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Il poema inizia con una breve invocazione ad Apollo, che svolgerà un ruolo fondamentale negli eventi narrati. Nel proemio si dichiara che si ricorderanno le gesta di Giasone e la navigazione di Argo. Il re Pelia era stato avvertito da un oracolo che un suddito con un solo sandalo avrebbe procurato la sua rovina. Quando vide arrivare ad un suo banchetto Giasone che aveva perduto un sandalo nel guado del fiume Anauro, ricordò la profezia e decise di affidargli un'impresa pericolosissima. Della costruzione della nave Argo, già cantata in antichi poemi, Apollonio non intende parlare e si dedica al catalogo dei partecipanti alla spedizione. L'elencazione ha inizio con Orfeo, il mitico cantore figlio della Musa Calliope e del dio fluviale Eagro. Si narrava che il suo canto avesse poteri taumaturgici, tali da costringere le querce di un bosco a seguirlo ed allinearsi lungo le coste. Dopo Orfeo, che è posto così in rilievo, inizia il catalogo vero e proprio dei partecipanti che vengono presentati nell'atto di raggiungere la spiaggia per unirsi a Giasone: Asterione, Polifemo, Ificlo (zio di Giasone), Admeto di Fere, Erito ed Echione (figli di Hermes e di Antianira), Etalide (figlio di Hermes ed Eupolemia), Corono (figlio di Ceneo). L'indovino Mopso, Euridamante, Menezio (figlio di Attore e padre di Patroclo). Eurizione, Eribote, Oileo, Canto (figlio di Caneto d'Eubea). Clizio e Ifito, figli di Eurito. Telamone e Peleo, figli di Eaco. Bute e Falero, dalla Cecropia. Tifi, figlio di Agnias, pilota della nave. Fliante, della città di Aretirea (Peloponneso). Taleo e Areo (figli di Biante), con Leodoco, da Argo. Al centro del catalogo compare, in posizione di particolare rilievo, la figura di Eracle. Apollonio lo presenta appena tornato dalla cattura del cinghiale del monte Erimanto che subito, contro il volere di Euristeo, si incammina per unirsi alla spedizione degli Argonauti. E' con lui il giovane scudiero Ila, figlio di Teodamante, re della Misia. Nauplio, discendente di Danao e padre di Palemede. Idmone, altro indovino della missione, che decise di partire pur prevedendo la propria morte. I Dioscuri Castore e Polluce, figli di Leda e di Zeus (in altre versioni solo Castore è figlio del dio). Ida e Linceo, figli diAfareo. Periclimeno, figlio di Neleo. Anfidamante e Cefeo, figli di Aleo; Anceo, figlio di Licurgo. Augia, figlio del Sole, noto per la fatica di Eracle nelle sue stalle. Asterio e Anfione, figli di Iperasio, dall'Acaia. Eufemo, figlio di Posidone e di Europa, così veloce da poter correre sull'acqua. Ergino di Mileto e Anceo, figlio di Posidone, dell'Asia Minore. Meleagro, figlio di Eneo, giovanissimo, accompagnato dal precettore Laocoonte. Ificlo, zio di Meleagro, da non confondere con l'omonimo zio di Giasone. Palemonio, figlio di Efesto. Ifito della Focide, da non confondere con l'omonimo fratello di Clizio. Zete e Calais, figli di Borea, dotati di ali. Completano il catalogo Acasto, figlio di Pelia ed Argo, che sotto la guida di Atena aveva costruito la nave. Con grande effetto scenico Apollonio rende l'atmosfera della partenza degli eroi tramite le parole di due gruppi di astanti, in funzione di semicori teatrali, l'uno maschile e l'altro femminile: mentre il primo elogia l'aspetto eroico degli Argonauti, il secondo descrive il dolore e la desolazione di Esone ed Alcimede, genitori di Giasone. Segue il lamento di Alcimede per la partenza del figlio, lamento consolato da Giasone. Tema del colloquio è, accanto alla disperazione della madre, la controllata rappresentazione antieroica che Apollonio fornisce di Giasone. Infine Giasone si incammina verso la nave, fra l'emozione della folla. Qui si tratteggia l'episodio della vecchia Ifiade, sacerdotessa di Artemide, che bacia la destra di Giasone ma non riesce a parlare, vinta dall'emozione, e rimane indietro, superata dalla folla di giovani. Prima di salpare Giasone raduna gli uomini e propone la libera elezione di un comandante, tutti guardano ad Eracle, ma questi rifiuta e propone, con un breve discorso, che il capo sia Giasone. Giasone accetta lietamente ed ordina che prima di partire si costruisca un altare in onore di Apollo e si celebri un banchetto rituale con sacrifici al dio. Infine si procede al varo della nave, operazione che viene descritta nei particolari con linguaggio sapientemente vivace, si sorteggiano i posti dei rematori e si affida a Tifi il compito di pilotare Argo. Idmone pronuncia un vaticinio, guardando il sangue dei sacrifici, è una prima risposta alle preghiere rivolte da Giasone ad Apollo: il fato prescrive l'esito positivo della missione. Quanto a se stesso, Idmone conferma che non potrà tornare in Grecia, ma accetta la morte per la gloria della sua famiglia. Al tramonto gli eroi banchettano sulla spiaggia allegramente, con grande abbondanza di vino e di cibo, Eracle ed Anceo hanno infatti abbattuto due buoi offerti da Giasone per i sacrifici. Solo Giasone appare triste e pensieroso, lo nota Ida che, con atteggiamento tracotante, lo esorta a non aver paura. A Ida risponde con durezza Idmone deprecandone la superbia, la lite che segue è placata da Orfeo che inizia a cantare di argomenti mitici catturando l'attenzione di tutti. Nel canto di Orfeo Apollonio riprende tradizioni rare ed erudite che vedono Ofione e Eurinome come predecessori di Crono e Rea, mentre nella mitologia più diffusa Crono succedeva direttamente a Urano dopo averlo evirato. Si parla anche di Zeus, cresciuto nell'isola di Creta, al riparo dalla minaccia paterna, al quale i Ciclopi avevano fornito il trono e la folgore. All'alba Tifi risveglia i compagni e finalmente ci si dispone alla partenza. Apollonio descrive solennemente la nave sospinta dai remi che si stacca dalla riva e prende il largo, osservata dagli dei. Il centauro Chirone con il piccolo Achille raggiunge la spiaggia per salutare Peleo e i suoi compagni. Usciti dal porto a forza di remi, gli Argonauti issano la vela mentre Orfeo intona un canto in onore di Artemide protrettrice delle navi e di Iolco. Dopo un giorno di navigazione nell'Egeo, la nave Argo approda sulle coste di Magnesia, presso la tomba dell'eroe arcaico Dolope. Dopo tre giorni di sosta forzata dai venti contrari la nave riprende il mare. Apollonio continua la descrizione sintetica dell'itinerario, un'elencazione catalogica dei luoghi. Il secondo giorno, dopo aver superato il monte Athos, Argo raggiunge l'isola di Lemno. Qui l'anno precedente si era consumata una grande tragedia; gli uomini avevano a lungo trascurato le mogli per amare delle schiave trace giunte sull'isola. Accecate dalla gelosia, provocate anche dall'ira di Afrodite che era stata a lungo privata degli amori dovutile, le donne avevano ucciso tutti gli uomini e le loro amanti. Nell'eccidio non erano morti soltanto i mariti infedeli ma tutti gli individui di sesso maschile dell'isola. In questo modo - avevano pensato le omicide - nessuno avrebbe potuto in futuro punirle. Si salvò solo il vecchio Toante al quale la figlia Ipsipile offrì una possibilità di scampo abbandonandolo in mare in una cassa. Da allora le donne di Lemno avevano svolto i lavori maschili, sempre temendo che dal mare arrivassero i nemici Traci. Per questo timore le donne di Lemno accolgono con ostilità gli Argonauti (che scambiano per Traci) ma Etalide - inviato come araldo alla regina Ipsipile - la convince a lasciarli pernottare sull'isola. Ipsipile convoca in adunanza le concittadine e propone che si offrano doni agli Argonauti portandoli sulla spiaggia per evitare che questi, entrando in città, scoprano i loro misfatti. Ma la vecchia Polisso è di diversa opinione: prevedendo un'orrenda vecchiaia per tutte loro che senza figli e senza sposi, resteranno indifese a morire sull'isola, propone che si trattengano i nuovi venuti, si affidi loro il governo dell'isola ed il futuro della sua popolazione. così decide l'assemblea ed Ipsipile invia Ifinoe alla nave perché inviti gli Argonauti ad entrare in città. Accogliendo l'invito Giasone veste il suo mantello, donatogli da Atena, e qui inizia una lunga digressione nella quale Apollonio descrive gli episodi mitici ricamati nei riquadri del mantello, con evidente riferimento al modello omerico della descrizione dello scudo di Achille. I riquadri del mantello riproducono: