nacque nel Casentino nel 1474, figlio di Ludovico di Leonardo Buonarroti Simoni, discendente dei conti di Canossa, che in quell'anno era podestà di Chiusi e Caprese.
Finito l'incarico di podestà la famiglia Buonarroti tornò nella sua villa di Settignano, a tre miglia da Firenze, in una zona di estrazione del marmo e Michelangelo ebbe come balia la moglie di uno scalpellino.
Col tempo Ludovico ebbe altri figli ed essendo in ristrettezze economiche li affidò all'Arte della Seta e della Lana mentre Michelangelo andò a scuola di grammatica da maestro Francesco da Urbino ma la sua passione per il disegno era già sbocciata anche se i suoi genitori cercavano di contrastarla. L'amico Francesco Granacci allievo del Ghirlandaio notò la sua abilità e ne parlò al suo maestro, infine Ludovicof si rassegnò e lasciò che anche Michelangelo, che aveva quattordici anni, entrasse nella bottega del Ghirlandaio.
L'abilità di Michelangelo crebbe rapidamente e il suo lavoro non mancava di stupire il maestro, Vasari conservava un disegno del Ghirlandaio corretto dal giovane Michelangelo.
Lorenzo il Magnifico teneva nel suo giardino in Via Larga [nota: si tratta dei Giardini di San Marco, non più esistenti] una collezione di opere antiche e aveva assunto l'anziano scultore Bertoldo, già allievo di Donatello, come insegnante di scultura. Lorenzo si fece mandare dal Ghirlandaio parte dei suoi discepoli e fra questi Michelangelo che in brevissimo tempo stupì e affascinò il Magnifico. Vedendo una testa di satiro che Michelangelo aveva scolpito senza mai prima di allora aver usato uno scalpello, Lorenzo decise di tenerlo con se, gli assegnò una camera nella sua casa e lo volle ogni giorno alla sua tavola insieme ai suoi figli.
Michelangelo aveva allora quindici anni, rimase in quella casa circa quattro anni, fino alla morte del Magnifico avvenuta nel 1492. Studente e lavoratore instancabile, stupiva tutti con le sue perfette riproduzioni di opere antiche e contemporanee riscuotendo ammirazione ma anche molta invidia per le sue capacità e per il favore che Lorenzo gli dimostrava.
Il Torrigiano, per invidia appunto, una volta scherzando con lui lo colpì rompendogli il naso e segnandolo per sempre e fu per questo bandito da Firenze.
Morto Lorenzo, Michelangelo tornò presso il padre e scolpì un Ercole che rimase per molti anni in Palazzo Strozzi prima di essere donato al re di Francia Francesco I da Giovan Battista della Palla. Si racconta che una volta Piero de' Medici commissionò a Michelangelo una statua di neve approfittando di una fitta nevicata su Firenze.
Lavorò quindi per la chiesa di Santo Spirito scolpendo un crocifisso di legno, il priore di quella chiesa gli mise a disposizione dei locali che Michelangelo usò per studiare l'anatomia sui cadaveri.
Quando i Medici furono cacciati da Firenze Michelangelo, che aveva previsto l'evento e temuto di essere in pericolo, era da qualche settimana a Bologna. Qui gli capitò di trovarsi in difficoltà dovendo pagare una multa e fu soccorso da messer Giovan Francesco Aldrovandi, membro del governo cittadino) che lo ospitò per più di un anno commissionandogli due statue per la chiesa di San Domenico.
Tornato a Firenze scolpì un Giovannino per Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici e un Cupido che fu venduto dal mercante Baldassarre del Milanese spacciandolo per antico e dopo vari passaggi di mano finì a Mantova da Isabella d'Este. L'inganno fu scoperto ma il cardinale di San Giorgio (Raffaele Riario) volle avere presso di se l'autore del Cupido e Michelangelo si trasferì a Roma.
Il cardinale tenne con se Michelangelo per un anno ma senza commissionargli opere, l'artista fece amicizia con un barbiere che colorava a tempera e fece per lui un cartone con San Francesco che riceve le stimmate, poi collocato in San Pietro in Montorio.
Per il gentiluomo Iacopo Galli scolpì un Cupido. Il cardinale Rovano di San Dionigi gli commissionò la Pietà che fu collocata in San Pietro. L'opera, di cui Vasari esalta la perfezione, è l'unica firmata di Michelangelo. Scolpì il suo nome sulla cintura che attraversa il petto della Madonna dopo aver sentito che dei visitatori attribuivano la statua ad altro scultore.
A Firenze chiese un grande marmo che giaceva abbandonato nella fabbrica di Santa Maria del Fiore, era stato rovinato da uno scultore (Vasari scrive Simone da Fiesole ma si trattava di Agostino di Duccio) che aveva sbagliato nell'impostare il suo progetto. Il gonfaloniere Pier Soderini gli concesse il marmo considerandolo inutile e Michelangelo lo usò per il Davide. La statua colossale fu scolpita nel cantiere della basilica poi trasportata in piazza della Signoria con una macchina appositamente realizzata da Giuliano e Antonio da Sangallo.
Vasari racconta un episodio di gusto satirico: volendo dir la sua Soderini critico il naso del Davide ma fu soddisfatto quando Michelangelo finse di correggerlo battendo sullo scalpello e lasciando cadere della polvere senza in realtà toccare il marmo.
Vasari elenca le altre opere di Michelangelo in quel periodo: un altro David in bronzo, rilievi abbozzati e non finiti, una statua in marmo di San Matteo non finita (oggi all'Accademia di Firenze), una Madonna in tondo di bronzo. Il fiorentino Agnolo Doni volle avere un'opera di Michelangelo il quale dipinse per lui la Sacra Famiglia nel famoso tondo. L'accordo sul prezzo fu difficile e alla fine della trattativa Michelangelo, offeso, pretese ed ottenne il doppio di quello che aveva chiesto inizialmente.
Il gonfaloniere Piero Soderini commissionò a Michelangelo un affresco per la parete della Sala Grande del Consiglio antistante a quella che stava dipingendo Leonardo. Michelangelo preparò un grande cartone con una scena della guerra di Pisa (la Battaglia di Cascina): un gruppo di soldati che si sta bagnando in Arno viene sorpreso dall'arrivo improvviso dei nemici e si affretta a rivestirsi e a prendere le armi. Il cartone era realizzato con tale perfezione che fu studiato a fondo da grandi artisti fra i quali Raffaello, Andrea del Sarto, il Ghirlandaio e molti altri. Condotto in casa Medici, una notte il cartone fu trafugato e diviso in molti pezzi che ancora si trovavano un vari luoghi al tempo dell'autore.
Ormai molto famoso, nel 1503 Michelangelo fu chiamato a Roma dal nuovo papa Giulio II che gli commissionò il proprio monumento funebre. Trascorsero mesi prima che il papa approvasse il progetto della tomba presentato da Michelangelo ed altri mesi spese lo scultore a Carrara per scegliere ed acquistare i blocchi di marmo più adatti per il lavoro. Finalmente, trasportati i marmi a Roma e allestito un ambiente dove lavorare, Michelangelo iniziò a scolpire, sempre molto infastidito dal papa che spesso lo osservava da un ponteggio che aveva appositamente fatto costruire. L'opera che Michelangelo aveva concepito era grandissima e prevedeva oltre quaranta statue, ne fu realizzata soltanto una parte che fu sistemata nella chiesa di San Pietro in Vincoli, ma questa parte comprende il Mosè che Vasari, giustamente, considera un capolavoro sovrumano.
Quando arrivò a Roma l'ultima parte dei marmi ordinati per il monumento, Michelangelo li pagò di tasca sua per sveltire le operazioni ma in seguito il papa rifiutò di riceverlo. Offeso e in collera, lo scultore tornò a Firenze e quando fu raggiunto dai messi del papa che avevano l'ordine di riportarlo a Roma li fece ripartire con una lettera in cui dichiarava la propria offesa e invitava il papa a rivolgersi ad altri.
Michelangelo rimase a Firenze per tre mesi durante i quali Giulio II scrisse più volte al gonfaloniere Soderini ordinandogli di rimandare l'artista a Roma. Infine fu Soderini a convincere Michelangelo a incontrare il papa fornendolo di garanzie quale ambasciatore di Firenze. L'incontro avvenne a Bologna dove il papa si trovava in quei giorni. Michelangelo era accompagnato dal cardinale Soderini fratello del gonfaloniere. Il cardinale tentò di giustificare il comportamento dello scultore definendolo ignorante, cosa che fece andare in collera il papa con il risultato che il prelato, colpito dal bastone del pontefice, venne strattonato via dalle guardie mentre Michelangelo ebbe il perdono e la benedizione papale.
Giulio II ordinò a Michelangelo di ritrarlo in una statua in bronzo che fu posta in una nicchia sopra la porta della chiesa di San Petronio. Il Francia, noto pittore, pronunciò un commento sulla statua che non piacque a Michelangelo il quale reagì con una risposta mordace, ma certamente maggiore fu l'offesa che i Bentivoglio recarono a quella statua vendendola al duca Alfonso di Ferrara che la fuse per farne un cannone.
Tornato il papa a Roma, l'architetto Bramante che era ostile a Michelangelo lo convinse a accantonare il sepolcro e far dipingere la volta della Sistina sperando in questo modo di mettere in difficoltà Michelangelo. Lo scultore cercò di evitare l'incarico ma il papa lo costrinse ad accettarlo.
Su incarico di Giulio II, Bramante realizzò i ponteggi necessari ma lo fece bucando la volta e Michelangelo, con l'assenso del papa, li fece demolire e ricostruire da un artigiano appoggiandoli sui sorgozzoni, cioè su travi di legno fissate a mensola o fori nelle pareti senza danneggiare il soffitto. Non avendo mai lavorato a fresco, Michelangelo fece venire da Firenze dei pittori che avevano una certa pratica per farsi aiutare ed osservare il loro metodo ma ben presto, insoddisfatto, li rimandò indietro e decise di lavorare da solo.
Iniziò il lavoro e, chiuso nella cappella, proibiva a chiunque di vedere quanto stava dipingendo. Non lasciava entrare neanche il papa, cosa che provocò non poche discussioni.
Quando nell'affresco comparve la muffa, Michelangelo si disperò e disse a Giulio II di voler rinunciare ma il papa chiamò Giuliano da Sangallo che indicò un rimedio risolvendo il problema che era dovuto alla particolare miscela di calce e pozzolana usata per l'intonaco.
Quando l'opera fu arrivata a metà il papa pretese di scoprirla e mostrarla al popolo. Vedendola Raffaello mutò il suo stile per imitare Michelangelo tanto che Bramante propose al papa di affidargli la metà mancante della volta ma Giulio II non accolse la richiesta e si limitò a minacciare Michelangelo di farlo buttar giù dalle impalcature se non avesse concluso il lavoro rapidamente.
L'artista impiegò in tutto venti mesi durante i quali lavorò sempre da solo sopportando la fatica e il disagio della posizione. Nella volta rappresentò scene della Bibbia dalla creazione del mondo al diluvio e all'ebbrezza di Noè, tutto intorno Sibille e Profeti e nelle lunette gli antenati di Cristo. La prima scena rappresenta la separazione della luce dalle tenebre all'atto della creazione, nella seconda Dio, sostenuto da molti angeli, crea il sole e la luna. Seguono la creazione degli animali, la separazione delle acque dalla terra, la creazione di Adamo dove Dio tende la mano destra verso quella dell'uomo.
Nella creazione di Eva si vede Adamo addormentato per l'asportazione della costola mentre Eva prende vita. Segue la scena in cui Adamo prende la mela da un essere per metà donna e per metà serpente e quella di Adamo ed Eva cacciati dal paradiso terrestre.
Vengono quindi il sacrificio di Caino e Abele, il diluvio con le immagini degli uomini terrorizzati che cercano inutilmente un rifugio, infine la figura di Noè nudo ed inebriato che viene coperto da due figli mentre il terzo lo deride.
Vasari descrive i profeti e le sibille: Geremia, Eritrea, Ezechiele, Persica, Gioele, Zaccaria, Delfica, Isaia, Cumana, Daniele, Libica.
Nei quattro angoli della volta: Davide che decapita Golia dopo averlo abbattuto, Giuditta e una fantesca con la testa di Oloferne, il serpente di bronzo di Mosè, la punizione di Aman.
Vasari cita senza descriverla la serie degli antenati di Cristo ma si sofferma sul virtuosismo con cui Michelangelo dipinse Giona, ultima figura della Cappella. La posizione del veggente che si piega all'indietro guardando verso l'altro compensa la curvatura della parete in modo che l'osservatore la percepisca come verticale.
Quando la volta venne scoperta i visitatori accorsi da ogni luogo rimasero trasecolati e ammutoliti, il papa ne fu immensamente orgoglioso e ricompensò lautamente l'artefice del capolavoro. Giulio II si mostrava duro e esigente ma era consapevole dell'arte di Michelangelo "e se talvolta per una sua cotale amorevolezza gli faceva villania, la medicava con doni e favori segnalati".
Finita la cappella, Michelangelo si dedicò al monumento funebre del pontefice ma Giulio II morì durante il lavoro e il nuovo papa, Leone X, volle avere Buonarroti a Firenze come direttore dei lavori per la facciata della chiesa di San Lorenzo costruita dai Medici.
Mentre Michelangelo si trovava a Carrara per scegliere i marmi per la tomba di Giulio II e per la facciata di San Lorenzo, gli giunse una lettera di Leone X che ordinava di prendere i marmi a Seravezza anziché a Carrara, ne derivarono grandissimi ritardi perché la cava di Seravezza era difficilmente raggiungibile e fu necessario costruire una strada di parecchie miglia fra le montagne. Alla fine Michelangelo ne ricavò cinque colonne di marmo, una sola delle quali fu collocata in Piazza San Lorenzo. Intanto Michelangelo aveva riiutato la commissione per la facciata della chiesa perché non accettava di collaborare con altri artisti.
Tornato a Firenze riprese a lavorare alla tomba di Giulio II perché Leone X era deceduto, ma morto anche Adriano VI, divenne papa Clemente VII e richiamò Michelangelo a Roma per la libreria e la sagrestia nuova.
Giorgio Vasari, ancora fanciullo, che era diventato allievo di Michelangelo, passò alla bottega di Andrea del Sarto.
Il maestro partì lasciando di nuovo i lavori per la sepoltura nonostante le proteste di Francesco Maria duca di Urbino nipote di Giulio II. A Roma concordò con Clemente VII di completare la chiesa di San Lorenzo e quindi dovette ripartire.
Realizzò la cupola di San Lorenzo e le tombe dei Medici. Nelle decorazioni della Sacrestia Nuova e nella Libreria usò uno stile talmente innovativo da rompere con tutte le tradizioni precedenti e che in seguito fu imitato dai massimi artisti.
In quel periodo avvennero il Sacco di Roma e la cacciata dei Medici da Firenze. I nuovi governanti nominarono Michelangelo commissario generale delle fortificazioni.
Per questa attività Michelangelo si recò a Ferrara per studiarne le fortificazioni e fu accolto con onore dal duca Alfonso I che gli chiese qualcosa di suo. Per accontentarlo Michelangelo, tornato a Firenze, dipinse a tempera una Leda che per Vasari fu "cosa divina". Mentre procedevano i lavori delle fortificazioni a volte l'artista si dedicava alle sepolture di San Lorenzo ma senza mai distogliere la sua attenzione dai bastioni di San Miniato che dovevano proteggere una posizione particolarmente delicata.
Scolpì una Madonna nell'atto di allattare il Bambino (Madonna Medici), rimasta incompiuta. Per le tombe di Giuliano de'Medici e di Lorenzo duca di Urbino, oltre alle statue dei nobili defunti, Michelangelo scolpì quattro tatue che dovevano rappresentare l'intero mondo: La Notte e il Giorno, L'Aurora e il Crepuscolo.
Nel 1529 fu costretto dall'assedio di Firenze a interrompere il lavoro per le tombe medicee e dedicarsi completamente alle fortificazioni. Quando gli assediati persero la speranza di ricevere aiuti, l'artista decise di provvedere alla propria sicurezza personale e lasciò Firenze in incognito dirigendosi a Venezia in compagnia del suo aiutante Antonio Mini e dell'amico Pilato. Durante una sosta in una locanda di Ferrara, l'oste comunicò la presenza di Michelangelo alle autorità, il duca ne venne informato e volle ospitare il Maestro. Michelangelo visitò il palazzo ducale apprezzando la cortesia di Alfonso I ma non fu possibile convincerlo a rimanere a Ferrara e presto i tre viaggiatori ripresero la via di Venezia.
Si dice che durante il soggiorno a Venezia Michelangelo progettò il ponte di Rialto su richiesta del doge Gritti, ricevette gli omaggi di molte persone ma non gradendo le frequenti visite tornò a Firenze terminando la Leda durante il viaggio.
Il campanile di San Miniato rischiava di essere distrutto dall'artiglieria nemica ma Michelangelo escogitò una difesa fatta di materassi e balle di lana che assorbendo i colpi protesse la torre.
Finita la guerra, papa Clemente lo fece rintracciare perché riprendesse l'opera di San Lorenzo.
Il duca Alfonso inviò un incaricato a ritirare il dipinto che Michelangelo aveva fatto per lui ma l'uomo mostrò di non apprezzare la Leda e l'artista rifiutò di consegnargliela, in seguito la donò all'aiutante Antonio Mini con molti suoi disegni.
Michelangelo tornò a Roma da papa Clemente che lo perdonò e gli ordinò di completare a Firenze la libreria e la sacrestia di San Lorenzo. Per procedere più speditamente Michelangelo prese come aiuto gli scultori Tribolo, Raffaello da Montelupo e frate Giovan Agnolo de'Servi che scolpirono statue partendo da modelli che Michelangelo realizzava in argilla, lavorarono su modelli di questo tipo anche gli intagliatori Carota, del Tasso, Batista del Cinque e Ciapino che eseguirono il palco e i banchi in legno. Lo stucco della tribuna fu rifinito da Giovanni da Udine (che Vasari definisce "divino") appositamente chiamato a Firenze.
Mentre questi lavori venivano completati, il papa richiamò Michelangelo a Roma per affrescare sulle pareti della Cappella Sistina il Giudizio Universale e la Caduta degli Angeli Ribelli, ma l'artista era pressato dal duca di Urbino per la tomba di Giulio II e temeva che a Firenze il duca Alessandro de'Medici volesse punirlo per aver smesso di seguire le fortificazioni. Si trovò una soluzione di compromesso che prevedeva che Michelangelo si occupasse della tomba di Giulio II (della quale fu ridimensionato il progetto) ma dedicasse quattro mesi l'anno alle richieste del papa, tuttavia i committenti continuarono ad ossessionare il Maestro finche nel 1533 la morte di papa Clemente fermò i lavori di San Lorenzo che non furono mai del tutto completati.
Il nuovo papa Paolo III fu inamovibile, dicendosi pronto a tutto pur di avere Michelangelo al suo servizio. Trattò con gli agenti del duca di Urbino e concluse un accordo che ridimensionava ulteriormente il progetto della tomba di Giulio II per il qual Michelangelo, che aveva già completato la statua di Mosè al centro del monumento, scolpì ancora quelle di Lia (la vita attiva e di Rachele (la vita contemplativa) che furono collocate nelle due nicchie laterali. Le altre statue che ornano la parte superiore del monumento furono realizzate da altri artisti: Giulio II giacente da Maso del Bosco, la Madonna con il Bambino da Scherano da Settignano, un profeta e una sibilla da Raffaello da Monte Lupo.
Liberatosi da questo impegno, Michelangelo fu al servizio di Paolo III il quale volle che completasse il progetto concordato con il suo predecessero senza cambiamenti. Durante una visita del papa alla cappella, quando il lavoro era già a buon punto, il maestro delle cerimonie Biagio da Cesena criticò duramente l'opera per le molte nudità che sì disonestamente mostran lor vergogne. Offeso, Michelangelo si vendicò dipingendo Minosse con le gambe avvolte nelle spire di un serpente e il volto di Biagio da Cesena. Nè bastò il raccomandarsi di messer Biagio al papa e a Michelangelo che lo levassi, che pure ve lo lassò, per quella memoria, e ancor si vede.
Tranne che per l'interruzione dovuta a una caduta i cui danni furono curati dall'amico medico Baccio Rontini, Michelangelo lavorò ininterrottamente al Giudizio Universale che fu mostrato per la prima volta al pubblico il giorno di Natale 1541. Vasari usa le più calde parole di ammirazione arrivando a definire quest'opera più bella della volta e ad affermare che in questa occasione Michelangelo superò se stesso. Citando ora la possente figura centrale del Cristo, ora quelle dei beati e dei dannati, soffermandosi sul Caronte di evidente impronta dantesca come su San Bartolomeo che mostra la propria pelle e su molti altri particolari, Vasari addita il Giudizio Universale come la massima perfezione raggiunta dalla pittura.
Completato il Giudizio ed espostolo allo stupore di Roma e del mondo, Michelangelo fu incaricato da Paolo III di affrescare le pareti della Cappella Paolina che aveva recentemente fatto realizzare da Antonio da Sangallo (il Giovane). Qui l'artista eseguì i suoi ultimi due affreschi: la Conversione di San Paolo e la Crocifissione di San Pietro. San Paolo è rappresentato caduto da cavallo e stordito dalla luce intensa che Gesù Cristo dal cielo dirige verso di lui. San Pietro è già crocifisso mentre si scava una buca per erigere la croce in modo che la testa del santo rimanga in basso. Michelangelo confidò a Vasari la grande fatica che gli costarono questi due affreschi: aveva settantacinque anni.
Incapace di oziare, Michelangelo intraprese senza committente la scultura di una pietà nella quale raffigurò il Cristo morto appena deposto dalla croce, sorretto da Niccodemo in piedi e da due donne.
Morì nel 1546 Antonio da Sangallo e Michelangelo fu costretto dal papa ad assumere la direzione della fabbrica di San Pietro. Ben presto Michelangelo si rese conto che i Sangallo tentavano di prolungare il lavoro per trarne maggior guadagno e che il modello preparato dal defunto Antonio era troppo complicato ed anacronistico.
In pochi giorni preparò un nuovo modello (quello che venne effettivamente realizzato) e esasperato dalle critiche e dall'insistenza dei Sangallo li dichiarò pubblicamente sollevati da ogni incarico in merito al progetto procurandosi il loro odio e molti successivi fastidi.
Da parte sua Paolo III conferì pieni poteri a Michelangelo autorizzandolo a disfare a sua discrezione le opere già realizzate. Tanta fiducia commosse l'artista che non volle mai accettare alcun compenso per questo lavoro. Vasari non si sofferma a lungo sulle innovazioni del progetto volute da Michelangelo ma si limita a dire che definì la forma della nuova basilica in modo da rendere difficile modificarla in futuro.
Michelangelo venne consultato per la sistemazione del Campidoglio e realizzò il progetto della piazza, della scalinata con la balaustra, della sistemazione del Palazzo Senatorio e del Palazzo dei Conservatori, della costruzione del Palazzo Nuovo. Collocò le statue antiche del Tevere e del Nilo alla base del Palazzo Senatorio e ad centro della piazza la statua equestre di Marco Aurelio facendola trasportare dalla piazza del Laterano dove era stata posta da Sisto IV.
Il Sangallo morì prima di aver completato Palazzo Farnese e Paolo III volle che quella residenza della sua famiglia fosse portata a termine da Michelangelo il quale perfezionò la facciata con il finestrone sopra la porta principale e con il cornicione del tetto, realizzò i cortini interni e apportò varie miliorie agli ambienti del Sangallo. Era prevista la sistemazione nel palazzo di alcune statue antiche il cui restauro era affidata a Sebastiano del Piombo, questi morì nel 1547 e il suo allievo Guglielmo della Porta gli subentrò grazie alla raccomandazione di Michelangelo che aveva notato le sue capacità.
Nel 1540 morì Paolo III e il suo successore Giulio III incaricò Guglielmo della Porta di occuparsi della tomba ma la collocazione che questi scelse per il monumento funebre nella Basilica fu sconsigliata da Michelangelo che suggerì un'altra posizione. Credendo che Michelangelo parlasse per invidia, Guglielmo lo prese in odio dimenticando i benefici ricevuti. Il papa, anche per consiglio di Vasari che si trovava a Roma, approvò la scelta di Michelangelo ma l'opposizione di Guglielmo portò a lasciare incompiuto e imperfetto il progetto.
Giulio III affidò a Vasari la realizzazione di una cappella in San Pietro in Montoro, Michelangelo espresse dei suggerimenti dei quali Vasari dubitò ma che, come sempre, si rivelarono correttissimi. Michelangelo si pronunciò anche sulla scelta dello scultore per le statue della cappella. Vasari aveva proposto Raffaello di Montelupo ma Michelangelo lo sconsigliò perché ne aveva avuto una cattiva esperienza in passato. Approvò invece Bartolomeo Ammannati nonostante alcuni precedenti contrasti.
Vasari ricorda con affetto e nostalgia quel suo soggiorno romano durante il quale trascorse molto tempo in compagnia di Michelangelo e consigliò al papa di non dare ascolto alla "setta sangallesca" che tentava di estromettere il Buonarroti dalla fabbrica di San Pietro.
In quei giorni fu stampata la prima edizione delle Vite di Vasari, l'unico artista vivente che vi compariva era Michelangelo in quale ringraziò l'autore con un sonetto.
In seguito Vasari e il console di Firenze Bindo Altoviti tentarono di convincere il papa a far realizzare la cappella per i suoi familiari nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini che all'epoca non era ancora stata completata, i lavori erano fermi da tempo e la cappella avrebbe fornito un'ottima occasione per portarli a termine. Anche Michelangelo aderì alla proposta e in un primo momento il papa la approvò ma sopravvennero delle difficoltà (che l'autore non specifica) e il progetto naufragò. Si riprese quindi la costruzione della cappella di San Pietro in Montorio con grande dispiacere di Vasari che comunque vuole sottolineare come Michelangelo cercò di giovare sempre alla nazione sua et agli amici suoi et all'arte.
Il duca Cosimo pregava Michelangelo di tornare a Firenze per completare la sacrestia di San Lorenzo ma Michelangelo rifiutava con il pretesto della vecchiaia. perciò Cosimo incaricò Vasari di chiedere a Michelangelo istruzioni per completare la scale della libreria di San Lorenzo per la quale erano stati acquistati i materiali. Michelangelo rispose di non ricordare quale fosse stata la sua idea, fornì comunque indicazioni sufficienti per completare il lavoro. Morì Giulio III e gli avversari di Michelangelo ripresero a infastidirlo. Cosimo de Medici scrisse più volte al maestro invitandolo a Firenze dove sarebbe stato suo ospite senza dover lavorare ma quando il nuovo papa Paolo IV lo pregò di completare San Pietro, Michelangelo si sentì in obbligo di rimanere e declinò l'offerta del duca con una lettera al Vasari che esprime gratitudine per l'invito ma sottolinea la responsabilità che sentiva nei confronti della fabbrica di San Pietro che probabilmente si sarebbe fermata se l'avesse abbandonata in quella fase.
In un'altra lettera dello stesso periodo Michelangelo parla della morte del suo domestico Urbino che aveva lavorato per lui per ventisei anni. Era nata fra i due una grande amicizia, Michelangelo aveva reso Urbino benestante e vegliò al suo letto fino alla fine.
Michelangelo fu impiegato come consulente da Paolo IV per le fortificazioni di Roma e per il portone di Castel S. Angelo al quale lavorava Salustio Peruzzi, finché avvicinandosi l'esercito francese a Roma non volle lasciare per qualche tempo la città concedendosi un soggiorno nel territorio di Spoleto.
Nella sua vita Michelangelo portò a termine poche statue, quasi tutte in gioventù, perché non era mai soddisfatto dei risultati e spesso lasciava le sue opere incompiute. Così donò a Francesco Bandini la statua della Pietà alla quale aveva lavorato negli ultimi anni lasciandola incompleta e addirittura rompendola per insofferenza.
All'età di ottantuno anni Michelangelo continuava a occuparsi della fabbrica di San Pietro mentre il duca Cosimo, tramite Vasari, insisteva perché si trasferisse a Firenze. Nel 1557 un errore del capomastro nel cantiere di San Pietro comportò la perdita di mesi di lavoro e Michelangelo ne fu addolorato perché a causa dell'età non era stato presente per evitare che quell'errore fosse commesso.
Procedendo lentamente i lavori della basilica, Michelangelo decise di realizzarne un modello in scala e Vasari, con il dichiarato intento di testimoniare il progetto concepito dal grande artista contro eventuali contraffazioni, lo descrive minuziosamente. Michelangelo aveva realizzato un piccolo modello in argilla e con l'aiuto di questo e delle molte piante e disegni che aveva preparato affidò a un artigiano la realizzazione del modello in legno.
Morì Paolo IV e il suo successore Pio IV confermò gli incarichi di Michelangelo relativamente alla basilica affidando all'architetto Pirro Ligorio altre opere in corso nel Vaticano. Per Pio IV Michelangelo progettò la tomba del marchese Marignano, fratello del papa, che fu realizzata per il duomo di Milano dallo scultore Lione Lioni. Questi realizzò anche uno dei rari ritratti di Michelangelo.
Quando Giovanni de'Medici, figlio del duca Cosimo, si recò a Roma per ricevere il cappello cardinalizio da Pio IV, Vasari fece parte del suo seguito, soggiornò a Roma per un mese, lieto di trovarsi di nuovo in compagnia dell'amico Michelangelo. Vasari portò con se un modello del palazzo ducale di Firenze e i disegni di un progetto di ampliamento. Prima di autorizzare la realizzazione di quel progetto il duca voleva conoscere l'opinione di Michelangelo, il quale approvò con entusiasmo. Nello stesso anno Cosimo e sua moglie Leonora visitarono Roma e Michelangelo li incontrò più volte. Il duca lo trattava con grande cordialità descrivendogli tutte le opere di pittura e scultura che aveva fatto dare o che intendeva commissionare e Michelangelo si rammaricava di essere troppo vecchio per poterlo servire ancora.
Su richiesta di Pio IV Michelangelo preparò tre progetti per Porta Pia, il papa fece eseguire il meno costoso quindi commissionò all'artista disegni per altre porte di Roma che intendeva restaurare.
Il progetto di Michelangelo per Santa Maria degli Angeli nelle terme di Diocleziano fu preferito a quello di molti altri architetti famosi.
Le famiglie fiorentine chiesero a Michelangelo un progetto per la chiesa di San Giovanni in Via Giulia a Roma. Michelangelo, ormai troppo vecchio per disegnare, si avvalse della collaborazione del suo allievo Tiberio Calcagni per realizzare cinque progetti, di quello scelto il Calcagni fece anche il modello in legno, tuttavia la costruzione fu interrotta per insufficienza di fondi, con grande dispiacere di Michelangelo.
Tra i funzionari della curia, che Vasari definisce "deputati", molti avrebbero voluto estromettere Michelangelo dalla fabbrica di San Pietro che ormai dirigeva da diciassette anni.
Quando morì il "soprastante" (direttore dei lavori) Cesare da Casteldurante, Michelangelo avrebbe voluto sostituirlo con il giovane Luigi Gaeta ma i "deputati" lo allontanarono. Michelangelo propose allora Daniele da Volterra al quale fu preferito Nanni di Baccio Bigio, uomo fedele ai "deputati". Michelangelo presentò allora le sue dimissioni al papa chiedendo licenza di tornare a Firenze, ma Pio IV ordinò a Gabrio Serbelloni (comandante della guardia pontificia) di svolgere una sorta di inchiesta che portò in luce le manovre dei deputati e le loro calunnie ai danni di Michelangelo. La vicenda si concluse con il licenziamento di Nanni e la conferma dell'incarico al Buonarroti. Pio IV vietò di apportare cambiamenti ai progetti di Michelangelo e più tardi Pio V confermò il divieto e licenziò Pirro Ligorio, uno degli architetti subentrati dopo la morte di Michelangelo, perché aveva tentato alcune modifiche del progetto.
Negli ultimi tempi della vita di Michelangelo il duca Cosimo e il papa si accordarono per organizzare l'assistenza all'artista e la vigilanza sui suoi documenti e disegni, per evitare furti e perdite.
Michelangelo morì il 18 febbraio 1564.
Vasari ricorda la passione di Michelangelo per la sua arte, i suoi studi di anatomia approfonditi su cadaveri e corpi di animali.
Diversamente da molti altri fu apprezzato già in vita. Lavorò per Giulio II, Leone X, Clemente VII, Paolo III, Giulio III, Paolo IV e Pio IV. La sua opera e la sua presenza furono richieste da capi di stato come Francesco I di Francia, l'imperatore Carlo V, il duca Cosimo de Medici, la signoria di Venezia e perfino Solimano imperatore dei Turchi.
Prima di morire distrusse molti disegni per non lasciare tracce della sua arte se non perfette. Amò la solitudine perché la sua passione non ammetteva distrazioni, ciò nonostante ebbe amici sinceri fra cui molti prelati. Fu amico di Messer Bindo Altoviti al quale donò il cartone dell'Ebbrezza di Noè
Michelangelo fu molto legato al giovane Tommaso de'Cavalieri per il quale fece stupendi disegni come il Ratto di Ganimede, la Caduta di Fetonte e un ritratto a grandezza reale dello stesso Tommaso. Amò altri artisti come Iacopo Sansovino, Rosso Fiorentino, Pontormo, Daniele da Volterra e Giorgio Vasari, discorreva volentieri con loro ed era disponibile con chi gli chiedeva consigli.
Si dilettava nel comporre versi ed ammirava in particolare Dante e Petrarca. Scambiava spesso scritti con la marchesa di Pescara (Vittoria Colonna) per la quale disegnò una Pietà, un Crocifisso e un Cristo con la Samaritana al Pozzo.
Completamente preso dalle sue opere viveva molto modestamente, dormiva poco e mangiava pochissimo. Non è vero che fosse avaro come qualcuno insinuava, regalò infatti disegni e dipinti di grande valore ad amici e discepoli come Messer Bindo e Antonio Mini.
Era di statura media, spalle larghe, ben proporzionato, a sua complessione era asciutta, la salute ottima anche in vecchiaia. Vasari si dice grato di essere stato suo contemporaneo e di aver avuto la sua amicizia.
Con una solenne cerimonia il corpo di Michelangelo fu deposto in Ss. Apostoli, ma si trattava di una sepoltura provvisoria perché il papa intendeva dedicare a Michelangelo un adeguato monumento funebre in San Pietro. Cosimo de'Medici pensò di far trafugare la salma per averla in Firenze ma i membri dell'Accademia delle arti del disegno, di cui Michelangelo era stato nominato presidente, affidarono a un comitato l'incarico di organizzare le onoranze funebri e il comitato, composto dal Bronzino, da Vasari, Cellini e Ammannati decise di dar sepoltura definitiva a Michelangelo in San Lorenzo a Firenze e scrisse al duca Cosimo per la necessaria autorizzazione. Il duca approvò immediatamente ma nel frattempo Lionardo Buonarroti, nipote di Michelangelo, aveva segretamente trasferito a Firenze il corpo dello zio e l'aveva deposto nella Compagnia dell'Assunta. Qui la bara fu aperta (dopo venticinque giorni dalla morte) e con generale sorpresa si constatò che il cadavere era ancora in ottimo stato. Il giorno successivo, tra una grande moltitudine di persone, la salma fu trasportata in Santa Croce.
La cerimonia funebre ufficiale si tenne il 14 luglio in San Lorenzo. Curarono l'allestimento gli artisti dell'Accademia che realizzarono un grande catafalco e molte immagini di episodi della vita di Michelangelo mentre l'intera chiesa fu addobbata con drappi neri.
L'orazione funebre di Benedetto Varchi fu letta dall'autore durante la cerimonia e in seguito venne pubblicata.
Il sepolcro di Michelangelo fu disegnato dal Vasari e realizzato da Battista Lorenzi con marmi donati dal duca Cosimo. Mentre Vasari scriveva il monumento era ancora in corso di realizzazione e tre scultori fiorentini: Battista Lorenzi, Giovanni dell'Opera e Valerio Cioli lavoravano alle statue che rappresentano la Pittura, la Scultura e l'Architettura che ornano la tomba di Michelangelo Buonarroti.

Francesco Primaticcio


Tiziano dal Cadore


Iacopo Sansovino


Lione Lioni


Giulio Clovio


Diversi artefici italiani


Diversi artefici fiamminghi


Degli Accademici del disegno, pittori, scultori e architetti e delle opere loro e prima del Bronzino


Descrizione delle opere di Giorgio Vasari


L'autore agli artefici del disegno