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QUINTO SMIRNEO DETTO CALABRO



POSTHOMERICA



Libro Primo


Dopo la morte di Ettore i Troiani, timorosi di Achille, non osavano uscire dalla città. In quei giorni giunse a Troia la bella Pentesilea esule dal suo paese per aver involontariamente ucciso la sorella Ippolita. Erano con lei dodici compagne che, sebbene di alto lignaggio, le facevano da ancelle. Erano Clonia, Polemusa, Evandra, Derione, Antandra, Bremusa, Ippotoe, Armatoe, Alcibia, Derimachia, Antibrote, Termodusa.
I Troiani accolsero le Amazzoni stupiti del loro aspetto che infondeva coraggio. Anche Priamo, benché dolente per la perdita di tanti figli, fu lieto per l'arrivo di Pentesilea e l'accolse come una figlia offrendole ricchi doni. Pentesilea intendeva tentare un'impresa mai riuscita prima: sconfiggere Achille, distruggere l'esercito dei Greci e incendiare le loro navi.
Andromaca, ascoltando le parole dell'amazzone, la compianse prevedendo che Achille l'avrebbe sconfitta.
Caduti nella battaglia del libro primo
CADUTI GRECI
  • Persinoo, Molone, Glisso, Antiteo, Ippalmo, Lerno, Ermonide, Elasippo, Podarce uccisi da Pentesilea
  • Laogono ucciso da Derinoe
  • Menippo da Filaca ucciso da Clonia
  • Evenore ucciso da Paride
    AMAZZONI CADUTE
  • Clonia uccisa da Podarce
  • Bremusa uccisa da Idomeneo
  • Evandra e Termodusa uccise da Merione
  • Derione uccisa da Aiace d'Oileo
  • Alcibia e Derimachia uccise da Diomede
  • Antandra, Polemusa, Antibrote, Ippotoe, Armatoe, Pentesilea uccise da Achille
    CADUTI TROIANI
  • Cabiro ucciso da Stenelo
  • Agelao e Itimoneo uccisi da Mege
  • Deico, Illo, Enieo, Eurinomo uccisi da Aiace Telamonio
  • Durante la notte, Atena inviò a Pentesilea un sogno falso ma lusinghiero che prometteva vittoria. Sul far del giorno l'amazzone, felice per l'ingannevole visione, vestì le sue armi dono di Ares e corse fuori a chiamare i Troiani che, incoraggiati dal suo fiero aspetto, furono pronti a seguirla.
    Priamo pregò Zeus per la salvezza di Pentesilea ma vide un'aquila volare con una colomba tra gli artigli, presagio sicuramente funesto.
    Segue la descrizione della battaglia che consiste in un elenco di uccisori e uccisi (vedi riquadro laterale). L'autore fa ampio uso di similitudini descrivendo la forza e il coraggio di Pentesilea che travolge i nemici, dotata di inesauribile energia ma ignara del destino che sta per colpirla per mano di Achille.
    Le donne troiane seguivano dall'alto delle mura le gesta di Pentesilea e una di loro, Ippodamia, propose alle compagne di scendere in campo armate per aiutare i loro uomini. Le fermò l'anziana Teano che con sagge parole le fece riflettere sulla preparazione militare delle Amazzoni e sulla forza di Pentesilea figlia di Ares.
    Quando i Troiani stavano raggiungendo le navi nemiche per incendiarle, Aiace e Achille, che si erano allontanati per onorare la tomba di Patroclo, udirono il clamore della battaglia e si affrettarono ad intervenire con grande sollievo dei Greci.
    I due eroi avevano già ucciso molti avversari quando Pentesilea li sfidò con audaci parole e scagliò contro di loro i suoi giavellotti senza riuscire a ferirli. Aiace si diresse contro altri nemici e Achille, raccogliendo la sfida, colpì con la sua lancia Pentesilea nel petto, ferendola gravemente. Nonostante il suo coraggio, Pentesilea pensò di supplicare Achille per aver salva la vita, ma gli dei mutarono i suoi pensieri e l'amazzone sguainò la spada per tentare un nuovo assalto e questa volta Achille la finì.
    I Troiani che la videro cadere si affrettarono a rientrare in città mentre Achille toglieva l'elmo alla sua vittima. La vista del bellissimo viso turbò Achille che desiderò non averla uccisa ma aver fatto di lei la propria sposa.
    Ares, padre di Pentesilea, prese a scendere rapidamente dall'Olimpo per vendicare la figlia ma Zeus lo fermò proibendogli di intervenire per non alterare il corso del destino.
    Mentre Achille contemplava il viso di Pentesilea, lo apostrofò Tersite deplorando il suo atteggiamento e il suo compiangere una nemica che ha arrecato tanto danno ai Greci. Acceso d'ira, Achille reagì e Tersite cadde morto al primo colpo con soddisfazione dei Greci che non sopportavano la sua arroganza. Il solo a dolersi della morte di Tersite fu Diomede che era suo parente e che avrebbe duellato con Achille se gli altri Greci non si fossero intromessi per placare l'ira dei due eroi. I Greci accordarono ai Troiani le spoglie di Pentesilea e delle altre Amazzoni cadute che ebbero solenni esequie. Anche i Greci seppellirono i loro caduti e, in disparte, i resti di Tersite.
    Intanto la notte ricopriva la terra, Achille e gli altri capi Greci si riunirono per banchettare nella tenda di Agamennone.

    Libro Secondo


    Il mattino seguente, mentre i Greci lieti per la vittoria omaggiavano Achille, a Troia regnavano il lutto e la paura. Il vecchio Timete parlando ai Troiani negò ogni speranza di vittoria contro Achille e propose di fuggire abbandonando la città. Priamo, invece, esortò a resistere parlando dell'arrivo ormai imminente di Memnone con un esercito di Etiopi. Anche Polidamante si espresse in favore della fuga e, inoltre, propose di restituire ai Greci Elena e le sue ricchezze. Ne nacque una lite con Paride che mai avrebbe rinunciato a Elena.
    Giunse Memnone con gli Etiopi. Fu grande la letizia dei Troiani e soprattutto di Priamo che molta fiducia riponeva nei nuovi arrivati. Si tenne un grande banchetto e Priamo offrì a Memnone una coppa d'oro fabbricata da Efesto e tramandata dai suoi antenati per generazioni, coppa che avrebbe donato a Ettore se il fato l'avesse concesso.
    Al mattino Memnone scese in campo con grande coraggio e subito gli Argivi si schierarono con Achille in testa. Segue un'altra battaglia descritta in stile omerico con molti duelli e molti illustri caduti. Memnone, forte della prodigiosa protezione della madre Aurora, fece strage dei nemici.
    Tra i Greci uccisi da Memnone fu anche Antiloco figlio di Nestore. Quest'ultimo, nonostante l'età avanzata, impugnò le armi per difendere il corpo del figlio ma Memnone rifiutò di battersi con lui. Nestore allora si rivolse a Achille che di Antiloco era molto amico, e Achille affrontò il campione etiope. Dopo una schermaglia verbale, Achille e Memnone iniziarono un durissimo duello che si concluse con la morte di Memnone. Il corpo di Memnone fu raccolto dai venti che lo trasportarono presso il fiume Esepo insieme al seguito di Etiopi.
    L'Aurora discese dal cielo accompagnata dalle Ore e dalle Pleiadi e pianse a lungo sul cadavere del figlio rifiutando di compiere il suo corso al termine della notte. Adirato per questo rifiuto, Zeus fece tremare la terra con i suoi tuoni, terrorizzando la dea. Dal rogo dell'etiope nacquero gli uccelli memnonidi che ogni anno tornano a combattere sulla tomba dell'eroe.

    Libro Terzo


    I Greci seppellirono Antiloco nella spiaggia dell'Ellesponto e lo piansero insieme al padre Nestore mentre Achille correva contro i Troiani per vendicare l'amico.
    I Troiani, benché temessero Achille, si armarono e uscirono dalle mura con il coraggio che le Parche infondevano nei loro cuori. Ancora una volta Achille fece strage di nemici finché Apollo non discese dal cielo per fermarlo con il suo grido sovrumano, ma Achille non lo temette e lo esortò a tornare in cielo con gli altri dei.
    Indignato, Apollo scoccò una freccia colpendo Achille nel tallone. L'eroe cadde in terra imprecando e ricordando che la madre aveva predetto che sarebbe stato ucciso dalle frecce di Apollo presso le Porte Scee. Estrasse la freccia dalla ferita incurabile che sanguinò copiosamente mentre il dolore mortale gli opprimeva il cuore.
    Ripreso il suo dardo, Apollo tornò in cielo dove lo accolse Era deprecando il suo gesto. Achille ebbe ancora la forza di affrontare ed uccidere molti nemici prima di cadere al suolo morto. Greci e Troiani combatterono a lungo per impadronirsi del suo corpo. Con particolare energia lottò Aiace Telamonio, in fine i Troiani si chiusero nella loro città mentre i Greci portavano il corpo alla spiaggia, lo lavavano, lo vestivano con gli abiti che la madre Teti gli aveva donato.
    Nel racconto si susseguono i lamenti di Aiace, Fenice, Agamennone, poi quello di Teti giunta dal mare con un corteggio di Nereidi.
    I Greci piansero molti giorni, poi consegnarono il corpo di Achille a un grande rogo sul quale offrirono in sacrificio prigionieri Troiani e molti animali. I Mirmidoni e Briseide tagliarono le proprie capigliature per gettarle nel fuoco.
    Le ossa furono raccolte tra le ceneri e collocate in un'urna fabbricata da Efesto. Poseidone richiamò Teti annunciandole che lo spirito di Achille era destinato a un'isola dove sarà sempre venerato come un dio.

    Libro Quarto


    I Troiani collocarono sulla pira il corpo di Glauco ma Apollo lo rapì e lo affidò ai venti che lo portarono in Licia dove fu collocato in un antro presso il fiume che prese il suo nome.
    Mentre i Greci continuavano a piangere la morte di Achille, i Troiani ne gioivano, convinti che avrebbe rovesciato le sorti della guerra anche se altri valorosi eroi rimanevano all'esercito nemico. Era lamentava la perdita di Achille ricordando a Zeus le nozze di Peleo in tempi molto più lieti.
    Gli Achei, cedendo alle umane necessità, cenarono e dormirono. Al mattino Diomede li incitò a riprendere il combattimento per evitare che i Troiani prendessero troppo coraggio dalla morte di Achille. Gli rispose Aiace Telamonio che suggerì di aspettare che Teti venisse per celebrare giochi in onore del figlio, come aveva promesso. Infatti giunse la dea recando doni per i vincitori ed esortando tutti a misurarsi nelle gare.
    Il vecchio Nestore, al quale l'età precludeva la partecipazione ai giochi, prese a parlare delle nozze di Peleo e Teti e a magnificare le gesta di Achille. Teti premiò l'orazione di Nestore facendogli dono dei cavalli di Achille.
    Seguì la gara di corsa, Teucro cadde slogandosi un piede e lasciò la vittoria a Aiace di Locri. Diomede e Aiace Telamonio si misurarono nella lotta, fu una lunga gara perché i due lottatori erano altrettanto forti. Diomede approfittò di una buona presa per atterrare Aiace, ma lo scontro riprese sempre più violento finché Nestore si pose tra loro e li invitò a cessare il combattimento.
    Teti premiò i due campioni dando loro quattro leggiadre ancelle esperte nel servizio dei banchetti che Achille aveva fatto prigioniere a Lesbo.
    Idomeneo desiderava misurarsi nel pugilato ma poiché era molto avanti negli anni nessuno osò incontrarlo e tutti lo onorarono. In premio Idomeneo ebbe da Teti i cavalli e il carro che Patroclo aveva preso a Sarpedonte.
    Fenice e Nestore, troppo vecchi per combattere, spronarono i giovani a misurarsi con i cesti. Il primo a farsi avanti fu Epeo figlio di Panopeo, considerato invincibile con i cesti, il quale avrebbe avuto il premio senza battersi ma raccolse la sfida Acamante figlio di Teseo. Anche i due pugili si batterono a lungo e vennero infine divisi senza che uno di loro avesse sopraffatto l'altro. Ebbero da Teti due tazze d'oro che erano state di Teseo, di Arianna, di Dioniso, di Toante, di Isifile e finalmente di Achille.
    Teucro e Aiace d'Oileo furono i primi a cimentarsi con l'arco. Si trattava di recidere da lontano la criniera di un elmo con una freccia. Lo fece Teucro che ebbe in premio le armi di Troilo.
    Il lancio del pesantissimo disco riuscì soltanto a Aiace. Il disco era stato conquistato da Eracle che lo aveva tolto al gigantesco Anteo. Aiace fu premiato con le armi di Memnone.
    Agamennone vinse la gara di salto ed ebbe in premio le armi di Cicno. Eurialo vinse con il giavellotto ed ebbe in dono un'urna d'argento conquistata da Achille a Lirnesso. Aiace, ancora desideroso di combattere, propose una gara di lotta a chi volesse accettare la sfida. Tutti indicarono Eurialo, esperto pugile, ma questi rinunciò a battersi riconoscendo apertamente la superiorità di Aiace.
    Menelao vinse la gara di corsa a cavallo, seguito da Euripilo, Eumelo, Toante e Polipete. Nella corsa con i carri vinse Eurialo seguito da Toante. Menelao ebbe una coppa che era stata di Esione.
    La descrizione di un'altra gara di equitazione è alquanto confusa a causa di lacune nel testo. La vinse comunque Agamennone che ebbe in premio l'armatura di Polidoro, Il secondo arrivato, Stenelo, ricevette l'elmo di Asteropeo con due lance.
    A questi giochi non partecipò Ulisse perché era stato ferito difendendo il corpo di Achille.

    Libro Quinto


    Finiti i giochi, Teti espose le armi di Achille. Segue la descrizione dello scudo di Achille che richiama nello stile e nei contenuti il brano di pari argomento nel diciottesimo canto dell'Iliade. Scene marine e descrizioni di monti e foreste popolate da belve feroci decoravano lo scudo, opera di Efesto, e immagini delle Erinni, delle Gorgoni, ma anche scene di pace, di uomini intenti a costruire belle città o a coltivare la terra.
    Non mancavano rappresentazioni degli dei e, in particolare, di quelli riuniti per le nozze di Peleo con Teti.
    L'elmo di Achille era decorato con scene della guerra di Zeus con i Titani, accanto erano disposti la corazza, gli schinieri, la spada con la cintura d'oro, l'elsa d'avorio e il fodero d'argento.
    Teti invitò a farsi avanti colui che con maggior vigore aveva difeso il cadavere del figlio per avere in premio le magnifiche armi. Si alzarono Ulisse e Aiace Telamonio mentre Idomeneo e Agamennone venivano chiamati a decidere chi meritasse il premio.
    Aiace pronunciò una lunga invettiva contro Ulisse accusandolo di falsità e vigliaccheria, Ulisse replicò negando le accuse e sostenendo che il suo ingegno aveva maggior valore della forza dell'altro. Sostenne inoltre di aver ucciso un maggior numero di nemici mentre difendeva le spoglie di Achille. Dopo un secondo scambio di contumelie tra i due campioni si passò alla decisione e, tutti concordi i Greci, fu Ulisse a vincere le armi di Achille. Mentre Ulisse gioiva, Aiace fu colto da grave turbamento e, perdendo il senno, giacque a terra come privo di vita. I suoi compagni lo accompagnarono alle navi cercando di consolarlo.
    Intanto era scesa la sera, i Greci si apprestarono alla cena e al sonno mentre Teti con le Nereidi che l'accompagnavano tornava nel mare.
    Durante la notte Aiace, ancora furioso, indossò le proprie armi con l'intenzione di vendicarsi incendiando le navi, facendo strage degli Achei e, soprattutto, facendo a pezzi Ulisse; ma Atena, che sempre proteggeva il suo favorito Ulisse, sconvolse la ragione di Aiace. Vagò a lungo, l'eroe impazzito e, allo spuntare del giorno si imbattè in un gregge di pecore e prese a ucciderle, convinto di colpire altri Greci.
    Quando Aiace si fermò credendo di aver ucciso tutti i Greci e tra loro Ulisse, Atena tolse il velo che confondeva la sua mente e Aiace vide intorno a se il bestiame massacrato. Dopo aver pronunciato un accorato lamento, l'eroe si tagliò la gola e cadde nella polvere.
    I Greci lo circondarono disperati, Teucro si sarebbe ucciso se qualcuno non lo avesse disarmato. Insieme a Teucro pianse Tecmessa, prima schiava e poi moglie di Aiace, madre di Eurisace. Con il suo lamento la donna mostra di temere per il proprio destino e per quello del figlio ma viene confortata da Agamennone che le promette protezione in memoria del caduto.
    Ulisse, commosso, rimpiange di aver vinto la disputa per le armi di Achille che è costata la vita di un grande eroe, giura che non avrebbe mai accettato il premio se avesse potuto prevedere le conseguenze.
    Dopo che altri ebbero espresso il proprio dolore intervenne Nestore incoraggiando tutti a superare il lutto e a provvedere ad esequie degne di Aiace Telamonio.
    Fu costruito un grande rogo sul quale vennero poste offerte e oggetti preziosi. Il rogo arse a lungo, alimentato dal vento marino e quando il fuoco ebbe consumato le membra di Aiace, i Greci raccolsero le sue ossa in un'urna d'oro.
    Scese la notte ma i Greci dormirono un sonno agitato per il timore che i Troiani, sapendo morto Aiace, potessero attaccarli improvvisamente.

    Libro Sesto


    Il mattino seguente Menelao convocò tutti i comandanti greci e, constatata la morte di Achille e di Aiace, propose di tornare a casa abbandonando una guerra che ormai non sperava più di vincere. Menelao si rammaricò di essere stato il promotore di quella guerra ma in realtà parlava per verificare le intenzioni dei suoi connazionali. Diomede reagì con indignazione chiamando vile Menelao e minacciando di colpire chiunque tentasse di partire. Parlò quindi Calcante che ricordò di aver predetto la caduta di Troia nel decimo anno di guerra e consigliò di mandare Diomede e Ulisse a Sciro per prelevare il figlio di Achille. Con un breve discorso Ulisse accettò la missione e Menelao promise di dare in moglie la propria figlia al figlio di Achille.
    Ulisse e Diomede si imbarcarono con venti compagni alla volta di Sciro. A Troia ci si preparava al prossimo combattimento mentre si pregava per la pace. Gli dei, esaudendo una preghiera dei Troiani, mandarono loro Euripilo figlio di Telefo, discendente di Eracle, alla testa di schiere alleate.
    Paride accolse Euripilo e lo accompagnò al suo alloggio nel quale si trovava Elena con le sue ancelle. Euripilo fu colpito dalla bellezza della donna e volentieri sedette a conversare con lei e con Paride.
    Durante la cena Euripilo promise di aiutare i Troiani e allo spuntare del sole indossò le proprie splendide armi decorate con scene della vita e delle imprese di Eracle. Salutato da Paride e ammirato da tutti i Troiani, Euripilo promise di difendere Troia e giurò di non lasciare il combattimento prima di aver ucciso molti nemici. Paride, Enea, Polidamante, Deifobo ed altri comandanti furono scelti da Euripilo per marciare al suo fianco davanti alle schiere troiane.
    I Troiani mossero dalla città e si scontrarono con i Greci, Euripilo uccise molti nemici tra i quali Nireo, uno dei più belli. Mentre Euripilo spogliava Nireo delle armi, fu attaccato da Macaone che lo ferì, seguì un duello nel quale Macaone fu colpito a morte e, spirando, predisse a Euripilo morte imminente. Vedendo cadere Nireo e Macaone, Teucro gridò incitando i Greci ad attaccare il nemico con maggior violenza ma le forze in campo erano pari e lo scontro si prolungava.
    Rimasto presso le navi per curare i feriti Podalirio fu avvertito della morte del fratello e, prese le armi, corse contro i nemici. Uccise Clito figlio di Agamestore, Lasso figlio di Anticleo e altri Troiani. Aiace d'Oileo ferì Polidamante, Menelao ferì Deifobo e molti altri ne uccise Agamennone. Euripilo, Paride ed Enea si scontrarono con gli Atridi e con Aiace d'Oileo, quest'ultimo, tramortito da un colpo di Enea, fu ricoverato su una nave. Menelao e Agamennone si trovarono isolati e circondati dai nemici. Pur difendendosi come belve feroci, i due re sarebbero caduti se in loro aiuto non fossero accorsi Teucro, Idomeneo, Merione ed altri Greci.
    Un colpo di Teucro fu trattenuto dallo scudo di Enea, Merione uccise Laofoonte, Aiace d'Oileo scagliò una pietra uccidendo l'auriga di Pammone mentre Pammone stesso i fu salvato da un Troiano che riuscì a frenare i suoi cavalli. Acamante ferì Antiloco figlio di Nestore che fu costretto a lasciare la battaglia.
    Euripilo e un suo scudiero uccisero Echemmone, Toante ferì Paride, Idomeneo percosse Euripilo privandolo della lancia, ma quando i servi gli porsero un'altra asta egli riprese a combattere uccidendo molti nemici e incitando i compagni a fare altrettanto. I Greci fuggirono verso le navi e Euripilo uccise Bucalione, Cromio, Antifo, Nero e molti altri.
    Enea uccise Antimaco e Ferete, Cretesi compagni di Idomeneo, Agenore soppresse Melo compagno di Stenelo re di Argo. Paride uccise Moniso e Forci, fratelli da Salamina. I cadaveri degli Argivi erano sparsi nella campagna e certamente i Troiani avrebbero bruciato le loro navi se non fosse sopraggiunta la notte.
    I Troiani tornarono lieti ai loro alloggi mentre i Greci, presso le navi, piangevano i compagni estinti.

    Libro Settimo


    Al mattino i Greci si preparavano a combattere mentre alcuni di loro si occupavano delle esequie di Macaone e del bellissimo ma imbelle Nireo.
    Podalirio (fratello di Macaone) soffriva per la sua perdita al punto da progettare il suicidio, mentre i compagni condividendo il suo dolore tentavano di consolarlo, e si sarebbe certamente ucciso se non fosse intervenuto Nestore.
    A Nestore, Quinto Smirneo attribuisce un discorso basato sul genere della consolatio:
    - il pianto è tipico delle donne e non si addice agli uomini,
    - piangere non riporterà in vita Macaone,
    - lo stesso Nestore ha perduto un figlio (Antiloco) coraggioso e devoto ma è sopravvissuto alla sua perdita,
    - la morte è destino di tutti,
    - i mortali devono sopportare le sofferenze che gli dei assegnano loro.
    Podalirio rammenta la dolcezza e la sollecitudine del fratello nei suoi confronti e parla del suo dolore inconsolabile che lo priva della voglia di vivere. La replica di Nestore ribadisce i concetti già espressi ed introduce il tema di una felicità ultramondana riservata ai buoni.
    Mentre Nestore consolava Podalirio, Greci e Troiani avevano ripreso a combattere e Euripilo stava facendo strage degli Achei. I Greci furono sospinti dall'eroe presso le navi e si nascosero come poterono per evitare i colpi di Euripilo ma infine Atena infuse in loro nuovo coraggio. Dopo due giorni di intensi combattimenti fu concordata una tregua per seppellire i caduti. Terminate le esequie la guerra riprese violenta.
    Intanto Ulisse e Diomede, partiti alla ricerca del figlio di Achille, avevano raggiunto l'isola di Sciro. Trovarono Neottolemo davanti alla sua casa intento ad esercitarsi con le armi e con i cavalli e furono colpiti dalla sua bellezza pari a quella del padre.
    Il giovane accolse i visitatori e Ulisse, presentato se stesso e il suo compagno, passò subito a chiedere a Neottolemo di seguirli a Troia. Ulisse promise a Neottolemo ricchi doni e in particolare le armi del padre, di divina fattura. Inoltre riferì la promessa di Menelao di diventare suo suocero una volta finita la guerra. Neottolemo promise di partire il mattino seguente e invitò gli ospiti alla sua mensa.
    Al momento della partenza Deidamia, vedova di Achille e madre di Neottolemo, rivolse al figlio un lamento accorato pregandolo di non partire e il vecchio Licomede, padre di Deidamia, lo mise in guardia sui pericoli della navigazione. Mentre Neottolemo fremeva per partire, Deidamia continuava a piangere ma ormai consapevole dell'ineluttabilità del distacco, volle che il figlio fosse accompagnato da venti servitori.
    Poseidone, ammirando la fierezza del figlio di Achille, gli concesse un viaggio sereno e la nave prese il mare mentre i suoi passeggeri parlavano delle gloriose gesta di Achille. Il mattino seguente i viaggiatori giunsero in vista dei Monti Idei e infine approdarono presso le altre navi greche sul lido di Troia. Qui continuava la battaglia e Euripilo stava portando uno dei suoi attacchi. Vedendolo Diomede saltò fuori dalla nave e incitò i compagni ad armarsi immediatamente.
    Diomede e i suoi compagni andarono alla tenda di Ulisse per indossare le armi. Neottolemo prese le armi del padre che si adattarono perfettamente al suo corpo e corse ad affrontare i nemici insieme a Ulisse, Diomede e Leonteo. Oltre il muro che proteggeva le navi achee, Euripilo stava portando l'ennesimo attacco quando Neottolemo scese in campo e prese a uccidere i Troiani combattendo con inesauribile energia.
    La prime vittime di Neottolemo furono Celto e Eubio, due fratelli troiani abili con le armi ma destinati a morire molto giovani.
    Quando scese la sera il combattimento fu sospeso. Il vecchio Fenice conobbe Neottolemo e si commosse per la grande somiglianza con il padre. Agamennone e tutti gli altri Greci si strinsero intorno al giovane recandogli molti doni. Quando dopo la cena Neottolemo si ritirò nel padiglione del padre fu colpito dalla nostalgia di Achille.
    Nel loro campo anche i Troiani si rallegravano per le gesta di Euripilo. Alla fine il sonno vinse i Troiani e gli Achei.

    Libro Ottavo


    All'alba Neottolemo pronunciò un breve discorso di incoraggiamento quindi scese in campo con le armi e il carro di Achille, seguito da tutti gli altri Greci. Neottolemo uccise Melaneo, Alcidamante, Minete, Mori, Polino, Ippomedonte. Enea uccise Aristoloco, Diomede uccise Eumeo, Agamennone uccise Strato, Merione uccise Clemo. Euripilo fece molte vittime tra cui Eurito, Menezio, Arpalo.
    Antifo tentò di colpire Euripilo ma la sua lancia uccise Menalione, Antifo riuscì a sfuggire alla vendetta di Euripilo perché le Parche avevano stabilito per lui un altro modo di morire. Euripilo continuò a fare strage di nemici finché non gli si fece incontro il figlio di Achille. Prima di combattere Euripilo volle sapere chi fosse il suo avversario.
    I due eroi scesero dai cavalli per affrontarsi a piedi Neottolemo parò con lo scudo una grossa pietra scagliata dall'avversario e il duello ebbe inizio mentre tutto intorno a loro infuriava la battaglia. Dopo un lungo, terribile scambio di colpi, Euripilo fu ferito alla gola e dalla piaga fuggì la sua anima. Pronunciando frasi di scherno, Neottolemo recuperò la sua lancia e, mentre i Greci spogliavano Euripilo delle sue armi, riprese a combattere e sterminare nemici.
    Per incoraggiare i Troiani scese dal cielo Ares con i suoi divini cavalli e, invisibile, fece udire nel campo la propria voce con parole di incoraggiamento. L'indovino Eleno comprese la situazione e parlò ai Troiani che ripresero a combattere più arditamente. Le forze in campo erano pari e la battaglia si protrasse a lungo. Neottolemo uccise Perimede, Cestro uccise Falero e Perileo Menalca. Deifobo ammazzò Licone e Menettolemo. Enea uccise Arcesilao proveniente da Aulide. Eurialo uccise Astreo con una freccia. Agenore tolse la vita a Ippomene amico di Teucro. Questi tentò di colpire Agenore ma le Parche deviarono la freccia che colpì l'occhio sinistro di Deifonte il quale fu ferito da un secondo dardo.
    Un grido di Ares ispirò coraggio ai Troiani e paura agli Achei ma non a Neottolemo che continuò a fare strage di nemici. Indignato, Ares decise di battersi personalmente con Neottolemo ma improvvisamente scese dal cielo Atena in armi. Prima che i due cominciarono a battersi, Zeus li dissuase con i tuoni ed entrambi lasciarono il campo di battaglia.
    Privati del sostegno di Ares, i Troiani fuggirono a chiudersi entro le mura della città mentre i Greci si disponevano all'assedio. Apollo infuse audacia nei Teucri che presero a difendere la città scagliando pietre e frecce dall'alto delle mura. Merione uccise Filodamante ma non riuscì a colpire Polite figlio di Priamo.
    Vedendo che la propria città rischiava di essere distrutta, Ganimede pregò Zeus di risparmiarla e Zeus coprì Troia con una coltre di nubi, spaventando i Greci con fulmini e tuoni.
    Il saggio Nestore, consapevole della potenza di Zeus, parlò ai Greci e li convinse a smettere per quel giorno di combattere e a tornare alle navi. Durante la cena tutti onorarono Neottolemo al quale Teti aveva tolto gli effetti della stanchezza.

    Libro Nono


    Il nuovo giorno trovò i Troiani angosciati dal pericolo e Antenore che pregava - inutilmente - che Neottolemo fosse allontanato da Troia. Priamo mandò un messaggero a chiedere a Agamennone una tregua per seppellire i morti. Durante la tregua Euripilo fu sepolto davanti alla Porta Dardania.
    Accompagnato dal vecchio Fenice e da un gruppo di Mirmidoni, Neottolemo si recò ad onorare la tomba del padre.
    Il giorno seguente i Greci marciarono compatti verso le mura di Troia mentre Deifobo incitava i compagni alla lotta e si preparava vestendo le armi con l'aiuto della moglie e dei figli. Scoppiò l'ennesima battaglia con il consueto spargimento di sangue. Deifobo uccise l'auriga di Ippaso, questi fu prontamente soccorso da Melanzio che con un balzo prese il posto del caduto sul carro e, incitando i cavalli, prese ad uccidere molti nemici mentre Deifobo faceva altrettanto contro i Troiani. Compiaciuta, Teti osservava il nipote Neottolemo intento ad uccidere "falangi intere". Tra i Troiani caduti per mano di Neottolemo furono Ascanio e Enope. Contro Deifobo che stava massacrando molti Achei mosse Neottolemo. Vedendolo arrivare Deifobo si fermò dubbioso se fuggire o affrontare lo scontro. Neottolemo lo avrebbe certamente travolto con il suo assalto ma Apollo circondò il troiano con una fitta nebbia e prodigiosamente lo portò in salvo tra le mura di Troia.
    Durante la battaglia anche Apollo e Ares intervennero più volte ma alla fine i Greci tornarono alle navi perché era fatale che Troia non cadesse prima dell'intervento di Filottete, come spiegò l'indovino Calcante.
    A prelevare Filottete che si trovava a Lemno furono inviati Diomede e Ulisse. A Lemno le donne avevano ucciso tutti i mariti per gelosia. Filottete viveva in una grotta a dormiva su un giaciglio di piume di uccello. Gli stenti e il dolore della sua ferita lo avevano ridotto come un selvaggio. Nella sua grotta si trovavano il grande arco che era stato di Eracle e la faretra con le frecce.
    All'arrivo di Ulisse e Diomede, Filottete ancora sdegnato per essere stato abbandonato, prese l'arco per ucciderli ma Atena spense l'odio nel suo cuore ed egli si lasciò consolare dalle parole e dalle promesse dei suoi ospiti che lo accompagnarono alla nave dove ricevette le prime cure e un buon pasto.
    Giunti al lido di Troia furono accolti affettuosamente dagli Achei e Podalirio guarì la piaga purulenta di Filottete con i suoi unguenti. Liberato dall'atroce sofferenza, Filottete si riprese rapidamente.
    Dopo un banchetto offerto in onore di Filottete, Agamennone parlò dell'abbandono dell'arciere che era stato deciso dagli dei, promise all'ospite ritrovato di accoglierlo sempre alla sua mensa e gli consegnò ricchi doni.
    Quando sorse il sole i Greci si prepararono per un nuovo giorno di guerra e Filottete auspicò che nessuno di loro tornasse alle navi prima che Troia fosse distrutta.

    Libro Decimo


    Mentre i Troiani si affrettavano a seppellire i caduti, sempre temendo un attacco nemico, Polidamante parlò loro suggerendo di ritirarsi nelle torri della città lasciano che i Greci sprecassero il loro tempo nell'assedio che sarebbe stato lungo e infruttuoso, vista l'abbondanza di scorte di cui Troia disponeva. Alla proposta di Polidamante si oppose Enea prevedendo che anche un lungo assedio sarebbe finito per fame e affermando di preferire una morte gloriosa in combattimento al morire d'inedia senza far nulla. Tutti approvarono le parole di Enea e tornarono a armarsi mentre la Discordia visitava il campo troiano e quello greco diffondendo tra gli uomini la volontà di combattere. Il primo a battersi fu Enea che uccise Arpalione figlio di Arizelo e di Amfinome, Ialo figlio di Tersandro.
    Neottolemo uccise dodici eroi: Cebro, Arione, Pasiteo, Ismino, Imbrasio, Chidio, Flege, Mneseo, Eunomo, Amfinomo, Fasi, Galeno.
    Eurimene compagno di Enea ispirato dalla Parca colpì molti nemici finché la stanchezza lo rallentò e Mege gli tolse la vita con la sua lancia. Deileonte e Amfione, scudieri di Epeo, tentarono di prendere le armi di Eurimene e furono uccisi da Enea. Diomede uccise Menante e Anfinoo, Paride uccise Demoleonte, giunto dalla Laconia con Menelao. Teucro uccise Zechi frigio; Mege fu ucciso da Alceo. Aiace d'Oileo ferì Scilaceo ma non lo uccise perché diverso era il suo destino: tornato a casa in Licia narrò la morte di tutti i suoi compagni e fu lapidato dai parenti dei caduti.
    Le frecce di Filottete portarono la morte a Deioneo e a Acamante figlio di Antenore. Filottete indossava le armi di Eracle che l'autore descrive istoriate con figure di belve e scene del mito, come Ermes uccisore di Argo o Fetonte precipitato nel Po, e ancora Medusa, Prometeo. Le prodigiose armi erano opera di Efesto che le aveva fabbricate per Eracle e da questi donate a Filottete.
    Paride tirò una freccia contro Filottete ma lo mancò ed uccise Cleodoro. Filottete maledisse Paride e scagliò una freccia contro di lui ferendolo superficialmente ma con un'altra freccia colpì all'inguine Paride che questa volta fuggì verso la città mentre la sera sopraggiungeva e poneva fine alla battaglia.
    Molti tentativi di guarire Paride fallirono e il giovane si recò a casa di Enone, la moglie che aveva abbandonato per rapire Elena, perché il fato aveva stabilito che si sarebbe salvato solo se medicato da lei.
    Paride pregò Enone di aiutarlo, chiedendole di perdonare le sue colpe e deprecando il suo comportamento ma Enone non era disposta a perdonare e lo cacciò dalla sua casa consigliandogli di farsi curare dalla sua bella amante. Allontanatosi tristemente, Paride ebbe la visione di Era in compagnia delle sue ancelle alle quali stava parlando degli ultimi atti della guerra, il ratto della statua di Atena e la caduta di Troia. Paride morì ascoltando quelle parole e fu pianto dalle ninfe e dai pastori. Un contadino avvertì Ecuba che iniziò il suo pianto disperato. Priamo che stava piangendo sul sepolcro di Ettore non intese la notizia.
    Rimasta sola, Enone fu presa dal rimorso e corse nel luogo dove era stato approntato un rogo per Paride. Senza esitare la donna salì sul rogo e le sue ossa furono raccolte insieme a quelle del marito quando le fiamme furono spente.

    Libro Undicesimo


    Anche dopo la morte di Paride la guerra proseguì con tutti i suoi orrori. Neottolemo uccise Laomedonte, Niro, Evenore, Ifirione, Ippomedonte. Enea uccise Bremonte e Andromaco. Filottete ferì Piraso, colpì con la lancia Polidamante, Eurimaco e Cleone.
    Euripilo ferì Ello. Ulisse ammazzò Polindo e Eno, Stenelo uccise Abante , Diomede tolse la vita a Laodoco, Agamennone la tolse a Melio. Deifobo sconfisse Alcinoo e Driante, Ippaso fu ucciso da Agenore.
    Toante uccise Lalo e Linco, Merione uccise Licone, Menelao uccise Archeloco.
    Teucro uccise Menete figlio di Ippomedonte. Eurialo portò lo scompiglio tra le schiere nemiche e uccise Meleto.
    Apollo prese l'aspetto dell'indovino Polimestore e si avvicinò a Enea e Eurimaco e li incoraggiò assicurandoli che sarebbero vissuti ancora a lungo. I due guerrieri ripresero a combattere con rinnovato vigore e costrinsero i Greci a fuggire. A Enea e Eurimaco l'autore dedica numerosi versi descrivendo la battaglia come prova del loro coraggio e del loro vigore.
    Neottolemo, deprecando la fuga dei Greci, li incitò a reagire e si lanciò contro i nemici alla testa di un gruppo di Mirmidoni. Respingendo gli assalti dei Troiani riuscì a riequilibrare le sorti della battaglia. Neottolemo non attaccò personalmente Enea perché Teti lo indusse a cercare altri avversari per rispetto di Afrodite.
    Il vento sollevò la polvere fitta come nebbia che oscurava la vista e i combattenti colpivano alla cieca anche i propri compagni. Zeus li soccorse allontanando la polvere e permise loro di vedere di nuovo con chiarezza. La battaglia riprese sempre più violenta. Fu la volta di Atena di intervenire per incoraggiare i Greci mentre Afrodite portava il figlio Enea fuori dai combattimenti provocando nuovi problemi ai Troiani.
    La battaglia ha finalmente termine e Quinto Smirneo descrive il campo e la spiaggia cosparsi di cadaveri e di sangue, descrive il rientro dei Troiani in città, la commozione delle mogli e dei figli, il lutto delle vedove e degli orfani. La pausa è breve e con l'aurora gli scontri ricominciano, Quinto Smirneo riprende ad elencare uccisi e uccisori. Questa volta i Troiani combatterono dalle mura mentre i Greci tentano i loro assalti. Ulisse, scaltro come sempre, fece disporre i Greci compatti e coperti dai loro scudi in una sorta di testuggine. La compattezza della formazione fu infranta da un colpo micidiale di Enea che fece cadere un grande masso sugli scudi: molti Greci rimasero schiacciati, altri si dispersero disorientati e spaventati.
    Il greco Alcimedonte riuscì a salire sulle mura e tentò di aprire un varco per invadere la città ma Enea lo colpì lanciando una pietra e lo fece precipitare. Assistendo alla scena, Filottete scagliò una freccia contro Enea il cui scudo assorbì il colpo. Con una sfida senza risposta lanciata da Filottete a Enea si chiude l'undicesimo libro.

    Libro Dodicesimo


    L'indovino Calcante riunì tutti i capi degli Achei e consigliò loro di cercare uno stratagemma per conquistare Troia poiché l'impresa condotta con i tradizionali metodi di assedio non avrebbe mai avuto successo. La proposta, chiaramente, venne da Ulisse: allontanare le navi per far credere ai Troiani che i Greci fossero partiti, nascondere i migliori guerrieri greci nel ventre di un grande cavallo di legno, affidare ad un greco il compito di raccontare ai Troiani una storia per convincerli ad accogliere il cavallo in città.
    Tutti accolsero con entusiasmo la proposta di Ulisse tranne Neottolemo che espresse qualche perplessità. Ulisse indicò Epeo come il più abile artigiano, certamente il più idoneo per la costruzione del cavallo.
    A Neottolemo, che avrebbe preferito continuare a combattere, si unì Filottete ma Zeus, con un paio di fulmini scagliati davanti a loro, li indusse a cambiare parere e allinearsi con il piano di Calcante. Durante la notte, Atena visitò Epeo ispirandogli le conoscenze opportune e il desiderio di porsi subito all'opera per costruire il cavallo.
    I Greci affrontarono i boschi del Monte Ida per procurare il legname necessario, quindi tutti lavorarono alacremente per segare i tronchi e ricavare le parti da assemblare. L'opera fu completata in tre soli giorni e, grazie all'intervento di Atena, riuscì perfetta in ogni particolare.
    Lo stratagemma del cavallo divise gli dei che cominciarono a discutere poi a combattere tra loro coinvolgendo le forze della natura ma rimanendo invisibili agli uomini. Quando Zeus, che era lontano, notò la battaglia in corso tornò rapidamente sull'Olimpo e prese a scagliare le due folgori mentre Teti parlava agli dei pregandoli di cessare la lotta. Temendo l'ira di Zeus gli dei interruppero lo scontro e tornarono nelle rispettive dimore.
    Intanto Ulisse continuava a organizzare l'attuazione del suo stratagemma invitando i più forti ad entrare nel cavallo e scegliendo un giovane, sconosciuto al nemico, che fosse in grado di recitare per i Troiani l'inganno preparato. Si fece avanti Sinone affermando di essere disposto a morire pur di portare a termine la missione con successo.
    Il vecchio Nestore chiese di entrare nel cavallo ma Neottolemo lo invitò a seguire quanti avrebbero atteso a Tenedo la fine dell'azione. A questo punto l'autore invoca la Musa che gli ha dettato questo racconto quando era ancora un ragazzo (un giovane pastore, per l'esattezza!) perché gli indichi ad uno ad uno i nomi dei Greci che si nascosero nel cavallo:
    I Greci nel cavallo di legno

    Neottolemo - Menelao - Ulisse - Stenelo - Diomede - Filottete - Anticlo - Mnesteo - Toante - Polipete - Aiace d'Oileo - Euripilo - Trasimede - Idomeneo - Merione - Podalirio - Eurimaco - Teucro - Ialmeno - Talpio - Antiloco - Leonteo - Eumelo - Eurialo - Demofonte - Anfimaco - Agapenore - Acamante - Mege - Epeo

    Tutti gli altri, guidati da Nestore e Agamennone, incendiarono gli alloggiamenti e navigarono fino alle spiagge di Tenedo dove sostarono in attesa del segnale dei compagni.
    All'alba i Troiani videro il fumo che saliva dal campo nemico e constatarono la partenza delle navi. Mentre osservavano il grande cavallo furono raggiunti da Sinone e lo percossero e mutilarono per costringerlo a spiegare la decisione dei Greci. Sinone raccontò che, stanchi della guerra, i Greci avevano deciso di tornare in patria e per consiglio di Calcante avevano fabbricato il cavallo come offerta per placare l'ira di Atena. Avevano deciso di sacrificare lui stesso agli dei del mare ma Sinone era riuscito a sfuggire alla morte cercando riparo presso il cavallo (ormai consacrato a Atena).
    Una parte dei Troiani credette alle parole di Sinone ma molti altri ascoltarono Laocoonte che aveva intuito la trappola e insisteva per distruggere il cavallo. Per far tacere Laocoonte, Atena scosse la terra sotto i suoi piedi e i Troiani videro i suoi occhi scoppiare nelle orbite divenendo completamente bianchi. La punizione di Laocoonte provocò un sacro terrore nei Troiani che si affrettarono ad accogliere Sinone e a trasportare il cavallo entro le mura di Troia. Intanto due enormi serpenti vennero dal mare per volere di Atena e divorarono i due figli di Laocoonte.
    I Troiani offrivano sacrifici ma la pioggia spegneva il fuoco degli altari mentre il vino diventava sangue. Questi ed altri prodigi annunciavano la rovina senza che i Troiani se ne rendessero conto perché le Parche avevano obnubilato le loro menti. Solo Cassandra urlava nel delirio un monito terribile ai suoi concittadini, insisteva per distruggere il cavallo, tentava di colpirlo con una torcia e con un'ascia, ma inutilmente. I Troiani la credevano impazzita e non le davano ascolto mentre allegramente consumavano la loro ultima cena.

    Libro Tredicesimo


    Quella sera tutti i Troiani banchettarono allegramente bevendo molto vino, l'ubriachezza confuse le loro menti e li indusse a dormire profondamente mentre Sinone, con una fiaccola, dava il segnale convenuto ai Greci che attendevano a Tenedo e chiamava a bassa voce quanti erano nascosti nel cavallo.
    Il primo a uscire dal cavallo fu Ulisse, presto seguito dai compagni, mentre tutti gli altri sbarcavano dalle navi ed entravano a Troia indisturbati.
    Fu la strage dei Troiani: ovunque erano cadaveri, sangue e case incendiate, grida di guerra e pianto di donne. Benché ancora storditi dal vino, i Troiani si difendevano come potevano e anche molti Greci perirono durante la notte. Diomede fece molte vittime: Corebo, Euridamante, il vecchio Ilioneo, Abante, Euricoonte.
    Aiace uccise Anfimedonte, Agamennone uccise Damastoride, Idomeneo, Mimante, Mege, Deiopite.
    A Neottolemo, che stava massacrando molti nemici, si rivolse Priamo chiedendogli di ucciderlo e mettere fine alle sue sofferenze. Il figlio di Achille non esitò e con un solo colpo decapitò il vecchio re.
    I Greci precipitarono da una torre il piccolo Astianatte figlio di Ettore mentre Andromaca disperata chiedeva di essere a sua volta assassinata. Fu risparmiata la casa di Antenore che a suo tempo aveva accolto amichevolmente Ulisse e Menelao. Ispirato dalla madre Afrodite, Enea prese il padre Anchise sulle spalle, il figlio per mano e lasciò la città in fiamme protetto dalla dea. Nel vederlo Calcante predisse il destino di Enea e ordinò ai Greci di lasciarlo andare incolume.
    Menelao uccide Deifobo trovandolo addormentato nel letto di Elena, continuò a sopprimere nemici fin quando trovò Elena in un nascondiglio. L'avrebbe uccisa se Afrodite non avesse allontanato il furore dal suo cuore facendogli dimenticare l'adulterio.
    Intanto gli dei piangevano la sorte di Troia, tranne Atena ed Era che gioivano nel vedere distrutta la città di Priamo. Aiace d'Oileo violò Cassandra nel tempio di Atena provocando l'ira della dea che più tardi lo avrebbe punito.
    Etra, madre di Teseo, fu vista vagare nella città in fiamme e i Greci la scambiarono per Ecuba. A quanti stavano per catturarla, la donna spiegò di essere figlia di Pitteo e sposa di Egeo, disse di essere stata schiava di Elena e chiese di vedere i suoi nipoti Demofonte e Acamante, figli di Teseo. Fu Demofonte a risponderle e a rassicurarla. Mentre Etra abbracciava e baciava i nipoti ritrovati con grande commozione e letizia, la giovane Laodice figlia di Priamo implorava gli dei di essere inghiottita dalla terra piuttosto che essere fatta schiava. Un dio l'ascoltò e l'accontentò: si aprì improvvisamente un abisso che si richiuse quando Laodice vi fu caduta dentro.
    Il cielo la pleiade Elettra nascose il suo volto per non vedere la rovina della città di suo figlio Dardano.

    Libro Quattordicesimo


    L'aurora trovò i Greci intenti a saccheggiare le ricchezze di Troia e a catturare le donne per farne schiave.
    Menelao portava con se la moglie ritrovata, Agamennone aveva preso Cassandra, Neottolemo Andromaca ed Ulisse Ecuba. Tutte piangevano tranne Elena che seguiva a testa bassa il marito arrossendo di vergogna.
    Piangevano per la rovina di Troia il fiume Xanto, il monte Ida e il Simoenta. Intanto i Greci cantavano, offrivano sacrifici, libavano intorno agli altari e pregavano di avere fortunato ritorno, ma questo non a tutti fu concesso.
    Tra banchetti e canti tornò la sera e i Greci stanchi si ritirarono per dormire. Nella loro tenda Menelao ed Elena tornavano ai dolci amplessi.
    Neottolemo sognò il padre che gli suggeriva di comportarsi sempre da uomo saggio e benigno e gli ordinava di dire ad Agamennone che Polissena doveva essere sacrificata in sua memoria. Al mattino il giovane riunì i Greci e comunicò loro la richiesta di Achille avvertendoli che, in difetto, sarebbero stati ostacolati dalle tempeste. Per dare forza alle sue parole, Poseidone mandò sul mare "tutte le procelle insieme" e questa vista spinse i Greci ad affrettarsi.
    Polissena fu trascinata piangente fino alla tomba di Achille davanti agli occhi di Ecuba. Neottolemo tagliò la gola a Polissena invocando il padre. La giovane fu sepolta presso la casa di Antenore che l'aveva destinata a essere la moglie di suo figlio Eurimaco. Il mare si placò e i Greci si imbarcarono dopo un ultimo banchetto. Tra loro comparve un mostro: era Ecuba trasformata in cagna e poi pietrificata per volontà di Zeus. Su consiglio di Calcante fu imbarcata e sistemata sulla sponda opposta dell'Ellesponto.
    Calcante non volle partire perché prevedeva il disastro in mare e rimase a terra con il suo Amfiloco suo allievo.
    Mentre le navi si allontanavano dalla costa, Atena chiedeva a Zeus di lasciarle vendicare l'oltraggio di Aiace che aveva violato Cassandra nel suo tempio. Zeus approvò e concesse alla figlia di usare le sue armi. Con l'aiuto di Poseidone e di Eolo, la dea scatenò un'orribile tempesta che travolse molte navi achee.
    Aiace, aggrappato a uno scoglio, resisteva eroicamente alla violenza del mare ma Poseidone e Atena scagliarono contro di lui macigni immani fino ad ucciderlo.
    Il mare era cosparso di relitti, i superstiti cercavano la salvezza a nuoto o sui loro natanti danneggiati. Molti naufragarono a causa degli ingannevoli segnali di Nauplio che vendicava così la morte del figlio [Palamede]. Con terremoti, diluvio e inondazioni gli dei colpirono la Dardania finché le rovine di Troia furono sepolte in un baratro.
    I Greci sopravvissuti continuarono a navigare e ognuno di loro giunse dove il volere di Zeus lo portò.
    Mille anni dopo Quinto narrò le battaglie troiane sul Metauro alle genti italiche.