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INNI OMERICI
Sembra che in
Grecia
, almeno fino al quarto secolo, operasse una gilda di rapsodi che, secondo un costume dell'epoca attestato in molti altri casi, faceva risalire ad
Omero
le origini comuni di tutti i suoi membri. Cultori e conservatori della tradizione omerica, gli "Omerici" disdegnavano i rapsodi professionisti il cui avvento segnò forse la fine della loro istituzione. Nell'incertezza che avvolge la realtà storica di un poeta di nome
Omero
, alcuni studiosi hanno ipotizzato che proprio dalla parola "Omerici" - la cui etimologia è collegabile al concetto di riunione, di pubblica occasione - sia derivato il nome "
Omero
". Nell'ambito della gilda, che probabilmente comprendeva vari gruppi familiari, è probabile, se si segue questa ipotesi, che numerosi componenti abbiano ricevuto o scelto il nome di
Omero
in onore del leggendario capostipite. In altri termini le scuole dei rapsodi che seguivano tale corrente di poesia epica erano dette degli "Omerici" ed alcuni dei loro membri assumevano il nome di
Omero
per evidenziare la propria scelta artistica e letteraria. Gli inni omerici sono attribuiti alla gilda degli omerici di
Chio
in base a varie affermazioni di autori antichi (
Tucidide
,
Semonide
,
Teocrito
): in ogni caso quella di
Chio
dovette essere la più importante delle scuole di rapsodi.
Nella tradizione
Omero
era nato a
Smirne
(
Strabone
,
Aristotele
,
Proclo
) o comunque era di stirpe smirnea (
Eforo
,
Damaste di Sigeo
) si ritiene che questa notizia derivasse dall'esistenza di una scuola omerica a
Smirne
in tempi molto antichi. Nonostante la scarsità di dati sulle gilde omeriche minori, la diffusione della poesia epica nella
Grecia
arcaica attesterebbe l'esistenza di numerose scuole di questo genere nelle diverse città.
Nel complesso si può affermare che gli Inni sono scritti in linguaggio tradizionale, che probabilmente furono composti oralmente e scritti in epoche successive più o meno distanti dalla loro originale composizione.
Quest'ultima considerazione rende molto problematica la datazione degli inni stessi in quanto le varie caratteristiche del linguaggio possono risentire degli usi dell'epoca della redazione scritta, oltre che di quella della composizione orale. Quanto alla compilazione della raccolta si ritiene che sia stata effettuata in età tarda, fra il quarto ed il secondo secolo a.C. a fini professionali: il fatto che alcuni inni siano costituiti da soli esordi e congedi dimostrerebbe che la silloge doveva avere uso di prontuario, una sorta di "manuale del rapsodo", come è stata definita, che il cantore utilizzava per trarne interi brani da recitare esattamente o ai quali apportare di volta in volta sue personali varianti.
Solo fra il secondo ed il primo secolo a.C. la silloge, probabilmente per l'interesse mitografico degli Inni, uscì dalla ristretta cerchia delle scuole rapsodiche per riscuotere qualche rinomanza negli ambienti eruditi greci e latini.
INNO I
A
DIONISO
L'inno inizia con l'enumerazione dei vari luoghi che venivano talvolta ritenuti patria di
Dioniso
: il
monte Dracano
(citato anche da
Teocrito
e da
Nonno
, ma di incerta identificazione), l'
isola Icaria
,
Nasso
, il fiume
Alfeo
o
Tebe
(nella tradizione più diffusa
Semele
, madre di
Dioniso
era tebana). Tuttavia l'autore dell'inno sostiene che
Dioniso
venne al mondo in un luogo lontano dagli sguardi degli uomini, il
monte Nisa
, "ben oltre la
Fenicia
, presso le correnti di
Egitto
".
Dopo una lacuna prosegue con le parole finali di un discorso con cui
Zeus
promette a
Dioniso
che gli uomini gli tributeranno onori, feste e sacrifici.
Segue il congedo in cui il rapsodo invoca il favore di
Dioniso
, dio sempre ricordato dagli aedi all'inizio ed alla fine di ogni loro esibizione.
INNO II
A
DEMETRA
I
Greci
interpretavano il nome
Demetra
come "Terra Madre". Nel mito arcaico
Demetra
si trasforma in giumenta per sfuggire a
Poseidone
ma questi assume a sua volta le forme di un cavallo e la raggiunge.
Mentre in età arcaica è confusamente identificabile con
Gea
(la Terra), nell'epoca classica diviene chiaramente la dea che dona agli uomini i cereali e che ha insegnato loro l'agricoltura. Si unisce con l'eroe
Iasione o Iasios
sui campi appena arati dando vita a
Pluto
che rappresenta l'abbondanza dei raccolti. La figlia
Persefone
, il cui nome è certamente preellenico, regna sul mondo dei morti. In
Omero
Persefone
non è mai definita figlia di
Demetra
. Nell'inno omerico
Persefone
viene rapita da
Aidoneo
, signore degli Inferi. Per placare
Demetra
che vietava alle messi di crescere,
Zeus
decreta che
Persefone
passi un terzo dell'anno negli inferi e gli altri due sulla terra. Quindi
Persefone
ritorna sulla Terra le piante tornano a fiorire, questa allegoria ce la indica come dea della vegetazione.
Demetra
e
Persefone
erano venerate nei riti misterici di
Eleusi
dei quali ovviamente non si sa molto proprio a causa del segreto che vincolava gli iniziati. Dopo una notte di canti che ricordavano il mito del rapimento di
Persefone
il sacerdote (ierofante) invocava la
Core
, appellativo della dea che significa "la fanciulla" e quindi mostrava ai fedeli una spiga, simbolo del concepimento e della nascita del bambino
Brimos
(temibile, forte), ovvero
Pluto
. Se i Misteri derivano quasi certamente da un antico rituale agrario celebrato per propiziare l'abbondanza del raccolto, il progressivo inserirsi del concetto di
Persefone
come regina degli Inferi ne fa anche (forse soprattutto) una liturgia connessa alla vita ultraterrena i cui obiettivi non si realizzeranno in questo ma nell'altro mondo. L'inno a
Demetra
viene generalmente datato negli ultimi decenni del
settimo secolo
.
L'inno
Persefone
fu rapita da
Aidoneo
(
Ade
) mentre giocava con le figlie di
Oceano
un giorno di primavera in un prato fiorito. Il dio degli Inferi apparve improvvisamente da una voragine e rapì la fanciulla che si era allontanata della compagne per raccogliere fiori.
Sconvolta dal dolore, la madre
Demetra
vagò per nove giorni sulla terra in cerca della scomparsa
Persefone
. Si unì alla ricerca la dea
Ecate
, infine
Demetra
interrogò
Elio
e da questi apprese che
Ade
aveva rapito
Persefone
con il consenso di
Zeus
per farne la sua sposa. Offesa ed adirata contro
Zeus
,
Demetra
abbandonò l'
Olimpo
e si dette a vagabondare, con aspetto umano, fra le città della terra, fino a che non giunse nella casa di
Celeo
, signore di
Eleusi
.
Alle figlie di
Celeo
Demetra
, che appariva come una vecchia, raccontò di chiamarsi Demo e di provenire da
Creta
, rapita dai pirati era riuscita a fuggire ed aveva vagabondato fino a
Eleusi
. Per intercessione delle fanciulle
Demetra
venne accolta nella casa e
Metanira
, moglie di
Celeo
le affidò il compito di allevare il suo figlio più piccolo. Ospite di
Metanira
,
Demetra
rifiutò il vino e chiese di bere il
ciceone
, bevanda composta di acqua, farina d'orzo e menta, che diverrà bevanda rituale della liturgia di
Eleusi
.
Metanira
propose alla visitatrice di rimanere presso di lei e di occuparsi del figlio
Demofonte
, incarico che
Demetra
accettò di buon grado. Nell'allevare
Demofonte
,
Demetra
iniziò una pratica che avrebbe reso il ragazzo immortale: di notte, di nascosto dai genitori, lo poneva nel fuoco. Dopo qualche tempo però
Metanira
la scoprì e, temendo per la vita del figlio, interruppe il rituale. Davanti al terrore di
Metanira
Demetra
, adirata si rivelò: ora
Demofonte
non potrà aspirare all'immortalità, tuttavia gli sarà concesso il privilegio imperituro di una festa annuale ad
Eleusi
. Ordinando la costruzione di un tempio in suo onore
Demetra
assunse il suo aspetto abituale, al cospetto della sconvolta
Metanira
e uscì dalla casa. L'indomani
Celeo
ordinò la costruzione del nuovo tempio e quando questo fu pronto
Demetra
vi si stabilì, ma nel cuore della dea non si era sopito il rimpianto per la figlia perduta. Quell'anno la dea impedì che i semi germogliassero, il raccolto mancò e gli uomini soffrirono la fame.
Zeus
, preoccupato dalla carestia mandò
Iride
a chiamare
Demetra
ma la dea rifiutò di presentarsi finchè non avesse rivisto
Persefone
. Ad uno ad uno tutti gli dei tentarono, senza successo, di indurla a rinunciare a questa posizione. Infine
Zeus
inviò
Ermes
nell'
Erebo
per convincere
Ade
a lasciar tornare la giovane alla luce del sole.
Ermes
spiegò ad
Ade
la terribile rappresaglia di
Demetra
e lo persuase a lasciarla andare.
Ade
accettò ma prima che la sposa prendesse commiato le fece mangiare alcuni semi di melograno. L'aver preso cibo nel regno dei morti era ritenuto un legame indissolubile, inoltre il melograno, così ricco di semi, era considerato un simbolo di fertilità sacro ad
Afrodite
, è quindi una sorta di filtro amoroso quello che
Ade
porge a
Persefone
per essere certo che tornerà da lui.
Demetra
, dopo aver abbracciato la figlia, sospettò l'inganno e chiese alla giovane se nell'
Erebo
avesse toccato cibo. Quando
Persefone
ammise di aver mangiato il melograno fu chiaro ad entrambe che la fanciulla dovrà trascorrere almeno una stagione ogni anno presso
Ade
. Durante quella stagione la terra rimarrà sterile e nessun seme germoglierà.
Zeus
confermò la sentenza ed inviò
Rea
a chiamare
Demetra
perché tornasse nell'
Olimpo
ponendo fine alla discordia. Prima di lasciare la Terra
Demetra
insegnò a
Celeo
e ad altri monarchi la norma rituale dei misteri a cui solo gli iniziati avrebbero potuto accedere.
INNO III
AD
APOLLO
La figura di
Apollo
, per la quantità delle sue attribuzioni e la ricchezza delle sue funzioni risulta fra le più complesse, se non la più complessa dell'
Olimpo
greco. Ispiratore della musica e della poesia, guaritore, garante della legge e delle pace, dio del vaticinio, purificatore e a volte protettore dell'agricoltura e della pastorizia, presenta anche aspetti oscuri, da divinità infera, dispensatrice di pestilenze e di morti improvvise. E' infatti tipico della mentalità greca che ogni potente attributo divino ammetta nello stesso dio il suo contrario, quindi se
Apollo
è per antonomasia "colui che tiene lontano il male", può essere anche colui che con le sue terribili frecce toglie improvvisamente la vita o che si vendica delle offese ricevute scatenando epidemie, come avviene, ad esempio, nel primo canto dell'
Iliade
. La sua capacità di allontanare i mali sembra derivare dalla sua funzione di purificatore (
Febo
=Puro) in quanto la malattia e le epidemie erano sempre associate al concetto di "impurità". Da qui a fare di
Apollo
anche un dio della medicina il passo è ovviamente breve. Anche il vaticinio è spesso legato a queste funzioni in quanto gli oracoli possono costituire delle "ricette" per allontanare o guarire le impurità. Inoltre in antico l'attività del medico che individua la natura delle malattie e ne prevede il decorso era considerata di carattere divinatorio.
Controverse le origini del mito di
Apollo
, prevale oggi la teoria che sia divinità di origine orientale. Alcuni studiosi ne trovano conferma nel fatto che nell'
Iliade
Apollo
è alleato dei Troiani. Anche nel terzo inno omerico si troverebbe un elemento estraneo alla mentalità religiosa greca, costituito dal timore e dallo stupore degli altri dei all'entrata di
Apollo
. Un'ipotesi di qualche spessore è che
Apollo
sia di origine
Licia
e sia entrato nell'
Olimpo
greco per il tramite dei cretesi verso il XV secolo a.C.
L'isola di
Delo
fu abitata già nel terzo millennio a.C. da una popolazione di origine anatolica. Nel secondo millennio vi si insediarono i
Greci
. L'attività cultuale sull'isola è attestata da documenti archeologici risalenti all'inizio del secondo millennio. Dopo un periodo di decadenza, alla fine dell'età micenea, i templi di
Delo
rifiorirono per divenire nel settimo secolo il centro religioso della
Grecia
insulare e della
Ionia
. Con
Pisistrato
,
Delo
entrò nell'influenza ateniese, influenza che si accentuò con le
guerre persiane
. In età preellenica a
Delo
non si venerava
Apollo
ma una divinità femminile con attributi simili a quelli di
Artemide
. Si ritiene che il culto di
Apollo
si consolidò fra il XIII e il XII secolo a.C. nell'isola di
Delo
prima che nel resto della
Grecia
. Il santuario di
Delo
ed il suo oracolo conobbero la loro massima fama nel VII secolo per poi decadere nel VI e nel V, eclissati a favore dell'oracolo di
Delfi
. Dalla prima metà del secondo millennio in poi furono venerate a
Delo
anche le due tombe delle "fanciulle iperboree", collegate al mitico
popolo Iperboreo
descritto da più fonti come residente presso il
Danubio
. Non è certo se questa circostanza debba considerarsi come indizio di una provenienza del culto di
Apollo
dall'
Europa
centrale o se si tratti di un mito più antico dell'affermazione del culto apollineo.
Anche nel caso di
Delfi
il culto di
Apollo
ne sostituì uno precedente di età micenea.
Apollo
ereditò il santuario da una divinità femminile ctonia (forse
Gea
) e dal suo
paredro
Poseidone
. (Il
paredro
era una divinità maschile che in questi casi svolgeva un ruolo minore come compagno della dea). Nell'inno omerico questa sostituzione cultuale è forse adombrata da
Apollo
che conquista a
Delfi
il luogo ove sorgerà il suo tempio sconfiggendo un terribile "drago femmina". La fama di
Apollo
Pitico presso i rapsodi dimostra che il culto di
Apollo
a
Delfi
si attestò non più tardi del nono secolo. Dall'ottavo secolo il santuario delfico raggiunse la massima importanza. Lottarono a lungo per il controllo di
Delfi
la città di
Crisa
in
Focide
da una parte e la "Lega Anfictionica" composta da città beote e focesi dall'altra. Nel sesto secolo la rivalità portò alla "guerra sacra" che che si concluse con la distruzione di
Crisa
. La comunità di
Delfi
che probabilmente era indipendente prima della guerra sacra, passò così sotto il parziale controllo della Lega Anfictionica che pur lasciando autonomia politico amministrativa alla piccola polis, governava direttamente l'ingente patrimonio del santuario. L'oracolo di
Apollo
, pronunciato tramite la sacerdotessa detta
Pizia
, dichiarava di annunciare la volontà di
Zeus
e non di predire il futuro. Controversa è l'interpretazione dell'eccitazione che, secondo le fonti, coglieva la
Pizia
quando proferiva i responsi. Per alcuni si trattava di un delirio di tipo dionisiaco, per altri di un'estasi derivante dall'ispirazione. Nei rapsodi i responsi oracolari risultati errati sono considerati un castigo verso postulanti empi, colpevoli di inosservanze rituali o di non aver versato le offerte. Più tardi prevale la tesi che gli errori erano da attribuirsi a difetti di interpretazione da parte degli uomini. Un noto esempio di questa tesi è nelle vicende di
Creso
narrate da
Erodoto
. L'intensa frequentazione del santuario da parte di visitatori provenienti da tutta la
Grecia
procurava vaste informazioni al clero delfico, informazioni che venivano utilizzate per formulare i responsi risultati attendibili. Del resto l'oracolo veniva consultato frequentemente sui temi politici di più calda attualità. Importanti furono, fra l'altro, i responsi delfici nei momenti decisionali che portarono alla fondazione di molte colonie in
Sicilia
ed in
Italia
. I rapporti fra i
Focesi
e le colonie occidentali attestati già in età micenea, spiegherebbero la possibilità dell'oracolo di fornire informazioni sui territori italici agli aspiranti colonizzatori.
E' opinione diffusa ed accettata dalla critica moderna che il terzo inno sia la risultante di due inni uniti insieme, il primo dedicato ad
Apollo Delio
ed il secondo ad
Apollo
Delfico, composti da due diversi rapsodi oppure, e più probabilmente si tratti dell'opera di un rapsodo che abbia esteso ed integrato un inno preesistente. Queste opinioni si basano soprattutto sul fatto che dal verso 165 inizia un congedo del cantore dopo il quale l'inno prosegue per altri 360 versi. Inoltre differenze linguistiche e stilistiche, sia pur non fondamentali, corroborano l'ipotesi di due diversi autori. Il primo inno è datato fra l'ottavo ed il settimo secolo, mentre il secondo risale al sesto.
L'inno ad
Apollo
L'ingresso di
Apollo
nella sede degli dei sull'
Olimpo
incute timore negli immortali. Soltanto
Leto
lo accoglie con tranquillità, prende e ripone il suo arco e la sua faretra e lo conduce a sedere accanto al padre.
Apollo
viene accolto dal padre che gli offre il nettare e
Leto
si compiace di averlo generato. Nell'inno il dio è invocato a questo punto con il nome di
Febo
(puro, purificatore). Si racconta la sua nascita:
Leto
aveva a lungo vagato cercando una terra che la accogliesse durante il parto ma era stata ovunque respinta per timore della potenza del nuovo dio (in altri autori - come
Callimaco
- la causa del timore è la gelosia di
Era
). Infine giunse all'arida
Delo
alla quale promise le ricchezze indotte dal tempio che sarebbe sorto in onore di suo figlio.
Anche
Delo
esita perché ha sentito dire che nascerà un dio indomabile e violento che non gradendo la natura rocciosa dell'isola potrebbe farla inabissare per recarsi altrove. Tuttavia il giuramento di
Leto
che promette a
Delo
culto imperituro vale a farla accogliere benevolmente.
Le doglie di
Leto
si prolungano per nove giorni e nove notti. Per volere della gelosa
Era
, infatti, la dea
Ilitia
"che procura il travaglio del parto" era stata tenuta all'oscuro dell'imminente nascita di
Apollo
. Le dee che assistono
Leto
mandano infine
Iride
ad avvertire
Ilitia
senza farsi notare da
Era
ed all'arrivo della divinità che provoca il parto, le doglie di
Leto
si risolvono rapidamente con la nascita di
Apollo
. Nutrito con il nettare e l'
ambrosia
Apollo
cresce con prodigiosa rapidità e ben presto è in grado di scegliere e dichiarare i suoi attributi: la cetra, l'arco e la parola oracolare ("io rivelerò agli uomini l'immortale volere di
Zeus
"). così
Delo
fu la culla di
Apollo
e fu ricompensata con il sorgere del grande santuario nel quale il dio stabilì la prima sede del suo oracolo. Presso il tempio si celebrano feste ed agoni, vi vivono le fanciulle ancelle del dio che sanno cantare inni antichissimi in lingue diverse. A questo punto l'aedo, nel congedo della prima parte del canto, contrariamente alla tradizione rapsodica, allude a se stesso e si presenta come "un uomo cieco, che vive nella rocciosa
Chio
".
Con una nuova invocazione
Apollo
viene definito signore di
Delo
, si tratta evidentemente delle sutura fra le due parti dell'inno. Dalla terra ascende all'
Olimpo
e qui si svolgono cori nei quali cantano le
Muse
, le
Ore
, le
Grazie
,
Ebe
,
Armonia
ed
Afrodite
. Con queste dee canta e danza anche
Artemide
, sorella di
Apollo
. Danzano
Ares
ed
Ermes
. L'aedo passa a cantare gli amori e le avventure di
Apollo
alla ricerca del luogo dove fondare un nuovo santuario. Nella descrizione del vagabondare del dio vengono citate numerose località connesse al suo mito ed al suo culto. Infine
Apollo
giunge nel territorio di
Crisa
e qui getta le fondamenta del tempio. Alla fonte prossima al tempio
Apollo
uccide la mostruosa
Dracena
o dragonessa, rettile immane. La
Dracena
era stata la nutrice di
Tifone
che in questo inno nasce per partenogenesi da
Era
, desiderosa di vendicarsi perché
Zeus
ha generato da solo
Atena
.
L'episodio della gelosia di
Era
e della nascita di
Tifone
sono raccontati in un brano digressivo che i critici considerano un'interpolazione.
Apollo
dunque, con il suo infallibile arco, uccide la
Dracena
per liberare la zona del suo tempio dalla mostruosa creatura che avrebbe sterminato i fedeli. Fondato il tempio
Apollo
si chiede quali uomini saranno sacerdoti ed in quel momento scorge una nave proveniente da
Creta
.
Apollo
, assunto l'aspetto di un enorme delfino, raggiunge la nave e salta a bordo, mentre i marinai esterrefatti contemplano l'animale e la nave, non più obbedendo al timone, prende a navigare verso l'isola. Giunto a terra il dio assume il suo aspetto divino ed invita i Cretesi a sbarcare. Spiega ai marinai che sono stati scelti per essere custodi del suo tempio ed ordina di costruire sulla spiaggia un'ara che sarà detta delfica in memoria del delfino di cui aveva assunto l'aspetto. Ai suoi nuovi sacerdoti
Apollo
profetizza la futura ricchezza del tempio che sarà visitato da tutte le genti e riceverà grandi doni, tuttavia li avverte che più tardi saranno sottomessi da altri uomini ai quali saranno soggetti per sempre. In questi versi si allude evidentemente al dominio dell'
Anfictionia
su
Delfi
.
INNO IV
A
ERMES
La complessa figura di
Ermes
è connessa fin dalle testimonianze più antiche con la pastorizia e - in genere - con l'allevamento di animali domestici. così nella letteratura (per es. nell'
Odissea
,
Eumeo
sacrifica a
Ermes
), così nella plastica dove il dio è spesso rappresentato con un ariete sulle spalle. Anche in questo inno omerico
Ermes
contende ad
Apollo
un armento, glielo ruba ed infine lo ottiene in cambio della lira. Dio propizio per la riproduzione del bestiame è dunque un dio della fecondità come dimostrerebbe l'attributo fallico dell'erma, scultura di pietra a lui dedicata.
Poiché i pastori sono nomadi
Ermes
viene considerato anche protettore di chi viaggia e delle strade. Questa caratteristica a sua volta finisce con l'attribuirgli il compito di guidare l'uomo anche nel suo ultimo viaggio, quello verso gli Inferi. Questa funzione è da considerarsi benefica in quanto le anime senza guida non saprebbero raggiungere la loro sede definitiva e sarebbero condannate a rimanere sospese fra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Ermes
inoltre accompagna sempre coloro che per vari motivi, ritornano dal mondo dei morti in quello dei vivi, come
Persefone
,
Eracle
dopo la cattura di
Cerbero
, l'ombra di
Dario
nei
Persiani
di
Eschilo
.
Per molti aspetti
Ermes
è servitore degli altri dei, talvolta deriso e denigrato proprio per questa caratteristica. Egli è il dio messaggero spesso inviato da
Zeus
per rendere noto il suo volere o per compiere altre missioni, presso gli uomini e presso gli dei inferi. Tuttavia questi servizi sembrano derivare da una particolare attitudine di
Ermes
: quella di volentieri interagire con l'umanità. Divinità fondamentalmente benigna,
Ermes
protegge, come si è detto, i pastori e gli armenti ed in generale tutte le attività umane. Questa disposizione positiva lo porta ad essere anche nume tutelare delle fortune umane, "dispensatore di beni", e difensore contro i pericoli. Astuto ed eclettico egli è l'inventore della lira e della siringa, poi rispettivamente cedute ad
Apollo
e
Pan
.
La sua immagine di messaggero, talvolta coppiere, in genere servitore degli dei, ne fece il dio preferito nel culto delle componenti più umili della popolazione. Nondimeno egli è anche associato a potenti dinastie di regnanti, fra cui quella mitica dei
Pelopidi
. E' lui a donare ad
Atreo
e
Tieste
l'agnello d'oro che sarà causa, in quanto emblema di potere, della tragica contesa fra i due fratelli.
Ermes
è considerato anche il dio dei ladri. Ladro egli stesso penetra nei luoghi chiusi "come una nebbia". Questa abilità lo aiuta in imprese come l'uccisione di
Argo
e la liberazione di
Io
. Questo mito, di origine antichissima, rappresenta la rivalità fra il ladro ed il custode del bestiame.
E' anche il dio dei commercianti. Il parallelo fra i ladri ed i commercianti ha suscitato facili ironie anche nei rapsodi ma va riferito agli aspetti avventurosi che, in quei tempi, interessavano la vita dei mercanti come quella dei ladri. Suo attributo è il caduceo che rappresenta uno strumento magico, il vincastro del pastore e l'insegna dell'araldo. Il nome di
Ermes
deriva probabilmente dalla matrice indoeuropea *SER -, generalmente legata all'umidità, concetto spesso in relazione con quello di fertilità (la fertilità del bestiame come dono del dio).
Ermes
viene identificato dall'antico poeta
Ipponatte
con Candaule, un dio della
Lidia
che, come
Ermes
, aveva l'attributo di "uccisore di cani".
Queste ed altre considerazioni linguistiche sembrano accreditare la tesi dell'origine indoeuropea del culto di
Ermes
.
Nell'inno si attribuisce ad
Ermes
l'invenzione della lira, che il poeta chiama Kithara in quanto il termine lira è più tardo. Strumenti di questo genere, a tre o quattro corde, sono raffigurati già su vasi e manufatti risalenti all'età micenea. La lira di
Mercurio
è a sette corde, innovazione attribuita a
Terpandro
, vissuto nel settimo secolo, epoca nella quale si colloca la composizione dell'inno o, almeno, della sua prima parte.
Per contro considerazioni linguistiche e filologiche hanno portato alcuni studiosi a datare l'inno fra il sesto e il quinto secolo.
In ogni caso rimane accertato che il rapsodo che compose l'inno ad
Ermes
non apparteneva alla stessa scuola dell'autore (o degli autori) dell'
Iliade
e dell'
Odissea
.
L'inno
Ermes
nacque dai connubi segreti di
Zeus
con la
ninfa
Maia
. Nato all'aurora a mezzogiorno suonava la lira e dopo il tramonto derubò
Apollo
delle sue vacche. Il primo essere vivente incontrato da
Ermes
appena uscito all'aperto è una tartaruga, egli se ne rallegra e la prende con se. Per i
Greci
la tartaruga era un portafortuna, inoltre la lira inventata dal dio aveva un guscio di tartaruga come cassarmonica.
Infatti
Ermes
prevede "e se tu mi morissi, allora sapresti cantare a meraviglia".
Ermes
si affretta a sacrificare l'animale per costruire il suo strumento col quale prende subito ad esercitarsi cantando le glorie dei suoi genitori.
Calata la notte
Ermes
raggiunge i monti della
Pieria
, rapisce cinquanta delle vacche di
Apollo
e le porta via facendole camminare a ritroso, per confondere le orme.
Giunto alle sue stalle presso il fiume
Alfeo
e rinchiusa la preda
Ermes
accende un gran fuoco e sacrifica due vacche. Divise le vittime in dodici parti le arrostisce ma rinuncia a consumarle. La spiegazione di questo fatto singolare è stata così proposta: le dodici parti erano dedicate ai "
dodici dei
", una sorta di élite divina di cui lo stesso
Ermes
faceva parte.
Poiché le carni vengono cotte e non bruciate gli altri undici dei non le ricevono (la parte per il dio nei sacrifici veniva carbonizzata), quindi
Ermes
si astiene per correttezza dal consumare la propria.
Completato il sacrificio
Ermes
torna silenziosamente nella dimora materna e, riprendendo l'aspetto di un neonato finge di dormire, ma non inganna
Maia
che lo rimprovera per le sue imprese notturne.
Ermes
dichiara di voler vivere nell'
Olimpo
al pari degli altri dei e di voler diventare il re dei ladri, non teme affatto l'ira e la vendetta di
Apollo
.
Frattanto
Apollo
ha scoperto il furto ed interroga un vecchio contadino che aveva visto passare
Ermes
con le vacche, il vecchio gli dice di aver visto un fanciullo compiere il furto ed un volo d'uccello è il segno che indica ad
Apollo
la direzione presa dal ladro.
In altri autori
Apollo
fa a meno di questi aiuti e scopre
Ermes
grazie alla propria chiaroveggenza.
Comunque
Apollo
giunge alla casa di
Maia
e, adirato, interroga il bambino minacciandolo di scagliarlo nel
Tartaro
se non riavrà le sue vacche.
E' gustosa la finta ingenuità con cui
Ermes
risponde dichiarandosi innocente, protestandosi troppo piccolo per poter competere con
Apollo
, arriva addirittura a negare di sapere cosa sia una vacca. L'ira di
Apollo
è subito mitigata dalla sua divertita ammirazione della sfacciataggine del piccolo ladro al quale profetizza che toccherà il titolo di "re dei furfanti".
I due intavolano una lunga discussione ed infine
Apollo
non riuscendo ad ottenere soddisfazione trascina
Ermes
di fronte a
Zeus
dove "era pronta la bilancia della giustizia". Davanti a
Zeus
Ermes
giura di non aver portato a casa sua le vacche di
Apollo
, non lo ha fatto in effetti ma le ha nascoste presso il fiume
Alfeo
.
La sua astuzia diverte anche
Zeus
che bonariamente ordina ai due fratelli di recuperare le vacche e mettere fine alla contesa.
Ermes
accompagna
Apollo
presso il nascondiglio delle vacche ma qui lo stupisce di nuovo prendendo la lira e cominciando a cantare.
Apollo
è affascinato dall'invenzione di
Ermes
e gli offre la sua amicizia ed alleanza chiedendogli di insegnargli a suonare il nuovo strumento.
Ermes
gli offre subito la lira chiedendogli in cambio le vacche di cui avrà cura, dice, personalmente fino ad ottenere mandrie numerose (origine, dunque, della prerogativa di
Ermes
come protettore del bestiame e dei pastori).
Apollo
accetta di buon grado lo scambio e, ottenuta la lira prende a sua volta a cantare.
Da allora i due dei furono legati da grande amicizia, si scambiarono giuramento di lealtà ed
Ermes
ebbe in dono da
Apollo
il caduceo d'oro come insegna. L'unico privilegio che
Apollo
non può spartire con
Ermes
è la sua facoltà oracolare che gli proviene da
Zeus
e che ha giurato di mantenere segreta. Tuttavia anche in questo intende offrire qualcosa ad
Ermes
e gli fa dono di uno sciame di api prodigiose, dotate di chiaroveggenza. In effetti pare che non lontano dal santuario delfico si trovasse un tempio di
Ermes
i cui sacerdoti pronunciavano oracoli e presagi interpretando, appunto, il volo ed il comportamento delle api.
Da parte sua
Zeus
concesse ad
Ermes
di essere signore dei leoni, dei cinghiali, dei cani e di tutto il bestiame.
INNO V
A
AFRODITE
Notoriamente
Afrodite
è dea del "
gamos
", l'amplesso. E' anche divinità del matrimonio, dell'unione legittima, tanto che in alcuni autori l'adulterio, è considerato conseguenza della sua ira. In senso lato rappresenta la "forza" che congiunge l'elemento maschile con l'elemento femminile, è dunque principio vitale, talvolta manifestato con allegoria magica tramite l'amuleto che è la sua famosa "cintura". In sostanza, il culto di
Afrodite
è uno dei tanti dedicati alla fecondità della natura, però nel suo caso il concetto del "desiderio" prevale su quello della fertilità, di conseguenza ad
Afrodite
si rivolge anche l'amante non corrisposto, come quello omosessuale.
Il culto di
Afrodite
comprendeva molti aspetti arcaici, in generale legati alla fecondità ed al raccolto. A volte è descritta o rappresentata come androgina, a volte barbuta, attributi forse risalenti ad una più antica divinità straniera della quale, verso il quarto secolo, derivò la figura di
Ermafrodito
.
Il carattere di "dea madre", anch'esso di origine arcaica, era adombrato dai molti amanti di
Afrodite
, fra i quali
Anchise
(dal quale nacque
Enea
) ed
Adone
.
E' madre di
Eros
che, secondo
Simonide
nacque da lei soltanto, secondo altre fonti è di volta in volta figlio di
Urano
,
Zeus
,
Ermes
,
Efesto
o
Ares
.
Non mancano gli aspetti ctonii del personaggio che a volte veniva identificato con
Persefone
o, quanto meno, ne condivideva gli attributi.
Gli studiosi concordano nell'individuare nel culto di
Afrodite
origini fenicie e più generalmente semitiche. Nella mitologia greca
Afrodite
condivideva attributi della dea semitica
Astarte
, come la colomba.
Ad
Afrodite
era connesso in
Grecia
il complesso rito della prostituzione sacra, rito di origine genericamente orientale e non necessariamente semitica. Il rito presentava due aspetti: quello templare (esercitato da sacerdotesse o schiave del tempio) e quello a cui, in determinate epoche o regioni, erano tenute tutte le donne una volta nella vita prima del matrimonio. Il primo aveva probabilmente significato espiatorio, il secondo - che veniva attuato solo con stranieri - era connesso al concetto che la deflorazione fosse sacrilega e pericolosa.
Erodoto
descrive questa seconda usanza presso i Babilonesi, attestando in questo caso un precedente semitico.
Anche il mito di
Adone
, figlio dell'incesto fra
Cinira
e
Mirra
, amato da
Afrodite
e ucciso da un cinghiale, identificabile con il dio fenicio
Tammuz
testimonierebbe una componente semitica del culto della dea.
Nella complessa genesi del mito di
Afrodite
le fonti adombrano anche altre possibili origini, per esempio
Creta
(come in
Saffo
), o in
Anatolia
(di qui i suoi rapporti con
Anchise
e con
Enea
).
Le ipotesi sull'etimologia del nome
Afrodite
sono diverse: si è pensato ad APHR- ODITE (colei che cammina sulla spuma), ma le forme verbali sembrano anomale. Altri credono che il nome possa derivare dal fenicio
Astoret
(
Astarte
). In ogni caso si ritiene che il nome sia di origine non ellenica. L'ipotesi più diffusa è dunque che il culto di
Afrodite
, di origine orientale, sia stato incontrato in
Asia Minore
dagli Achei e da questi diffuso a tutti i
Greci
che via via identificarono la dea con varie divinità locali della fertilità.
Le fonti parlano di numerose tombe di
Anchise
, variamente dislocate: sul
Monte Ida
nella
Troade
o in
Sicilia
.
Anchise
, all'origine del mito, doveva rappresentare un
paredro
della dea madre poi identificata con
Afrodite
. In questo tipo di leggende l'eroe, dopo la ierogamia, veniva spesso ucciso o evirato ma nel caso di
Anchise
la sua trasposizione nel mito dinastico che lo vuole capostipite di una stirpe di principi troiani mitiga il suo destino ad una meno grave invalidità.
Riguardo all'inno ad
Afrodite
si ritiene che i particolari della ierogamia in esso narrata siano stati impiantati a scopo encomiastico nei confronti di una casata da parte del rapsodo che compose l'inno. Numerose erano infatti le famiglie nobiliari "Eneadi", che si ritenevano o dichiaravano discendenti di
Ascanio
e di
Enea
, dunque di
Anchise
.
E' opinione diffusa che il quinto inno risalga al VII secolo, sia cioè non molto posteriore ai poemi omerici.
L'inno
Invocazione alla Musa per cantare le "opere di
Afrodite
d'oro" che sono nel cuore di tutti gli dei, degli uomini e degli animali. Solo tre dee non risentono delle sue arti:
Atena
,
Artemide
,
Estia
, le dee vergini. Anche il sommo
Zeus
può essere ingannato da
Afrodite
che spesso lo spinge ad unirsi con donne mortali.
A sua volta, per rivalsa,
Zeus
le infuse il desiderio di unirsi al mortale
Anchise
.
Anchise
era pastore sull'
Ida
e qui
Afrodite
, in aspetto umano, si recò per incontrarlo.
Afrodite
si finse una fanciulla rapita misteriosamente da
Ermes
durante una danza rituale. Facilmente
Afrodite
sedusse
Anchise
, raccontando che
Ermes
le aveva ordinato di diventare sua sposa. Dopo l'unione la dea si manifestò all'attonito mortale e predisse la nascita di un figlio che si sarebbe dovuto chiamare
Enea
(da
Ainos
-
tremendo
per il tremendo connubio fra dea e mortale) e che avrebbe regnato sui discendenti dei troiani.
Nel suo discorso
Afrodite
elenca esempi di ierogamia:
Ganimede
rapito da
Zeus
,
Titone
sposo di
Aurora
.
Afrodite
avvertì infine
Anchise
che dopo quattro anni gli avrebbe portato suo figlio, nutrito dalle
Oreadi
, e gli ordinò di non raccontare mai ai mortali chi fosse la madre.
INNO VI
A
AFRODITE
Questo brevissimo inno era probabilmente l'esordio di un componimento più lungo. Vi si narra il mito di
Afrodite
che nasce nel mare dalla spuma dispersa dai genitali recisi di
Urano
. L'origine del mito è antichissima ed è stata riferita al concetto dell'acqua come origine primordiale della vita. L'episodio dei genitali di
Urano
, anche esso arcaico, sarebbe entrato in relazione con
Afrodite
più tardi. Il mito è presente anche nella
Teogonia
di
Esiodo
ma in molti altri autori, nonché nell'
Iliade
e nell'
Odissea
,
Afrodite
è figlia di
Zeus
.
Afrodite
viene descritta nell'inno mentre sorge dal mare e viene accolta dalle
Ore
che la vestono ed ornano di monili, quindi la conducono di fronte agli immortali che le danno il benvenuto. Molti dei la chiedono in moglie, tutti contemplano ed ammirano il suo aspetto.
INNO VII
A
DIONISO
Viene narrato un rapimento subito da
Dioniso
ad opera dei pirati.
Incerta la posizione cronologica dell'inno, le opinioni degli studiosi vanno dall'epoca dei poemi omerici all'età ellenistica.
Probabilmente il mito del rapimento si originò in isole esposte alla pirateria fedeli di
Dioniso
. Quindi rappresenterebbe il conflitto fra i perenni nemici della popolazione ed il dio più caro alla popolazione stessa.
L'inno
Dioniso
giovinetto viene rapito dai pirati che lo credono un nobile rampollo dal quale ricavare un lauto riscatto. Vani sono i tentativi di legare il dio perché i legami si sciolgono da soli. Subito avvengono prodigi: sulla nave piove vino e crescono edera e tralci di vite.
Infine la preda si trasforma in un leone, ghermisce il capo dei pirati e mette in fuga tutti gli altri. Ha pietà del timoniere che, solo, aveva subito intuito la sua natura divina ed aveva esortato i compagni a liberare il prigioniero.
INNO VIII
A
ARES
L'ottavo inno è in realtà una preghiera liturgica ad
Ares
, inserita forse per errore fra gli inni omerici ed attribuita ad un poeta orfico del
primo secolo a.C.
(forse
Proclo
). Nell'inno
Ares
è identificato con il pianeta omonimo, e rappresenta quindi una divinità astrale, l'intero componimento segue la concezione orfica che vede il mito come una volgarizzazione della teologia.
Nell'inno le caratteristiche tradizionali di
Ares
vengono in qualche modo capovolte ed il signore della guerra diviene "sostegno della giustizia". Il poeta lo invoca perché gli infonda il coraggio ed allontani l'ira dal suo animo, concedendogli di rispettare "le norme inviolabili" della pace.
INNO IX
A
ARTEMIDE
Breve componimento formato da un esordio e da uno o due congedi, risalente probabilmente al
VII secolo a.C.
Vi si allude ad un culto di
Artemide
a
Smirne
, città che in quell'epoca era sottomessa a
Colofone
. Questi versi sono l'unica fonte che attesti il culto di
Artemide
a
Smirne
in età arcaica.
INNO X
A
AFRODITE
Il componimento, brevissimo, consta di un esordio e di un congedo.
INNO XI
A
ATENA
Atena
derivava probabilmente da una dea minoica, il cui culto fu adottato già nel XV secolo dai
Micenei
stabilitisi a
Creta
. Protettrice della casa del re nei tempi più antichi,
Atena
divenne nume tutelare della Polis. Data l'intensa belligeranza dei principi micenei è facile comprendere come la dea protettrice delle loro città divenne presto una patrona delle loro imprese militari.
Dunque dal proteggere i combattenti
Atena
arrivò ad assistere gli artigiani costruttori di armi e di navi (da guerra), configurandosi così i suoi attributi più consueti.
Nel brevissimo inno, solo cinque versi, è cantata come dea della guerra e come tale paragonata ad
Ares
.
INNO XII
A
ERA
Il dodicesimo inno consta solo di un esordio, quasi sicuramente per la perdita della parte successiva. Probabilmente originaria dell'
Argolide
,
Era
è "la Signora", sorella e moglie di
Zeus
. Poiché in età arcaica l'
Argolide
comprendeva anche
Micene
, la fortuna del culto di
Era
dipese forse dall'affermarsi della civiltà micenea. Nel mito è sua caratteristica la partenogenesi: senza intervento maschile genera
Efesto
, in alcune versioni anche
Tifone
. Protettrice in generale delle donne, i culti a lei dedicati rappresentavano tutte le fasi della vita femminile (bambina, vergine, sposa, vedova).
INNO XIII
A
DEMETRA
I versi di questo inno sono una versione alternativa dell'esordio e del congedo dell'inno II.
INNO XIV
ALLA MADRE DEGLI DEI
La "Grande Madre" non ebbe mai un nome ma molti attributi derivanti da toponimi: Idea, Dindimene, Sipilene,
Cibele
. Probabilmente fu identificata (o confusa) con
Demetra
o con
Rea
, tuttavia tale identificazione non può mai essere considerata completa e definitiva. Nell'inno vengono evidenziate le abitudini montane della dea i cui templi, infatti, sorgevano quasi sempre in luoghi elevati.
INNO XV
A
ERACLE
DAL CUOR DI LEONE
Il culto degli eroi nacque come derivazione del culto dei morti, dunque degli antenati della famiglia. Già in età micenea questo culto evolve dalla forma privata a quella pubblica e gli eroi vengono identificati con gli antenati del popolo e della città.
Eracle
, in particolare, è generalmente un uomo che, attraversate interminabili traversie, viene assunto dagli dei per apoteosi. Ma l'apoteosi è l'elemento più tardo del mito, forse del sesto secolo, in precedenza
Eracle
andava, come tutti gli uomini, negli inferi.
Nell'inno si saluta
Eracle
, figlio di
Zeus
e di
Alcmena
, che compì "cose inedite" agli ordini del re
Euristeo
e molto sofferse, ma ora egli vive lieto nell'
Olimpo
ed è sposo di
Ebe
, personificazione della gioventù.
INNO XVI
A
ASCLEPIO
Eroe medico fino al V secolo venne poi considerato dio della medicina.
Come eroe viene incenerito dal fulmine di
Zeus
quando impara a resuscitare i morti, violando un privilegio degli dei. Non si esclude l'ipotesi che il culto di
Asclepio
possa essere antichissimo, addirittura preellenico e risalire ad un'epoca in cui la distinzione fra dei ed eroi non veniva ancora operata. Questa ipotesi aiuterebbe a spiegare l'incertezza dei caratteri del personaggio.
INNO XVII
AI
DIOSCURI
Il mito dei
Dioscuri
è molto antico e complesso. Risale probabilmente alla religione indoeuropea ed era dunque noto ai
Greci
prima del loro arrivo nell'
Ellade
. Questa teoria sarebbe suffragata dalla relazione dei
Dioscuri
, detti anche
Tindaridi
con il dio etrusco
Tin o Tinia
. Per i
Greci
Tindaridi
suonò come patronimico e ne nacque il personaggio di
Tindaro
, sposo di
Leda
.
In
Omero
compaiono come eroi, fratelli di
Elena
, altrove come dei ctonii.
Quando, in epoca ignota, si affermò l'identificazione dei
Tindaridi
con i
Dioscuri
, questi divennero figli di
Zeus
. Da questa commistione di miti nacque la singolare leggenda dei due fratelli di cui uno,
Castore
, mortale e l'altro,
Polluce
, immortale.
Polluce
, per affetto, divideva il suo privilegio con
Castore
ed i due vivevano un giorno sull'
Olimpo
e l'altro nella tomba. Per spiegare il loro diverso destino
Castore
fu considerato figlio di
Tindaro
,
Polluce
figlio di
Zeus
.
Nel breve inno i due sono salutati come "i
Tindaridi
che nacquero da
Zeus Olimpio
".
INNO XVIII
A
ERMES
Il breve componimento comprende un esordio e due congedi, varianti di quelli dell'inno IV.
INNO XIX
A
PAN
Divinità agreste per eccellenza
Pan
è il dio della pastorizia, tutti gli aspetti del suo mito riflettono la vita quotidiana dei pastori, tuttavia egli vive appartato ed invisibile, solo il suono della sua siringa può talvolta essere udito. Venerato anticamente in
Arcadia
fu introdotto in
Atene
all'inizio del quinto secolo. In alcune fonti
Pan
"muore", che lo farebbe identificare con un eroe mortale o con un dio della vegetazione, soggetto ad un ciclo perenne di morte e rinascite.
L'inno è fra i più tardi della raccolta (
V secolo
o anche età ellenistica).
Nell'inno, come in
Erodoto
,
Pan
è figlio di
Ermes
, altrove di
Crono
,
Zeus
o
Apollo
. La madre non è citata nell'inno, in alcuni fronti è la dea arcade
Callisto
, in altre la
ninfa
Penelope
(diversa dalla moglie dell'
Odissea
).
Nell'inno
Pan
è dotato di piedi e corna caprine, abita i boschi, spesso cacciando. Proviene dall'
Arcadia
, dove è stato concepito da
Ermes
e da una
ninfa
ed è nato già dotato del suo terribile aspetto ferino.
INNO XX
A
EFESTO
Probabilmente di antichissima origine minoica,
Efesto
è il dio artefice, in rapporto con il fuoco e la metallurgia, produttore delle armi degli dei, storpio e di orribile aspetto. In alcune fonti nasce da
Gea
, in
Esiodo
nasce da
Era
per partenogenesi.
Il suo mito è spesso in relazione a quello di
Atena
in quanto entrambi padroni delle professioni umane. Anche in questo breve inno
Efesto
è presentato come un dio che insegna ai mortali "opere egregie", liberandoli dalla loro primitiva condizione di bruti; concezione evidentemente opposta al concetto esiodeo della decadenza umana dopo l'età dell'oro.
INNO XXI
A
Apollo
Un frammento in cui il canto del cigno, particolarmente caro ad
Apollo
, viene accostato a quello dell'aedo.
INNO XXII
A
POSEIDONE
"Signore o sposo della Terra",
Poseidone
è dio del mare e di tutte le acque. Suo frequente attributo è il cavallo, che rappresenta le fonti che sgorgano dal sottosuolo. Poiché si riteneva che i terremoti fossero causati dalle acque sotterranee e egli è anche considerato "scuotitore della Terra" .
In molti popoli era presente il concetto di un dio maschile delle acque che feconda la Terra e ne diviene sposo, ma presso i
Greci
lo
Zeus
celeste signore della pioggia prevalse sul
Poseidone
ctonio delle acque sotterranee. Nell'inno
Poseidone
è salutato anche come "Salvatore di navi", cioè protettore di naviganti.
INNO XXIII
A
ZEUS
Signore dei fenomeni atmosferici,
Zeus
risiede sulle montagne perché guardando verso le loro cime si può prevedere il tempo. Il nome
Zeus
, derivando dalla radice indoeuropea div- indica il cielo in senso astratto. Dio supremo dell'
Olimpo
greco egli conosce il destino ma non può modificarlo, in qualche modo la sua autorità è volta a garantire l'attuarsi del destino stesso anche quando questo è contrario al suo volere, come nell'episodio della morte del figlio
Sarpedonte
, nell'
Iliade
INNO XXIV
A
ESTIA
Più che una divinità autonoma
Estia
rappresenta il focolare divinizzato. Il suo culto era diffusissimo anche, per estensione, come nume di consigli cittadini e dei magistrati. Viene identificata con la latina
Vesta
la quale, tuttavia, rappresenta più il fuoco che il focolare. Dell'inno rimane solo un esordio di cinque versi, dal quale si evince che doveva trattarsi di un inno per l'inaugurazione di un nuovo edificio.
INNO XXV
ALLE
MUSE
ED AD
APOLLO
Onniscienti figlie di
Zeus
e di
Mnemosine
le
Muse
rappresentano l'ispirazione e la dottrina del poeta. Discussa è la datazione dell'Inno, del quale abbiamo l'esordio, con la
Teogonia
di
Esiodo
. Oggi si ritiene che entrambe le opere attingessero da fonte tradizionale non identificabile.
INNO XXVI
A
DIONISO
L'esordio descrive un baccanale delle
ninfe
guidato da
Dioniso
. Seguendo la tradizione arcaica il dio viene ritratto fanciullo e le
ninfe
sono sue nutrici. Nel congedo il poeta, alludendo ad una celebrazione annuale, chiede al dio di poter tornare a cantarlo per anni ancora.
INNO XXVII
A
ARTEMIDE
In questo inno
Artemide
è cantata soprattutto come cacciatrice, ella vive fra le belve che insegue senza posa, come i cacciatori primitivi. Sotto certi aspetti che risalgono alla preistoria
Artemide
si identifica con il cacciatore come con la preda. Di qui all'essere dea della fertilità il passo è breve.
INNO XXVIII
A
ATENA
La nascita di
Atena
presenta particolari problematiche, nella tradizione più diffusa nasce dalla testa di
Zeus
, per altre fonti più antiche è figlia di
Zeus
e di
Metis
(la saggezza), compagna che
Zeus
ha divorato per timore che mettesse al mondo un figlio più potente di lui. Sembra che la versione più diffusa derivi da una concezione arcaica di
Zeus
androgino che i
Greci
di età omerica e classica hanno voluto soppiantare.
INNO XXIX
A
ESTIA
Come accade anche altrove, in quest'inno
Estia
è invocata insieme a
Ermes
perché protegga una dimora. Come per l'inno XXIV si ritiene che si tratti di un componimento per l'inaugurazione di un nuovo edificio. Anche qui si ricorda come, nei banchetti, il vino fosse offerto ad
Estia
"per prima e per ultima".
INNO XXX
A
GEA
La Terra (
Gea
) è venerata come madre universale ed il suo culto è essenzialmente riferito al raccolto. Si tratta di un culto non diffusissimo in
Grecia
,
Platone
lo considera barbarico. Sembra, comunque, che si tratti di un culto antichissimo gradualmente sostituito con quello di altre dee-madri, come
Rea
,
Era
,
Atena
, ecc. Nell'inno viene sottolineata la ricchezza che
Gea
, benevolmente, concede ai suoi fedeli sotto forma di abbondante raccolto.
INNO XXXI
A
ELIO
Elio
, il Sole, eternamente occupato ad attraversare il cielo con il suo carro, svolge un ruolo, tutto sommato, minore. Molti ritengono il suo culto anellenico, sulla scorta dell'opinione di
Platone
e di
Aristofane
. A
Rodi
si sacrificava ad
Elio
una quadriga che veniva sommersa in mare con i cavalli.
INNO XXXII
A
SELENE
Anche il culto della Luna, per i
Greci
, fu scarsamente diffuso ed importante. Già in epoca arcaica il culto di
Selene
si sovrapposero quello di
Artemide
e di
Ecate
. Molte le analogie di quest'inno con il precedente, entrambi i componimenti sono considerati di scuola tarda e minore. Si dice che da un connubio di
Selene
con
Zeus
nacque una dea di nome
Pandia
, si tratta di divinità avventizia, citata per giustificare le feste di
Pandia
.
INNO XXXIII
AI
DIOSCURI
Come per l'inno XVII i
Dioscuri
sono da identificare con un'antichissima coppia di divinità indoeuropee. Come i gemelli Asvini del Rigveda, in questo inno i
Dioscuri
appaiono dotati di ali ma, a differenza di quelli, sono guerrieri ed intervengono direttamente nei combattimenti. Per
Polluce
è caratteristico il pugilato, sport caro all'aristocrazia guerriera greca.