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Appunti da :
Theodor Mommsen
- STORIA DI ROMA ANTICA
ATTENZIONE: quella che segue non è una sintesi dell'opera di
Mommsen
, tanto meno un commento. Si tratta solamente di appunti di lettura che vengono riportati per riferimento con le singole schede sulla storia romana presenti nel sito.
Volume I - Tomo I
Dalle origini sino all'unione di
Italia
Libro I - Capitolo I - Introduzione. Storia Antica.
Civiltà intorno al
Mediterraneo
:
- Sud razza Copta e Egiziana
- Est Aramei o Siriaci
- Coste europee
Elleni
e
Italici
.
Mommsen
indica nella storia delle civiltà mediterranee come unità quelle che fanno capo a quattro città:
Tebe
,
Cartagine
,
Atene
e
Roma
. Breve descrizione geografica dell'
Italia
. Paragone fra
Grecia
e
Italia
, vocazioni storiche legate al territorio.
Storia italiana preromana
Libro I - Capitolo II - Le più antiche immigrazioni in
Italia
.
Stirpi indigene d'
Italia
.
Ricerca storica etimologica, due ceppi linguistici, quello latino e quello dei dialetti italici degli
Umbri
, dei
Marsi
e dei
Sanniti
.
Da queste ricerche si distinguono tre ceppi principali di popolazioni:
Iapigi
,
Etruschi
e
Italici
.
Cenni sugli
Iapigi
, loro probabile discendenza indoeuropea ed affinità della loro lingua con i dialetti greci arcaici.
Italici
: costituiti da due gruppi principali:
Latini
ed
Umbri
(da questi ultimi discesero i
Marsi
ed i
Sanniti
).
Esempi di differenze linguistiche che provano l'individualità della lingua italica di fronte ad ogni altra indoeuropea, e nel contempo dimostrano la sua parentela con il greco. Anche rispetto all'umbro-sannita il latino denota parentela ed indipendenza. La deduzione è in fine che da un ceppo originale derivarono i
Greci
e gli
Italici
, questi ultimi si divisero in
Umbri
ed
Oschi
.
In base alle radici comuni di parole greche, sanscrite e latine che indicano nomi di animali da allevamento, si deduce che nell'epoca remota in cui dall'originale lingua europea cominciarono a formarsi queste lingue la stirpe indoeuropea aveva oltrepassato
il più basso grado della civiltà, l'epoca dei cacciatori e dei pescatori, ed era giunta ad una stabilità almeno relativa delle sedi
.
Non si hanno invece indicazioni altrettanto chiare per quanto riguarda l'agricoltura, che probabilmente era ignota o molto poco importante per il primitivo popolo indoeuropeo. Analogie si trovano ancora fra le parole indicanti la casa, i natanti, il carro, le vesti, dell'oro, del rame e dell'argento.
Anche concetti di natura sociale (famiglia, matrimonio) e religiosa sembrano essersi già sviluppati nella stirpe originaria.
Altri concetti comuni: i numeri fino a cento, il nome di Dio (sanscrito Devas, latino Deus, greco Deos).
I vocaboli propri dell'agricoltura, (esempio: campo, aratro, orto, miglio, rapa, vino) presentano somiglianze fra il greco ed il latino ma non fra queste due lingue e le lingue orientali, da qui la ragionevole ipotesi che dall'originaria famiglia indoeuropea il ceppo greco-italico si sia scisso da quello orientale prima che quelle genti raggiungessero una civiltà agricola e che a sua volta il ceppo greco-italico si sia diviso in due distinte civiltà indipendenti dai cugini asiatici.
Nelle più antiche favole italiche l'agricoltura nasce insieme alle primitive forme di legislazione e nella semplice mentalità di quelle popolazioni il coltivare la terra, il procreare figli, la fondazione di città sono attività o azioni del comune significato che fra loro interagiscono.
Con l'agricoltura nasce il concetto della separazione dei campi e quindi alcune tecniche rudimentali di misurazione.
Altre affinità fra la civiltà greca e quella italica si trovano nelle abitudini domestiche, in particolare nella forma delle case costituita da un unico vano con l'altare, il letto nuziale ed il desco.
Ancora affinità si riscontrano nei natanti (di origine indoeuropea l'imbarcazione a remi, di origine greco-italica la concezione della vela), nell'abbigliamento e nelle armi.
Dal punto di vista intellettuale e religioso le cose stanno diversamente. Se, dice
Mommsen
, i
Greci
e gli
Italici
hanno compiuto insieme il lavoro necessario per risolvere i problemi della vita materiale, sul piano spirituale, intellettuale e politico scelsero strade divergenti. Portati i
Greci
al pensiero puro, misero subito in discussione i propri dei talora facendone degli uomini, talora negandoli. Liberi nei costumi e concentrati verso l'individuo fecero del pensiero la chiave di volta del loro modo di essere e di sentire. Oppostamente i
Romani
concepirono più degli
Albani
un sistema sociale e politico in cui lo stato fungeva da cardine dell'esistenza ed ogni forma individuale di pensiero che non giovasse allo stato stesso doveva essere evitata.
Complesso il primo paragrafo di
Mommsen
sulla religione ed in particolare sul paragone fra le più antiche credenze italiche e le coeve credenze elleniche. Due concezioni religiose già affini dal punto di vista formale agli albori delle due civiltà e che avrebbero mantenuto un rapporto di stretta somiglianza attraverso molti secoli di storia, tuttavia l'autore individua una profonda differenza concettuale fra la religione greca e quella italica: il greco vedeva il divino come spiegazione di ogni cosa ed in particolare di ogni fenomeno non altrimenti giustificabile per le sue conoscenze, l'italico attribuiva uno spirito ad ogni cosa ed in ogni cosa lo venerava. Citando testualmente: "Come ai
Greci
tutto appariva concreto e corporeo così il
Romano
poteva adoperare solo formule astratte, compitamente trasparenti".
Molto più evidente si fa il divario fra le due culture in campo artistico. Mentre gli
Italici
dei primordi rimangono ad un livello decisamente rudimentale i loro contemporanei
Greci
sensibili tanto al puro concetto di bellezza quanto alla sua pratica attuazione danno vita ad una delle più importanti stagioni artistiche dell'umanità.
Libro I - Capitolo III - Le Colonie dei
Latini
.
Ancora alla ricerca delle "radici"
Mommsen
ipotizza che l'origine delle civiltà indoeuropee sia da localizzarsi lungo il corso dell'
Eufrate
. Il ramo indoeuropeo probabilmente dimorò a lungo in
Persia
ed in
Armenia
dopo la separazione degli Indi, poichè molti indizi indicano che in queste regioni nacquero l'agricoltura e la cultura della vite. Con il solito metodo delle analogie linguistiche l'autore afferma che
Latini
,
Celti
, e
Germani
, raggiunsero insieme il mare, in precedenza sconosciuto, prima di separarsi. Detto questo solo una cosa può essere affermata con ragionevole certezza: che gli Indoeuropei giunsero alla penisola italica da Nord ed in più riprese.
Un ramo dei
Latini
, come è noto si stabilì sulle rive del
Tevere
fino ai monti dei
Volsci
. Probabilmente anche la
Campania
e la
Lucania
prima della colonizzazione greca furono occupate da genti di stirpe latina.
Inizia una panoramica sulle condizioni ambientali del
Lazio
, un paese bello e fertile ma infestato dalla malaria che i primi coloni dovettero affrontare e combattere coltivando e bonificando il suolo. Un'evoluzione del concetto urbano: dalla famiglia che colonizzando costruisce la propria casa e coltiva il proprio campo si passa al villaggio dotato anche di terreni comuni e da qui alla rocca, spesso fortificata per ragioni di difesa. Dalla rocca al borgo cittadino ovviamente il passo è breve.
Fra i primi siti occupati ed organizzati dai popoli sopravvenienti furono sicuramente i
Colli Albani
che presentavano un ambiente più salubre ed un maggior numero di sorgenti. Qui nacque la città di
Alba
, qui le antichissime colonie di
Lanuvio
,
Aricia
,
Tuscolo
.
Alba
fu fortificata fra l'altro scavando una grandissima rupe ai suoi piedi. Nei suoi pressi fu addirittura fatto defluire più in basso il
lago di Albano
tramite una galleria artificiale per lasciare libero un ampio spazio coltivabile.
Anche
Tivoli
e
Palestrina
furono colonie latine in origine organizzate come rocche distrettuali, così
Labico
,
Gabii
,
Nomentum
e la stessa
Roma
. Tutte le colonie latine avevano completa autonomia politica ma secondo l'uso italico ed ellenico si confederarono riconoscendo la presidenza della
lega
alla città di
Alba
.
Annualmente le città confederate celebravano la "festa latina" sacrificando un toro al dio
Iuppiter Latiaris
.
Non del tutto note le funzione politica e quella giuridica della
lega
ma verosimilmente godeva di una certa autorità per far rispettare gli accordi fra i confederati e per svolgere un ruolo di unificazione e di equilibrio sul piano politico e commerciale.
Non è dimostrato che l'adesione alla
lega
impedisse ai comuni confederati di combattersi di tanto in tanto fra loro, anzi il periodo della festa annuale veniva considerato come "tregua sacra" per sospendere tali ostilità.
Secondo
Mommsen
la presidenza di
Alba
sulla
lega
era più che altro un'onorificenza e non ci sono prove storiche che la città abbia di fatto esercitato un'egemonia sul
Lazio
.
Libro I - Capitolo IV - Le Origini di
Roma
.
La città di
Roma
si forma, per
Mommsen
, grazie non già alle caratteristiche agricole del terreno, inferiori a quelle di altre zone del
Lazio
per la presenza di ampie aree paludose e malsane, ma grazie ai requisiti geografici che rendono il luogo molto importante dal punto di vita commerciale. In particolare la presenza del fiume
Tevere
, la cui foce fornisce un porto naturale ed il cui corso costituiva un confine fra il territorio latino e quello delle limitrofe popolazioni settentrionali.
Roma
è quindi fin dalle origini piazza di mercato, emporio dei
Latini
e mentre la cultura di tutti gli altri centri del
Lazio
rimane essenzialmente cultura contadina a
Roma
si forma una forte mentalità cittadina.
Il primitivo piano cittadino di
Roma
comprendeva solo il
Palatino
. Una prima cerchia di mura circondava il colle e le sue vestigia, descritte da
Tacito
, erano ancora visibili in età imperiale. Sul colle, sede della prima colonia cittadina, sorgevano la casa dell'assemblee (
Curia Saliorum
) dove si conservava il sacro scudo di
Marte
, il santuario dei lupi e la casa del sacerdote di
Giove
. Sempre sul
Palatino
la tradizione identificava i siti leggendari delle vicende della fondazione.
Presto la città si estese e nacquero intorno al
Palatino
nuovi borghi, ognuno cinto da una sua cerchia di mura appoggiata o collegata a quella del
Palatino
. Tali borghi si fondano in due quartieri urbani, uno sviluppato intorno al
Palatino
e l'altro in aree del
Celio
e dell'
Esquilino
. Una colonia extraurbana, detta Suburra occupava la valle fra l'
Esquilino
ed il
Quirinale
, nella zona di
San Pietro in Vincoli
.
Antistante alla città palatina sorgeva intanto un centro sul
Quirinale
pare, in un primo tempo del tutto indipendente tanto che il sobborgo fortificato della Suburra aveva forse una funzione difensiva dei
Palatini
contro gli abitanti del
Quirinale
. Con gli ordinamenti di
Servio Tullio
il
Quirinale
sarà rinchiuso nelle
mura serviane
ed andrà a costituire il quarto quartiere della città.
Libro I - Capitolo V. La primitiva Costituzione di
Roma
.
Perno della concezione sociale e culturale romana è la famiglia. Nella più antica società romana uomo e donna avevano eguali diritti rispetto al patrimonio ed alle eredità ma dal punto di vista morale e legale la donna era sempre sottoposta all'uomo, padre o marito, ed i suoi reati sono giudicati nell'ambito della famiglia. All'interno della famiglia la donna era affrancata dai lavori domestici che spettavano ai servi e si dedicava alla conduzione della casa ed al fuso.
L'autorità assoluta, il potere di vita e di morte spettava al
Pater Familias
, che esercitava sui membri della famiglia anche l'autorità giudiziaria potendo decretare pene corporali o capitali.
Alla maggiore età i figli maschi lasciavano la famiglia per fondarne una propria, ma fino alla morte del padre non potevano disporre liberamente del proprio patrimonio se non con l'autorizzazione paterna.
Il padre poteva anche vendere i figli non ammogliati come schiavi se il compratore era straniero, come servi se il compratore era romano. Era più rigida ed indissolubile l'autorità esercitata sui figli che quella sugli schiavi.
Anche dopo la morte del Pater familias i membri della famiglia divenuti indipendenti si consideravano fra loro legati: i
Romani
distinguevano fra "familia" (i cui componenti potevano risalire in linea diretta ad un antenato comune) e "gens", i cui membri erano legati da parentele meno strette. Ancora sottoposti all'autorità del Pater familias erano i "clienti" della casa, categoria formata in gran parte da stranieri o da loro discendenti che avevano trovato protezione presso la famiglia e da servi affrancati. L'esercizio dell'autorità patrizia sui clienti fu molto mitigato nel tempo dalle consuetudini.
Dal punto di vista giuridico il primo comune romano si costituisce come associazione delle diverse Gentes e l'insieme dei territori di essa viene a formare il territorio del comune.
La cittadinanza alle origini spetta ai figli legittimi nati dai matrimoni fra i membri delle Gentes.
Sul modello dell'autorità familiare si forma la monarchia romana in cui il re è concepito come Pater della famiglia comune dei cittadini, gli spettano quindi i più ampi poteri e giurisdizioni, il dovere di giudicare ed il diritto di punire o perdonare. Nell'esercizio del suo potere il re si avvale di un consiglio di esperti e della possibilità di delegare ad altri alcune mansioni, ad esempio il comando di azioni militari, tuttavia nella
Roma
delle origini tutte le autorità collaterali a quelle del re sono espressioni della volontà regale e nessuno è insignito di cariche che lo stesso re non possa revocare.
Alla morte del re il successore veniva designato dal Consiglio degli Anziani che teneva il potere fino alla nomina del nuovo monarca. Diversamente a quanto avveniva nelle culture egiziane ed orientali i re di
Roma
non furono mai considerati di natura divina o trascendentale anche se insegne ed ornamenti regali alludevano agli attributi di
Giove
simbolo dell'unità del popolo romano. Da questa concezione derivava il limite di fatto del monarca romano che godeva delle più ampie facoltà per applicare la legge ma non aveva alcun diritto di cambiare la legge stessa, diritto riservato all'assemblea popolare ed al Consiglio degli Anziani.
La divisione della cittadinanza era basata sulle "
Curie
", ogni
Curia
forniva cento fanti, dieci cavalieri e dieci membri del Consiglio. Questa forma di organizzazione non è da ritenersi creazione romana ma risaliva ad un più antico diritto comune a tutti i
Latini
. La divisione in
Curie
serviva oltre che al reclutamento anche a funzioni amministrative (censimenti) e politici (votazioni) in epoca più tarda.
Il diritto della prima costituzione romana non prevedeva reali differenze di condizione fra i cittadini: tale concetto di antica provenienza indoeuropea si mantenne solo nel ceppo latino mentre andò perduto (forse per l'influenza delle popolazioni stanziali incontrate), nei ceppi stanziati in Oriente e nell'
Ellade
.
Nei rapporti fra cittadino e cittadino i primi
Romani
attuavano un principio di assoluta eguaglianza mentre fortissima fu sempre la distinzione sociale e politica fra i cittadini e non cittadini, distinzione che l'antica istituzione della cittadinanza onoraria metteva in evidenza anzichè mitigare. Anche in epoca monarchica i cittadini partecipavano alla vita politica della città e venivano convocati ogni tre settimane in una sorte di assemblea delle
curie
. Ovviamente però la partecipazione era spesso solo formale in quanto potevano parlare solo coloro ai quali il re avesse ceduto la parola e le formule rituali riconfermavano di volta in volta l'autorità del re sull'assemblea. La vera funzione dell'assemblea era esercitata nel caso in cui si rendesse necessaria una nuova legge o la riforma di una legge esistente. In tal caso la cittadinanza veniva interpellata perchè esprimesse la propria opinione sulla nuova norma e quindi, dice
Mommsen
, dopo dibattiti e trattative si arrivava a concepire la legge come patto concluso fra i vari poteri dello stato.
Alcune norme specifiche della prima costituzione romana:
- Ogni cittadino poteva in vita donare la propria proprietà ma per assegnarla ad altri con effetto dalla propria morte, era necessario il consenso comunale, da qui l'origine del testamento.
- L'arrogazione era la norma che rendeva possibile l'adozione di un cittadino non soggetto alla patria potestà.
- Il re poteva decretare la pena capitale ma non revocarla, la grazia spettava all'assemblea popolare e poteva essere concessa solo ai rei confessi che invocassero le attenuanti.
In politica esterna l'assemblea doveva essere consultata solo in caso di guerre offensive mentre per la difesa il monarca aveva pieni poteri. Pare tuttavia che nel caso di attacco l'interpellanza si rivolgesse all'esercito e non alle
curie
.
Accanto al potere del re e a quello dell'assemblea popolare si pone quello del
senato
, consiglio degli anziani espressione di tutte le Gentes. Nell'età più remota il
senato
era semplicemente il consiglio dei capo famiglia. A poco a poco assunse una configurazione più rigida fino a confermare il numero dei trecento membri che sarebbe durato per gran parte dell'epoca repubblicana.
Per
Mommsen
il
senato
era in origine un'assemblea di re in quanto ogni membro era il capo assoluto di una comunità che da lui veniva rappresentata nello Stato.
Quando il re moriva il
senato
ne assumeva temporaneamente i poteri: l'
interregno
veniva esercitato da un senatore alla volta, estratto a sorte, a turni di cinque giorni, fino all'elezione del nuovo re dal momento che la monarchia romana non fu mai ereditaria. Il potere del
senato
era costituito soprattutto dal suo diritto di opporsi alle decisioni del re o alle delibere dell'assemblea delle
curie
per custodire la continuità dell'ordinamento giuridico.
Libro I - Capitolo VI - I non cittadini e la
costituzione riformata
.
Come si è detto il primo comune romano risultò dal sinecismo fra più tribù ed in particolare dalla fusione degli abitanti del
Palatino
(il colle) con quelli delle aree circostanti.
Dal punto di vista delle tradizioni e delle istituzioni gli abitanti del colle conservarono una certa identificazione rispetto agli altri e così si ebbero due collegi sacerdotali, due templi di
Marte
, ecc. Maggiore coesione si aveva dal punto di vista politico ed al comune riunito presiedeva un solo re.
L'analisi di
Mommsen
è molto complessa, in pratica pare che le tre tribù originali,
Tizi
,
Ramni
e
Luceri
, assorbirono gradualmente nel proprio corpo sociale ciascuna un certo numero di neo cittadini sicchè in ciascuna di loro si vennero a creare due ceti i "primi" (Priores) che corrispondevano ai cittadini originali ed i "secondi" (Posteriores) che corrispondevano ai nuovi arrivati. Questo fenomeno spiegherebbe come ad un certo punto gli squadroni di cavalleria e le
legioni
passassero da tre a sei. Di fatto tuttavia l'appartenenza ai Priores sembra conferisse solo privilegi onorifici, per esempio: la precedenza negli interventi in assemblea.
L'espandersi del territorio, le attività belliche come quelle commerciali, le relazioni politiche portarono presto alla formazione di una vasta classe di non cittadini, la
Plebe
che comprendeva anche schiavi, liberti e clienti.
Lo stato giuridico di queste persone era di non libertà anche se di fatto godevano di una libertà protetta legalmente, per esempio: una volta annunciata pubblicamente la liberazione di uno schiavo la decisione presa non era più revocabile. Dunque in un primo tempo si ebbero vasti gruppi di clienti raccolti intorno ad i patroni (i cittadini ai quali si riferivano) ma presto i vincoli vennero allentandosi ed i coabitanti cominciarono ad intraprendere attività autonome.
La classe dei non cittadini domiciliati a
Roma
si fece sempre più numerosa anche per effetto della federazione con i comuni latini ed i suoi membri acquisirono sempre maggiore indipendenza. Con l'andar del tempo i non cittadini cercarono di sottrarsi sempre di più alla clientela privata mettendosi sotto la clientela del re.
Questo concentrarsi della clientela intorno al re (il quale godendo dei tributi da parte dei clienti era ben lieto di incrementarne il numero) finì per snaturare l'antico concetto della clientela come protezione di un cittadino verso i non cittadini e l'insieme dei clienti del re a poco a poco divennero la
Plebe
, una classe politica ben definita in competizione con il
patriziato
.
Con la
costituzione riformata
che la tradizione attribuisce a
Servio Tullio
, la classe dei cittadini fece sentire il proprio peso nei confronti dei coabitanti, furono infatti estesi anche a questi gli obblighi militari e contributivi.
In particolare il servizio militare fu imposto a tutti coloro che avevano proprietà in territorio romano, indipendentemente dalla cittadinanza e dalla condizione sociale.
Mommsen
fornisce una dettagliata descrizione della ripartizione dell'esercito in centurie, ecc.
Il fatto che il servizio militare fosse connesso alla proprietà di terreni comportò la necessità di istituire un catasto dettagliato e di verificarlo periodicamente tramite il censimento.
Conseguenza della costituzione serviana, che nelle intenzioni del suo autore doveva essere prevalentemente una riforma militare, fu la crescita dell'influenza degli ufficiali e delle centurie fino alla formazione di una terza classe sociale e politica (quella militare, appunto) accanto alla
Plebe
e al
patriziato
.
Con una serie di interessanti considerazioni sul numero dei reclutati (quindi dei poderi) e sull'entità della popolazione abile
Mommsen
arriva a valutare che all'epoca della costituzione serviana il territorio romano doveva già comprendere quello che era stato di
Alba
e quindi colloca l'edizione della costituzione nel secondo secolo di
Roma
,
quinto a.C.
Libro I - Capitolo VII - L'egemonia di
Roma
sul
Lazio
.
Le ostilità dei
Latini
con i popoli limitrofi si fecero presto guerra, la rapina divenne "conquista".
Il territorio compreso fra il
Tevere
ed
Aniene
era fittamente popolato e numerosi comuni latini furono presto assoggettati, tanto che il territorio romano passò rapidamnete dai 7,5 Km
2
del
Palatino
ed immediati dintorni a 506 Kmq.
Vittima illustre dell'espansionismo romano nel
Lazio
fu forse
Albalonga
, la vittoria di
Roma
su questa città è fra le più celebrate nella letteratura e nelle tradizioni romane.
I territori conquistati venivano uniti a quello romano ed ai loro abitanti veniva imposta la condizione di clienti descritta in precedenza. Nelle città sottomesse veniva spianata la rocca e venivano imposte le leggi e le regole del diritto romano. Alcune stirpi locali ottennero la cittadinanza romana, quindi il
patriziato
. Come
Atene
Roma
ha dunque alle sue origini un forte processo di centralizzazione, attuato in modo più energico e definito, rispetto alla città attica e dimostratosi nel tempo più efficace e fortunato.
Albalonga
, quando fu conquistata e distrutta dai
Romani
, aveva la presidenza di almeno trenta comuni ed era considerata la maggiore città della
lega
,
Roma
pretese ed ottenne l'eredità politica di
Albalonga
nei confronti della
Lega Latina
.
Nel periodo di pace che seguì alla caduta di
Albalonga
la posizione di
Roma
nei confronti della
Lega Latina
fu tuttavia profondamente diversa da quella che aveva in precedenza ricoperto
Alba
:
Roma
non fu un semplice membro ma si venne a creare una alleanza fra
Roma
, come stato unitario e sicuramente più forte degli altri ed i comuni latini federati. Anche sul piano militare le forze federali erano costituite da due eserciti, uno romano ed uno latino, entrambi guidati da un generale romano. Di fatto, è facile intuire, si trattò di un'egemonia di
Roma
sulla
Lega Latina
.
Frequenti furono invece i conflitti con i vicini non latini: gli
Etruschi
di
Veio
a Nord, i
Sabini
e gli
Equi
ad Est, i
Rutuli
ed i
Volsci
a Sud, mentre
Roma
mantenne incontrastata il controllo dei territori occidentali, fino alla foce del
Tevere
.
Questi eventi nonchè la fondazione delle prime colonie romane in territorio conquistato, risalgono all'epoca reale, epoca nella quale
Mommsen
colloca le origini della formazione giuridico - sociale dello stato romano ed anche l'inizio della potenza militare e dell'espansionismo di
Roma
.
Com'è naturale in seguito all'espansionismo dei suoi domini, alle ricchezze derivatene ed al crescere della popolazione anche la città si espanse e la cerchia delle nuova
mura serviane
cinse un territorio molto più vasto di quello del comune originale.
Il
Palatino
perse la sua configurazione di antica rocca della città mentre la nuova acropoli, fortificata e ben difendibile fu costruita sul
Campidoglio
(Castello della
Rupe Tarpea
).
In quell'epoca furono importanti le opere pubbliche cittadine in particolare quelle rivolte ad arginare il
Tevere
e a bonificare le paludi per ricavarne le ampie piazze di cui la nuova città necessitava. Fu così realizzato, ai piedi del
Palatino
, il primo
Foro Romano
, con la casa del re, il
tempio di Vesta
ed il tempio dei
Penati
cittadini (casa del comune) che esiste ancora come vestibolo della chiesa di SS. Cosma e Damiano.
La tradizione attribuisce molte di queste opere ai re leggendari, sono comunque riferibili ad un periodo comune con la costruzione delle
mura serviane
e l'emanazione della costituzione serviana.
Libro I - Capitolo VIII - Le Schiatte Umbro-Sabelliche . - Primordi dei
Sanniti
.
Gli
Umbri
avrebbero iniziato la loro migrazione più tardi dei
Sanniti
e si sarebbero tenuti sempre fra l'
Appennino
e la costa adriatica. Probabilmente ci fu un'epoca in cui possedettero un ampio territorio, comprendente la pianura del
Po
, delimitato dagli
Illiri
ad Est e dai
Liguri
ad Ovest.
A relegare gli
Umbri
in un territorio più limitato sarebbero stati gli
Etruschi
; incalzati da Nord gli
Umbri
si concentrarono verso Sud, tenendosi nelle regioni appenniniche perchè la pianura era già occupata dai
Latini
.
Secondo la tradizione gli
Umbri
sciamarono verso sud nel corso di una "
primavera sacra
", un gruppo di
Umbri
prese il nome di
Sabini
e si stanziò nella regione detta, appunto,
Sabina
. Un altro gruppo, consacrato al "Pico" di
Marte
(un uccello) si stanziò nell'attuale Anconetano e prese il nome di
Picenti
; un terzo gruppo (consacrato al Lupo, "Hirpus") si stanziò nella regione di
Benevento
e prese il nome di
Irpini
.
Altre schiatte minori ramificarono dalla migrazione umbra:
Pretuziani
,
Vestini
,
Marrucini
,
Frentani
,
Peligni
,
Marsi
.
Libro I - Capitolo IX - Gli
Etruschi
.
Il popolo degli
Etruschi
, anche detti Raseni, presentava caratteristiche ben distinte dal resto degli
Italici
.
La religione basata su riti fantastici e calcoli astrusi è lontana dal razionalismo romano e dall'idolatria greca.
La lingua nel corso della storia etrusca perde gran parte delle vocalizzazioni fino a raggiungere suoni molto duri.
Lingua e religione presentano alcune caratteristiche generiche che ci autorizzano ad inserire gli
Etruschi
nel grande ceppo indoeuropeo ma non sono possibili classificazioni più precise.
Le origini degli
Etruschi
rimangono quindi oscure: potrebbero essere entrati in
Italia
dalle
Alpi Retiche
e dal Tirolo.
Mommsen
non condivide l'opinione diffusa che vuole gli
Etruschi
originari della
Lidia
. Fino alla grande invasione celtica gli
Etruschi
si sarebbero stanziati nella regione fra il
Po
e l'
Adige
, fra
Veneti
e
Liguri
, come provano i dialetti successivamente parlati in quelle zone. Oltrepassato il
Po
gli
Etruschi
si espansero verso Sud stabilendo in
Toscana
le loro colonie più importanti e cancellando nella regione le tracce delle precedenti occupazioni degli
Umbri
e dei
Liguri
. Il confine meridionale del territorio etrusco era costituito dal fiume
Tevere
.
Veio
fu spesso in lotta con
Roma
, specialmente per il possesso di
Fidene
mentre
Cere
, più lontana, pare che intrattenesse con i
Romani
pacifici rapporti commerciali.
E'verosimile, per
Mommsen
, la tradizione che vuole che gli ultimi re di
Roma
furono di origine etrusca ma ciò non dimostrerebbe necessariamente un'infiltrazione ma solo l'esistenza di rapporti intensi fra le due nazioni.
Dal punto di vista giuridico gli
Etruschi
avevano un'organizzazione affine a quella dei
Latini
(il comune, la città). Erano più pacifici dei
Romani
e spesso combattevano tramite mercenari, avevano una classe patrizia ed una
plebe
spesso in lotta fra loro. La società etrusca aveva usi matriarcali molto più accentuati di quella romana.
Libro I - Capitolo X - Gli
Elleni
in
Italia
, signoria sui mari degli
Etruschi
e dei
Cartaginesi
.
Finchè si giunse in
Italia
dalle vie di terra (due antichissime strade valicavano le
Alpi
puntando verso Nord) non vennero dall'esterno grosse influenze sulle civiltà italiche.
I primi ad attraversare il
Mediterraneo
furono i
Fenici
, tuttavia non si ha motivo di credere che in origine questi abbiano fondato importanti colonie in
Italia
o che abbiano avuto particolare influenza sulle popolazione italiche.
I primi navigatori dunque a stabilire un contatto importante e duraturo con le coste italiche furono gli
Elleni
, fondatori di
Cuma
, si trattava di
Joni
provenienti dalle coste dell'
Asia Minore
, ai quali seguirono
Achei
,
Corinzi
,
Rodii
,
Megaresi
,
Messeni
,
Spartani
. La colonizzazione greca dell'
Italia
meridionale e della
Sicilia
vede il formarsi di tre gruppi di colonie: le colonie calcidiche (
Cuma
,
Reggio
,
Zancle
), le colonie achee (
Sibari
) e le colonie doriche (
Siracusa
,
Gela
,
Acragas
,
Taranto
). Questi gruppi sono riconoscibili fra l'altro dai reperti numismatici.
La datazione delle prime colonie elleniche in
Italia
è molto incerta.
Omero
non dimostra nelle sue opere particolare conoscenza della geografia italica ed ancora in
Esiodo
l'Esperia appare un luogo fantastico e poco definito.
Le prime date accettabili con buona approssimazione sono quelle della fondazione di
Sibari
(
721 a.C.
) e di
Taras
(
708 a.C.
). Le colonie achee in
Italia
meridionale (Siri, Pandosia,
Metaponto
,
Terina
,
Crotone
, ecc.) costituirono una lega che mantenne salde relazioni con la madre patria. Le colonie achee prosperarono grazie al commercio ed alla fertilità delle terre. Ad esse appartennero le più antiche monete italiche già coniate agli inizi del
sesto secolo a.C.
Diversamente dalle colonie doriche la
Lega Achea
non espresse talenti artistici di rilievo. La potente aristocrazia non permise che sorgessero tirannie. Di forti tendenze oligarchiche l'aristocrazia trovava i suoi teorici nella lega degli
Amici
, alla quale partecipava
Pitagora
, che spinsero le proprie tendenze fino alla venerazione della classe dominante e finirono per essere sopraffatti. I disordini politici interni e la mancata integrazione con le popolazioni indigene portarono presto le città della
Lega Achea
alla rovina ed esse decaddero lasciando tracce molto minori di quelle delle città jono-doriche.
Diverse nella vita politica e culturale furono le colonie jono-doriche che influirono più sensibilmente sullo sviluppo delle civiltà italiche. Particolarmente
Taranto
che grazie all'ottima posizione geografica divenne l'emporio del commercio meridionale italico. Le colonie campane, nel frattempo si sviluppavano più lentamente. La colonia di
Cuma
si trasferì dall'isola d'
Ischia
sulla terra ferma per poi fondare
Dicearchia
(poi
Puteoli - Pozzuoli
) e quindi
Neapolis
.
Queste colonie seguivano la costituzione democratica dettata da
Caronda di Catania
intorno al
650 a.C.
Scarsa o assente invece la colonizzazione greca sulle rive dell'
Adriatico
, per ragioni che non sono state chiarite.
Molte ed antiche sono invece le tracce della frequentazione greca del
Tirreno
, a partire dall'
Odissea
.
Nomi di località come
Aethalia (Elba)
, Pirgi,
Talamone
, e vestigia come le mura di Pirgi testimoniano stanziamenti greci anche in
Etruria
.
Poichè secondo l'uso del tempo queste frequentazioni comportavano anche frequenti atti di pirateria gli
Italici
reagirono e difendendo le proprie città e i propri porti presero via via possesso del mare. Tuttavia dove si stabilirono rapporti diplomatici e commerciali, per esempio fra gli
Elleni
e
Cere
, si giunse anche ad accordi che evitarono le piraterie e i commerci e le relazioni culturali prosperarono.
Gli
Etruschi
non sopportarono la presenza greca nel
Tirreno
settentrionale e presero a corseggiare il mare divenendo i peggiori nemici degli
Elleni
. Questa pirateria li portò verso Sud, e crearono stanziamenti sulle coste laziali e campane. I
Volsci
divennero clienti degli
Etruschi
. La pirateria etrusca divenne in qualche modo protezione del commercio etrusco che prosperò sia nel
Tirreno
che nell'
Adriatico
.
Durante quest'epoca (la monarchia romana) tutto il
Mediterraneo
era teatro della rivalità fra
Greci
e
Fenici
.
La fondazione di colonie greche in
Sicilia
per esempio indica la prevaricazione greca nei confronti dei
Fenici
. Via via i
Greci
si inoltrarono nel
Mediterraneo
fino a raggiungere, nonostante la resistenza etrusca la costa francese dove nel
600 a.C.
fondarono
Massalia (Marsiglia)
.
L'espansione greca trovò rivale la potente colonia fenicia di
Cartagine
che cambiando politica rispetto alle altre città fenice seppe organizzare una fortissima resistenza e polarizzare la sfera delle energie degli affini di razza. Sentendosi inferiori agli avversari i
Cartaginesi
cercarono alleanze con gli
Italici
. Infatti quando nel
579 a.C.
gli
Elleni
tentarono di stabilirsi presso il
Lilibeo
in
Sicilia
furono scacciati dagli
Elleni
di
Segeste
alleati dei
Fenici
.
Nel
537 a.C.
i
Focesi
si scontrarono con le forze unite di
Etruschi
e
Cartaginesi
per il possesso di
Alalia
, in
Corsica
.
Etruschi
e
Cartaginesi
stipularono un trattato commerciale e di alleanza bellica antiellenica.
Nelle ostilità fra
Greci
,
Cartaginesi
ed
Etruschi
il
Lazio
si mantenne in genere neutrale.
Le ostilità si protrassero per molto tempo senza che alcuno dei contendenti riuscisse ad avere il sopravvento, tuttavia è proprio a questo bilanciamento di forze che
Latini
e
Romani
dovettero la positiva circostanza di non subire tentativi di prevaricazione da parte delle tre potenze, troppo impegnate a contendersi il dominio del
Mediterraneo
.
Libro I - Capitolo XI - Diritto e Tribunale.
Notizie sulla giurisdizione presso i
Latini
.
La giurisdizione è raccolta nella persona del re che tiene giudizio nei giorni a ciò consacrati. Già in tempi molto remoti pare che sia stata soppressa la vendetta di sangue. L'azione giudiziaria è processo di Stato o processo privato a seconda che il re proceda per proprio conto o su petizione dell'offeso.
Processi di Stato venivano aperti solo contro chi aveva leso la cosa pubblica (traditori, spie, rei di sedizione, ecc.) o contro chi aveva commesso crimini particolarmente gravi (omicidio, stupro, ecc.).
Il re apriva il processo e ne pronunciava la sentenza, oppure ne delegava la cura a luogoteneti scelti frai suoi consiglieri.
La possibilità di graziare i condannati era riservata al consiglio comunale ma il re poteva opporre il suo veto.
La consuetudine giudiziaria ammetteva la grazia per intervento divino (per esempio: se il condannato a morte sulla strada del patibolo incontrava per caso una
vestale
aveva salva la vita).
I casi di diritto privato si aprivano invece sempre su richiesta del danneggiato, in genere si cercava la conciliazione delle parti ed il re poteva decidere a proprio arbitrio.
In caso di furto se il ladro scoperto non voleva o non poteva risarcire il danneggiato veniva a questi aggiudicato come schiavo.
Nei casi di danni gravi alla persona il danneggiato poteva esigere
occhio per occhio, dente per dente
.
La proprietà, in particolare quella dei beni immobili, si sviluppa in epoca relativamente tarda ed il primo approccio comunitario al concetto farà sentire i suoi effetti per lungo tempo. Il romano riceveva la proprietà ad esempio di un terreno, come assegnazione del bene da parte del comune, di conseguenza solo i cittadini, o altri soggetti ad essi equiparati a tal fine dal comune erano capaci di possedere.
Il cittadino che voleva fare un testamento per lasciare le proprietà a beneficiari diversi dai suoi eredi naturali doveva sottoporlo all'approvazione del comune, approvazione spesso negata.
Chi alienava la proprietà in vita (privandone quindi gli eredi) veniva considerato un mentecatto e spesso era posto sotto tutela. Nei contratti privati era tenuta in gran conto la parola data e qualche volta il giuramento.
Nelle comparavendite il compratore consegnava il prezzo in rame al momento della consegna del bene acquistato alla presenza di testimoni. Le inadempienze venivano giudicate solo su querela.
Nel caso di prestito l'erogatore doveva essere assisitito da testimoni al momento di consegnare la somma, altrettanto doveva fare il debitore alla restituzione. Il tasso corrente era del 10% annuo.
I processi privati per truffa, debiti insoluti, ecc. prevedevano l'accertamento tramite prove, quindi un deposito cauzionale da parte dei contendenti in bestiame (cinque buoi per cause di importo considerevole, cinque pecore per cause minori). Una volta accertato il torto la parte soccombente perdeva la propria cauzione che veniva devoluta ai sacerdoti per i sacrifici. Il creditore ancora insoddisfatto poteva trascinare il debitore davanti al tribunale e dopo un periodo di sessanta giorni il re aggiudicava il debitore al creditore perchè lo traesse come schiavo o lo uccidesse.
In materia ereditaria i beni dell'estinto venivano divisi fra vedova e discendenti, salvo diverse disposizioni testamentarie che, come si è detto, dovevano essere approvate dall'assemblea.
L'emancipazione degli schiavi non era prevista dal diritto ma regolata dalle usanze. Lo schiavo liberato era garantito nella sua libertà solo se emancipato pubblicamente. L'emancipazione del figlio presentava maggiori difficoltà giuridiche poichè il padre non poteva volontariamente cessare di considerarsi tale, per emancipare un figlio era quindi necessario che questi si assoggettasse prima alla condizione di schiavitù (!).
Nei rapporti con gli stranieri residenti a
Roma
come clienti valevano tutte le predette norme giuridiche, mentre lo straniero che non fosse in situazione di clientela non era tutelato da alcun diritto.
Nel commercio con l'esterno vigevano a volte dei trattati (come nella
Lega Latina
), con gli stati esteri propriamente detti si giungeva ad accordi sistematici, come con le colonie greche in
Sicilia
.
Mommsen
dottamente nota che la parola Mutum (prestito) e Carcer (carcere) entrambe di origine latina, furono acquisite nei dialetti sicelioti e questo comprova la frequenza di operazioni commerciali (e delle conseguenze penali in caso di insolvenze).
Nell'insieme il sistema istituzionale descritto dovette essere compiuto nel mezzo secolo successivo alla cacciata dei re.
In questo mezzo sistema il linguaggio simbolico e sacrale del diritto è praticamente scomparso tranne che in alcuni rituali come quello della dichiarazione di guerra, allontanandosi sempre di più quindi dall'origine comune con il diritto germanico.
Caratterizza anzi il diritto romano la chiarezza delle formule e la intelligibilità con la quale tutti gli atti giuridici dovevano svolgersi.
Il supremo fondamento del diritto romano è lo Stato: la libertà del cittadino non è altro che espressione del diritto civile, cioè del diritto di partecipazione alla vita dello Stato stesso.
Altra caratteristica del diritto romano è quella di favorire il commercio, ad esempio equiparando nelle transazioni il cittadino con il cliente e l'ospite e non facendo distinzione di sesso in merito alla disponibilità dei beni.
Nel credito prevaleva un sistema di tipo ipotecario in cui il fondo del debitore passava facilmente al creditore in caso di insolvenza.
Nel credito personale invece la giurisdizione, come si è detto era molto più severa ed arrivava ad asservire come schiavo l'insolvente al creditore.
Infine
Mommsen
considera come il diritto romano di quell'epoca si basasse sostanzialmente sugli estremi: lo straniero civilmente non ha alcun diritto eppure commercialmente è equiparato al cittadino; il contratto non da luogo a querela ma l'insolvenza porta il debitore alla rovina, alla schiavitù, alla morte.
In definitiva il popolo romano si era dotato di leggi severissime che presumibilmente venivano applicate con inflessibilità con il fine principale di tutelare la collettività, lo Stato e la proprietà.
Libro I - Capitolo XII - Religione.
La religione romana sorge sul concetto di rispecchiare nel mondo spirituale l'immagine della vita reale.
Le persone, le cose, perfino le singole azioni corrispondono ad un nume tutelare la cui eternità consiste nel reiterarsi delle cose terrene.
Roma
aveva i suoi numi e così li avevano tutti gli stati stranieri e quando i non romani si trasferivano in città anche i loro dei erano invitati a fare altrettanto. Fra i più antichi documenti romani ci sono pervenuti i calendari delle festività religiose in cui avevano la preminenza
Giove
e
Marte
con il sosia di lui
Quirino
.
Tutti i giorni di plenilunio (idi) sono sacri a
Giove
.
A
Marte
è consacrato il mese di Marzo nel quale si svolgevano grandi feste guerriere.
Con questa festa iniziavano le campagne militari, alla fine delle quali si svolgeva un'altra festa di consacrazione delle armi a
Marte
il 19 Ottobre.
Le altre feste comprendono quelle dell'agricoltura, della viticoltura e della pastorizia.
Il 15 Aprile la festa di
Tellus
, dio della terra nutriente.
Il 19 Aprile la festa di
Cerere
, dea di ciò che germoglia.
Il 21 Aprile festa di
Pale
, dea delle greggi fecondate.
Il 23 Aprile festa di
Giove
, protettore delle viti e delle botti.
Il 25 Aprile era dedicato alla ruggine, nemica delle messi.
Dal 21 al 25 Agosto si ringraziavano del raccolto
Conso
e
Ops
, dio e dea del raccolto e delle messi, ancora loro si celebravano fra il 15 e 19 Dicembre, con la benedizione dei granai.
L'11 Ottobre si festeggiava il mosto, ritenuto salutare e dedicato a
Giove
.
Il 17 Febbraio la festa del lupo,
Lupercalia
.
Il 19 e 21 Luglio festa dei boschi.
Il 13 Ottobre la festa delle fonti.
Il 21 Dicembre la festa del giorno più breve.
Le feste nautiche: 23 Luglio Neptunalia, 17 Agosto festa dei porti (Portunalia), 27 Agosto festa del
Tevere
.
Il 23 Agosto festa del dio
Vulcano
.
Il 23 Maggio festa delle trombe.
L'11 e il 15 Gennaio festa di
Carmenta
, protettrice delle nascite.
Il 9 Giugno festa di
Vesta
e dei
Penati
.
Il 17 Marzo Liberalia: benedizione dei fanciulli.
Il 9, l'11 e il 13 Maggio
Lemuria
: festa degli spettri.
L'11 Dicembre festa dei
Sette Monti
.
Il 9 Gennaio festa di
Giano
.
Il fulcro della religione dei
Romani
più antichi è sicuramente
Marte
, dio della guerra e sgominatore dei nemici. Tale culto era comune a tutti i
Latini
che avevano un
Marte
per ogni comune.
Giove
(padre Diovis) è inizialmente una divinità bonaria e rallegrante, tutelare del vino e dei festeggiameti.
Gli dei romani erano personificati ed antropomorfi, prova ne sia che erano tutti maschio o femmina.
Il culto era estremamente semplice e rudimentale, rimanendo totalmente estranee alla religione latina astrazioni elevate come la personificazione della bellezza di
Apollo
, l'ebrezza dionisiaca o i misteri ctonici che caratterizzavano la teologia greca.
Figura caratteristica della religione romana era il dio bifronte
Giano
che entrava in causa all'inizio di ogni azione e veniva invocato come "spirito dell'apertura" di ogni evento. Il culto più intimamente sentito era però quello dei geni protettori della casa: protettori pubblici erano
Vesta
e i
Penati
, nelle case ricche erano i Silvani, tutori dei boschi e dei parchi delle ville, in ogni casa i
Lari
ai quali si offriva una porzione di cibo e che ricevevano ogni giorno la devozione del padre di famiglia.
In definitiva tutta la teologia romana è intrisa di un concetto pratico ed utilitaristico: il romano chiedeva ai suoi dei protezione, abbondanza nell'agricoltura, successo nel commercio.
Nel culto degli spiriti i
Romani
ritenevano che le anime dei morti rimanessero legate al luogo dove riposavano le spoglie, se buoni, o venissero segregati in un mondo inferiore proibito agli uomini ed abbandonato dagli dei se malvagi.
I più antichi collegi sacerdotali romani erano dedicati a
Marte
: sacerdote del dio era il
flamine marziale
(accenditore di
Marte
) che gli tributava uno speciale sacrificio arso. Per
Marte
dodici giovani (
Salii
, saltatori) eseguivano in marzo una danza sacra intonando canti. Vi erano inoltre sacerdoti della ninfa
Carmenta
, di
Vulcano
, delle divinità del porto e del fiume.
Fra i riti più antichi la festa del lupo in cui i "Lupi" saltavano nudi cinti da una pelle di capro e colpivano con corregge i passanti.
Ai
flamini marziali
si aggiunse il
flamine diale
, sacerdote di
Giove
.
Alla dea del focolare comune dei
Romani
,
Vesta
, fu dedicato un collegio di sei vergini che dovevano conservare sempre ardente il fuoco nel tempio. Questa forma di culto sarà la più sacra e radicata nonchè l'ultima ad estinguersi con la fine del paganesimo.
A poco a poco furono istituiti altri sacerdoti dedicati alle varie divinità finchè se ne contarono quindici.
Gran parte di questi aspetti del culto romano trovano origine nella religione comune dei
Latini
e forse anche delle genti sabelliche.
Nella religione romana i sacerdoti svolgevano i sacrifici ed altri riti ma non avevano funzione di intermediari fra il fedele e la divinità nella preghiera: il romano si rivolgeva direttamente ai suoi dei per le sue devozioni. Per questo dialogo con la divinità si rendeva dunque necessario "conoscere il linguaggio degli dei" e saperne interpretare i segni. Sorsero così nel tempo dei consorzi di esperti di carattere non sacerdotale ma civile che furono i depositari della prassi religiosa ed in senso lato della cultura: gli
auguri
ed i
pontefici
.
I sei
auguri
sapevano interpretare la lingua degli dei dal volo degli uccelli.
I
pontefici
derivavano il proprio nome dall'originario incarico di costruire i ponti sul
Tevere
, erano quindi in origine degli ingegneri ed ebbero anche il compito di tenere il calendario, di annunciare il plenilunio e le festività e di vigilare sul corretto svolgimento di tutte le funzioni religiose. Inoltre i sacerdoti venivano consultati per controllare che le leggi e gli atti pubblici che si svolgevano non contrastassero in alcun modo con il diritto divino.
Alla stessa categoria di esperti o saggi religiosi appartennero anche i "
feziali
" che avevano il compito di conservare i trattati e gli accordi con gli stati stranieri ed in caso di ostilità tentare la conciliazione o curare la dichiarazione di guerra.
Sacerdoti,
auguri
,
pontefici
, ecc. ebbero grande considerazione e spesso autorità, tuttavia erano giuridicamente dei semplici cittadini e come tali soggetti al rispetto delle leggi dello Stato come tutti gli altri. Anche nell'esercizio delle proprie funzioni dovevano limitarsi ad agire come "consulenti" interpretando le risposte divine per il postulante e solo quando ne erano richiesti. Centro di tutti i rituali romani è il sacrificio: ciò deriva dall'intento del romano di partecipare alla divinità la parte migliore della propria vita (il cibarsi di carne era praticamente limitato alle festività) per ottenerne il favore o per placarne l'ira.
Sostanzialmente il rapporto fra l'uomo e la divinità è considerato alla stregua di un contratto in cui l'uomo deve onorare il proprio debito verso il dio creditore e poco tollerante. In questo senso il voto è un patto fra uomo e dio in cui il primo promette qualcosa in cambio di una prestazione da parte del secondo (non diversamente dal culto moderno dei santi).
Una religione come questa, sostanzialmente moralistica e materialistica non incoraggiava affatto la cultura artistica e lo sviluppo delle belle arti, se non l'architettura per la costruzione dei templi, ritenute vere e proprie dimore degli dei.
La semplice religiosità romana accolse con facilità e senza risultarne alterata divinità e culti appartenenti a religioni straniere.
La prima di queste acquisizioni pare essere stata il culto relativo agli oracoli, in particolare quello dell'
Apollo Delfico
che fin da epoche molto remote i
Romani
andavano a consultare tramite apposite legazioni.
Poco dopo comparve il culto di
Ercole
che per i
Romani
divenne dio della fede mantenuta e dei contratti mercantili, questo culto si estese rapidamente e dovunque in
Italia
si avevano altari e templi dedicati al dio. Seguirono, sempre di provenienza ellenica, il culto di
Castore e Polluce
, protettori dei naviganti, di
Hermes
, dio del commercio identificato con l'italico
Mercurio
, di
Asklapios o Esculapio
, dio della salute.
L'influenza della religione greca fu esercitata mediante gli scambi mercantili e furono i naviganti a introdurre gli dei greci in
Italia
.
Ben diversa dalla religione romana doveva essere quella etrusca, ispirata a misteriose numerologie che prevedeva un oltretomba infernale in cui le anime dei trapassati venivano sottoposte a tormenti espiatori.
La religione etrusca poco influì su quella romana se non per l'arte della divinazione, l'
aruspicina
, di cui gli
Etruschi
erano considerati maestri.
Libro I - Capitolo XIII - Agricoltura - Industria e Commercio.
Come si è già detto il passaggio degli Indoeuropei dalla pastorizia all'agricoltura avvenne prima dell'immigrazione degli
Italici
. In età storica non si hanno quindi in
Italia
vere tribù pastorali anche se la pastorizia era generalmente praticata collateralmente all'agricoltura. Le civiltà italiche, e quella romana in particolare, erano del tutto basate sull'agricoltura. La conquista da parte dei
Romani
era soprattutto annessione di nuovo terreno e dalla costituzione serviana in poi diritti e doveri erano fondati più sulla quantità di terreno posseduto che sulla cittadinanza.
Nei tempi più antichi la gestione del terreno arabile era di tipo comunitario, le famiglie che condividevano un terreno ne spartivano oneri e rendite. Solo più tardi si fondò la vera e propria proprietà agricola della singola famiglia.
L'agricoltura romana si basava sui cereali (soprattutto il grano) e sulla vite.
Alcune tradizioni di età preellenica dimostrano che la cultura della vite non fu introdotta in
Italia
dai
Greci
ma è di origine più antica. Alla viticultura erano riferiti alcuni rituali e varie feste ed era uso che fosse il
flamine
di
Giove
a dare il consenso per l'inizio della vendemmia eper l'inaugurazione delle botti (cioè l'inizio della vendita del vino nuovo). Il lavoro agricolo coinvolgeva tutti i membri validi della famiglia oltre ai servi ed agli schiavi. Nei tempi più antichi le conoscenze meccaniche erano molto limitate e di conseguenza gli strumenti di lavoro piuttosto inefficienti, più tardi si riuscì a migliorarne le prestazioni e si sviluppò una scienza agraria come dimostrano molti testi letterari.
I costumi dei
Romani
prevedevano periodi di riposo dall'assiduo lavoro dei campi, in particolare il mese di ferie che seguiva alla semina invernale. La legge si sforzava di conservare l'unità delle tenute, pur senza ostacolarne la divisione fra gli eredi per rispetto dello spirito liberale del diritto.
Venivano fondate numerose colonie trasferendosi nelle quali i braccianti avevano possibilità di diventare proprietari.
I latifondisti spesso concedevano gran parte dei loro possedimenti a chi li coltivasse ed in questo contratto era uso (non norma) che ricevessero parte del raccolto. Avevano altresì il diritto di sfrattare il beneficiario a loro piacimento. L'istituto della clientela si basava su questa assegnazione degli usufrutti.
Nei tempi della comunanza era la stirpe ad assegnare usufrutti e quindi la clientela non poteva dirsi un rapporto personale. Succesivamente alla spartizione dei terreni i rapporti cambiano e si giunse al formarsi di una nobiltà campagnola.
Da queste istituzioni antiche nacque quella dell'affitto, molto diffusa nell'antica
Roma
, tanto che gli affittuari, liberi, clienti o liberti costituirono la maggioranza del proletariato e furono molto più numerosi dei servi che lavoravano le terre di un padrone. Questa vasta classe di affittuari e di usufruttuari viveva in condizioni economiche dignitose e costituì la forza necessaria per la fondazione e il successo delle colonie.
I pascoli rimasero per lo più proprietà dello Stato che ne concedeva l'utilizzo ai proprietari di bestiame. In genere la pastorizia non rivestì grande importanza nell'economia romana e questo tipo di terreni rimase limitato.
Oltre all'agricoltura si svolgevano importanti attività nell'area cittadina. Nell'età dei re esistevano otto corporazioni di mestieri:
I suonatori di flauto.
Gli orefici.
I calderari.
I legnaioli.
I gualchieri.
I tintori.
I pentolai.
I calzolai.
Altre attività comuni, come ad esempio la panificazione o la filatura erano svolte nell'ambito domestico e non si consideravano quindi "mestieri" nel senso stretto del termine.
L'assenza di una corporazione di fabbri comprova come a
Roma
si iniziasse relativamente tardi la lavorazione del ferro.
Analogamente ai collegi sacerdotali le corporazioni dovevano avere un ruolo di conservazione delle tradizioni e di salvaguardia delle conoscenze specifiche degli artefici.
Antichissima è l'usanza delle fiere e dei mercati che in un primo tempo servivano agli scambi commerciali fra le genti italiche poi si estesero su scala internazionale. La più importante fiera commerciale romana si svolgeva sul
Monte Soratte
, facilmente accessibile dal
Lazio
, dall'
Etruria
e dall'
Umbria
. L'istituzione di questa fiera risale senza dubbio all'epoca preellenica.
Gran parte dei commerci si svolgeva con lo scambio di bestiame. Il rapporto di dieci pecore per un bue fu fissato in tempi remoti com'è dimostrato dal fatto che fosse in uso presso le popolazioni germaniche.
La carenza di metalli portò presto gli
Italici
ad apprezzare gli scambi in rame.
Reperti in vari siti archeologici italici hanno dimostrato l'importazione prima e l'imitazione poi di merce di provenienza orientale, per esempio monili d'oro di fabbrica babilonese, vasi di vetro o smalti egiziani, ecc. Reperti archeologici e studi linguistici provano inoltre intensi scambi commerciali con i
Greci
ed i
Greco-Siculi
.
Anche molti termini nautici del latino e delle lingue italiche risultarono derivanti dal greco, e maggior prova degli scambi suddetti.
Gli
Italici
importavano quindi dai
Greci
o tramite i mercanti greci beni di lusso che non erano in grado di produrre, in cambio di valuta in rame ma anche di prodotti agricoli e bestiame. I
Latini
, privi di molte risorse locali, dovevano svolgere un commercio passivo ottenendo da
Etruschi
e
Greci
il rame ed altri beni in cambio di schiavi e bestiame. Questa condizione favorì uno sviluppo commerciale, finanziario ed artistico precoce degli
Etruschi
rispetto a quello dei
Latini
.
Rinvenimenti di tombe etrusche testimoniano un commercio con la
Grecia
e con
Cartagine
.
Lunghe e dottissime considerazioni linguistiche di
Mommsen
servono a dimostrare come la frequenza e l'intensità degli schiavi fra
Italici
,
Cartaginesi
e
Greci
abbia lasciato tracce nelle rispettive lingue.
Libro I - Capitolo XIV - Misura e Scrittura.
Fin dalla preistoria si attesta il sistema di numerazione decimale, dovuto senza dubbio al riferimento delle dieci dita delle mani. Il sistema era già in vigore presso gli Indoeuropei poi prima delle grandi migrazioni come prova la corrispondenza in tutte le popolazioni da essi derivanti dei numeri fino a cento.
I fondamentali segni numerici
Latini
furono invece invenzione italica: I per indicare un dito, V per l'intera mano, X per due mani. Da elementi astrologici, le lunazioni, i
Romani
derivarono un sistema numerario duodecimale utilizzato in alcune misure di peso o del terreno ed in alcune applicazioni rituali (esempio: il collegio dei
Salii
e quello degli
Arvali
).
Con l'intensificarsi del commercio con l'
Attica
e con la
Sicilia
i sistemi di misurazione dei
Romani
si fecero più complessi, furono adottate nuove misure di tempo, peso e volume più facilmente parametrabili con quelle degli interlocutori.
La più antica misurazione del tempo presso gli
Italici
si basava, com'è naturale sui cicli solari e lunari: per molto tempo il giorno fu l'unità di misura più piccola ed il mese la più grande.
Più tardi, ma comunque in età preellenica i
Romani
giunsero a misurare l'anno, come ciclo delle stagioni da prima suddiviso in dieci mesi, poi in dodici quando fu noto l'uso di un sistema di numerazione duodecimale.
Il più antico calendario romano cercava di compensare la propria inesattezza con un mese supplementare ogni quattro anni e con altri artifici. Rimase comunque piuttosto impreciso. I giorni venivano contati basandosi sul novilunio (calende), il nono giorno successivo (nonae) ed il plenilunio (idi).
Misurazioni cronologiche che superavano l'anno si basavano forze sugli anni di regno dei vari re e/o sui cicli quadriennali e rimasero comunque poco attendibili.
Dalla dotta e difficilmente riepilogabile disquisizione di
Mommsen
sugli alfabeti si ricava in sostanza che l'alfabeto etrusco e quello latino derivarono entrambi dal greco. L'alfabeto etrusco si diffuse a Nord, a Sud e ad oriente della penisola mentre il latino rimase limitato nel
Lazio
dove in generale si conservò con pochi cambiamenti.
Sulla base di vari elementi fonetici e delle corrispondenti simbologie alfabetiche
Mommsen
conclude che gli alfabeti etruschi e latini debbano essersi formati molto prima della data convenzionale della fondazione di
Roma
, addirittura verso il XIV secolo a.C. Numerosi indizi testimoniano l'antichità della scrittura in
Roma
: l'esistenza di documenti scritti all'epoca dei re è sufficientemente dimostrata (trattati fra
Romani
e
Latini
, documenti di fondazione dei templi, ecc.).
Si scalfiva o dipingeva su foglie, cortecce e tavole di legno, più tardi su pelli e tele.
Libro I - Capitolo XV - L'Arte.
Mommsen
apre il capitolo con una considerazione sulle predisposizioni artistiche degli
Italici
prima e dell'italiano poi.
Sostiene che l'italiano non è dotato di una vera e propria disposizione poetica, ma è piuttosto portato alla parodia ed alla retorica. Questa caratteristica ritorna in tutte le epoche e si ritroverebbe in
Sallustio
, in
Tacito
ed in
Dante
.
La sensibilità degli Italiani fa si che non si accontentino di idealizzare la bellezza ma la vogliono sensibilmente rappresentata e questo li rese i migliori allievi dei
Greci
prima ed i maestri di tutti poi.
Fra le più antiche forme artistiche nel
Lazio
furono sicuramente la musica e la danza, primitive rappresentazioni di gioia poi parte integrante dei rituali. In un primo periodo la musica dei suonatori di flauto è considerata accessoria alla superiore arte della danza. I canti religiosi prendono ispirazione dal suono naturale del mormorio della selva e costituiscono motti magici, formule rituali, invocazioni.
Nei funerali era uso che le donne intonassero la "Nenia" con l'accompagnamento del flauto, nei banchetti i fanciulli cantavano le lodi degli antenati. Nelle feste popolari e nel carnevale nacquero l'uso di canti farseschi e le prime parodie improvvisate. Del contenuto di queste antiche rappresentazioni non ci sono giunte testimonianze.
La più antica forma metrica latina pervenutaci è quella del verso saturnio o faunico, estraneo ai
Greci
e forse tipico della prima poesia popolare. Nulla sappiamo dei fondamenti musicali latini salvo che si usava un flauto d'osso con quattro fori.
Le più antiche rappresentazioni teatrali latine probabilmente si basavano su ruoli fissi interpretati da attori mascherati, come nella
farsa atellana
di epoca più recente. E' provato che in epoche molto remote l'arte greca influenzò quella latina, come dimostra l'adozione della lira greca a sette corde e l'importazione di statue di divinità greche presto accolte nella religione latina.
Anche gli spettacoli popolari che si svolgevano in occasione dei ludi massimi (in genere per festeggiare vittorie militari) si riscontrano molte affinità con gli usi greci: la scelta dei giochi (corsa, lotta, pugilato), il costume di premiare i vincitori con una cerimonia, ecc.
Il concetto greco della ginnastica come libera competizione fra i cittadini fu però corrotto a
Roma
dove presto i giochi furono riservati a professionisti liberti o stranieri. Anche nella poesia non si sviluppò nel
Lazio
una vera e propria coscienza artistica nazionale, non vi si formò un'epica latina ed anche miti e leggende furono generalmente importati.
Mentre in
Grecia
il canto, la musica e la poesia erano onorati e considerati degnissime attività del cittadino a
Roma
li si guardava come arti vane, futili e, se oggetto di spettacolo, addirittura disonorevoli.
L'educazione dei giovani era tutta basata sul rapporto familiare il chè, osservava
Mommsen
, andava a discapito della cultura individuale e dell'evoluzione artistica.
Le conoscenze sulle culture artistiche degli
Etruschi
e dei
Sabelli
sono troppo scarse per determinare con esattezza il loro influsso su quella romana ma
Mommsen
ritiene che la schiatta sannita abbia espresso il maggior contributo (
Nevio
,
Ennio
,
Lucilio
,
Orazio
).
L'architettura della
Roma
dei re era semplice, l'abitazione tipica somigliava a quella coeva dei greci: case di legno con tetto acuminato coperto di paglia senza vestibolo e senza divisione delle stanze, ad eccezione di quelle che si usavano per il letto e per la dispensa, costruite intorno allo spazio abitabile centrale.
Anche l'architettura non abitativa (templi, mura, opere) dimostra una forte ed antica influenza greca.
Lo sviluppo architettonico in
Italia
è comunque dovuto principalmente agli
Etruschi
, sia per quanto concerne le abitazioni, sia per i templi e l'urbanistica in generale. Le arti plastiche e decorative si svilupperanno più tardi dell'architettura. Anche in esse i primi fra gli
Italici
furono gli
Etruschi
ed anche in questo caso ispirazione e tecniche furono mutuate dai
Greci
.
In conclusione gli
Etruschi
appresero dai
Greci
ma la loro scarsa originalità ed intuizione produssero un'arte corrotta. I
Romani
impararono dagli
Etruschi
ma anche direttamente dagli
Elleni
della
Campania
e riuscirono a far propri i principi artistici ed architettonici (ad esempio dell'arco e del ponte) che più tardi svilupperanno nelle più importanti opere romane.
LIBRO SECONDO.
Dall'Abolizione dei Re di
Roma
sino all'unione d'
Italia
.
Libro II - Capitolo I.
Cambiamento della Costituzione - Limitazione dei poteri della suprema magistratura.
La lotta fra coloro che godevano della cittadinanza e coloro che ne erano esclusi, l'insofferenza delle classi meno abbienti, la forza crescente del proletariato rurale, portarono infine a radicali cambiamenti nell'ordinamento politico della città. La prima grande conquista degli oppositori fu l'abolizione dell'autorità regia così come era concepita, cioè come carica presidenziale vitalizia dotata di autorità illimitata. Questo fenomeno, dice
Mommsen
si verificò contemporaneamente in tutti i comuni italici ed in
Grecia
. Al re furono ovunque sostituiti magistrati annuali e localmente dittatori la cui carica iniziava e durava soltanto nei periodi di guerra.
I magistrati romani furono i
consoli
.
Mommsen
riconosce i fondamenti storici della leggenda di
Tarquinio il Superbo
e della sua cacciata da
Roma
.La monarchia fu rovesciata perchè i re avevano abusato del proprio potere, avevano trascurato la funzione del
senato
, avevano ammassato ricchezze ed imposto gabelle. Il risentimento dei
Romani
contro i re destituiti durerà nel costume cittadino per i secoli a venire ed ogni romano giurerà di non tollerare mai alcun re.
L'ultima dinastia regnante, quella dei
Tarquini
fu bandita da
Roma
e riparò a
Cere
, è improbabile invece che gli
Etruschi
siano intervenuti contro gli insorti come racconta la tradizione.
In realtà la funzione giuridica del re, il contenuto del potere regio, non vennero modificati: la stessa autorità venne concessa annualmente a due magistrati alla volta. Ognuno dei due
consoli
godeva di tutto il potere del re: non si usava ripartire la loro funzione per competenze ed ognuno dei due poteva liberamente ingerire nelle delibere dell'altro. Dove i due
consoli
erano totalmente in dissenso si finiva con invalidare le sentenze consolari.
Con l'abolizione della potestà vitalizia vennero a cessare altre prerogative del re fra cui i suoi particolari rapporti con la clientela ed il diritto di decidere, nei processi penali, la possibilità del condannato di appellarsi.
Sempre nel concetto che l'integrità del potere regio non fosse alterabile ma che il suo esercizio dovesse essere vigilato furono istituiti altri magistrati intorno ai due
consoli
. I
pretori
che inizialmente rappresentarono degli assistenti dei
consoli
ed altre figure con competenze specialistiche.
Queste restrizioni del diritto consolare riguardavano la giustizia e l'amministrazione mentre in campo militare il
console
, come comandante supremo conservava la più ampia autonomia decisionale.
I
consoli
presiedevano l'elezione dei propri successori ed avevano il diritto di proporre una lista di candidati o di opporre il veto a candidature a loro non gradite.
La nomina dei sacerdoti e la giurisprudenza su di essi e sulle
vestali
non passarono dal re ai
consoli
e per questi atti fu istituita la figura del
Pontefice Massimo
.
In via straordinaria si nominava talvolta vicino ai
consoli
un solo capo detto
dittatore
.
Il
dittatore
poteva essere nominato da uno solo dei due
consoli
e la sua autorità superava quella dei
consoli
e quella del
senato
: la durata della sua carica era limitata a quella del
console
che lo aveva nominato e comunque non poteva superare i sei mesi. Con l'abolizione della monarchia le assemblee popolari raggiunsero il diritto di votare per eleggere i magistrati annuali e fu quindi inevitabile che la
plebe
, cioè la moltitudine dei non cittadini, liberti, clienti ecc. che contribuiva al pagamento delle imposte lottasse per conquistare il diritto di partecipare a tali elezioni. Ben presto anche i
plebei
ebbero il diritto di votare nelle
curie
.
Il
senato
non risentì profondamente dell'avvenuto mutamento dell'ordinamento politico romano, anzi l'abolizione del re ne ampliò di fatto le competenze. Patrizio per definizione questo consesso rimase legato all'aristocrazia e da esso gestito. La rivoluzione con cui
Roma
passò dalla monarchia alla repubblica, conclude
Mommsen
, ebbe un carattere profondamente conservatore e non fu risultato di una rivolta popolare quanto della strategia di due forti partiti (i cittadini e i domiciliati) che momentaneamente coalizzatisi per scacciare i re dispotici ripresero le loro rivalità appena il nuovo assetto fu consolidato.
La nuova cittadinanza che risultò da questo processo vide attestati i diritti fondamentali dei
plebei
che ora partecipavano alla milizia comunale, al voto ed erano tutelati dal diritto di appello al pari dei
patrizi
.
In questo periodo si formano importanti concetti del diritto romano, fra i quali la differenza fra la legge (la cui validità non è limitata nel tempo) ed il decreto la cui validità è limitata alla durata della carica del magistrato che ne è autore. Questo permetteva, ad esempio, ai
consoli
di riaprire cause che i loro predecessori avevano trattato con qualche irregolarità legale. Sempre a questo periodo risale la prima vera distinzione fra potere civile e potere militare.
La pratica del potere civile era dominata dalla legalità mentre nell'autorità militare un comandante aveva imperio assoluto. Era consuetudine che le leggi organiche e durature fossero emanate dal potere civile.
La breve durata della magistratura ed il fatto che i
consoli
erano comunque destinati a tornare, scaduta la carica, sotto l'autorità del
senato
rafforzò presto l'autorità dei senatori e dunque del
patriziato
.
Se non le leggi, la consuetudine molto radicata prevedeva che l'opinione espressa dal
senato
fosse comunque rispettata. Un'innovazione repubblicana proibiva sia al
console
che al
dittatore
di usufruire del tesoro pubblico senza il consenso del
senato
.
Libro II - Capitolo II.
Il
Tribunato del Popolo
e i
Decemviri
.
In pratica il
patriziato
avendo rinunciato all'esclusivo potere legale lo deteneva di fatto grazie alla sua assoluta ingerenza sulle magistrature ed all'antico attaccamento della gente alle famiglie dei maggiorenti.
Se questa situazione doveva deludere l'opposizione plebea la nobiltà tendeva ad accattivarsi il favore popolare con provvedimenti graditi soprattutto dal punto di vista economico come la diminuzione dei dazi e gli interventi governativi per mantenere basso il prezzo del grano.
Mentre il governo dei re aveva favorito il latifondo il nuovo governo aristocratico tendeva alla formazione di una classe dirigente di capitalisti da un lato e di un vasto proletariato di agricoltori dall'altro. Anche le agevolazioni sui dazi incentivando i commerci favorirono lo sviluppo di una classe di capitalisti, così come l'uso che iniziò in quel periodo di appaltare ai privati lavori pubblici e la riscossione delle imposte.
Analogamente la politica governativa nell'assegnare le concessioni per l'uso dei pascoli comunali tese a favorire i possidenti e le grandi famiglie plebee ad esse devote a scapito dei piccoli e medi proprietari.
Questi ed altri fenomeni, fra cui il credito personale, i gravami derivanti dalle imposte di guerra, l'uso di concedere al creditore ampi diritti sui beni e sulla persona del debitore, portarono ben presto alla miseria ed all'annullamento politico la classe dei medi agricoltori.
Dal punto di vista politico, secondo
Mommsen
, l'evoluzione in repubblica dello Stato romano non favorì affatto il proletariato povero ma solo quello strato della
plebe
che aveva già conquistato benessere economico e rilevanza politica tale da annoverare i propri esponenti fra i senatori. Di più: i
plebei
che entravano a far parte del
senato
, certamente i più abili e combattivi, impoverivano le file di quanti avrebbero potuto difendere la causa della popolazione più povera.
Errore del
patriziato
fu dunque quello di non aver voluto o saputo tutelare le classi medie e non aver cercato con queste un accordo accettabile, questo errore costò alla repubblica discordie senza fine.
Questo stato di fatto sfociò ben presto in una serie di crisi.
Nel
495 a.C.
(anno 259 di
Roma
) i contadini esasperati dalla rigida applicazione della legge sui crediti, rifiutarono l'arruolamento di leva. Il
console
Publio Servilio
in vista di una guerra, sospese temporaneamente l'applicazione delle leggi contro i debitori ed i contadini presero parte alla guerra, ma al loro ritorno furono puniti ed incarcerati mentre l'altro
console
Appio Claudio
ripristinava severamente le leggi sospese. L'anno seguente tuttavia la parola dei
consoli
non fu sufficiente a convincere i contadini a riprendere la guerra e fu nominato un
dittatore
,
Manio Valerio
, dal forte ascendente popolare. Ancora dopo le campagne il
senato
si ostinava a non trattare con la
plebe
della quale
Valerio
si era fatto rappresentante. L'esercito allora occupò una regione pubblica fra il
Tevere
e l'
Aniene
, successivamente detta
Monte Sacro
e si accinse a fondarvi una nuova città.
Valerio
fece da mediatore fra il
senato
ed i capi degli insorti e di fronte alla minaccia di una secessione che sarebbe stata disastrosa sul piano politico ed economico, dovette cedere.
I contadini ricevettero diversi benefici, fra cui la soppressione di molti debiti, la fondazione di colonie e un'amnistia generale. La riforma più importante fu tuttavia l'istituzione dei
tribuni della plebe
.
Questi magistrati ottennero il diritto di annullare o impedire le delibere dei
consoli
e dei magistrati minori tramite l'esercizio del "veto tribunizio".
I
tribuni della plebe
avevano facoltà di interrompere l'amministrazione o l'esecuzione delle sentenze, di impedire gli arresti, ecc. Questa forma di assistenza legale da loro resa ai
plebei
era tanto assidua che per legge i
tribuni
non potevano mai passare la notte fuori città e dovevano tenere le porte di casa aperte giorno e notte. La persona del
tribuno
era considerata sacra ed ogni azione contro di lui era un crimine punibile con la morte in forza di un giuramento di proteggere i
tribuni
che sul
Monte Sacro
fu ripetuto da ogni singolo plebeo.
L'istituzione del
tribunato
e le nuove riforme sociali portarono presto la
plebe
all'aspirazione di intervenire non soltanto in materia giudiziaria ma anche in ambito legislativo. L'assemblea della
plebe
prese a votare le proposte dei
tribuni
e la fazione plebea cominciò ad operare per ottenere che questi
plebiscita
venissero legalmente riconosciuti. Nel
492 a.C.
fu approvata la legge Icilia che vietava a chiunque di interrompere i
tribuni
mentre parlavano alla folla, con il che si ratificava di fatto la possibilità del
tribuno
di sottoporre alla
plebe
qualsiasi argomento e proposta.
I
tribuni
duravano in carica un anno come i
consoli
.
Nelle discussioni fra
tribuni
prevaleva il veto, cioè bastava che un solo
tribuno
fosse contrario per impedire la delibera di tutti i suoi colleghi . Come i
consoli
erano affiancati dai
pretori
, i
tribuni
erano affiancati dagli
edili
.
I
consoli
erano sempre
patrizi
, i
tribuni
sempre
plebei
.
Il potere dei
consoli
era più completo ma doveva arrendersi al veto dei
tribuni
.
I
consoli
erano eletti dall'assemblea generale mentre i
tribuni
soltanto dalla
plebe
, per questo motivo non si fregiavano dei simboli e degli attributi onorifici che spettavano ai magistrati comunali.
Il
tribunato
nacque con l'intento di contrastare e di dominare gli abusi e le esuberanze della classe dominante ma divenne presto, in forza delle sue stesse prerogative un'arma politica in mano alla
plebe
che la usò, poco dopo, per sostenere la propria aspirazione di accedere alle cariche comunali.
D'altro canto, nota
Mommsen
, il potere tutto negativo dei
tribuni
, non voleva risolvere le iniquità di fondo del sistema governativo romano anche perchè tali iniquità andavano a vantaggio non solo dei
patrizi
ma anche dei
plebei
ricchi o benestanti.
Le riforme successive alla rivolta di
Monte Sacro
non servirono certo a stabilire la pace sociale, anzi aprirono una forte conflittualità fra le due fazioni che fu preambolo alla guerra civile. Il più noto avvenimento di questa situazione è la vicenda di
Gneo Marcio, detto Coriolano
.
491 a.C.
, amareggiato per non aver ottenuto il
consolato
, propose di abolire il
tribunato
o di chiudere i granai di stato per costringere la
plebe
a rinunciare ai
tribuni
. Minacciato di morte dai
tribuni
si allontanò da
Roma
e tornò a capo di un esercito di
Volsci
. La tradizione vuole che l'intervento di sua madre abbia colpito la sua coscienza e lo abbia fatto desistere dal tradimento. Per
Mommsen
, indipendentemente dalla veridicità della tradizione l'evento denuncia significativamente il degrado morale che caratterizzava le lotte di classe in quel periodo.
Nel
460 a.C.
una schiera di ribelli guidata dal sabino
Appio Erdonio
fece sollevare gli schiavi e tentò l'assedio del
Campidoglio
.
La
Gente Fabia
dall'anno
485
al
479 a.C.
ebbe sempre un suo membro nel
consolato
e
Mommsen
interpreta la loro distruzione per mezzo degli
Etruschi
nella valle del
Cremera
come una reazione contro di loro della fazione opposta.
Nel
473 a.C.
il
tribuno
Gneo Genucio citò in giudizio due consolari ma nel giorno destinato all'accusa fu trovato morto nel suo letto. La legge Publilia proposta nel
471 a.C.
dal
tribuno popolare
Volerone Publilio
introdusse una riforma importantissima: fino ad allora la
plebe
aveva votato per (
curie
, all'interno di ogni (
curia
si votava per persona, indipendentemente dal patrimonio e dalla residenza. Ciò permetteva alle grandi famiglie patrizie di ingerire nelle decisioni grazie ai loro numerosi clienti e liberti che, facendo parte della
plebe
, partecipavano alle votazioni. Con la legge Publilia la
plebe
non votò più per (
curia
ma per tribù, dove ogni tribù corrispondeva ad uno dei ventuno distretti in cui si era suddiviso il territorio. Nella tribù votavano solo i possidenti, il che escludeva clienti e liberti, ed ogni voto aveva pari peso indipendentemente dalle dimensioni dei poderi, il che riduceva di molto l'importanza dei grandi possidenti. Questa deliberazione amplificò, come si vede, l'importanza del ceto medio che fu abbastanza forte da ottenere che le sue decisioni, purchè approvate dal
senato
, fossero parificate a quelle delle centurie.
Nel
486 a.C.
il nobile
Spurio Cassio
, dopo due trionfi ed al terzo
consolato
propose la spartizione dei terreni demaniali con un disegno di legge agraria, contando sul supporto della
plebe
e sul proprio prestigio personale. Il tentativo finì male: i nobili ed i
plebei
ricchi si sollevarono contro di lui, il popolo minuto fu scontento del fatto che la proposta prevedeva la concessione di terre anche ai federati latini.
Cassio
cadde presto in rovina e, accusato di aspirare alla tirannide, venne giustiziato.
Nell'anno
462 a.C.
il
tribuno
Gaio Terentilio Arsa
propose che una commissione di cinque membri compilasse un codice di leggi che servisse di norma ai
consoli
. Il
senato
respinse la proposta e ne derivarono altre lotte sociali.
Nel
457 a.C.
il numero dei
tribuni della plebe
fu portato da quattro a dieci.
Nel
456 a.C.
fu concesso alla
plebe
di occupare il
Colle Aventino
per costruirsi abitazioni.
Nel
454 a.C.
si giunse infine ad un accordo sulla compilazione del codice: fu decisa l'istituzione di una commissione di dieci magistrati (
decemviri
) che dovevano essere eletti dalle centurie, con il compito di codificare un corpo di leggi e di fungere, per il periodo del loro incarico, da supremi magistrati in luogo dei
consoli
. La delibera ammetteva la possibilità di eleggere
plebei
nella commissione.
Nel
451 a.C.
fu inviata una legazione in
Grecia
per riportarne le leggi di
Solone
ed altre greche che fungessero da modello e da documentazione per la commissione legiferante, subito dopo si passò ad eleggere la commissione stessa che risultò composta di soli
patrizi
, a riprova della potenza di cui la nobiltà ancora disponeva, nella seconda elezione (
450 a.C.
) vennero nominati alcuni
plebei
, i primi a
Roma
a ricoprire una carica comunale.
Si convenne da ambo le parti, sembra, che le leggi codificate vincolando l'operato dei
consoli
, rendevano superfluo il
consolato
.
Nel
451 a.C.
il primo
decemvirato
presentò al popolo che lo accettò un primo codice di leggi che, inciso su dieci tavole di rame, fu esposto nel
Foro
. Nel
450 a.C.
dopo una seconda elezione furono aggiunte due tavole e nacque la
legge delle dodici tavole
. Questo codice non si distaccava sostanzialmente dalla legislazione non scritta vigente ma aveva la funzione politica di vincolare i
consoli
a forme processuali e norme stabilite contenendo nei limiti delle stesse la loro possibilità di arbitrio.
Compiuto il suo compito il
decemvirato
avrebbe dovuto dimettersi, invece tentò di continuare a detenere il potere. In quel periodo iniziò una guerra contro
Volsci
e
Sabini
. Fu trovato morto, forse assassinato, l'ex
tribuno
Lucio Siccio Dentato
, personaggio estremamente popolare la cui morte suscitò lo sdegno dell'opinione pubblica.
Una sentenza di
Appio Claudio
contro la figlia del centurione
Lucio Virginio
, fidanzata dell'ex tribuno
Lucio Icilio
condannò la ragazza alla schiavitù: il padre la pugnalò sulla pubblica piazza per sottrarla alla vergogna. Questo episodio scatenò la reazione della folla, si giunse presto ad una nuova ribellione. I
plebei
tornarono sul
Monte Sacro
,
Lucio Valerio
e
Marco Orazio
funsero da mediatori: il
decemvirato
fu destituito ed il tribunato ripristinato. I due
decemviri
più in vista,
Appio Claudio
e
Spurio Oppio
, si suicidarono in carcere, gli altri otto furono esiliati.
Secondo
Mommsen
comunque questa versione dei fatti ci è stata tramandata in modo adulterato dall'aristocrazia. Erano gli aristocratici, infatti, e non la
plebe
ad avere motivi di astio contro i
decemviri
e probabilmente la rivolta che portò alla loro destituzione fu sobillata proprio dal
patriziato
.
Le leggi Valerie-Orazie (
449 a.C.
) costituirono il compromesso con il quale si concluse questo conflitto. Il
tribunato popolare
fu ristabilito, il nuovo codice mantenuto e reso vincolante per i
consoli
. Fu stabilito che ogni magistrato, compresi i dittatori, fosse obbligato alla sua nomina a riconoscere il diritto di appello. Un'ulteriore limitazione del potere dei
consoli
fu l'istituzione dei
questori
, contabili scelti dal comune ai quali venne demandata l'amministrazione della cassa di guerra. Furono eletti per la prima volta nel
447 a.C.
Ai
tribuni
venne concesso di assistere alle riunioni del
senato
e di esprimervi un voto consultivo. Col tempo si formulò il principio per cui un veto di un
tribuno
bastava ad interrompere un senato-consulto.
Per evitare contraffazioni fu stabilito che i senato-consulti fossero custoditi oltre che nel
tempio di Saturno
presso i
questori urbani
(
patrizi
) anche nel tempio di
Cerere
presso gli
edili
(
plebei
).
Con l'emanazione di queste leggi il collegio tribunizio venne consolidato definitivamente nei suoi poteri e da allora in poi non si registrano altri tentativi di sopprimerlo.
LIBRO SECONDO.
Libro II - Capitolo III.
La perequazione dei ceti e la nuova aristocrazia.
Progressivamente andò formandosi un ceto medio di
plebei
benestanti che riuscivano ad avere accesso al
senato
e che col tempo si trovò alla testa del suo ceto nel fronteggiare il
patriziato
. Se in origine l'istituzione del
tribunato
deve essere stata poco gradita a questo ceto quando la vicenda del
decemvirato
dimostrò l'impossibilità di abolire i
tribuni
ai ricchi
plebei
non rimase altro che servirsene per i propri scopi.
Nel
455 a.C.
la legge Canuleia rese legittimi i matrimoni fra
patrizi
e
plebei
stabilendo che ai figli spettasse la condizione del padre.
Fu stabilito di eleggere, in luogo dei
consoli
sei
tribuni di guerra
con autorità consolare. Decisione questa che ebbe come prima causa, o forse solo come pretesto, il fatto che due soli
consoli
risultavano spesso insufficienti dati i numerosi fronti di guerra che si aprivano con le popolazioni limitrofe.
In realtà si trattò di una nuova conquista della
plebe
in quanto, di diritto, tutti i gradi dell'esercito (compreso quello di questi
tribuni
) potevano essere raggiunti da qualsiasi cittadino o domiciliato atto alle armi.
D'altro canto con questa istituzione la nobiltà riusciva ad evitare che i
plebei
accedessero al
consolato
vero e proprio il che avrebbe fra l'altro permesso loro di intervenire nelle discussioni del
senato
.
Nonostante i continui, ed inevitabili, successi della
plebe
la nobiltà continuò a resistere con vari mezzi rifiutandosi di fare concessioni definitive che le togliessero di mano l'esclusivo controllo del
senato
.
Nel
435 a.C.
furono istituiti i
censori
. Venivano eletti dalle centurie fra i nobili e duravano in carica diciotto mesi. Avevano il compito di redigere, di regola ogni quattro anni, il registro dei cittadini e delle imposte, compito fino ad allora svolto dai
consoli
.
Nello stesso periodo anche la carica di
questore
, per la sua natura essenzialmente militare fu aperta ai
plebei
.
Nel
439 a.C.
si verificò l'episodio di
Spurio Melio
, ricco
plebeo
che durante una carestia prese a vendere il grano a prezzi bassissimi. Fu citato dal prefetto delle provviste
Lucio Minucio
che lo incolpò di mire monarchiche. Il
console
Tito Quinzio Capitolino
nominò allora l'ottuagenario
Lucio Quinzio Cincinnato
dittatore
senza appello (contravvenendo alle leggi del
449 a.C.
).
Gaio Servilio Aala
, maestro di cavalleria del
dittatore
uccise
Spurio Melio
perchè reticente a presentarsi in giudizio. L'episodio è sintomatico della situazione politica di quegli anni ed indica a quali mezzi fosse ormai ridotta la nobiltà per condurre la lotta di classe.
Nel
432 a.C.
fu emanata una legge contro i brogli elettorali per contenere gli intrighi con i quali la nobiltà, da sempre, cercava di condizionare a proprio vantaggio l'esito delle elezioni.
Nel frattempo la contesa politica poneva in secondo piano le questioni di carattere sociale e la condizione del popolo minuto si faceva estremamente miserevole, mentre i ricchi
plebei
si dimostravano non meno insensibili dei
patrizi
ai suoi problemi.
Si ebbe il caso di
Marco Manlio
, salvatore del
Campidoglio
durante l'assedio dei
Galli
che per aver più volte difeso ed aiutato a sue spese poveri popolari fu incriminato con la consueta accusa di aspirazione alla tirannide e condannato a morte dalla stessa
plebe
(
384 a.C.
)
Durante la guerra contro
Veio
si manifestò la necessità di trattenere sotto le armi gli arruolati non solo durante l'estate come era consuetudine, ma anche d'inverno. Per evitare la conseguente renitenza alla leva lo Stato decise di caricare il soldo militare alle casse dello stato sovvenzionandole però, non con la vendita dei beni demaniali come sarebbe stato equo ma con anticipazioni forzate imposte ai contribuenti. Tali prelievi straordinari, più volte ripetuti, finirono per rovinare economicamente i piccoli possidenti.
I
tribuni della plebe
Gaio Licinio
e
Lucio Sestio
proposero un pacchetto di riforme che comprendeva l'abolizione del
tribunato consolare
, l'accesso dei
plebei
alla carica di uno dei due
consoli
, una regolamentazione per l'utilizzo e l'occupazione dei terreni demaniali, l'ammissione dei
plebei
al collegio dei conservatori di oracoli ed altre misure in favore dei debitori.
Un insieme articolato di norme di grande rilevanza politica e sociale che
Mommsen
intende come un grosso compromesso teso a perequare i ceti sociali.
La nobiltà ovviamente oppose molta resistenza e pur non avendo più la forza politica per respingere il provvedimento riuscì a procastinarlo per ben undici anni e solo nel
367 a.C.
le nuove leggi vennero approvate.
Con l'elezione del primo
console
plebeo,
Lucio Sestio Laterano
, uno dei promotori della riforma, la nobiltà dinastica cessò di essere istituzione politica.
Il vecchio eroe patrizio
Marco Furio Camillo
fondò ai piedi del
Campidoglio
il
Tempio della Concordia
, per celebrare la nuova armonia creatasi con questi provvedimenti fra le classi sociali.
A seguito delle leggi Licinie Sestie fu istituito accanto ai
consoli
l'ufficio del
pretore
con incarichi strettamente giudiziari. Furono inoltre istituiti i due
edili curuli
(
patrizi
) perchè sovraintendessero ai mercati, alla polizia, alle feste cittadine. Subito dopo però la carica di
edile curule
divenne accessibile anche ai
plebei
.
Nei decenni seguenti una serie di leggi portò alla completa perequazione nell'accesso alle cariche civili e religiose.
La legge promossa dal
dittatore
Quinto Ortensio
nel
286 a.C.
portò infine alla parificazione delle deliberazioni dell'assemblea repubblicana e della
plebe
.
Dopo l'emanazioni delle leggi Licinie - Sestie, altre leggi furono varate nello spirito della perequazione sociale: la tassa sull'emancipazione degli schiavi fu la prima imposizione romana posta effettivamente sui ricchi (
357 a.C.
)
Furono rinnovate le leggi contro l'usura già presenti nelle
dodici tavole
e si ridusse il tasso d'interesse dal dieci al cinque per cento, finchè nel
342 a.C.
fu proibito applicare interessi, questa disposizione ovviamente non venne osservata.
La legge Petelia del
326 a.C.
o del
313 a.C.
soppresse la procedura esecutiva sommaria e si stabilì che nessun cittadino romano potesse essere tratto in schiavitù, se non in forza di una sentenza di giurati.
Nonostante tutte queste innovazioni la condizione del popolo e del ceto medio domiciliato rimase a lungo grave ed il governo mancava dell'unità e della forza politica ed economica necessaria a risolvere i molti problemi esistenti.
Un aiuto più concreto venne alle classi medie dall'estendersi della dominazione romana sull'
Italia
.
Nel
quinto secolo
furono fondate molte colonie che procurarono lavoro al proletariato romano. Le finanze della repubblica migliorarono rapidamente allontanando la necessità di applicare tributi sui contadini sotto forma di prestito forzato.
Nel periodo di circa cento anni che va dall'ultima guerra contro
Veio
alla prima contro
Pirro
i contrasti sociali in
Roma
sembrarono risolti e le riforme del
367 a.C.
, pur con le loro limitazioni, portarono ad un ottimo grado di eguaglianza sociale.
Tuttavia anche dopo le riforme il governo rimase prevalentemente in mano all'aristocrazia, si trattava però di un'aristocrazia contadina in cui il possidente lavorava fisicamente la terra al pari dei suoi salariati senza particolari esteriorità sociali, come in una vera comunità di agricoltori.
Mentre nasceva un ceto signorile di origine plebea che andava a condividere il potere del
patriziato
, si creò naturalmente una nuova opposizione politica che andò a schierarsi a favore del popolo minuto e dei piccoli agricoltori.
I primi leaders della nuova opposizione furono
Manio Curio
(
console
nel
290
-
275
-
274 a.C.
) e
Gaio Fabrizio
(
console
nel
282
-
278
-
273 a.C.
e
censore
nel
275 a.C.
), entrambi di condizione non agiata, entrambi rappresentanti del ceto dei piccoli agricoltori contro le casate signorili.
La configurazione politica dello Stato dopo le riforme: la cittadinanza, nelle sue assemblee ordinarie, rimaneva il supremo organo dello Stato. Salvo alcune decisioni, fra cui l'elezione dei
consoli
, le riforme stabilivano che la votazione per distretti avesse la stessa validità di quelle per centurie, la legge Ortensia, come si è detto, estese il concetto anche all'assemblea speciale dei
plebei
.
In generale la competenza della cittadinanza fu aumentata, mentre i
comizi
centuriati si tenevano lontani dalle decisioni di carattere amministrativo e non militare.
I
comizi
tributi venivano consultati quando mancava l'accordo fra i
consoli
, come avvenne nel caso della richiesta di pace da parte di
Cere
(
353 a.C.
) o da parte dei
Sanniti
(
318 a.C.
) .
Tuttavia mentre si ampliava la competenza dell'assemblea popolare la sua influenza pratica cominciò a scemare a causa delle accresciute dimensioni dello Stato e della popolazione. Non potendo più la cittadinanza riunirsi "in una piazza" per discutere l'assemblea venne diventando, dice
Mommsen
, uno strumento in mano di chi la presiedeva, del resto il cittadino era allora "incapacissimo" di avere una propria volontà ed una propria opinione.
La magistratura consolare che all'inizio della repubblica aveva accettato tutti i poteri che erano stati del re, uscì dal periodo delle lotte sociali fortemente diminuita. Molte delle sue competenze erano state trasferite ai nuovi uffici creati in quel periodo.
Anche la dittatura fu sensibilmente ridimensionata e dal
350 a.C.
in poi vennero nominati dittatori con mandati specifici e con competenze limitate.
Si emanarono norme che proibivano di accedere due volte al
consolato
a meno di dieci anni di distanza o di ricoprire due volte la
censura
. Com'è noto vi furono diverse eccezioni a queste regole.
Il
tribunato popolare
rimase in pieno esercizio dei suoi poteri ed attributi, anzi i
tribuni
furono ammessi a partecipare alle riunioni del
senato
ed a prendere la parola. Per
Mommsen
questo fu il modo scelto dalla nuova aristocrazia per convertire l'istituzione tribunizia "da una macchina di opposizione ad un organo di governo, associando i
tribuni
all'esercizio del potere" laddove non si sarebbe riusciti ad eliminare il
tribunato
senza rischiare una rivoluzione popolare.
Dopo il pareggiamento delle classi la Repubblica era di fatto governata dal
senato
, quasi senza opposizione. Il diminuito potere dei
consoli
aveva emancipato il
senato
.
Ogni nuovo disegno di legge era prima discusso in
senato
e nessun magistrato avrebbe mai sottoposto un progetto ai
comizi
senza o contro il parere del
senato
.
Il
senato
si arrogò via via varie funzioni, come quella dell'elezione dei dittatori in origine spettante ai
consoli
, riuscì ad intervenire in modo determinante nell'assegnazione delle sfere di competenza ai due
consoli
e, cosa molto importante, ottenne la facoltà di prolungare (almeno fuori dai confini dello stato) le cariche dei
consoli
o dei
pretori
, trattenendoli in carica come
proconsoli
o propretori.
Dipendevano esclusivamente dal
senato
tutto ciò che riguardava la guerra, la pace e le alleanze, la fondazione di colonie, l'assegnazione di terreni, le costruzioni pubbliche ed in generale il ramo delle finanze.
Sull'integrità morale del
senato
vigilava un "tribunale dei buoni costumi" composto da uomini integerrimi nominati a vita per non essere influenzati dal "vacillante favore del popolo". Tale tribunale ogni quattro anni rivedeva le liste dei senatori ed aveva facoltà di espellere quelli che si fossero macchiati di comportamenti indegni.
Il giudizio storico di
Mommsen
sul
senato
della Repubblica è positivo: pur non dimenticando come questo organo avesse accentrato il potere nelle proprie mani tramite un processo che definisce di usurpazione e come tale potere nelle questioni interne sia stato a volte applicato tenendo presente l'interesse particolare dei senatori,
Mommsen
afferma che il
senato
, una volta liberato dal "frivolo caso della nascita" e nominato dal libero suffragio della nazione seppe nel complesso creare il principio che vede tutti i cittadini uguali davanti alla legge risolvendo così l'astiosità fra i ceti e seppe rappresentare lo Stato all'estero con dignità senza pari.
Libro II - Capitolo IV.
Caduta della potenza etrusca. - I
Celti
.
Conclusa l'analisi dell'evoluzione politica e sociale interna alla Repubblica dei primi due secoli l'autore torna all'inizio di tale periodo per studiare la politica estera.
Alla caduta dei
Tarquini
gli
Etruschi
erano all'apice della loro potenza e con i loro alleati
Cartaginesi
dominavano il
Mediterraneo
. La
Sardegna
era stata conquistata dai figli del generale cartaginese
Magone
nel
500 a.C.
, metà della
Sicilia
era dominata da
Cartagine
, gli
Etruschi
dominavano l'
Adriatico
, ecc.
Per gli
Etruschi
era importante conquistare il
Lazio
posto fra il loro territorio originario ed i loro possedimenti in
Campania
.
Nel
507 a.C.
il re
Lars Porsenna
di
Chiusi
approfittò della debolezza che gli stravolgimenti politici avevano provocato nell'esercito romano per attaccare
Roma
e costringerla a cedere tutti i territori sulla riva destra del
Tevere
, nonchè ad accettare svantaggiosissime condizioni di pace.
L'esercito etrusco continuò la sua avanzata nel
Lazio
ma fu fermato ad
Aricia
da contingenti greci venuti da
Cuma
in aiuto dei
Latini
. In quel periodo la nazione ellenica era impegnata nelle
guerre persiane
e
Cartagine
, coinvolgendo gli alleati
etruschi
, si associò alla politica persiana. Mentre
Serse
attaccava la
Grecia
i
Cartaginesi
attaccarono la
Sicilia
ma, come dice
Mommsen
"la vittoria arrise agli
Elleni
".
Nel
480 a.C.
con la vittoria di
Salamina
l'
Ellade
propriamente detta fu salvata dall'attacco persiano mentre i signori di
Siracusa
ed
Agrigento
,
Gelone
e
Terone
, battevano ad
Imera
l'immenso esercito del cartaginese
Amilcare
, figlio di
Magone
.
Anassilao
, signore di
Reggio
aveva interdetto nel
482 a.C.
lo stretto ai corsari etruschi tramite una flotta permanente. I
Cumani
e
Gerone di Siracusa
nel
474 a.C.
sconfissero gli
Etruschi
presso
Cuma
nonostante gli aiuti cartaginesi.
I
Cartaginesi
e gli
Etruschi
persero il dominio del
Mediterraneo
che passò ai
Siracusani
ad occidente ed alla nascente potenza di
Taranto
nell'
Adriatico
.
Gerone
aveva occupato
(
Ischia
) interrompendo la comunicazione fra
Etruschi
e
Campania
.
Nel
452 a.C.
per distruggere la pirateria etrusca i
Siracusani
misero a sacco la
Corsica
, devastarono la costa etrusca ed occuparono l'
isola Aethalia (Elba)
.
Stando agli annalisti romani in quel periodo si svolse una lunga guerra fra
Roma
e
Veio
(
482 a.C.
-
474 a.C.
) durante la quale i
Romani
subirono gravi sconfitte (fra le quali la strage dei
Fabii
sul
Cremera
nel
477 a.C.
). Tuttavia l'armistizio di quattrocento mesi che seguì favorì i
Romani
ripristinando la situazione territoriale del tempo dei re.
Poco dopo la
Campania
fu invasa dai
Sanniti
che nel
424 a.C.
conquistarono
Capua
, capitale della colonia meridionale degli
Etruschi
ponendo fine alla presenza etrusca in
Campania
.
Intanto da Nord cominciarono ad arrivare i
Celti
.
Mommsen
fornisce una breve descrizione dei caratteri dei
Celti
: li definisce privi delle qualità necessarie per sviluppare una forma avanzata di civiltà, abilissimi nelle armi disprezzavano l'agricoltura vivendo in tempi di pace prevalentemente di pastorizia. Condussero esistenza vagabonda, li si trovava in tutta
Europa
senza che in alcun luogo creassero una vera e propria cultura.
Anche i
Celti
risalivano alla matrice indoeuropea e la loro penetrazione in
Europa
li spinse a stabilirsi soprattutto nell'odierna
Francia
.
Dalla
Francia
ed in genere dalle regioni a nord delle
Alpi
i
Celti
cominciarono a penetrare in
Italia
e nella Selva Nera.
Il Re Ambiato inviò due orde, comandate dai suoi nipoti
Segoveso
e
Belloveso
.
Segoveso
, varcato il
Reno
dedusse una colonia gallica sul medio
Danubio
,
Belloveso
valicate le
Alpi Graie
, discese nella valle del
Po
, fondando la colonia degli
Insubri
con capitale
Mediolanum
. Poco dopo un'altra ondata avrebbe fondato la gente dei
Cenomani
con le città di
Brixia
(
Brescia
) e
Verona
.
Le ondate celtiche continuarono a penetrare in
Italia
togliendo via via agli
Etruschi
ed agli
Umbri
tutta la
Val Padana
, quindi i
Boi
penetrarono in
Romagna
e conquistata
Felsina
la chiamarono
Bononia
facendone la propria capitale. Infine i
Senoni
discesero fino ad
Ancona
e forse penetrarono in
Umbria
.
Dopo queste invasioni gli
Etruschi
si trovarono circoscritti, verso la metà del
quarto secolo
nel territorio che poi conservò il nome di
Etruria
.
Mentre la nazione etrusca versava in difficoltà sempre più gravi, scadeva (
445 a.C.
) l'armistizio fra
Roma
e
Veio
e riprendevano gli scontri di confine, tuttavia gli
Etruschi
erano ancora troppo potenti per i
Romani
e solo quando i
Fidenati
cacciarono la guarnigione romana e si sottomisero ai
Veienti
scoppiò una vera guerra.
Il re di
Veio
Lars Tolumnio
cadde in battaglia per mano del
console
Aulio Aurelio Cosso
(
428 a.C.
) e nel
425 a.C.
Fidene
fu espugnata, seguì un nuovo armistizio di duecento mesi durante il quale gli
Etruschi
subirono altre invasioni da nord ad opera dei
Celti
. Nel
408 a.C.
, scaduto il nuovo armistizio, i
Romani
attaccarono nuovamente
Veio
con l'aiuto dei
Latini
e degli
Ernici
.
Veio
non fu assistita dagli altri
Etruschi
, forse per discordie interne, tuttavia riuscì a resistere all'assedio fino al
396 a.C.
, quando fu espugnata da
Marco Furio Camillo
.
Fu la prima vera conquista romana, la prima volta che l'esercito romano rimase in armi estate ed inverno e che lo Stato accollò il soldo militare all'erario pubblico.
Veio
fu distrutta e le sue alleate
Falerii
e
Capena
si arresero.
Volsinii
che era rimasta neutrale si armò contro
Roma
ma nel
391 a.C.
si arrese.
Nel frattempo i
Celti
avevano proseguito la loro avanzata fino ad assediare
Chiusi
. La situazione etrusca era così grave che
Chiusi
dovette chiedere aiuto ai
Romani
nonostante la guerra con
Veio
e l'ovvia conseguente inimicizia.
La prospettiva di condurre una guerra fino ai confini settentrionali dell'
Etruria
era troppo impegnativa per la
Roma
di allora ed il
senato
decise di mantenersi neutrale, tuttavia gli ambasciatori inviati a
Chiusi
comportandosi con poca avvedutezza provocarono degli incidenti diplomatici partecipando ad un combattimento. I
Galli
chiesero riparazione e visto il rifiuto romano il re
Brenno
mosse contro
Roma
. IL 18 Luglio del
390 a.C.
, i
Galli
di
Brenno
si scontrarono con un esercito romano sul
fiume Allia
a tre miglia da
Roma
, ma sottovalutando il nemico la difesa romana non era stata adeguatamente preparata e non seppe resistere all'impeto delle orde celtiche. Tre giorni dopo i
Galli
entrarono a
Roma
senza incontrare ulteriore resistenza.
I
Romani
validi alle armi si asserragliarono nella rocca del
Campidoglio
dove furono assediati per sette mesi dai
Celti
che avevano intanto saccheggiato ed incendiato il resto della città. L'assedio fu difficile anche per i
Celti
che avevano difficoltà a procurarsi vettovaglie per la resistenza delle città vicine e quando giunse notizia di un'invasione da parte dei
Veneti
del territorio dei
Senoni
, gli assedianti decisero di accettare un riscatto in oro ed abbandonare il campo.
Dopo l'assedio una tradizione posteriore pretende che l'oro del riscatto fosse riportato a
Roma
da
Camillo
.
I fuggiaschi romani che avevano riparato nelle campagne circostanti cominciarono a riunirsi ed in qualche tempo la città fu ricostruita.
Mommsen
diminuisce l'importanza storica del sacco di
Roma
considerandola più una "catastrofe naturale" che non un evento politico, la situazione nel suo complesso non fu infatti mutata.
Successivamente i
Galli
tornarono più volte nel
Lazio
:
nel
367 a.C.
furono sconfitti da
Camillo
presso
Alba
.
nel
361 a.C.
fronteggiarono sull'
Aniene
il campo del
console
Tito Quinzio Peno
ma proseguirono verso la
Campania
senza combattere.
Nel
360 a.C.
il
dittatore
Quinto Servilio Aala
combattè con loro a Porta Collina.
Nel
358 a.C.
furono ancora sconfitti dal
dittatore
Gaio Sulpicio Petico
.
Nel
350 a.C.
si accamparono sul
monte Albano
e furono cacciati da
Lucio Furio Camillo
.
Terminate le invasioni barbariche i
Romani
si volsero alla conquista dell'
Etruria
.
Nel
351 a.C.
Cere
divenne un comune privo di autonomia, amministrato da un prefetto romano.
Nel
343 a.C.
Falerii
si staccò dalla lega etrusca per sottoscrivere una perpetua alleanza con
Roma
e così tutta l'
Etruria
meridionale diveniva dominio romano, mentre
Tarquinia
e l'
Etruria
settentrionale si legarono (nel
351 a.C.
) con un trattato di pace della durata di quattrocento mesi.
Verso la metà del
quarto secolo
le calate dei barbari in
Italia
cessarono sia per la resistenza incontrata, sia per cambiamenti nella situazione dei
Celti
di cui non abbiamo notizie e la situazione dell'
Italia Settentrionale
si stabilizzò .
- gli
Umbri
nelle valli degli
Appennini
.
- i
Veneti
nella parte Nord Est della
Valle Padana
.
- ad Ovest, estendendosi fino a
Pisa
ed
Arezzo
, i
Liguri
.
- nella pianura mediana i
Galli
: a Nord del
Po
Insubri
e
Cenomani
, a Sud i
Boi
.
- sulla costa adriatica da
Rimini
ad
Ancona
i
Senoni
.
In questi territori rimasero delle colonie etrusche isolate come
Mantova
ed
Adria
.
I
Celti
in
Italia
cessarono la vita guerresca ed acquisirono vari elementi dalla civiltà etrusca.
Quanto agli
Etruschi
la loro nazione così ridimensionata entrò in una rapida decadenza durante la quale i dissidi sociali interni fra le masse sempre più povere e l'aristocrazia egemone dettero il colpo di grazia alla loro civiltà. Città come
Arezzo
e
Volsinii
, divenute ingovernabili finirono col chiedere l'intervento romano e perdere l'indipendenza.
Libro II - Capitolo V - Sottomissione dei
Latini
e dei Campani alla signoria di
Roma
.
L'egemonia di
Roma
sul
Lazio
creatasi dopo l'epoca della monarchia fu inizialmente basata sulla parità di diritti fra
Roma
e le città della
Lega Latina
. In caso di guerra contro stati stranieri
Roma
e la confederazione contribuivano con pari forze e dividevano l'eventuale bottino in parti uguali.
Durante l'età repubblicana, tuttavia, questi rapporti andavano mutando a favore di
Roma
: il comando supremo toccava sempre a un generale romano e i confederati persero progressivamente il diritto di fare guerre o trattati in autonomia.
Furono però sempre rispettati i patti riguardanti i diritti dei cittadini di un comune confederato negli altri comuni membri della
Lega
. Il cittadino di un comune poteva liberamente decidere di stabilirsi in un altro godendovi tutti i diritti pubblici e privati ed assumendosi tutti gli obblighi relativi.
I comuni confederati adottarono costituzioni basate sul modello romano dell'autorità collegiale, secondo
Mommsen
ciò avvenne per pressione della nobiltà romana, pressione che risultò più forte della resistenza dei
Tarquini
e delle varie famiglie regali locali.
La supremazia che
Roma
acquistò nel tempo fu agevolata dalla minaccia etrusca e garantì una maggiore stabilità alla confederazione latina.
Nel primo periodo repubblicano rapporti e scontri fra
Romani
e
Sabini
nel
Lazio
furono relativamente rari, forse perché i
Sabini
erano attirati da territori più meridionali. Più intensa fu la conflittualità con gli
Equi
stanziati ad est (valli del Turano e del Salto) e con i
Volsci
a sud (costa da
Sora
al
fiume Liri
).
La prima preoccupazione dei
Romani
fu quella di dividere
Equi
e
Volsci
interferendo nelle comunicazioni. Agli inizi del
quinto secolo
i
Latini
condivisero con i
Volsci
territori prossimi alle Paludi Pontine fondando colonie quali
Velitre
,
Norba
, Signia,
Suessa
.
Nel
486 a.C.
gli
Ernici
furono ammessi nella lega romano-latina rafforzando i confini territoriali sudorientali. Ciò isolò i
Volsci
, gli
Equi
e i
Rutuli
, ma furono i
Volsci
ad opporre maggiore resistenza.
I
Romani
occuparono
Anzio
nel
467 a.C.
ma la città si liberò nel
459
per essere riconquistata soltanto nel
377 a.C.
Fu negli anni fra il
385 a.C.
e il
381 a.C.
che
Roma
riuscì a colonizzare stabilmente il territorio dei
Volsci
che furono definitivamente sottomessi.
Intanto si acuivano i dissensi interni della confederazione, a volta a causa degli abusi dei
Romani
come quando nel
442 a.C.
intervenendo in contese interne della città di
Ardea
, i
Romani
espropriarono i terreni dei cittadini a loro contrari.
Quando
Roma
fu indebolita dall'invasione dei
Celti
la coesione della lega crollò e fu la guerra fra i confederati.
Roma
sottomise
Lanuvio
nel
383 a.C.
,
Preneste
nel
382
,
Tuscolo
nel
381 a.C.
,
Tibur
nel
354
.
Nel
381 a.C.
l'intera popolazione di
Tusculum
fu inglobata nella Repubblica Romana come cittadini senza diritto di voto.
La guerra fra
Romani
ed
Ernici
durò dal
396 a.C.
al
358 a.C.
e fu vinta dai
Romani
. Nel
384 a.C.
le città confederate chiusero l'annessione di nuovi comuni e la lega rimase definitivamente composta da quarantasette membri dei quali solo trenta avevano diritto al voto. Fra gli effetti di questo provvedimento fu la stabilizzazione dei confini del
Lazio
che da allora cessarono di estendersi con l'ammissione di nuovi federati.
In quest'epoca si verificò un'ulteriore riforma delle costituzioni dei comuni latini che furono totalmente parificate al modello romano. In tutte le città furono istituiti uffici di polizia urbana subito dopo l'istituzione dell'
edilità curule
in
Roma
. Divenuta più forte per le vittorie su
Veio
e sui territori pontini, alla metà del
IV secolo
Roma
raggiunse l'egemonia sulla
Lega Latina
anche grazie al trattato che firmò con
Cartagine
.
I
Cartaginesi
, infatti, si impegnarono a rispettare i comuni membri della Lega ma quel comune che si fosse separato dalla confederazione non avrebbe più goduto di tale protezione.
Questa situazione esasperava le città latine e la crisi maturò proprio quando i
Romani
, dopo aver debellato i
Volsci
ed essersi impadroniti rapidamente di
Priverno
e
Sora
giunsero al confine del territorio dei
Sanniti
.
Da un'originaria regione relativamente ristretta fra
Apulia
e
Campania
, i
Sanniti
avevano esteso il proprio dominio verso sud e verso il Tirreno e approfittando della crisi di
Etruschi
e
Greci
avevano conquistato
Capua
e Cuma.
Le colonie greche cercarono di opporre resistenza congiunta all'espansione di
Sanniti
,
Lucani
e
Bruzi
ma quando a questi
Italici
si alleò
Dionisio il Vecchio
tiranno di
Siracusa
, la Magna
Grecia
perse rapidamente il dominio del mare e molte delle sue città vennero distrutte. Sopravvissero
Napoli
e
Taranto
, la prima grazie alla diplomazia, la seconda con la resistenza militare.
In pratica quando
Roma
sconfisse
Veio
, i
Sanniti
possedevano l'
Italia
Meridionale con poche eccezioni. Il territorio dei
Sanniti
era dunque più esteso di quello dei
Romani
quando le due potenze si scontrarono, ma secondo
Mommsen
la romanizzazione del territorio conquistato e la concentrazione del potere nel grande nucleo urbano centrale conferivano a
Roma
una potenza superiore a quella dei
Sanniti
.
La presenza, tollerata e spesso gradita, di genti elleniche all'interno della nazione sannitica creò una situazione sociale e politica ben diversa da quella originaria delle genti italiche.
Capua
, pur divenendo una delle più importanti città dell'epoca, assunse a detta degli autori antichi tutti i connotati di una civiltà traviata e decadente (fu a
Capua
che nacque la lotta dei gladiatori) mentre il nerbo della gioventù campana militarmente abile preferiva spostarsi in
Sicilia
in cerca di ingaggi mercenari.
Soltanto il nucleo originale dei
Sanniti
abitatori delle montagne rimase immune all'influenza greca. Questi
Sanniti
compivano continue incursioni ai danni dei loro compatrioti delle pianure, tanto che nel
343
gli abitanti di
Capua
chiesero aiuto ai
Romani
. I
Romani
rifiutarono e i
Capuani
offrirono la spontanea sottomissione, convincendo il senato ad accettare.
In circostanze non chiare si giunse ad un accordo fra
Sanniti
e
Romani
, ma proprio allora le città latine si ribellarono e si armarono contro
Roma
. I
Capuani
colsero l'occasione per annullare la sottomissione e si schierarono con i
Latini
.
Nel
340 a.C.
il console
Tito Manlio Imperioso Torquato
sconfisse
Latini
e Campani presso Trifano.
La Lega venne sciolta e i singoli comuni latini firmarono trattati con i
Romani
mantenendo l'autonomia mentre
Anzio
e
Terracina
venivano occupate da coloni romani.
Lanuvio
, Aricia, Nomento e Pedo divennero comuni romani con limitata amministrazione autonoma. Velitre fu privata delle mura e del senato.
L'intera
Campania
passò sotto il dominio romano e a
Capua
fu introdotta una nuova costituzione e la città venne governata da magistrati romani con mandato annuale.
L'ultima battaglia in questa regione fu combattuta nel
329 a.C.
contro i cittadini di
Priverno
comandati da
Vitruvio Vacco
che, sconfitto e catturato, fu giustiziato a
Roma
.
Le colonie di Cales e
Fregelle
furono fondate rispettivamente nel
334 a.C.
e
328 a.C.
e divennero rapidamente molto forti. I
Sanniti
della montagna assistettero alla rapida conquista romana della
Campania
senza riuscire ad opporsi efficacemente, probabilmente a causa della loro scarsa organizzazione.
Libro II - Capitolo VI - Gli
Italici
contro
Roma
Minacciata da
Messapi
e
Lucani
la colonia di
Taranto
fece ricorso a mercenari greci. Nel
338 a.C.
il re spartano Archidamo accorso in aiuto di
Taranto
morì combattendo contro i
Lucani
. Prese il suo posto
Alessandro il Molosso
(fratello di
Olimpiade
madre di
Alessandro Magno
) che conquistò
Cosenza
, sede della lega sabellica, vinse i
Lucani
e i
Sanniti
a Preneste, i
Dauni
a Siponto, ma le sue mire e i suoi successi preoccuparono i suoi committenti e presto i
Tarentini
si trovarono a combattere contro il loro capitano di ventura che in un primo momento conseguì alcune vittorie e tentò di unire i
Greci
residenti in
Italia
contro
Taranto
ma nel
332 a.C.
venne ucciso da un lucano.
Con la sua morte i
Sanniti
poterono rivolgersi nuovamente alla conquista della
Campania
e del
Lazio
ma dovettero rendersi contro che mentre combattevano contro i
Greci
i
Romani
avevano quasi completamente sottomesso quelle regioni.
Quella sannita era la seconda potenza in
Italia
ma per contrastare i
Romani
avrebbe avuto bisogno dell'aiuto di altre nazioni, come i
Lucani
e i
Tarentini
ma questo aiuto non venne perché quei popoli non riuscirono a superare le loro inimicizie per schierarsi contro il comune nemico, quindi i
Sanniti
dovettero far affidamento solo su alleati minori come i
Frentani
o i
Marrucini
.
Le violazioni dei
Romani
nel territorio del
Liri
esasperavano i loro rapporti con il
Sannio
e quando fu chiaro che
Roma
oltre
Capua
e Cuma intendeva impadronirsi anche di Neapolis i
Sanniti
vi posero un presidio.
Nel
327 a.C.
i
Romani
assediarono
Napoli
ma l'anno successivo conclusero un trattato con gli abitanti di quella città offrendo accortamente condizioni tanto interessanti che anche
Nola
,
Nocera
,
Ercolano
e
Pompei
, già alleate dei
Sanniti
, passarono dalla loro parte.
In Lucania invece i
Romani
seppero sfruttare la tradizionale inimicizia con i
Tarentini
per ottenere nuove alleanze. Quando nel
326 a.C.
si iniziò a combattere i
Sanniti
erano completamente isolati e i
Romani
riuscirono a conquistare alcune località dei loro territori.
Negli anni successivi i
Romani
conseguirono vari successi e nel 322 i
Sanniti
chiesero la pace consegnando il cadavere di Brutolo Papio, capo del partito antiromano che si era suicidato quando i suoi connazionali avevano deciso di arrendersi.
I
Romani
non accettarono la trattativa e i
Sanniti
ripresero le armi affidando il comando a Gavio Ponzio. Nel
321
giunse notizia che i
Sanniti
avevano assediato Lucera ma si trattava di uno stratagemma che attirò l'esercito dei consoli
Spurio Postumio
e
Tito Veturio
in un'imboscata nelle gole di Caudium.
I comandanti romani furono costretti ad offrire la capitolazione e furono fatti prigionieri con l'intero esercito. Gavio Ponzio, probabilmente per la pressione del partito sannita contrario alla guerra, non approfittò della vittoria per tentare la conquista della
Campania
e del
Lazio
ma si accontentò di firmare un trattato di pace a condizioni moderate dopo aver umiliato i nemici con il passaggio sotto le forche.
L'esercito fu liberato ma il senato non ratificò il trattato e non rispettò le condizioni accettate con giuramento dai consoli.
Mommsen
giudica questa decisione legittima sia sul piano formale (i consoli non avevano il potere di concludere un simile accordo) sia su quello morale in quanto non si poteva umiliare l'intera Repubblica per rispettare le promesse estorte ai comandanti sotto la minaccia di distruggere l'esercito.
I due consoli furono consegnati ai
Sanniti
che non li accettarono e che generosamente risparmiarono anche i seicento ostaggi romani lasciati a garanzia del rispetto delle condizioni.
Nel
320
i
Sanniti
, ripresa la guerra, si impadronirono di Lucera e
Fregelle
mentre i
Romani
si riorganizzavano affidando il comando supremo a Lucio Papirio Cursore.
Nel
319 a.C.
Papirio riprese Lucera, liberò gli ostaggi e ricambiò l'umiliazione delle forche.
Nei due anni successivi il fronte si spostò dal
Sannio
in
Campania
e i
Romani
punirono i Satricani, i
Frentani
e quanti avevano aiutato i nemici.
Nel 316 a.C., tuttavia,
Nocera
,
Nola
e
Sora
passarono ai
Sanniti
mentre gli
Ausoni
minacciavano di ribellarsi a
Roma
.
Nel
314 a.C.
i
Romani
ripresero
Sora
, punirono gli
Ausoni
e sconfissero l'esercito sannita a
Capua
e a
Boviano
capitale del
Sannio
, recuperarono l'alleanza con
Nola
e riconquistarono
Fregelle
.
Da quel momento al
312 a.C.
i
Romani
consolidarono il loro dominio su
Apulia
e
Campania
e lo protessero con nuove fortezze a Lucera, Ponza, Saticula, Interamnia presso
Montecassino
e Suessa Aurunca (Sessa).
Mentre i
Sanniti
si trovavano ad essere l'unico ostacolo fra
Roma
e la conquista dell'intera
Italia
, i
Tarentini
che rappresentavano i loro potenziali alleati più forti e più vicini, preferirono distrarre le proprie risorse per sostenere le città siciliane contro
Agatocle
di
Siracusa
.
Più attivi furono gli
Etruschi
che attaccarono i confini settentrionali del territorio romano e combatterono fino al
310 a.C.
quando furono sconfitti dal console
Quinto Fabio Rulliano
. Questi penetrò in territorio etrusco scatenando un intervento bellico di più vasta portata con operazioni non autorizzate dal senato, tuttavia riuscì a volgere la situazione in favore dei
Romani
con alcune vittorie che indussero
Perugia
,
Cortona
,
Arezzo
e
Tarquinia
a sottoscrivere trattati di pace e l'
Etruria
in generale depose le armi.
Nel
305 a.C.
i consoli
Tito Minucio
e
Lucio Postumio
penetrarono nel
Sannio
, espugnarono
Boviano
e fecero prigioniero il generale sannita Stazio Gellio. Ebbe così fine una guerra durata ventidue anni, i
Sanniti
chiesero la pace insieme a
Marsi
,
Marrucini
,
Peligni
,
Frentani
,
Vestini
e
Piceni
.
Prima della pace i
Tarentini
avevano assoldato il principe spartano
Cleonimo
per combattere contro i
Lucani
.
Cleonimo
riunì un forte esercito di Greci,
Messapi
e
Tarentini
e costrinse i
Lucani
alla pace ma evitò di intervenire a sostegno dei
Sanniti
e quando i
Romani
penetrarono nel
Salento
abbandonò l'
Italia
Meridionale. Nel
303 a.C.
tornò nel
Salento
con intenzioni di conquista ma gli abitanti lo respinsero con l'aiuto dei
Romani
.
I
Tarentini
, privati del loro condottiero, cercarono la pace e sottoscrissero con
Roma
un accordo a condizioni accettabili.
Ormai padrona delle regioni meridionali,
Roma
si dedicò a completare la conquista dell'
Italia
centrale. Nel
304 a.C.
il console
Publio Sempronio Sofo
debellò gli
Equi
e negli anni seguenti furono installate nuove fortezze sul
lago del Fucino
e sul Turano.
Gli
Ernici
di
Anagni
subirono la privazione dell'autonomia,
Arpino
e Frusino furono soggiogate e private di parte del territorio, Soro fu trasformata in fortezza latina.
Si costruirono nuove strade militari fra cui quella che più tardi sarebbe stata la Via Flaminia, da
Roma
a Nequino ribattezzata
Narni
, e la futura via Valeria fino al
lago Fucino
.
Dopo cinque anni di pace, nel
298 a.C.
, i
Sanniti
tentarono di riconquistare la libertà riprendendo le armi.
Prima di attaccare
Roma
i
Sanniti
intervennero con tutte le loro forze in Lucania per portare al potere un partito a loro favorevole e con questo stringere un'affidabile alleanza.
Roma
reagì con una dichiarazione di guerra e mentre una parte del suo esercito era impegnato in
Etruria
, mandò altre truppe in Lucania.
L'anno seguente gli
Etruschi
intrapresero trattative di pace e tutto l'esercito fu rivolto verso il
Sannio
al comando dei due consoli, Rulliano che vinse a Triferno e Publio Decio Mure che vinse a Malavento.
Per scongiurare un'alleanza fra
Etruschi
e
Romani
il comandante sannita Ignazio Gellio offrì aiuti all'
Etruria
e nel
296 a.C.
guidò personalmente un esercito in
Etruria
attraversando i territori di
Marsi
e
Umbri
. I
Romani
, pur prendendo alcune località nel
Sannio
ed indebolendo i nemici in Lucania, non riuscirono a fermare Ignazio Gellio e videro riunirsi gli avversari che tanto si erano sforzati di separare.
Nel
295 a.C.
Rulliano
e
Decio Mure
riunirono almeno sessantamila uomini per intervenire in
Umbria
dove si erano concentrati i nemici. I
Romani
subirono una sconfitta presso
Chiusi
ma gli
Etruschi
si ritirarono quando videro minacciato il loro paese e i
Sanniti
furono soli ad affrontare i consoli a
Sentino
.
I
Romani
conobbero grosse difficoltà durante la battaglia ma l'esempio di
Decio Mure
che sacrificò la propria vita agli dei inferi servì a dare vigore alle
legioni
e all'arrivo della cavalleria di riserva comandata da
Lucio Scipione
i
Sanniti
furono sconfitti e Ignazio Gellio cadde sul campo.
I
Sanniti
si ritirarono nel loro paese liberando anche la
Campania
e l'anno seguente (
294 a.C.
) gli
Etruschi
chiesero la pace.
I
Sanniti
, tuttavia, non gettarono le armi e quando i
Romani
penetrarono nel
Sannio
incontrarono un'eroica resistenza che continuò anche dopo le vittorie di Lucio Papirio Cursore figlio e di Spurio Carvilio presso Aquilonia (
293
) e dell'anziano Fabio Rulliano (
292 a.C.
).
Ancora una volta i
Sanniti
avranno sperato nell'aiuto dei
Tarentini
ma questi, preoccupati per l'espansionismo di
Agatocle
di
Siracusa
, evitarono di intervenire.
Nel
290
i
Sanniti
, ormai stremati dalla lunga guerra, conclusero con il console
Manio Curio Dentato
una pace a condizioni dignitose. Lo stesso console in quell'anno sottomise i
Sabini
il cui territorio fu in parte distribuito a cittadini romani.
A questo punto
Roma
cominciò ad estendere il proprio dominio oltre l'
Appennino
fondando la colonia di
Venosa
nel
291 a.C.
e la fortezza di
Hatria (Adria)
nel
289 a.C.
. La
Via Appia
venne prolungata da
Capua
a
Venosa
.
Libro II - Capitolo VII -
Pirro
contro
Roma
e l'unificazione di
Italia
Se
Alessandro Magno
non fosse morto di febbre nel
323 a.C.
avrebbe forse rivolto la sua attenzione all'occidente, si sarebbe dedicato a difendere i
Greci
in
Italia
contro
Romani
e
Cartaginesi
e gli eventi storici avrebbero forse seguito un corso del tutto differente.
Ma
Alessandro
morì e nell'epoca dei diadochi che seguì i rapporti fra l'
Ellade
e
Roma
furono limitati e sostanzialmente di natura commerciale.
Pirro
re dell'
Epiro
era un condottiero di ventura ma concepì un progetto di conquista simile a quello di
Alessandro
e rivolto ad occidente. Il suo progetto era forse quello di unificare il
Mediterraneo
sotto un grande stato greco che avrebbe avuto il proprio centro in
Epiro
ma, osserva
Mommsen
, i presupposti delle imprese di
Pirro
erano molto diversi da quelli con cui
Alessandro
superò l'
Ellesponto
.
Alessandro
poteva contare su un grande esercito ben organizzato e lasciare la patria al sicuro delegando ad Antipatro il potere che deteneva per diritto dinastico, mentre
Pirro
partì per l'
Italia
con una modesta schiera di mercenari e non come conquistatore, ma mercenario egli stesso, al soldo di una confederazione di mediocri committenti.
A prescindere dalle caratteristiche della personalità dell'avventuriero, l'importanza storica di
Pirro
sta nel fatto che la sua campagna in
Italia
fu il primo scontro (e il primo confronto) fra l'
Ellade
e
Roma
, la prima volta che le tattiche militari greche e un sistema politico basato su una monarchia militare di stampo orientale venivano a scontrarsi con le capacità belliche e con l'assetto politico senatoriale dei
Romani
.
A soccombere, si sa, alla fine furono i
Greci
ma fu proprio dopo questo scontro che le due culture presero a fondersi creando le fondamenta della moderna civiltà occidentale.
Eacide
padre di
Pirro
era signore dei
Molossi
, risparmiato da
Alessandro
per legami di parentela, venne ucciso durante le lotte di successione e
Pirro
fu allevato da Glaucia signore dei Taulanti.
Nel
307 a.C.
riebbe il principato del padre grazie a Demetrio Poliorcete, ma lo perse di nuovo nel 302 ad opera dei suoi oppositori politici.
Da allora si dedicò alla carriera militare combattendo soprattutto per Antigono, vecchio generale di
Alessandro
.
Nella battaglia presso Isso fu preso in ostaggio e recato ad
Alessandria
presso Tolomeo il quale, per contrastare Demetrio Poliorcete e contenere le sue mire sulla
Macedonia
, gli fece sposare la figliastra Antigone e lo reintegrò nel regno epirota (
296 a.C.
)
Pirro
seppe ampliare i suoi domini annettendo all'
Epiro
Ambracia
, l'isola di
Corcira
e alcuni territori macedoni e alla morte di Demetrio gli fu offerta la corona di
Macedonia
.
A favore di
Pirro
giocavano la sua fama di stratega, la sua integrità personale e la sua partentela con la famiglia di
Alessandro
ma contro di lui era il tradizionale nazionalismo macedone che da sempre avversava gli stranieri, infatti
Pirro
rinunciò dopo soli sette mesi e tornò in
Epiro
.
Ma l'
Epiro
era poca cosa per le ambizioni di
Pirro
che, accantonato ogni progetto sulla
Macedonia
, decise di tentare la costruzione di una nuova signoria in
Italia
.
Intanto in
Puglia
la città di Turi chiedeva aiuto a
Roma
contro
Lucani
e
Bruzi
, il senato accettò la richiesta ed intimò ai
Lucani
e
Bruzi
di non molestare Turi ma quelli reagirono avviando la formazione di una lega antiromana e imprigionando gli ambasciatori del senato. Anche gli
Etruschi
e i
Senoni
aderirono alla lega seguiti poco dopo da
Umbri
e
Sanniti
.
Il console
Publio Cornelio Dolabella
penetrò nel territorio dei
Senoni
nel
283
con un'azione tanto violenta che "questa tribù fu cancellata dalla lista delle nazioni italiche". I
Senoni
superstiti insieme agli
Etruschi
e ai
Boi
tentarono di attaccare direttamente
Roma
ma il loro esercito fu sconfitto presso il lago Vadimone nel
283
e presso Populonia nel
282
. I
Boi
conclusero con i
Romani
una pace separata.
Risolti i problemi sul fronte settentrionale, i
Romani
concentrarono la propria azione nel meridione e nel
282
il console
Caio Fabricio Luscino
liberò Turi sconfiggendo i
Lucani
e catturando il loro capo Stenio Statilio.
I
Romani
fondarono la colonia di
Senigallia
sull'
Adriatico
nel territorio tolto ai
Senoni
, ma quando la loro flotta inviata a presidiare l'
Adriatico
entrò nel porto di
Taranto
violando antichi trattati, i
Tarentini
insorsero ed aggredirono le navi facendo molte vittime, poco dopo attaccarono Turi e massacrarono la guarnigione romana.
I
Romani
, che erano interessati a mantenere la neutralità di
Taranto
, non reagirono con la durezza che avrebbero certamente usato in altre circostanze e offrirono ai
Tarentini
di evitare la guerra in cambio della liberazione di Turi e della restituzione dei prigionieri. Gli ambasciatori romani ricevettero un rifiuto e il console Lucio Emilio ripropose la pace ai
Tarentini
ma dopo essere entrato con l'esercito nel loro territorio.
I
Tarentini
si trovarono a scegliere fra
Pirro
e i
Romani
, in entrambi i casi avrebbero perso l'indipendenza ma preferirono darsi ad un padrone greco. Conclusero un trattato con
Pirro
che ebbe il supremo comando delle forze di
Taranto
e dei suoi alleati.
Nell'autunno del
281 a.C.
tremila Epiroti comandati da Milone, generale di
Pirro
, occuparono la cittadella di
Taranto
.
Pirro
li raggiunse pochi mesi dopo con un esercito di venticinquemila uomini e con venti elefanti.
Il console, all'arrivo di
Pirro
, si ritirò prudentemente dal territorio di
Taranto
ma presto il re scoprì che le forze militari che la lega gli aveva promesso non esistevano, ordinò di reclutare truppe mercenarie a spese di
Taranto
e chiamò alle armi tutti i cittadini abili.
I
Tarentini
, che avevano sperato di non dover combattere, opposero resistenza e da allora
Pirro
li trattò come abitanti di una città occupata.
I
Romani
potenziarono con leve straordinarie il loro apparato bellico e mentre un grande esercito partiva verso sud per fronteggiare
Pirro
uno minore, comandato dal console
Tiberio Coruncanio
, penetrava in
Etruria
respingendo nuovi attacchi da nord.
In quei giorni la
legione
di stanza a
Reggio
, formata prevalentemente da soldati campani, si ribellò e si impadronì della città mentre oltre lo stretto i mercenari
Mamertini
occupavano
Messina
, ma questi ribelli non si accordarono con
Pirro
, rimasero isolati e saccheggiarono
Crotone
e altre colonie greche sulla costa.
Una parte delle truppe romane si portò ai confini lucani impedendo a
Lucani
e
Sanniti
di congiungersi con
Pirro
mentre quattro
legioni
comandate da
Publio Levino
marciavano contro l'Epirota.
La prima battaglia si svolse lungo il fiume Siri, fu un grande combattimento fra
legioni
e falangi il cui esito rimase a lungo incerto. Alla fine
Pirro
, sfruttando gli elefanti come elemento di sorpresa, riuscì a mettere in fuga il nemico conseguendo la vittoria a costo di moltissime vittime.
Il successo fruttò a
Pirro
la spontanea sottomissione di tutte le città greche della regione e la possibilità di unire finalmente il proprio esercito con quello degli
Italici
mentre i
Romani
perdevano la Lucania.
Pirro
offrì la pace a
Roma
chiedendo la liberazione di tutte le città greche e la restituzione dei territori tolti a
Sanniti
,
Dauni
,
Lucani
e
Bruzi
.
Il suo ambasciatore
Cinea
, abile diplomatico, fu mandato a
Roma
con l'ordine di esternare al senato la stima e l'ammirazione da parte del re, ma il senato, incitato dal vecchio Appio Claudio Cieco, rispose che non avrebbe trattato finché truppe straniere si trovavano sul suolo italico.
Pirro
penetrò in
Campania
ma i
Romani
avevano formato due nuove
legioni
con le quali il console
Levino
gli impedì di avvicinarsi a
Capua
o a
Napoli
. L'Epirota puntò verso
Roma
, prese
Fregelle
e raggiunse
Anagni
ma quando si rese conto che
Levino
lo seguiva con il suo esercito,
Tiberio Coruncanio
andava ad affrontarlo con altre forze e in
Roma
il
dittatore
Gneo Domizio Calvino apprestava la difesa con le riserve, decise di ritirarsi.
In Inverno
Pirro
si portò a
Taranto
e l'esercito romano si accampò nel Piceno, intanto gli
Etruschi
avevano concluso una pace separata con
Roma
diminuendo le risorse degli
Italici
.
Nella primavera
279
le ostilità ripresero in
Apulia
dove si scontravano due eserciti di settantamila uomini ciascuno.
Pirro
aveva cambiato la sua tattica disponendo gli schieramenti in modo più simile a quello dei nemici, mentre i
Romani
si erano dotati di macchine da guerra per affrontare gli elefanti.
La prima giornata di battaglia si concluse a favore dei
Romani
ma il giorno successivo
Pirro
riuscì a respingere il nemico. La vittoria non fu decisiva perché i
Romani
subirono perdite relativamente contenute mentre
Pirro
, ferito, fu costretto a lasciare per qualche tempo il suo esercito privo della sua guida. Gli Epiroti si ritirarono di nuovo a
Taranto
.
Insoddisfatto delle sue vittorie che riconosceva non determinanti,
Pirro
pensò di liberarsi dell'impegno assunto con i confederati ma per rispetto al suo codice cavalleresco si limitò ad allontanarsi temporaneamente dall'
Italia
approfittando degli eventi occorsi in
Sicilia
dove la morte di
Agatocle
aveva lasciato i
Greci
dell'isola privi di una guida capace ed esposti alle mire dei
Cartaginesi
già da tempo padroni di una parte occidentale dell'isola.
Quando i
Cartaginesi
, approfittando delle lotte per la successione, attaccarono i
Siracusani
, questi si rivolsero a
Pirro
consegnandogli spontaneamente il potere. Questo fatto preoccupò
Romani
e
Cartaginesi
che conclusero un trattato di reciproca difesa contro l'Epirota.
Il generale cartaginese Magone raggiunse con la flotta lo stretto di
Messina
dove i
Mamertini
, che temevano di essere puniti da
Pirro
, si misero a sua disposizione. Subito dopo la flotta raggiunse
Siracusa
che fu assediata nel
278 a.C.
Caio Fabricio Luscino
e Quinto Filippo Pepo, consoli di quell'anno, iniziavano intanto una nuova campagna.
Pirro
tentò ancora una volta senza successo di trattare con
Roma
quindi poiché la perdita di
Siracusa
avrebbe impedito la realizzazione dei suoi progetti, si sentì costretto ad abbandonare gli alleati italici per spostarsi in
Sicilia
.
Lasciando a
Taranto
Milone e a Locri il proprio figlio Alessandro,
Pirro
si imbarcò per
Siracusa
.
I
Romani
si sforzarono di riprendere subito il controllo dell'
Italia
Meridionale, ma l'obiettivo non fu immediatamente raggiungibile: si continuò a combattere nel
Sannio
e in Lucania e solo nel
277 a.C.
il console Caio Fabricio riuscì a prendere
Crotone
; ma la conquista di
Taranto
era più difficile perché i
Romani
non erano preparati a combattere come assedianti e scarseggiavano di navi mentre i
Cartaginesi
erano troppo impegnati in
Sicilia
per poterli aiutare.
Intanto
Pirro
liberò
Siracusa
e cacciò i
Cartaginesi
da tutte le città greche in
Sicilia
. Violando il patto con
Roma
i
Cartaginesi
proposero a
Pirro
una pace separata ma
Pirro
respinse la richiesta e decise di dotarsi di una propria flotta.
Nell'estate del
276 a.C.
Pirro
controllava
Taranto
e la
Sicilia
, a
Siracusa
la sua flotta era pronta per salpare, tuttavia il suo governo militare ed autocratico gli alienò presto il consenso popolare e i
Cartaginesi
trovarono in
Sicilia
l'appoggio delle principali città.
Nel
276 a.C.
Pirro
ripartì per
Taranto
, forse perché il suo senso dell'onore gli imponeva di rispettare, sia pure tardivamente, gli impegni presi con gli alleati italici.
A
Siracusa
la sua flotta si scontrò con quella cartaginese perdendo molte navi, le città siciliane rifiutarono di fornire aiuti in uomini e finanze al governo di
Pirro
che in breve perse il regno che aveva costruite in
Sicilia
e vide sfumare i suoi progetti.
Giunto alle coste italiche,
Pirro
tentò di prendere
Reggio
ma venne respinto, riuscì a prendere Locri e rientrò a
Taranto
.
Nel
275
ingaggiò battaglia a
Benevento
con il console Manio Curio ma questa volta venne sconfitto e fu privato dai
Romani
di molti uomini, caduti o catturati, e delle sue riserve finanziarie tanto che con il bottino fu più tardi costruito un acquedotto.
Chiedendo e non ricevendo aiuti dalla
Macedonia
in quello stesso anno
Pirro
tornò in
Grecia
dove tentò con qualche successo di costruire un regno finché non cadde miseramente in combattimento ad
Argo
nel
272 a.C.
Dopo la sua morte il generale Milone, che fino a quel momento aveva difeso
Taranto
, cedette la città al console romano Lucio Papirio.
I
Cartaginesi
che stavano per assediare
Taranto
, vedendola in mano ai romani tornarono indietro e sostennero di essersi mossi soltanto per aiutare gli alleati in forza del trattato.
Taranto
venne disarmata e privata delle mura;
Lucani
,
Bruzi
e
Sanniti
si arresero e a
Reggio
e
Messina
i
Mamertini
furono sconfitti e muniti con l'aiuto di
Gerone
nuovo signore di
Siracusa
.
Così nel
270
tutta l'
Italia
era sottomessa a
Roma
e pacificata con l'eccezione degli irriducibili
Sanniti
che continuarono per qualche tempo azioni di guerriglia.
Furono fondate nuove colonie a Pesto, Cosa,
Benevento
, Esernia,
Arimino
, Firmo,
Brindisi
. La strada militare fu prolungata fino a
Taranto
e
Brindisi
.
Se il potere romano sulla penisola era ben saldo, le cose in mare andavano diversamente perché
Roma
, pur continuando a mantenere una propria flotta, aveva necessariamente trascurato di agire sul
Mediterraneo
mentre era impegnata nelle conquiste terrestri, quindi la navigazione era in mano ai
Greci
di
Sicilia
e soprattutto ai
Cartaginesi
.
Nel 348 a.C.
Roma
e
Cartagine
conclusero un trattato che regolamentava i commerci marittimi. In forza di questo trattato e di uno analogo stipulato con
Taranto
, le navi romane venivano praticamente escluse dal
Mediterraneo Orientale
, situazione difficilmente accettabile per il senato romano che, una volta assicuratosi il controllo dell'
Italia
, si occupò di migliorare la posizione romana sul mare.
Le colonie di nuova fondazione permisero ai
Romani
di acquisire un efficace controllo delle coste, si passò quindi a potenziare la flotta.
Un primo nucleo di navi da guerra fu formato con quelle sequestrate ad
Anzio
e quelle fornite dalle città greche del meridione che ormai facevano parte della clientela romana, tuttavia un nuovo trattato con
Cartagine
risultò ancora più restrittivo per i
Romani
ai quali fu proibito il commercio marittimo lungo le coste atlantiche, in
Africa
e in
Corsica
.
Nel 267 a.C. furono istituiti quattro questori della flotta: il primo controllava il porto di Ostia, il secondo da Cales controllava la costa campana, il terzo a
Rimini
le coste adriatiche, non è noto il compito del quarto.
I rapporti con
Cartagine
si erano dimostrati instabili già durante la guerra con
Pirro
e
Roma
per conquistare la supremazia sul mare cercò l'alleanza degli stati greci. Già da tempo
Roma
era in amicizia con Massalia,
Rodi
e
Apollonia
. Partito
Pirro
si avvicinò anche a
Siracusa
.
L'
Italia
era unificata sotto le leggi romane ma non si conoscono nei dettagli le modalità con cui
Roma
esercitava il potere sui comuni sottomessi. Sappiamo che questi ultimi non potevano battere moneta, dichiarare guerra ad uno stato straniero o sottoscrivere trattati internazionali, mentre le decisioni militari e politiche del senato romano coinvolgevano implicitamente tutta la comunità italica e la moneta romana aveva corso nell'intera penisola.
Non tutti i sudditi godevano degli stessi diritti, ma erano divisi in tre classi. Coloro che abitavano la pianura pontina e i territori già degli Etruschi,
Ernici
e
Volsci
più prossimi a
Roma
erano considerati cittadini abitanti fuori città e godevano dei pieni diritti di cittadinanza. Analogo trattamento fu esteso nel tempo alle città sabine.
Nei comuni soggetti i cittadini erano privati soltanto del diritto di essere eletti e di quello di votare. La giustizia era amministrata da magistrati romani. Ad alcuni di questi comuni, come a
Capua
, venne lasciata autonomia amministrativa.
La classe più favorita era quella delle città latine alle quali fu concesso di ingrandire i propri territori con la fondazione delle "colonie latine". I loro cittadini erano parificati con i
Romani
nel godimento in usufrutto di parte dei domini pubblici e nel diritto di concorrere agli appalti statali.
Per i comuni non latini legati a
Roma
tramite leghe perpetue, le norme potevano essere molto variabili. Alcuni godevano di diritti paragonabili a quelli dei
Latini
, altri erano governati in modo più dispotico, specialmente quelli del
Sannio
.
Furono sciolte tutte le leghe esistenti fra le varie comunità alle quali
Roma
non partecipasse e furono proibiti i matrimoni fra appartenenti a comunità diverse. Tutti i comuni italici furono obbligati a conferire a
Roma
soldati o navi da guerra.
Faceva parte del metodo di governo di
Roma
il dividere i sudditi sciogliendo le loro alleanze e isolandoli in tante piccole comunità di poca importanza.
Nelle città la popolazione era divisa fra la plebe e una nobiltà che per proteggere i propri interessi doveva necessariamente adeguarsi alle norme romane. Il più chiaro esempio di questa situazione fu la nobiltà di
Capua
che godeva di grandi privilegi e per conservarli combattè a
Sentino
.
Nel complesso il senato si preoccupò di rendere duraturo il potere di
Roma
governando i comuni sottoposti con moderazione e concedendo loro la libera costituzione comunale e vari vantaggi concreti. Con lo stesso obiettivo
Roma
rinunciò ad imporre tributi e se tutti erano tenuti a contribuire alla difesa dello stato anche il popolo della città dominante era soggetto a quest'obbligo.
Con l'istituzione di magistrati con sede fuori
Roma
e del censimento venne via via a crearsi l'impianto di uno stato nazionale e, fra le genti italiche, cominciò a formarsi un sentimento di unità che si faceva evidente quando si trattava di difendersi da insidie esterne e in particolare dai
Celti
, mentre il latino diveniva rapidamente la lingua comune di tutto lo stato romano.
Libro II - Capitolo VIII - Diritto - Religione - Guerra - Economia popolare - Nazionalità
Nel primo periodo repubblicano fu introdotto un controllo dei costumi le le magistrature esercitavano multando chi contravveniva alle leggi dell'ordine.
La definizione delle violazioni era spesso vaga e l'importo della multo (inizialmente corrisposta in bestiame poi in denaro) non sempre era predeterminato e veniva lasciato all'arbitrio delle autorità.
I
Romani
potevano essere multati per abuso dei pascoli pubblici, per approvazione indebita di terreni del pubblico demanio, per usura ma anche per costumi licenziosi o troppo sontuosi.
In alcuni casi la pena, oltre alle sanzioni pecuniarie, comportava la perdita dei diritti politici e ciò permise spesso ai magistrati in carica di neutralizzare i rivali privandoli della possibilità di essere eletti.
Con la legge delle Dodici Tavole vennero introdotte molte innovazioni rispetto al più antico diritto romano dimostrando quella che l'Autore definisce "una tendenza più umana e moderna" riferendosi ad esempio al libero diritto di associazione, alle norme che mitigavano le pene per i ladri e per i debitori insolventi, alle leggi in materia di testamento, di autorità paterna e di matrimonio.
In materia giudiziaria la stessa introduzione di una legge scritta servì a limitare l'arbitrio dei giudici. Furono istituiti gli ufficiali di polizia o edili che nell'ambito della propria giurisdizione giudicavano in materia civile e commerciale e si pronunciavano come giudici di prima istanza sull'applicazione delle multe.
Tre magistrati di livello inferiore venivano detti "i tre uomini della notte o capitali" (
Tres viri nocturni
o
Capitales
) e si occupavano di sorveglianza notturna, di sicurezza e degli incendi.
Con la crescita del territorio vennero istituiti anche magistrati con sede distaccata per amministrare la giustizia nei comuni assoggettati.
Importanti cambiamenti furono apportati alle procedure giudiziarie rendendole più precise e codificando i limiti del potere dei magistrati.
Il tribunale popolare che in età monarchica si occupava solo di domande di grazia, divenne corte d'appello ed aveva il diritto di confermare o rigettare le sentenze dei magistrati.
La persona del cittadino era inviolabile in casa sua e l'arresto doveva essere eseguito all'esterno, si doveva evitare la detenzione preventiva.
Pur nella "crescente umanità" di queste norme, tuttavia, la procedura giudiziaria fu spesso disattesa per motivi politici o per la lentezza della sua applicazione specialmente quando si trattava di giudicare schiavi o non cittadini.
In campo religioso il romano conservò la tendenza a spiritualizzare ciò che è terreno, inoltre si cominciò a recepire l'influenza di religioni straniere e sorsero a
Roma
i primi templi dedicati a divinità dell'
Ellade
. Il primo fu il tempio dedicato ai
Dioscuri
dopo la battaglia del
Lago Regillo
: si sosteneva che
Castore e Polluce
fossero apparsi come combattenti nelle file romane, una leggenda di stampo chiaramente greco.
Nel
431 a.C.
fu edificato un tempio ad
Apollo
che già da tempo riceveva offerte votive dai
Romani
nel santuario di Delfi.
Le istituzioni sacerdotali non subirono grandi cambiamenti ma aumentarono di numero in relazione alla proliferazione di nuovi dei da venerare e, nel tempo, accrebbero la loro influenza politica.
In questo periodo le
legioni
sostituirono gli antichi schieramenti greco-italici mentre la cavalleria fu disposta ai lati, spesso come funzione di riserva. Le prime due file delle
legioni
schierate furono munite del "pilo", un'arma da lancio in legno con punta di ferro. Lanciato il pilo al momento dell'attacco, si passava ad impugnare la spada. Diversamente dalla falange greca che rimaneva compatta, la
legione
durante lo scontro si divideva in due metà composte da tre divisioni ciascuna: astati, principi e triari le quali si ordinavano in più gruppi lasciando spazio ai combattimenti individuali.
Fra gli ufficiali si distinguevano quelli subalterni che dovevano guadagnare sul campo ogni avanzamento di grado, dai tribuni di guerra, sei per
legione
, che mantenevano sempre la stessa posizione e di solito appartenevano alle classi più elevate della cittadinanza.
Non cambiò la severissima disciplina che consentiva ai comandanti supremi di comminare pene corporali o condanne capitali ai militari di qualsiasi grado per crimini comuni, disobbedienza o comportamento vile in combattimento. Rispetto all'età più antica però si crearono scuole militari e i soldati furono addestrati più seriamente.
Mommsen
individua tre principi nell'organizzazione romana che si rivelarono vincenti: le riserve (i veterani che venivano tenuti in serbo per l'ultimo urto decisivo), la combinazione fra il corpo a corpo e la battaglia a distanza (il lancio del pilo che precedeva l'uso della spada) e la combinazione tattica di offesa e difesa basata sul sistema di accampamenti fortificati che consentiva di scegliere se accettare o meno lo scontro e di combattere in ambiente protetto.
Non è certa l'epoca un cui l'esercito romano passò dal modella della falange greca alla
legione
manipolare. Secondo molte narrazioni l'autore dell'innovazione fu Marco Furio Camillo, ipotesi ragionevole secondo
Mommsen
perché il nuovo assetto di combattimento si prestava a smorzare l'impeto dell'attacco dei
Galli
.
Alla base dell'economia romana rimase l'agricoltura ma in questo periodo si verificò la tendenza a passare dalla tenuta di piccole dimensioni al latifondo.
Ancora in quest'epoca avvenne per gli
Italici
il passaggio dal sistema di scambio a quello monetario, basato su modelli greci, probabilmente al tempo dei
Decemviri
.
Inizialmente si usarono gli assi, monete fuse in rame di grandi dimensioni. Ogni comune poteva battere la propria moneta ma di fatto le monete in rame dell'
Italia
Centrale e Settentrionale erano divise in tre gruppi: quelle etrusco-umbre, quelle romane e quelle del litorale adriatico.
La somiglianza fra le varie monete inoltre dimostra l'esistenza di relazioni commerciali fra gli
Etruschi
e l'
Attica
, fra i
Siculi
e i
Latini
, fra la Magna
Grecia
e le coste adriatiche.
Si importavano ceramiche dall'
Attica
, da
Corcira
e dalla
Sicilia
. A
Roma
fiorivano piccole imprese artigianali generalmente gestite da schiavi e liberti ma poiché i loro introiti finivano in buona parte nelle casse dei padroni, cioè delle grandi famiglie nobiliari, non si sviluppò un ceto medio.
I proprietari delle industrie e delle imprese commerciali più importanti investivano nei latifondi e controllavano la finanza e i lavori su appalto statale.
La città cresceva e con essa il numero degli schiavi e quello dei liberti. Questi ultimi spesso venivano emancipati proprio perché i padroni trovavano più redditizio affidare a loro le attività artigianali partecipando ai proventi che gestirle in proprio tramite gli schiavi.
La città venne divisa in quattro distretti in ognuno dei quali un edile aveva il compito di presiedere alla manutenzione di strade e cloache, all'approvvigionamento dei mercati e alle funzioni di polizia urbana.
In architettura non si fece molto nei primi due secoli perché senatori e cittadini non gradivano edifici e templi sfarzosi. Fu Appio Claudio,
censore
nel
312 a.C.
il primo a varare grandi lavori pubblici come la prima grande strada militare e il primo acquedotto di
Roma
.
Nel
271
Manio Curio Dentato
fece costruire un canale per far defluire le acque del
Velino
nel fiume Nera nei pressi di
Terni
(
Cascata delle Marmore
) e nel
272
ordinò la costruzione di un secondo acquedotto. Queste opere così come i lavori per lastricare le strade e costruire edifici pubblici venivano in genere finanziati con bottini di guerra e con i proventi delle multe.
Nacque l'usanza di collocare sulla rocca e nel
Foro
statue dedicate a cittadini illustri, personaggi famosi, consoli trionfatori, filantropi, ecc.
Dal
269 a.C.
i sistemi monetari italici furono unificati e tutti i comuni, con l'eccezione di
Capua
, adottarono una nuova moneta d'argento che si coniava solo a
Roma
.
Se in quel periodo la latinizzazione dell'
Italia
centro-meridionale procedeva inesorabilmente diffondendo lingua e costumi di
Roma
fra i popoli sottomessi, anche la cultura ellenica andava affermandosi in
Italia
, soprattutto in
Apulia
, più di quanto non avesse fatto nei secoli precedenti.
Dagli inizi del
quarto secolo
, con la conquista della
Campania
, l'influenza greca sulla cultura e sulla società romane crebbe rapidamente. Questo processo si riscontra in molti nuovi usi, come gli epitaffi funebri sulle sepolture, l'innalzare monumenti agli antenati da parte di privati, i rami di palma come trofei per i lottatori.
Già nel
quinto secolo
gli ambasciatori romani si esprimevano in greco e la lingua greca faceva parte degli studi di chi voleva intraprendere la carriera diplomatica.
La fondamentale differenza fra
Greci
e
Romani
era nell'individualismo, caratteristica principale dei primi del tutto assente nei secondi.
Mommsen
nota come dei singoli artefici di grandi eventi e cambiamenti di questo periodo spesso non sia rimasta traccia nella storia, come ogni cittadino fosse considerato semplicemente come tale mentre i tentativi di mettersi in evidenza con il lusso e l'ostentazione venivano puniti dai
censori
. Scrive
Mommsen
:
La
Roma
di questo tempo non appartiene a nessun privato; tutti i cittadini devono essere uguali fra loro, affinché ciascuno sia uguale a un re
.
Fa eccezione la figura di Appio Claudio, console nel 307 e
296 a.C.
,
censore
nel
312 a.C.
, pronipote del
decemviri
, autore di molte leggi fortemente innovative, costruttore di acquedotti e strade, innovatore della giurisprudenza e dell'eloquenza.
Per
Mommsen
Appio Claudio è l'anello di congiunzione fra la
Roma
dei
Tarquini
e quella dei Cesari, tuttavia
non era il genio dell'individuo singolo che imperava in
Roma
e per mezzo di
Roma
sull'
Italia
ma il genio di un pensiero politico
.
Libro II - Capitolo IX - Arte e scienza
Nei primi secoli della Repubblica la festa popolare di ringraziamento agli dei (ludi romani o massimi) che era già improntata al modello greco, crebbe di importanza e fu prolungata da uno a quattro giorni.
Al termine, dopo giochi, spettacoli e vari divertimenti, si correva la corsa delle bighe.
Dal 364 a.C. fu aggiunto al centro dell'ippodromo un palcoscenico in legno dove si esibivano suonatori, danzatori e mimi. Poco più avanti salirono sul palco anche i poeti di strada per pronunciare le loro composizioni in versi saturni accompagnati da un flauto.
Ai suoi inizi l'arte teatrale fu disprezzata dai
Romani
e le esibizioni satiriche venivano punite dalla Legge delle Dodici Tavole. Saltimbanchi, attori, cantanti e poeti erano considerati gente da evitare ed in genere non erano ammessi al voto.
Tutti gli spettacoli venivano controllati da funzionari di polizia che avevano l'autorità, in caso di mancato rispetto dei regolamenti, di comminare pene corporali per i teatranti ed infliggerle immediatamente.
I testi erano spesso improvvisati o tramandati oralmente, dei testi teatrali scritti abbiamo soltanto pochi versi.
Contemporaneamente a questi primordi della poesia nacque la storiografia romana, inizialmente basata sugli elenchi dei magistrati correnti e di quelli antichi, che si conservavano nel
tempio di Giove Capitolino
.
I
Fasti
erano l'elenco ufficiale dei magistrati ed erano aggiornati dai
pontefici
, ma risalivano fino al
390 a.C.
a causa delle perdite dovute all'invasione dei
Galli
.
Poiché i periodi di vacanza delle cariche consolari nei tempi più antichi venivano considerati come anni interi, gli elenchi dei consoli di quel periodo non sono affidabili per le datazioni. I
Fasti
cominciano a coincidere con buona approssimazione al calendario dal
463 a.C.
Non soltanto
Roma
ma anche molti altri comuni avevano sacerdoti incaricati di redigere annali, ma gli storiografi antichi non ne tennero conto e spesso integrarono la lacunosa fonte romana con leggende e racconti tradizionali.
Un'altra fonte è costituita dagli alberi genealogici che le famiglie signorili dipingevano nel vestibolo corredandoli con notizie sui personaggi e sulle cariche da loro ricoperte.
Anche le orazioni funebri per personaggi illustri che sono state tramandate contengono notizie importanti ma anche molte falsificazioni.
Molti racconti relativi alla "preistoria" di
Roma
nacquero per spiegare usanze e istituzioni tradizionali oppure, come nel caso del racconto della fondazione, per dimostrare i legami fra
Romani
e
Latini
.
La leggenda di
Romolo
e
Remo
deve avere origini molto antiche se già nel
296 a.C.
fu installato a
Roma
un gruppo marmoreo rappresentante la lupa che allattava i gemelli.
Pur non mancando di influenze greche, i racconti della fondazione di
Roma
sono per
Mommsen
di carattere nazionale.
Fu Stesicoro (
632
-
553
) il primo a parlare della venuta di
Enea
nel
Mediterraneo
dopo la distruzione di
Troia
. In particolare il poeta, nativo della
Sicilia
, intendeva stabilire una relazione fra la sua gente e gli eroi troiani.
Per
Ellanico
Enea
fondò
Roma
dopo che le donne che erano con lui avevano bruciato le navi sulla costa laziale per porre fine all'interminabile viaggio.
Aristotele
cita una versione per cui da marinai achei fermatisi nel
Lazio
sarebbero discesi i
Latini
.
Con
Timeo di Tauromenio
, autore di
Storie
fino all'anno
262 a.C.
, il racconto assunse la forma canonica:
Enea
fondò
Lavinio
e più tardi
Roma
. Timeo inserì nel racconto anche la figura di Didone, attribuendole la fondazione di
Cartagine
.
Il più antico "libro romano" è il codice giuridico detto "
Legge delle Dodici Tavole
" compilato intorno al
450 a.C.
Nella stessa epoca venivano registrati i senato-consulti e le decisioni dell'assemblea popolare. In parallelo cresceva la giurisprudenza. I sacerdoti venivano spesso consultati non solo in merito a questioni religiose o rituali ma anche su casi di diritto privato.
Intorno al
304 a.C.
Appio Claudio pubblicò un primo codice procedurale raccogliendo questi pareri e le sentenze emesse.
Quanto alla lingua, i resti delle Dodici Tavole dimostrano che in questo periodo il latino era già sostanzialmente formato, nel
quinto secolo
la relazione fra scrittura e pronuncia si fece più precisa e la pronuncia stessa divenne più fine ed elegante per influsso della cultura greca.
Questi sviluppi in campo giuridico e in campo linguistico portarono ad una più ampia diffusione dell'istruzione elementare. Si studiava il latino ma spesso anche il greco, indispensabile per i politici e i commercianti. L'insegnamento era impartito da pedagoghi schiavi o da maestri privati.
I
Decemviri
tentarono una riforma del calendario adattando calcoli in uso nell'
Attica
ma per scrupoli religiosi non adottarono in giorno intercalare negli anni bisestili per non sopprimere la festa del dio
Termine
.
Più tardi nelle campagne italiche si cominciò ad usare il "calendario villereccio" computato da
Eudosso
sull'anno egiziano di trecentosessantacinque giorni e un quarto.
L'arte e l'architettura del
quinto secolo
mancavano di originalità ma la diffusa imitazione del modello greco dimostra quanto profonda fu l'influenza culturale dell'
Ellade
fra
Italici
ed
Etruschi
.
L'architettura nell'
Etruria
e nel
Lazio
non fece progressi nel
quinto secolo
, fu solo alla fine di quest'epoca, con l'introduzione dell'arco, che quest'arte conobbe la rinascita.
Non ci sono elementi per affermare che l'arco e la volta siano stati inventati in
Italia
, ma non si può negare la grande applicazione che ne fecero i
Romani
. Per affinità i
Romani
adottarono anche la forma rotonda dei templi e la cupola, elementi caratteristici soprattutto degli edifici di culto dedicati a divinità non greche come
Vesta
.
Le arti figurative si formarono prima in
Etruria
che nel
Lazio
, in particolare la scultura in argilla tipica dei templi etruschi. Molto precoci furono anche l'oreficeria e la fusione in bronzo, più recente la scultura in pietra.
Essenzialmente basati sui modelli greci erano i disegnatori e i pittori etruschi.
I
Sabelli
che rimasero nel loro territorio d'origine non svilupparono particolari espressioni artistiche, mentre quelli che si trasferirono sulle coste tirreniche o ioniche si appropriarono dell'arte ellenica.
Quanto ai
Romani
furono certamente debitori alla
Campania
dell'acquisizione dell'arte ellenica che raggiunsero appunto per il tramite di
Capua
e di altre colonie, ma citando opere come la
Lupa Capitolina
, il sarcofago del console
Lucio Scipione
e la statua colossale di Giove Capitolino ottenuta dalla fusione delle armi sannitiche,
Mommsen
riconosce che gli artefici latini raggiunsero una propria originalità.
Gli Etruschi, invece, una volta acquisiti i principi dell'arte greca, non furono in grado di evolverli e rimasero ad uno stadio primitivo. Ciò è molto più vero per l'
Etruria
settentrionale dove non si trovano tombe dipinte e dove tutta la cultura rimase molto più indietro.
Volume I - Tomo II
Dall'unione d'
Italia
sino alla sottomissione di
Cartagine
e degli Stati Greci
Libro III - Capitolo I -
Cartagine
La striscia di litorale fra l'
Asia Minore
e l'
Egitto
chiamata
Canaan
(la pianura) era abitata da genti di stirpe semitica che gli
Italici
chiamavano
Fenici
o
Punici
.
Questo popolo sviluppò la propria attitudine alla navigazione e al commercio fin dai tempi più antichi raggiungendo tutti i porti del
Mediterraneo
e spingendosi fino alle coste atlantiche dell'
Europa
e ai mari del nord.
Rozzi e primitivi sul piano spirituale e religioso, i
Fenici
riuscirono tuttavia a veicolare
germi di civiltà
appropriandosi delle scoperte dei Babilonesi per applicarle alla navigazione (osservazioni astronomiche), al commercio (pesi e misure), alla comunicazione (alfabeto).
Interessati ai loro traffici più che alla politica e alla libertà, si rassegnarono spesso a sottomettersi e versare tributi a dominatori venuti dalla
Mesopotamia
o dall'
Egitto
.
Per il supremo interesse dei loro commerci i
Fenici
evitarono generalmente la guerra preferendo sbarcare nei porti che visitavano come mercanti e non come conquistatori. Le loro colonie erano delle pacifiche basi commerciali o fattorie, mai insediamenti militari. Le più importanti si trovavano sulla costa meridionale della
Spagna
e su quella settentrionale dell'
Africa
, lontane da
Persia
e
Greci
.
La più fiorente era Karthada o Karchedon o
Cartagine
, sul golfo di
Tunisi
, che divenne presto la più importante colonia fenicia grazie alla posizione particolarmente favorevole sia all'agricoltura sia al commercio.
Anche i
Cartaginesi
dimostravano la passività politica ed il pragmatismo tipici della madre patria e pagavano tributi al re persiano e ai Berberi libici per poter svolgere indisturbati i loro commerci, tuttavia l'espansione dei mercanti greci nel
Mediterraneo
li costrinse a reagire.
Per conquistare l'egemonia sulla
Libia
e sul
Mediterraneo
,
Cartagine
fece ricorso soprattutto a truppe mercenarie. Incoraggiati dagli eventi militari con cui affermarono il proprio dominio sul mare, i
Cartaginesi
si occuparono di consolidare il possesso del territorio liberandosi del canone di affitto del suolo che versavano ai Berberi ed occupando enormi latifondi che facevano lavorare da schiavi e da contabili retribuiti.
Assoggettarono inoltre le popolazioni sedentarie limitrofe e cacciarono quelle nomadi. Fondarono nuove colonie lungo la costa nordoccidentale africana e ridussero in sudditanza altre colonie fenicie già esistenti come Susa,
Tapso
, Leptis Parva e Leptis Magna.
Cartagine
divenne così la capitale di un forte impero che andava dal deserto tripolitano alla costa atlantica e dominava le città e i popoli indigeni esistenti su quel territorio.
Il processo che portò
Cartagine
a questi libelli fu lento e graduale e corrispose approssimativamente ai secoli quarto e quinto di
Roma
, intanto per effetto di discordie interne e delle invasioni assire, babilonesi e macedoniche, Tiro,
Sidone
e in genere la
Fenicia
decadevano, le famiglie più importanti e facoltose si trasferivano a
Cartagine
contribuendo ad accrescerne la potenza.
I
Cartaginesi
svilupparono inarrestabilmente il controllo sul mare fondando nuove colonie in
Spagna
, nelle Baleari e in
Sardegna
. In
Sicilia
i
Fenici
riuscirono a preservare le colonie sulla costa occidentale dall'espansione dei
Greci
e trovarono il modo di convivere con questi. Con il tramonto degli Etruschi, tuttavia,
Siracusa
progettò di impadronirsi dell'intera isola e si controllare il
Mediterraneo
, costringendo i
Cartaginesi
a una politica più attiva.
Agli inizi del
quarto secolo
a.C. la guerra fra
Cartagine
e
Dionisio di Siracusa
provocò la distruzione degli stati minori dell'isola e la devastazione di molte città come
Selinunte
, Imera,
Gela
,
Agrigento
e
Messana
.
Dopo la vittoria di Magone a Kronion nel
383 a.C.
,
Cartagine
acquisì grandi territori che comprendevano tra l'altro
Selinunte
e
Eraclea Minoa
. Fu firmata una pace in questo senso ma presto le ostilità ripresero e fra il
344
e il
278 a.C.
i
Cartaginesi
assediarono quattro volte
Siracusa
.
Governava
Cartagine
un consiglio di anziani composto da due re e ventotto consiglieri eletti annualmente dai cittadini. Il consiglio nominava un capitano generale al quale veniva affidato il supremo comando militare.
All'epoca dei
Decemviri
fu istituita una corporazione di centoquattro giudici la cui origine politica stava nella volontà dell'aristocrazia di bilanciare il potere di alcune famiglie, quella di Magone in particolare.
I giudici vigilavano sui gerusisti e sui magistrati e avevano il potere di destituirli e punirli anche con la morte.
La società cartaginese, dice
Mommsen
, era guidata da un governo di capitalisti, industriali o latifondisti molto ricchi e potenti, mentre gran parte della popolazione era non abbiente e godeva di scarsi diritti.
L'opposizione democratica era molto debole e solo dopo la guerra con
Roma
riuscì ad acquisire più potere. Fu proprio
Annibale
a proporre che i giudici non potessero restare in carica più di un anno instaurando una forma di democrazia che, tuttavia, non riuscì a salvare
Cartagine
dalla generalizzata corruzione.
Dal punto di vista finanziario
Cartagine
era uno degli stati più ricchi del mondo grazie alle rendite del commercio, della manifattura e dell'agricoltura razionale i cui metodi, descritti dal trattatista Magone, furono adottati anche dai
Romani
.
Culturalmente anche i
Cartaginesi
erano influenzati dai Greci, ma le loro opere letterarie più importanti erano trattati di utilità pratica come quello di Magone sull'agricoltura o l'opera geografica di Annone.
Particolarmente avanzata era l'amministrazione economica e finanziaria dello stato che, nonostante la diffusa corruzione dei funzionari, permetteva di non prelevare imposte dai cittadini bastando quelle pagate dai sudditi e i proventi pubblici a coprire le spese.
Già molto prima che in
Europa
circolava a
Cartagine
una moneta priva di valore materiale.
Mommsen
confronta
Cartagine
con
Roma
nell'epoca precedente alla guerra. Avevano in comune l'essere città mercantile con governo aristocratico, l'economia e lo stile di vita dei
Cartaginesi
erano più evoluti ma in politica il senato romano godeva di un consenso della nobiltà e del popolo che i giudici di
Cartagine
certamente non avevano.
Entrambe le città avevano assoggettato i popoli vicini ma mentre
Roma
procedeva estendendo la cittadinanza progressivamente a tutti i suoi domini, i sudditi di
Cartagine
non potevano nutrire speranze di parificazione.
Con il suo metodo dispotico il governo cartaginese non poteva contare in caso di pericolo sull'appoggio dei popoli assoggettati mentre gli
Italici
sudditi di
Roma
avrebbero avuto spesso molto da perdere nel caso di un cambiamento della situazione.
Le forze militari si bilanciavano numericamente, ma la popolazione dei
Romani
era nettamente superiore e l'esercito cartaginese era in gran parte formato da mercenari.
La situazione era diversa per quanto riguardava la flotta da guerra: quella cartaginese era la più potente dell'epoca e le poche navi da guerra romane non avrebbero potuto affrontarla.
Libro III - Capitolo II - La guerra per la
Sicilia
fra
Roma
e
Cartagine
Cartaginesi
e
Siracusani
combatterono più di un secolo per il possesso della
Sicilia
. Con la pace del
314
Cartagine
possedeva un terzo dell'isola, la parte occidentale. Nel
275
dopo la cacciata di
Pirro
, ai
Siracusani
rimase solo la parte sudorientale, mentre il resto era in mano ai
Cartaginesi
ad eccezione di
Messana
occupata da mercenari ribelli provenienti dalla
Campania
che avevano servito sotto
Agatocle
fino alla sua morte (
289 a.C.
) e dopo anni di brigantaggio nel
284 a.C.
avevano occupato la città. Si definivano
Mamertini
(Uomini di Marte) e presto ottennero il controllo della
Sicilia
nordorientale, cambiamento che i
Cartaginesi
gradivano in quanto indeboliva
Siracusa
.
A
Siracusa
il giovane
Gerone
, parente di
Pirro
, che si era segnalato combattendo sotto quest'ultimo, raggiunse il potere con la proclamazione dell'esercito ma con la sua saggezza e moderazione si procurò anche la stima e il consenso della popolazione civile.
Dopo aver riorganizzato l'esercito ed essersi accordato con i
Romani
,
Gerone
mosse guerra ai
Mamertini
. Ottenne una prima grande vittoria nel
270 a.C.
costringendo i
Mamertini
a chiudersi nelle mura di
Messana
, iniziò quindi un lungo assedio e i
Mamertini
decisero di consegnare la città ai
Romani
.
Per il senato si trattava di tradire l'alleanza con
Gerone
e di proteggere dei briganti che si erano macchiati di numerosi e gravi crimini, ma l'occasione di prendere possesso di una zona strategica come quella di
Messana
era troppo importante e d'altra parte i senatori erano consapevoli che di fronte al loro rifiuto i
Mamertini
si sarebbero dati ai
Cartaginesi
.
Probabilmente i
Romani
non prevedevano una guerra con
Cartagine
fra le possibili conseguenze della decisione, comunque si discusse a lungo: i consoli proposero di intervenire in favore dei
Mamertini
, il senato rimise la decisione al popolo che approvò e i
Mamertini
furono accolti nella confederazione italica.
I
Romani
inviarono ambasciatori a
Cartagine
per chiedere conto delle operazioni a
Taranto
di sette anni prima e i
Cartaginesi
risposero con estrema prudenza, ma quando si seppe che le
legioni
romane erano pronte per intervenire a
Messana
,
Cartagine
negoziò la pace fra
Gerone
e i
Mamertini
, occupò il porto di
Messana
con la sua flotta ed insediò un presidio nella città.
I
Mamertini
comunicarono ai
Romani
di non aver più bisogno del loro aiuto ma il tribuno Gaio Claudio che comandava la flotta romana passò ugualmente lo stretto. La flotta cartaginese respinse le navi romane al primo tentativo ma al secondo Claudio riuscì a passare, catturò l'ammiraglio
Annone
e lo costrinse a sgombrare
Messana
. Il governo cartaginese condannò a morte
Annone
e dichiarò guerra a
Roma
mandando una nuova flotta comandata da un altro Annone ad assediare
Messana
.
Gerone
, che fino a quel momento aveva preso tempo, accorse a sua volta ad assediare
Messana
. Tuttavia gli assedianti furono rapidamente sconfitti dalla
legioni
romane comandate dal console Appio Claudio Caudice che liberata la città vi lasciò un forte presidio.
L'anno seguente entrambi i consoli sbarcarono in
Sicilia
con ingenti forze.
Nel
263 a.C.
a seguito di una grande vittoria del console Marco Valerio Massimo (Messalla) che sbaragliò l'esercito cartaginese,
Gerone
trattò separatamente pace ed alleanza con i
Romani
.
Gerone
aveva capito che si trattava di scegliere fra la sottomissione ai
Romani
o ai
Cartaginesi
e aveva scelto i primi per evitare il dominio tirannico dei secondi. Da quel momento il signore di
Siracusa
osservò sempre l'alleanza con
Roma
con estrema lealtà.
Potendo controllare con
Siracusa
la costa orientale, i
Romani
potevano ora combattere con maggiore facilità e l'anno seguente bastarono due
legioni
a respingere i
Cartaginesi
in tutta la
Sicilia
costringendoli a riparare nelle loro fortezze.
Il generale
Annibale figlio di Giscone
accorse a difendere l'importante piazza di
Agrigento
e fu subito assediato dai
Romani
. La flotta cartaginese comandata da Annone riuscì a tagliare gli approvvigionamenti agli assedianti, ma l'episodio si conclude con una battaglia campale vinta dai
Romani
che ottennero così il controllo dell'intera isola ad esclusione delle fortezze marittime.
Le ostilità in
Sicilia
cessarono ma i
Cartaginesi
, veri padroni del mare, riuscirono presto a bloccare il commercio marittimo fra
Roma
e i suoi confederati e inoltre presero a compiere rapide incursioni saccheggiando le coste italiche.
I
Romani
decisero che era necessario dotarsi di una flotta più potente e moderna, ritenendo pericoloso fare affidamento soltanto sulle navi degli alleati siracusani e massalioti. Con uno sforzo straordinario i
Romani
vararono nella primavera del 260 centoventi navi da guerra costruite sul modello di un'imbarcazione cartaginese catturata.
Per controbilanciare l'inesperienza degli equipaggi, i
Romani
adottarono una nuova tattica basata su un ponte mobile montato sulla prua che permetteva ai soldati di passare sulla nave nemica e combattere come se si trovassero a terra. Nel primo viaggio una squadra di diciassette navi comandate dal console Gneo Cornelio Scipione fu catturata a
Lipari
, ma il resto della flotta riportò una vittoria sui
Cartaginesi
e l'altro console Caio Duilio raggiunse il porto di
Messana
.
Poco dopo una flotta comandata dall'ammiraglio
Annibale
affrontò quella romana nei pressi di Milazzo e l'invenzione dei ponti mobili dimostrò tutta la sua micidiale efficacia e i
Romani
affondarono o catturarono oltre cinquanta navi nemiche fra cui l'ammiraglia.
La nuova flotta dava ai
Romani
la possibilità di combattere sulle coste italiche per cacciarne i nemici o di attaccare direttamente in
Africa
. Si scelse la prima opzione e nel
259
il console
Lucio Scipione
occupò il porto di
Alesia
in
Corsica
per farne la base verso la
Sardegna
.
Fallito un primo tentativo di prendere
Olbia
si riuscì nel
258
a sbarcarvi e a saccheggiare il litorale ma non a stabilirvisi. In
Sicilia
il generale
Amilcare
difendeva validamente le postazioni cartaginesi e spesso convinceva delle piccole città a passare dalla sua parte con la propaganda politica.
In questo periodo i
Romani
riuscirono a far cessare le incursioni sulle coste italiche ma non a liberare il commercio dalla interferenze delle navi nemiche.
Il senato decise di attaccare direttamente
Cartagine
e nella primavera del
256
inviò trecentotrenta navi con quattro
legioni
comandate dai consoli
Marco Atilio Regolo
e
Lucio Manlio Vulsone
.
Nei pressi di Ecnomo i
Romani
incontrarono trecentocinquanta navi cartaginesi, probabilmente fu la più grande battaglia navale fino ad allora combattuta.
I
Romani
si dimostrarono superiori e i
Cartaginesi
, dopo aver perduto quasi cento navi, si schierarono davanti al golfo di
Cartagine
per impedire ai nemici di entrarvi, tuttavia i
Romani
sbarcarono più a est, nella baia di Clupea, e da qui le
legioni
presero a devastare il paese facendo oltre ventimila prigionieri.
Sicuro di aver ormai vinto la guerra il senato richiamò gran parte della flotta.
Regolo
rimase accampato a
Tunisi
con quindicimila uomini e quaranta navi.
I
Cartaginesi
chiesero la pace ma di fronte alle condizioni offerte da
Regolo
, che voleva consegnassero l'intera flotta ai
Romani
, tornarono ad organizzarsi per la guerra assoldando molti mercenari fra cui il famoso
Santippo di Sparta
.
Regolo
rimase inattivo a
Tunisi
durante l'inverno per poi portarsi sotto le mura di
Cartagine
senza prendere le opportune precauzioni ma nella primavera del
255
i
Cartaginesi
, che erano pronti a combattere e volevano vincere prima che i
Romani
mandassero rinforzi, scesero in campo offrendo la battaglia.
Santippo di Sparta
comandò abilmente le forze cartaginesi e questa volta i
Romani
vennero sconfitti e massacrati, si salvarono solo duemila uomini fra cui
Atilio Regolo
che più tardi morì a
Cartagine
. I parenti di
Regolo
a
Roma
si vendicarono sui prigionieri cartaginesi tanto spietatamente che i tribuni intervennero per fermarli.
Mommsen
rigetta decisamente gli episodi leggendari sull'eroismo di
Regolo
ricordando che in effetti nulla si conosce sulle circostanze della sua fine.
I
Romani
inviarono una nuova flotta a Clupea per recuperare i duemila superstiti e vinsero una nuova battaglia ma commisero l'errore di far tornare indietro queste navi dopo il salvataggio mentre avrebbero facilmente potuto occupare una posizione strategica, inoltre durante il viaggio tre quarti delle navi furono distrutte da una tempesta.
Intanto i
Cartaginesi
riempivano le loro casse a spese dei sudditi infedeli che avevano aiutato i
Romani
e riprendevano la guerra mandando in
Sicilia
un esercito comandato da
Asdrubale figlio di Annone
e dotato di molti elefanti.
In soli tre mesi i
Romani
ricostruirono la flotta varando duecentoventi navi e nella primavera del
254
conquistarono
Panormo (Palermo)
ed altre città minori, ma non osarono attaccare i
Cartaginesi
per timore degli elefanti.
Nel
253
i consoli compirono un'incursione sulla costa africana ma di nuovo una tempesta distrusse molte navi. Il senato decise di rinunciare alla guerra navale e di concentrare gli sforzi in
Sicilia
e nel
251 a.C.
il console
Lucio Cecilio Metello
sconfisse presso
Panormo
l'esercito cartaginese nonostante gli elefanti per poi passare a espugnare
Erice
.
I
Cartaginesi
, che ormai possedevano in
Sicilia
solo
Lilibeo
e
Drepana
, chiesero di nuovo la pace ma il senato respinse la proposta e, allestite duecento nuove navi, assediò le due città.
L'assedio di
Lilibeo
, il primo grande assedio dei romani, fu lungo e doloroso perché nonostante la flotta romana alcuni navigatori cartaginesi riuscirono spesso a penetrare nel porto per rifornire gli assediati.
Il nuovo console Publio Claudio decise di sorprendere il nemico attaccando improvvisamente
Drepana
, ma a causa di una manovra inopportuna la sua flotta si ritrovò circondata da quella cartaginese comandata dall'ammiraglio Atarba.
Il console si salvò ma perse oltre novanta navi e buona parte dei suoi soldati furono fatti prigionieri.
L'altro console, Lucio Giunio Pullo, dimostrò altrettanta imperizia. Scortando navi da carico che portavano rifornimenti agli assedianti di
Lilibeo
, fu intercettato dall'ammiraglio cartaginese Cartalo che costrinse le navi romane a rifugiarsi a
Gela
e Camerina, spiagge inospitali dove furono distrutte dalla prima tempesta (
249 a.C.
).
Dopo sedici anni di guerra e le grandi perdite subite il senato romano era scoraggiato e privo di risorse, licenziò la flotta e si limitò a proteggere le fortezze romane in
Sicilia
.
I
Cartaginesi
non colsero l'occasione per colpire a fondo il nemico ma continuarono a combattere episodicamente e per oltre sei anni il conflitto si limitò ad azioni di guerriglia e pirateria.
Nel
247 a.C.
il giovane generale cartaginese
Amilcare Barca
prese il comando supremo in
Sicilia
. Buon comandante e buon conoscitore degli uomini fu in grado di ottenere dai mercenari l'affezione e la lealtà che non potevano nascere da sentimenti patriottici.
Stabilito il campo sul Monte Pellegrino presso
Panormo
, permise ai soldati di essere raggiunti dalle famiglie e facendo saccheggiare le coste italiche dalla flotta garantì abbondanti rifornimenti senza gravare sull'erario cartaginese.
Amilcare
occupò anche il
Monte Erice
e
Trapani
senza che i
Romani
riuscissero ad opporgli una valida resistenza.
Mentre il senato rimaneva incapace di intervenire, un gruppo di facoltosi cittadini romani finanziò l'allestimento di una flotta ed affidò al console
Caio Lutazio Catulo
duecento navi e sessantamila uomini. Con queste risorse
Catulo
occupò rapidamente i porti di
Lilibeo
e
Drepana
ed assediò le due fortezze.
Una flotta cartaginese fu pronta soltanto nella primavera successiva (
241 a.C.
) ma le navi romane comandate dal
pretore
Publio Valerio Falto le intercettarono a largo, presso l'isola di Egusa (Favignana) impedendole di caricare soldati a
Drepana
e la sconfisse duramente affondando cinquanta navi e catturandone settanta.
La sconfitta fu tanto grave che
Amilcare
ottenne i pieni poteri per trattare la pace e rinunciò all'isola. Dal canto suo
Catulo
pose condizioni molto moderate ma a
Roma
l'assemblea dei finanziatori della flotta non ratificò il trattato. Le trattative furono portate a termine da ambasciatori riunitisi in
Sicilia
e in conclusione non mutarono la sostanza del primo accordo limitandosi ad aumentare le sanzioni pecuniarie a danno di
Cartagine
.
Amilcare
consegnò le fortezze ai
Romani
e i
Cartaginesi
lasciarono la
Sicilia
.
Durata ventiquattro anni questa fu una delle più grandi guerre combattute dai
Romani
e la prima a richiedere l'impiego di una flotta. Secondo
Mommsen
i
Romani
la condussero in modo confuso ed incerto a causa della novità delle circostanze e del nemico e dell'inesperienza marittima.
Se la flotta fu più volte armata durante la guerra ed alla fine risultò decisiva nonostante la mancante vocazione marinara dei
Romani
, non fu invece possibile risolvere le inadeguatezze del sistema politico romano di fronte ad una lunga guerra combattuta fuori dal territorio italico quali ad esempio la discontinuità di strategia derivante dall'annuale avvicendamento dei consoli.
Libro III - Capitolo III - Estensione dell'
Italia
fino ai suoi confini naturali
La federazione italica che aveva esteso il suo territorio oltre l'
Appennino
fino a Sena e
Ariminum
dopo la vittoria romana su
Cartagine
arrivò a comprendere città del meridione sullo
Ionio
e in
Sicilia
, tutte sotto l'egemonia romana e tutte equiparate nei diritti civili e politici.
Se fino a quel momento questi ampliamenti erano derivati da eventi di diversa natura, sconfitti i Fenici i
Romani
si concentrarono sul progetto di dominare la penisola fino alle
Alpi
ed il Tirreno in modo incontrastato.
In
Sicilia
fu rispettato lo stato di Gerone di Siracusa che si era mantenuto fedele durante tutta la guerra mentre il resto dell'isola venne rapidamente conquistato, ma la
Sardegna
rimaneva ai Cartaginesi.
in
Africa
il mancato pagamento del soldo ai mercenari di
Amilcare
ne provocò l'ammutinamento. Gli insorti, che sapevano quale atroce destino sarebbe loro toccato in caso di insuccesso, fecero rapidamente dilagare la rivolta fra la popolazione esasperata dal fisco cartaginese e quando l'esercito regolare tentò di reprimerli fu interamente distrutto.
I
Romani
tennero di fronte a questa situazione un atteggiamento ambiguo, concessero ai Cartaginesi di arruolare milizie italiche per difendersi ma non curarono l'osservanza del divieto di commerciare con i ribelli. Quando i presidi cartaginesi in
Sardegna
, anche loro ribelli, offrirono l'isola ai
Romani
questi accettarono senza indugi.
Superata la ribellione grazie ad
Amilcare
,
Cartagine
protestò richiedendo la restituzione della
Sardegna
ma i
Romani
addussero una serie di pretesti e dichiararono una nuova guerra.
Cartagine
tuttavia, stremata dal conflitto precedente e dalla violenta rivoluzione interna, non era in grado di raccogliere la sfida e per evitare il peggio offrì un ricco tributo come indennizzo.
Così i
Romani
si impossessarono facilmente della
Sardegna
e della
Corsica
limitandosi ad occuparne i litorali ed evitando di combattere contro le bellicose popolazioni interne fra la quali si limitavano a catturare schiavi.
Il possesso delle tre isole maggiori, che rendeva ben saldo il dominio romano sul mare, comportò la necessità di istituire nuove magistrature per amministrare queste terre troppo lontane dalla giurisdizione dei consoli. Furono così istituiti i
pretori provinciali
che in
Sicilia
,
Sardegna
e
Corsica
avevano poteri militari e giudiziari mentre l'amministrazione finanziaria spettava a questori appositamente nominati.
In modo progressivo ma celere l'organizzazione delle province insulari fu resa analoga a quella dei comuni italici della penisola: nessuna indipendenza verso gli stati esteri, libera circolazione della valuta romana, restrizioni del diritto di coniare moneta, una buona autonomia amministrativa.
La differenza sostanziale fra vecchie e nuove province era che le prime in forza di trattati contribuivano sul piano militare mentre alle seconde era tolto il diritto alle armi e per difendersi necessitavano del consenso del
pretore
romano.
Gli isolani pagavano decime sui raccolti e dazi sui commerci come avevano fatto in precedenza con i dominatori Cartaginesi o Greci. Questa regola, inesistente in precedenza, prevedeva comunque eccezioni come nel caso di
Messina
, Segesta,
Palermo
ed altre città.
Le potenze orientali come la
Macedonia
e la
Siria
non preoccupavano per il momento i
Romani
che concentrati nel completare la colonizzazione dell'
Italia
continentale non cercavano di intervenire nei casi di quelle nazioni. Tuttavia quando la
Macedonia
, che non aveva più motivo di proteggere i commerci ellenici nell'
Adriatico
, prese a collaborare con i pirati, la situazione si fece troppo seria per essere ignorata.
I pirati illirici attaccavano qualsiasi nave e più volte assediarono città costiere arrivando più a sud fino all'
Epiro
e all'
Acarnania
. Inutilmente
Etoli
e
Achei
cercarono di contrastarli e furono sconfitti. I pirati si impossessarono di
Corcira
.
Il senato romano inviò i fratelli Lucio e Caio Coruncanio a
Scodra (Scutari)
per protestare presso
Agrone re degli Illiri
ma dei due ambasciatori uno venne ucciso.
Nella primavera del
229 a.C.
una spedizione romana contro
Scodra
costrinse la regina
Teuta
vedova di
Agrone
a liberare i territori occupati con la pirateria e fu proibita la circolazione di navi illiriche armate.
Scodra
divenne tributaria di
Roma
e
Demetrio di Faro
, passato da
Teuta
ai
Romani
, fu posto al governo della
Dalmazia
.
Così
Roma
consolidò il suo dominio anche sull'
Adriatico
con soddisfazione dei Greci e di quanti erano stati liberati dai pirati.
Alcuni anni più tardi
Demetrio di Faro
si sottrasse al dominio romano ed intraprese la pirateria con il sostegno del re di
Macedonia
Antigono Dosone
.
Antigono
morì nel
220
e nel
219
il console Lucio Emilio Paolo sconfisse Demetrio e lo cacciò dal suo regno.
In
Italia
regnava la pace a sud degli
Appennini
ma a nord un vasto territorio fino alle
Alpi
non era ancora in mano ai
Romani
.
A sud del
Po
vivevano i
Boi
, i
Liguri
e vari gruppi celtici mentre a nord del fiume si trovavano
Veneti
, Cenomani e
Insubri
. Nel 238 i
Boi
si allearono con i
Galli
Transalpini e nel
236
un grande esercito celtico si accampò presso
Rimini
ma questa situazione si risolse grazie alle discordie fra i capi celti che portarono l'esercito a sciogliersi e i transalpini a tornare nei loro paesi.
Negli anni successivi, tuttavia, i
Celti
italici non rimasero tranquilli e nel
225
un nuovo esercito marciò verso l'
Appennino
. I
Romani
giudicarono il pericolo seriamente e presero adeguate misure inviando in
Etruria
i due eserciti dei consoli Caio Attilio Regolo e Lucio Emilio Papo. Contemporaneamente agli alleati umbri fu dato incarico di compiere irruzioni nei territori dei
Celti
rimasti incustoditi mentre milizie degli Etruschi e dei Sabini dovevano ostacolare l'avanzata degli invasori.
In
Etruria
i
Celti
riportarono una vittoria su questi alleati dei
Romani
e per il momento preferirono retrocedere per portare al sicuro il ricco bottino, ma presso
Talamone
furono intercettati dall'esercito di Attilio Regolo che, proveniente dalla
Sardegna
, era sbarcato a Pisa.
Nella battaglia che seguì Attilio Regolo perse la vita ma presto i
Celti
si trovarono bloccati fra il suo esercito e quello di Papo che li aveva seguiti e nonostante la loro coraggiosa resistenza furono sconfitti perdendo quarantamila uomini. I
Romani
fecero diecimila prigionieri fra cui il re Concolitano.
Con la sottomissione dei
Boi
, dei Longoni e degli Anari fra il
224 a.C.
e il
223 a.C.
tutta la pianura a sud del
Po
passò sotto il dominio romano.
Nel
223 a.C.
Caio Flaminio
passò il
Po
e condusse una difficile campagna che portò alla vittoria sugli
Insubri
ma non alla loro totale sottomissione.
Nel
222 a.C.
una nuova campagna contro gli
Insubri
spinse questi ultimi ad attaccare la fortezza romana di
Clastidium (Casteggio)
difesa dal console Marco Marcello che uccise il re dei
Galli
Videmaro mentre l'altro console Gneo Scipione espugnava
Milano
e Como completando la sottomissione dei
Celti
Italici.
Roma da quel momento garantì la sicurezza della penisola contro ogni insidia transalpina, tollerò le popolazioni a nord del
Po
mentre i
Celti
a sud del fiume furono rapidamente annientati o dispersi anche per effetto dell'intensa colonizzazione che portò molti Italici a trasferirsi in quella regione.
La via Flaminia fu prolungata fino a
Rimini
e fu la prima strada a congiungere la costa tirrenica con quella adriatica. Il transito sul
Po
fu assicurato con la fondazione di
Piacenza
e
Cremona
sulle opposte rive del fiume e la città di Mutina (Modena) venne fortificata.
Libro III - Capitolo IV -
Amilcare
e
Annibale
Anche se l'armistizio del
241 a.C.
portò la pace, i Cartaginesi si rendevano conto che il pericolo sussisteva e che la guerra poteva ricominciare in qualsiasi momento rischiando di distruggere il loro stato.
In città esistevano un partito della pace che faceva capo a Annone il Grande ed uno della guerra basato sulle forze popolari e militari il cui leader era Asdrubale.
In questa delicata situazione scoppiò la rivoluzione libica e
Cartagine
sfiorò il disastro per l'imperizia militare di Annone salvandoli soltanto per la grande abilità di
Amilcare Barca
che ebbe il comando supremo, sia pure con Annone come collega.
Finita la fase più critica della guerra libica, Annone fu richiamato e ad
Amilcare
furono conferiti pieni poteri, ma l'esercito di cui disponeva aveva urgente bisogno di essere ristrutturato. Non facendo affidamento sulle risorse statali che erano nelle mani del partito al governo a lui ostile,
Amilcare
compì ogni azione e compromesso utili per procurarsi i mezzi finanziari e quando finalmente vi riuscì fece giurare al figlio
Annibale
odio eterno verso i
Romani
e partì da
Cartagine
nel
236 a.C.
alla volta della
Spagna
dove estese i domini cartaginesi fino a farne un regno che dopo la sua morte (
228
) fu retto e consolidato da
Asdrubale
, suo genero e luogotenente e fondatore di
Cartagena
.
Le rendite della nuova ricca provincia finanziavano l'esercito e ne rimaneva abbastanza da mandare contributi in patria, mentre dal punto di vista commerciale la
Spagna
compensava i Cartaginesi di quanto avevano perduto con la
Sicilia
e la
Sardegna
.
A Roma si riteneva impossibile una guerra aggressiva da parte di
Cartagine
e si rimase indifferenti alle imprese spagnole di
Amilcare
fino al 226 quando il senato prese a preoccuparsi delle crescente potenza della nuova provincia dei Fenici e strinse alleanza con due città di fondazione greca, Sagunto e Emporia (Empurias), sulla costa orientale della
Spagna
ingiungendo ai Cartaginesi di non superare l'
Ebro
.
Ma quando giunse il momento propizio per attaccare, l'esercito cartaginese aveva perso con
Amilcare
il suo grande condottiero e il suo successore
Asdrubale
, che non era un uomo d'armi, rimandò l'impresa.
Nel
220 a.C.
Asdrubale
venne assassinato e gli ufficiali affidarono il comando a
Annibale
primogenito di
Amilcare
. Colto e preparato,
Annibale
aveva militato nell'esercito del padre e comandato la cavalleria sotto Asdrubale.
Mommsen
traccia un breve profilo di
Annibale
, grande generale, grande politico e grande uomo, non celando la sua ammirazione e rigettando come diffamazioni le critiche degli antichi romani e cartaginesi.
Immediatamente
Annibale
decise di attaccare per prevenire il nemico e per avvantaggiarsi dei problemi che Roma affrontava in quel periodo contro i
Celti
e gli
Illiri
, ma gli mancava la dichiarazione di guerra ufficiale e l'autorità Cartaginese, prevalendo il partito della pace, lo ostacolava ed avversava. Intanto il tempo passava e i
Romani
stavano risolvendo le ostilità su altri fronti, perciò nel 219
Annibale
attaccò improvvisamente Sagunto con il pretesto che i suoi abitanti avevano recato danno ad altre genti suddite di
Cartagine
.
I Saguntini resistettero eroicamente ma i
Romani
indugiarono nel soccorrerli e dopo otto mesi di assedio Sagunto fu espugnata.
Ambasciatori romani chiesero la consegna di
Annibale
e non ottenendola dichiararono la guerra. Nel 218
Annibale
tornò in
Africa
per preparare l'attacco e la difesa dello stato.
Il generale disponeva di centoventimila uomini oltre a cavalli, elefanti e navi. Pochi erano i mercenari e prima di muoversi seppe incoraggiare e motivare i soldati. Lasciò una parte delle truppe a proteggere
Cartagine
e il territorio africano e una parte in
Spagna
al comando del fratello minore
Asdrubale
.
Ottenne che
Cartagine
inviasse due modeste squadre navali per azioni di disturbo sulle coste italiche e siciliane e si mise personalmente al comando del grosso dell'esercito per penetrare in
Italia
e attaccare direttamente Roma.
Per procurarsi delle basi avanzate verso l'
Italia
,
Annibale
concluse accordi con
Insubri
e
Boi
che si impegnarono volentieri ad aiutarlo per odio verso gli italici. Stabilì anche relazioni con i
Macedoni
che in quel periodo non avevano buoni rapporti con i
Romani
.
Mancano certezze sul motivo per cui preferì la via di terra al mare, probabilmente perché sapeva il
Mediterraneo
completamente controllato dal nemico.
Partì con novantamila uomini, dodicimila cavalli e trentasette elefanti da
Cartagine
nella primavera del
218 a.C.
Intanto a Roma ci si era lasciati andare all'incuria che non aveva permesso di eliminare il pericolo dei
Celti
, di disarmare i Cartaginesi e di mantenere la pace con i
Macedoni
. Ora si era lasciato ad
Annibale
il tempo di organizzare il suo esercito e il modo di scegliere l'
Italia
come teatro del conflitto mentre era mancata la prontezza di intervenire con un esercito in
Spagna
ai tempi dell'assedio di Sagunto. Quando
Annibale
giunse all'
Ebro
le forze romane comandate dal console Publio Cornelio Scipione che erano finalmente in partenza per la
Spagna
furono distratte da un'insurrezione nella pianura padana.
Oltre l'
Ebro
vivevano popolazioni filoromane che ostacolarono energicamente
Annibale
che comunque in pochi mesi giunse ai
Pirenei
, perdendo un quarto dei soldati ma soggiogando la
Catalogna
.
Congedata una parte dei soldati,
Annibale
varcò i
Pirenei
con cinquantamila fanti e novemila cavalieri, attraversò senza problemi il paese dei
Celti
e a fine luglio raggiunse il
Rodano
. Qui rischiò di scontrarsi con l'esercito del console Scipione che marciava verso la
Spagna
ma acquistando tutte le barche reperibili nella zona e costruendo zattere riuscì a traghettare l'intero esercito in un solo giorno. Intanto
Annone
figlio di
Bomilcare
manovrava per attaccare alle spalle i
Galli
alleati dei
Romani
che presi alla sprovvista fuggirono senza interferire con l'attraversamento dei fiume.
Scipione, che aveva temporeggiato a Massalia, mandò una squadra in ricognizione e quando seppe che il nemico aveva superato il
Rodano
si precipitò tardivamente verso
Avignone
senza trarne alcun vantaggio.
Annibale
poteva scegliere fra il passo del Monginevro e quello del Piccolo San Bernardo. Scelse il secondo perché più facile e perché conduceva a territori di
Celti
suoi alleati.
I Cartaginesi impiegarono sedici giorni per giungere ai piedi delle montagne ma qui furono avvertiti che le popolazioni locali presidiavano il valico per non lasciarli passare.
Annibale
superò il problema occupando a sorpresa il valico durante la notte.
Ridiscendendo oltre il primo valico incontrarono serie difficoltà per la strada ripida e sdrucciolevole e per gli attacchi degli
Allobrogi
. Giunti a valle aggredirono la più vicina città allobrogica per rifarsi dei cavalli perduti e per dare una dimostrazione alle popolazioni della regione.
Quattro giorni più tardi, dopo aver evitato un'imboscata dei Centroni, i Cartaginesi raggiunsero la sommità del passo. La discesa fu molto difficile, un tratto interessato da frane e da ghiaccio perenne costrinse i Cartaginesi ad aprirsi il cammino con varie giornate di lavoro duro e ininterrotto.
Giunti infine nella piana di Ivrea e accolti amichevolmente dai
Salassi
godettero di quindici giorni di riposo. La traversata aveva avuto un costo elevato, oltre la metà dei soldati erano morti nei combattimenti o per le insidie naturali della montagna.
Libro III - Capitolo V - Guerra di
Annibale
fino alla battaglia di
Canne
All'arrivo dell'esercito cartaginese al di qua delle Alpi la regione risultava sguarnita per i
Romani
: uno dei grandi eserciti romani, infatti, si trovava in
Spagna
, l'altro era in
Sicilia
sul punto di imbarcarsi per l'
Africa
mentre le forze che normalmente operavano nella Valle del
Po
erano concentrate nei pressi di Modena per fronteggiare un'insurrezione dei
Galli
Boi
.
In generale i
Romani
avevano sottovalutato la capacità cartaginese di superare le Alpi e nel momento decisivo nel luogo più importante non c'erano avamposti romani.
Annibale
fece riposare il suo esercito mentre convinceva, o costringeva, tutti i centri dei
Celti
e dei
Liguri
nella valle superiore del
Po
ad allearsi con lui.
Scipione, assunto il comando nella valle del
Po
, doveva fermare i Cartaginesi e contemporaneamente vigilare sugli insorti Insubri e
Boi
che ancora minacciavano le colonie romane del Modenese. Superò il
Po
a
Piacenza
e nei pressi di Vercelli, lungo il Ticino, si scontrò con il nemico subendo una grave sconfitta e salvando a stento la propria vita. I
Romani
si ritirarono sull'altra sponda del
Po
per riorganizzarsi. Ancora molestato dai
Galli
insorti, Scipione dovette ritirarsi ulteriormente sulle colline del
Trebbia
.
Il secondo esercito romano proveniente da
Lilibeo
giunse a
Piacenza
e si unì all'esercito del
Po
. In questa posizione, forte di quarantamila uomini, Scipione avrebbe potuto limitarsi ad attendere bloccando l'esercito nemico ma a causa di una ferita dovette cedere temporaneamente il comando all'altro console Tiberio Sempronio. Dopo non molto
Annibale
attaccò improvvisamente cogliendo i
Romani
di sorpresa e riuscì a far spostare l'avanguardia romana in terreno a lui favorevole al di là del
Trebbia
.
La cavalleria cartaginese era molto più numerosa di quella romana ma l'esito della battaglia fu deciso da un corpo scelto che attaccò i
Romani
alle spalle e fece una strage. La prima linea della fanteria romana riuscì a sfondare le file nemiche e si portò in salvo a
Piacenza
mentre il resto dell'esercito fu distrutto dalle truppe leggere nemiche. Anche i vincitori subirono molte perdite sul campo e più tardi per le malattie provocate dal freddo. Morirono anche quasi tutti gli elefanti. I
Romani
ripararono a
Piacenza
e Cremona, isolati da Roma, e anche
Annibale
decise di non tentare altre imprese durante l'inverno.
Per la campagna del
217 a.C.
si mandarono rinforzi in
Spagna
,
Sicilia
,
Sardegna
e
Taranto
, per le legioni in
Italia
ci si limitò a rimpiazzare le perdite. I consoli occuparono le due strade principali verso il settentrione. Nonostante la vittoria sulla
Trebbia
, la situazione militare dei Cartaginesi era difficoltosa per l'insicurezza degli approvvigionamenti e per la minore perizia dei soldati.
Annibale
era consapevole che le sue vittorie non riuscivano a scuotere la superiorità del suo nemico,
Capiva
- dice
Mommsen
-
che batteva sempre i generali non la città.
Per questo motivo decise di condurre la guerra in modo imprevedibile, spostandosi continuamente, ingannando l'avversario con azioni improvvise e sforzandosi di stringere alleanze con le popolazioni italiche delle quali si atteggiava a liberatore.
Al termine dell'inverno i Cartaginesi lasciarono la valle del
Po
e superarono l'
Appennino
prima che il console
Caio Flaminio
raggiungesse e bloccasse i valichi. Fu tuttavia una marcia estenuante perché le paludi tra l'
Arno
e il
Serchio
erano allagate dal disgelo. Molti cavalli morirono, molti uomini si ammalarono, lo stesso
Annibale
perse un occhio per una grave oftalmia.
Quando
Annibale
giunse a
Fiesole
,
Caio Flaminio
era ancora a
Arezzo
e attendeva di congiungere il proprio esercito con quello del collega che non aveva più ragione di sostare a
Rimini
.
Caio Flaminio
era un politico democratico in contrasto con il senato ed era deciso a conquistare la massima gloria militare.
Annibale
ne era consapevole e seppe sfruttare la situazione: portò il suo esercito non molto lontano da Flaminio e lasciò che i
Galli
del suo seguito saccheggiassero la regione. Flaminio, senza attendere il collega, mosse verso di lui e fu attirato nel campo scelto da
Annibale
, un luogo stretto tra le montagne e delimitato dal Lago Trasimeno. I Cartaginesi circondarono i
Romani
e ne fecero strage, lo stesso comandante venne ucciso.
I
Romani
ebbero 15.000 morti e altrettanti prigionieri, i Cartaginesi persero 1.500 uomini, quasi tutti
Galli
. Anche la cavalleria di Gneo Servilio che stava raggiungendo Flaminio fu circondata e massacrata.
A Roma si presero provvedimenti straordinari per preparare la difesa della città ma
Annibale
, agendo di nuovo in modo imprevisto, non puntò su Roma ma portò l'esercito a riposare sull'
Adriatico
. Quando i suoi soldati furono rinfrancati,
Annibale
prese ad avanzare lentamente verso l'
Italia Meridionale
cercando di accordarsi con gli Italici ma tutte le città alle quali via via si avvicinava chiusero le porte.
Quinto Fabio Massimo
, uomo di età avanzata e di grande esperienza, fu nominato dittatore e assunse il comando formando un esercito che giunse in vista del nemico a Lucera.
Annibale
superò
Benevento
e tentò senza successo di portare
Capua
dalla sua parte. Fallito il tentativo prese la via dell'
Apulia
e Fabio gli sbarrò la strada a
Casilino
(l'attuale
Capua
).
Annibale
ricorse allo stratagemma di far spingere un gran numero di buoni con fascine accese tra le corna per far credere, nel buio, che l'intero esercito si ritirasse. I
Romani
si spostarono per seguire quello che credevano essere l'esercito nemico e così liberarono il passaggio per le truppe di
Annibale
che si portarono nell'
Apulia
Settentrionale, paese ricchissimo di grano e di fieno.
Marco Minucio, luogotenente di
Fabio Massimo
, riuscì ad ostacolare le sortite del nemico per i rifornimenti. Questa notizia fece crescere a Roma le polemiche sul conto di
Fabio Massimo
e sulla sua strategia difensiva. Il nemico che avrebbe dovuto cedere per fame si era già procurato abbondanti provviste per l'inverno. Ne conseguì un duro scontro politico che culminò con un'operazione del tutto irregolare: a Marco Minucio furono conferiti gli stessi poteri dittatoriali di cui disponeva
Fabio Massimo
. Così "promosso" Marco Minucio si ritenne in dovere di affrontare il nemico in campo aperto e il disastro fu evitato solo grazie al tempestivo intervento di
Fabio Massimo
.
A questo punto a Roma si decise di formare il più forte esercito mai organizzato: otto legioni potenziate di un quinto della forza normale ed altrettanti federati: oltre il doppio delle forze del nemico. Si trattava di affidare il comando supremo a chi fosse meno impopolare di
Fabio Massimo
. Si elessero i consoli:
Lucio Emilio Paolo
(vincitore nell'Illirico) e
Caio Terenzio Varrone
, noto oppositore del senato.
A Primavera
Annibale
si mosse verso sud, superò il fiume
Ofanto
e prese il castello di
Canne
, tra
Canosa
e
Barletta
. Per fermare i progressi di
Annibale
giunsero in
Apulia
i due nuovi generali Paolo e Varrone (
216 a.C.
), mentre
Fabio Massimo
aveva deposto la dittatura in autunno. Il nuovo esercito contava, tra cittadini e federati, 80.000 fanti e 6.000 cavalieri,
Annibale
disponeva di 40.000 fanti e 10.000 cavalieri.
Annibale
si accampò presso
Canne
sulla riva destra del fiume Aufidus, Paolo sulla riva sinistra ma mandò un forte corpo sulla riva destra per bloccare i rifornimenti del nemici.
Annibale
passò il fiume e offrì battaglia ma Paolo non accettò. I consoli comandavano a giorni alterni, perciò il giorno successivo Varrone riunì tutte le forze romane sulla riva destra e offrì battaglia.
Lo scontro, di cui
Mommsen
descrive i momenti principali, vide i
Romani
subire gravi perdite e i Cartaginesi conquistare rapidamente la vittoria nonostante le risorse modeste al confronto di quelle nemiche. I
Romani
persero 70.000 uomini dei 76.000 schierati in battaglia, morirono anche il console Lucio Paolo e il
proconsole
Gneo Servilio.
Il console Marco Varrone si salvò fuggendo a
Venosa
. Gran parte dei diecimila romani rimasti a presidiare l'accampamento furono fatti prigionieri.
Nello stesso periodo della battaglia di
Canne
i generali Gneo Scipione e Publio Scipione sconfissero duramente Asdrubale mentre tentava di superare i
Pirenei
. I
Celtiberi
e altre genti spagnole si misero dalla parte degli
Scipioni
e per questi motivi
Annibale
non aveva alcuna possibilità di ricevere aiuti dalla
Spagna
. Da
Cartagine
non giungeva da tempo alcun aiuto per
Annibale
ma la notizia della vittoria di
Canne
mise a tacere gli oppositori politici e
Annibale
ricevette importanti sussidi in denaro e rinforzi in uomini, cavalli ed elefanti.
Si concluse un trattato di alleanza tra
Cartagine
e la Macedonia che prevedeva l'invio di un esercito macedone in
Italia
contro la promessa di recuperare i possedimenti romani in
Epiro
. Il re Gerone di
Siracusa
rinnovò l'amicizia con Roma ma morì nel
216 a.C.
e suo figlio
Geronimo
si accordò con i
Cartaginesi
. Un avvenimento di grande importanza fu lo schierarsi con
Annibale
della maggior parte dei comuni dell'
Italia Meridionale
, tuttavia le opposizioni interne dei nobili favorevoli ai
Romani
diminuirono i vantaggi che i
Cartaginesi
avrebbero potuto trarre da queste alleanze. A
Capua
Annibale
fece arrestare e tradurre a
Cartagine
un suo ostinato oppositore di nome Decio Magio. I Greci dell'
Italia Meridionale
rimasero fedeli ai
Romani
:
Napoli
,
Reggio
, Turio, Metaponto,
Taranto
e altrettanto, ovviamente, fecero le colonie latine come
Brindisi
,
Venosa
, Pesto, Cosa e Cales.
Secondo
Mommsen
la costituzione romana con la nomina dei magistrati annuali non era adatta per affrontare un conflitto delle dimensioni della
guerra annibalica
e, inoltre, il disaccordo tra senato e popolo aveva portato a decisioni sbagliate a tutto vantaggio dei
Cartaginesi
. Fu il superamento di questo disaccordo a consentire a
Roma
di riprendersi dopo le tragiche sconfitte del Trasimeno e di
Canne
.
A Canusio, dove si erano rifugiati i superstiti di
Canne
, due tribuni militari, Appio Claudio e Publio Scipione figlio, riuscirono a ridare coraggio a quegli uomini e agli altri che si andavano via via unendo fino a formare quasi due legioni. Assunse il comando il pretore Marco Claudio Marcello. A
Roma
si procedette all'arruolamento di nuovi soldati, anche giovanissimi. Furono reclutati prigionieri e delinquenti oltre a ottomila schiavi affrancati con denaro pubblico.
Libro III - Capitolo VI - Guerra di
Annibale
da
Canne
a
Zama
Il comportamento delle città dell'
Italia Meridionale
nei confronti di
Annibale
dopo la battaglia di
Canne
non fu quello che
Annibale
aveva sperato. In generale si sottomisero passivamente ai
Cartaginesi
ma ogni speranza di
Annibale
di poterli condurre contro
Roma
in una sorta di guerra di liberazione rimase delusa.
Da parte loro i
Romani
trassero insegnamento dalle sconfitte ed adottarono più prudenti accorgimenti nel selezionare i comandanti e nel decidere se e quando accettare battaglia. Per ottenere questi miglioramenti, senato e popolo decisero di affidare il comando a
Marco Claudio Marcello
, un esperto ufficiale reduce delle guerre contro
Amilcare
e contro i
Celti
.
Annibale
, consapevole che un attacco diretto alla città di
Roma
non avrebbe dato risultati, preferì dirigersi direttamente a
Capua
e con molte difficoltà riuscì a far passare questa città dalla sua parte.
Marco Marcello
e il dittatore
Marco Giunio
che concentrarono le loro forze presso
Teano
non arrivarono in tempo per salvare
Capua
, ma riuscirono a evitare che
Annibale
si impadronisse di
Napoli
e del suo porto.
Marcello
intervenne tempestivamente a
Nola
dove il partito popolare era favorevole ai
Cartaginesi
e mantenne la città fedele ai
Romani
, inoltre combattè alle porte di
Nola
infliggendo ad
Annibale
la prima sconfitta.
Annibale
conquistò in
Campania
Nocera
,
Acerra
e, dopo un lungo assedio,
Casilino
e condannò a morte i senatori di quella città che gli erano stati ostili. Giungendo l'inverno
Annibale
pose i suoi quartieri in
Capua
dove le comodità avranno certamente intaccato la disciplina dei soldati.
L'anno successivo i
Romani
armarono tre eserciti comandati da
Marco Marcello
,
Tiberio Sempronio Gracco
e
Quinto Fabio Massimo
che circondarono
Capua
e ripresero varie piccole piazze della regione. Un altro esercito comandato dal pretore
Marco Valerio
si era stanziato presso Lucera per controllare gli insorti sanniti, lucani e irpini e per prevenire eventuali mosse dei
Macedoni
.
Annibale
si scontrò con
Marco Marcello
presso
Cuma
, fu sconfitto e dovette abbandonare la
Campania
.
Annibale
si rese conto di non essere in grado di portare avanti nuove offensive e di essere in difficoltà anche nel difendere le posizioni già conquistate con le forze a sua disposizione. I suoi oppositori politici operarono in modo che
Cartagine
rifiutasse di mandare rinforzi in
Italia
, da parte sua
Annibale
non aveva importanti sostenitori nel senato cartaginese e fu costretto a cercare aiuti da altre nazioni, come la
Spagna
,
Siracusa
e la
Macedonia
.
I
Romani
combatterono contro queste nazioni mentre la guerra in
Italia
si riduceva ad assedi e razzie, con lo scopo di isolare sempre di più
Annibale
.
Gli
Scipioni
spostarono il fronte spagnolo dall'
Ebro
al
Guadalquivir
e conseguirono importanti vittorie in
Andalusia
.
Tito Manlio Torquato
distrusse l'esercito cartaginese in
Sardegna
recuperando il controllo dell'isola.
In
Sicilia
le legioni di
Canne
combatterono contro i
Cartaginesi
e le forze di
Geronimo
, quest'ultimo fu assassinato nel
215
. Gli ambasciatori macedoni inviati a trattare l'alleanza con
Annibale
furono catturati dai
Romani
che si procurarono così il tempo e la possibilità di acquisire il controllo di
Brindisi
con la flotta e con l'esercito per dominare l'
Apulia
e, se necessario, attaccare la
Macedonia
.
Dopo la morte di
Geronimo
,
Siracusa
sembrava disposta a tornare all'alleanza con i
Romani
ma la situazione politica interna era instabile e
Ippocrate
e
Epicide
, emissari di
Annibale
, fecero fallire i tentativi di pace prendendo con la forza il potere.
Marcello
assediò
Siracusa
ma la difesa, grazie anche alle invenzioni del matematico
Archimede
, fu molto valida e costrinse i
Romani
a passare dall'assedio al blocco degli accessi alla città per mare e per terra.
Da
Cartagine
giunse in
Sicilia
un esercito comandato da
Imilcone
che sbarcò a
Eraclea Minoa
e occupò
Agrigento
, non riuscì tuttavia a rimuovere i blocchi di
Siracusa
mantenuti da
Marcello
.
Nel
212
, durante una festa, i
Romani
penetrarono nei sobborghi di
Siracusa
tagliando fuori la fortezza di Eurialo che si arrese poco dopo.
Imilcone
e
Ippocrate
tentarono un attacco combinato con la flotta ma i
Romani
resistettero ancora e i due eserciti attaccanti si accamparono nei pressi della città in un'insalubre zona paludosa dove furono sterminati dalle febbri che uccisero anche i due comandanti
Imilcone
e
Ippocrate
.
L'ammiraglio
Bomilcare
fuggì quando i
Romani
gli offrirono battaglia mentre
Epicide
che comandava la città riparò in
Agrigento
. I soldati mercenari si sollevarono e i loro capi assunsero il governo della città,
Marcello
trattò con uno di questi e ottenne parte della città (l'isola), in seguito i cittadini aprirono le porta anche del resto (
Acradina
). I
Romani
non tennero conto delle responsabilità dei mercenari e
Siracusa
non ottenne giustizia. La città fu duramente saccheggiata (in quest'occasione fu ucciso
Archimede
), il senato rigettò le proteste dei
Siracusani
,
Siracusa
e le città da essa dipendenti furono sottoposte a tributi.
Annibale
conferì il comando della cavalleria numidica a un ufficiale di nome Mutinete che iniziò una guerra di bande.
Annone
, per gelosia, attaccò i
Romani
senza coinvolgere Mutinete e fu sconfitto sul fiume
Imera
.
Mutinete rimase in
Sicilia
e occupò alcune città ottenendo discreti successi ma
Annone
gli tolse il comando della cavalleria e lo affidò a suo figlio, ma i cavalieri rifiutarono il cambiamento e Mutinete trattò con
Marco Valerio Levino
al quale consegnò
Agrigento
.
Annone
fuggì a
Cartagine
e i
Romani
massacrarono il presidio cartaginese di
Agrigento
, i cittadini venduti come schiavi e i
Romani
selezionarono nuovi abitanti a loro devoti. L'isola fu pacificata e i
Cartaginesi
non vi mandarono più la flotta per riprendere la guerra.
In Oriente la grande alleanza antiromana immaginata da
Annibale
non fu realizzata,
Antioco il Grande
a causa delle sollevazioni interne del suo stato e della perenne minaccia di guerra con l'
Egitto
non prese iniziative contro i
Romani
. La corte egiziana era favorevole a
Roma
. La discordia tra
Macedonia
e
Grecia
impediva a questi stati di influire sulla situazione italica.
Nel
216 a.C.
Filippo
tentò di impadronirsi di
ma si ritirò quando ebbe la notizia dell'arrivo di una flotta romana. Nel
215
progettò di attaccare la costa di
Brindisi
con una flottiglia di barche ma per paura delle quinqueremi romane abbandonò il progetto non rispettando un impegno preso con
Annibale
. Nel
214
Filippo
aggredì e saccheggiò i possedimenti romani in
Epiro
, la reazione dei
Romani
che trasferirono rapidamente parte dell'esercito a
Brindisi
in
Epiro
bastò per spingere
Filippo
alla completa inazione lasciando trascorrere alcuni anni senza dare ascolto alle sollecitazioni di
Annibale
.
In
Grecia
i
Romani
promossero una coalizione antimacedone e si allearono con gli
Etoli
e in seguito con
Atene
,
Elide
,
Messene
,
Sparta
e poi
Pergamo
. Tutto ciò costrinse
Filippo
a consumare le proprie energie per difendersi dai continui atti ostili delle forze greche e romane che lo impegnavano su più fronti. La guerra con la
Macedonia
non portò a risultati significativi, gli
Etoli
si trovarono a sostenere la maggior parte dello sforzo bellico mentre i
Romani
impegnavano soltanto pochi vascelli. Infine gli
Etoli
accettarono la mediazione di altri stati (
Rodi
,
Bisanzio
,
Atene
e altri) e conclusero la pace con la
Macedonia
.
I
Romani
avrebbero potuto reagire violentemente a questa pace che costituiva la rottura della loro alleanza con gli
Etoli
ma poiché intendeva concentrare tutte le risorse in una spedizione africana, il senato preferì trattare la pace con
Filippo
, offrendogli condizioni favorevoli e ponendo fine a una guerra durata dieci anni.
In
Spagna
Gneo
e
Publio Scipione
conseguirono diversi successi: mantennero il confine dei
Pirenei
che i
Cartaginesi
tentavano di forzare per ripristinare le comunicazioni terrestri con
Annibale
, fortificarono
Tarragona
, combatterono con buoni esiti in
Andalusia
ed estesero la presenza romana nella parte meridionale della penisola.
Nel
213
i
Romani
si allearono con il principe
Siface
contro il quale
Asdrubale Barca
si portò nel territorio libico di
Cartagine
, il re Gala si schierò con
Cartagine
e suo figlio
Massinissa
sconfisse
Siface
costringendolo alla pace. Nel
211
Asdrubale
tornò in
Spagna
insieme a
Massinissa
e gli
Scipioni
, assaliti da forze superiori alle loro, assoldarono ventimila
Celtiberi
.
Asdrubale
riuscì a corrompere col denaro molti
Spagnoli
spingendoli ad abbandonare l'esercito romano e
Gneo Scipione
fu costretto a iniziare la ritirata con metà delle forze romane mentre l'altra metà, comandata da
Publio Scipione
, veniva sconfitta dai
Cartaginesi
con l'aiuto della cavalleria di
Massinissa
e lo stesso
Publio Scipione
perdeva la vita. Gli eserciti cartaginesi e i loro alleati si concentrarono contro le truppe di
Gneo Scipione
che furono circondate e massacrate, di
Gneo Scipione
non si ebbero più notizie. I superstiti romani dei due eserciti furono raccolti e guidati oltre l'
Ebro
dagli ufficiali Caio Marcio e Tito Fonteio. Dimostrandosi abile condottiero Caio Marcio riuscì a rimandare indietro i
Cartaginesi
che avevano superato l'
Ebro
e a mantenere la linea del fiume fino all'arrivo di un nuovo esercito forte di dodicimila uomini comandati da Caio Claudio Nerone.
Questi era un valente ufficiale ma non era adatto a trattare i rapporti politici con gli
Spagnoli
, inoltre si sapeva che a
Cartagine
erano in corso preparativi per sferrare una nuova grande offensiva in
Spagna
. Per questo il senato deliberò di spedire nuovi rinforzi in
Spagna
affidandoli a un comandante straordinario. Nessuno si candidò per questo incarico tranne il giovane
Publio Scipione
, figlio dell'omonimo, che si era distinto nelle battaglie del
Ticino
e di
Canne
e che fu proposto all'elezione popolare senza avversari.
Mommsen
si sofferma sulla figura carismatica di
Scipione
il cui fascino era avvertito dai soldati e dalla donne, dai
Romani
e dagli
Spagnoli
, dai suoi alleati e dai suoi avversari.
Partì per la
Spagna
nel
210
o nel
209 a.C.
, insieme al propretore
Marco Silano
e all'ammiraglio
Gaio Lelio
.
In
Spagna
i tre eserciti cartaginesi si trovavano in varie località distanti almeno dieci giorni di marcia da
Nuova Cartagine
.
Scipione
nella primavera del
209 a.C.
attaccò improvvisamente questa città che si trovava in una stretta lingua di terra protesa nel mare.
Circondata da tre lati dalla flotta romana, la città fu attaccata per via di terra e quando, come
Scipione
aveva previsto, la marea lasciò allo scoperto altro terreno, i
Romani
ne approfittarono per assalire le mura indifese.
Nuova Cartagine
fu conquistata in un solo giorno insieme a ottanta navi, una cassa con seicento talenti e diecimila prigionieri. La vittoria fu un grande successo per
Scipione
al quale venne rinnovato il comando a tempo indeterminato. Egli licenziò la flotta arruolando i marinai nell'esercito e nel
208
avanzò verso l'
Andalusia
. Durante la marcia incontrò presso
Becula
Asdrubale
diretto ai
Pirenei
e lo sconfisse ma pur perdendo una parte del suo esercito il Cartaginese riuscì ad entrare in
Gallia
prima dell'inverno. I due comandanti cartaginesi rimasti in
Spagna
si ritirarono in
Lusitania
(
Asdrubale di Giscone
) e nelle
Isole Baleari
(
Magone
) lasciando ai
Romani
la costa orientale.
Nel
207
giunse dall'
Africa
Annone
con un terzo esercito per ricongiungersi in
Andalusia
con
Asdrubale di Giscone
e
Magone
, ma
Annone
e
Magone
furono sconfitti da
Marco Silano
mentre
Asdrubale
distribuì le sue forze tra le città andaluse.
Nel
207
giunse dall'
Africa
Annone
con un terzo esercito per ricongiungersi in
Andalusia
con
Asdrubale di Giscone
e
Magone
, ma
Annone
e
Magone
furono sconfitti da
Marco Silano
mentre
Asdrubale
distribuì le sue forze tra le città andaluse.
Nel
206
scese in campo un nuovo potente esercito cartaginese e
Scipione
, che disponeva di meno della metà dei soldati, lo sconfisse di nuovo presso
Becula
.
Nella
Spagna
ormai libera dai
Cartaginesi
scoppiò una nuova rivolta antiromana ma
Scipione
la bloccò sul nascere. Non riuscì però a impedire che
Magone
riunisse le forze disperse nella
Penisola Iberica
e recuperasse navi e denaro per armare una nuova spedizione in
Italia
.
Con la partenza di
Magone
anche
Cadice
si arrese ai
Romani
e l'intera
Spagna
, dopo tredici anni di guerra, divenne provincia romana.
Mentre nel
206
Scipione
tornava a
Roma
per riferire personalmente i suoi successi, gran parte dell'
Italia Meridionale
era ancora in mano a
Annibale
che si trovava con il suo esercito presso
Arpi
e di
Annone
che sostava nel
Bruzio
con un secondo esercito. L'
Italia Settentrionale
invece era stata recuperata dai
Romani
quando
Annibale
se ne era allontanato.
I
Romani
avevano in campo quattro legioni agli ordini dei consoli
Quinto Fabio
e
Marco Marcello
, due legioni erano di riserva a
Roma
, altri eserciti si trovavano in
Sicilia
,
Sardegna
e
Spagna
, la flotta controllava il
Mediterraneo
per un impegno complessivo di almeno duecentomila uomini.
In attesa di ricevere aiuti dalla
Spagna
o dalla
Macedonia
, i
Cartaginesi
in
Italia
entrarono in una fase difensiva in
Campania
e
Puglia
.
Annibale
tentò di prendere
Taranto
senza riuscirci mentre presso
Benevento
Tiberio Gracco
vinceva
Annone
con una legione composta da schiavi arruolati per forza che furono premiati con la libertà.
Molte città del
Mediterraneo
passarono ai
Romani
mentre i
Cartaginesi
riuscirono a occupare
Taranto
con la collaborazione degli abitanti, analogamente presero
Eraclea
,
Turio
e
Metaponto
.
Grazie a un'imboscata che costò la vita a
Tiberio Gracco
, i
Cartaginesi
riuscirono a conquistare
Capua
ma quando
Annibale
si allontanò i
Romani
circondarono la città con tre campi fortificati impedendo ogni accesso.
Annibale
accorse con le sue migliori truppe e pose il campo vicino a
Capua
ma i
Romani
mantennero le loro posizioni. Il Cartaginese escogitò un nuovo espediente e si allontanò da
Capua
per puntare direttamente su
Roma
. Giunto a breve distanza dalla capitale, fuori
Porta Capena
,
Annibale
tornò indietro certo che i comandanti nemici avrebbero abbandonato
Capua
per soccorrere
Roma
ma questa volta il suo piano non ebbe successo perché le legioni rimasero immobili presso
Capua
.
A
Capua
ventotto senatori si suicidarono mentre gli altri consegnarono la città ai
Romani
. Seguirono condanne, esecuzioni e confische ai danni dei dirigenti capuani e molti cittadini furono venduti come schiavi. Passando ai
Cartaginesi
, i
Capuani
avevano assassinato tutti i
Romani
che si trovavano in città e ovviamente questo atto fu punito con la più dura repressione. La costituzione municipale e le istituzioni di
Capua
vennero soppresse e in questo modo - secondo
Mommsen
- i
Romani
soddisfecero l'antica rivalità che provavano nei confronti della seconda città di
Italia
.
La perdita di
Capua
fu un duro colpo per la fiducia degli alleati italici in
Annibale
mentre i
Romani
recuperarono la certezza di vincere la guerra.
Conclusa la guerra in
Sicilia
,
Marco Marcello
assunse il comando supremo e marciò alla riconquista di
Taranto
. Riportò una difficile vittoria contro
Annibale
mentre il console
Quinto Fulvio
riportava
Lucani
e
Irpini
dalla parte di
Roma
.
Annibale
accorse a difendere
Reggio
da una serie di scorrerie mentre il console
Quinto Fabio
riprendeva
Taranto
per il tradimento di una guarnigione di difensori seguì un massacro della cittadinanza, il saccheggio delle case, la vendita di trentamila
Tarentini
. Si concluse con questo episodio la carriera dell'ottantenne
Quinto Fabio
.
Marco Marcello
fu eletto console per l'anno successivo (
208 a.C.
) e progettava insieme al collega
Tito Quinzio Crispino
di condurre la guerra ma i due consoli furono sorpresi da una divisione di cavalleria africana e persero entrambi la vita.
Si era nell'undicesimo anno di guerra e le finanze romane erano sfinite nonostante la disponibilità dei cittadini più ricchi e tutti i provvedimenti presi da una commissione di esperti appositamente costituita. I campi erano spesso abbandonati per la mancanza di braccia e il prezzo del grano era aumentato del trecento per cento. L'enorme sforzo economico e finanziario coinvolgeva anche gli alleati latini molti dei quali smisero di fornire truppe e denaro. Nel
208
si seppe che
Asdrubale
fratello di
Annibale
aveva varcato i
Pirenei
e che i
Cartaginesi
avevano arruolato ottomila
Liguri
. A
Roma
si procedette a massicci arruolamenti richiamando anche i volontari e gli esenti dal servizio militare, ma prima di poter agire sui passi alpini,
Asdrubale
era giunto al
Po
, aveva reclutato molti
Galli
e assalito
Piacenza
.
Mentre il console
Marco Livio
marciava rapidamente verso nord, i pretori
Gaio Nerone
e
Caio Ostilio Tubulo
schieravano quarantamila uomini per impedire a
Annibale
di muovere dal
Bruzio
per congiungersi con il fratello.
Gaio Nerone
si attribuì la vittoria della battaglia di
Grumento
ma
Annibale
riuscì comunque a procedere e si accampò presso
Canusio
. I soldati di
Nerone
intercettarono un dispaccio di
Annibale
che indicava il percorso scelto per raggiungere
Annibale
nei pressi di
Narni
.
Nerone
decise di muovere contro
Asdrubale
approfittando del fatto di avere informazioni che
Annibale
ignorava. Raggiunse il console
Marco Livio
presso
Senigallia
e insieme avanzarono contro
Asdrubale
che era impegnato nel superare il
Metauro
.
Asdrubale
condusse la battaglia con grande perizia ma la strategia di
Nerone
ebbe il sopravvento e l'esercito cartaginese fu distrutto.
Asdrubale
cadde in combattimento e
Nerone
tornò rapidamente in
Apulia
dove
Annibale
era ancora fermo in attesa di conoscere l'itinerario di
Asdrubale
. Il Cartaginese fu informato della situazione dai
Romani
che gettarono la testa di
Asdrubale
agli avamposti del suo campo. Non gli restò che muovere verso la costa meridionale del
Bruzio
i cui porti rappresentavano ormai la sola possibilità di salvezza.
Grazie all'ottimismo che derivò dalla vittoria, i
Romani
allentarono la tensione per darsi un poco di riposo. Nel frattempo
Annibale
riuscì a resistere ancora in
Italia Meridionale
e ricevette rinforzi da
Cartagine
. Il fratello minore
Magone
si portò in
Liguria
con i resti dell'esercito spagnolo, devastò Genova e arruolò
Liguri
e
Galli
ma le sue forze e quelle di
Annibale
non erano ormai sufficienti per affrontare un'impresa nell'
Italia Meridionale
.
Era giunto per i
Romani
il momento di portare la guerra in
Africa
e l'uomo più adatto per assumere il comando sembrava essere
Scipione
che in quel momento rientrava dalla
Spagna
e veniva eletto console (
205 a.C.
). Tuttavia la maggioranza dei senatori nutriva dubbi e preoccupazioni rispetto alla scelta di
Scipione
come comandante supremo. Gli si rimproverava un certo lassismo in materia di disciplina militare e si dubitava che nel corso della guerra
Scipione
sarebbe stato disposto a rispettare in ogni caso le decisioni del senato. Queste difficoltà ritardarono le urgenti decisioni del momento ma alla fine si volle evitare di esasperare gli attriti e grazie al buon senso dimostrato da tutti gli interessati
Scipione
ottenne il comando dopo essersi formalmente rimesso alle decisioni del senato.
A
Scipione
fu assegnato l'esercito che si trovava in
Sicilia
composto dalle due legioni reduci di
Canne
, un corpo che da anni veniva trascurato perché privo di credibilità. Altrettanto sottodimensionati furono i mezzi finanziari messi a disposizione del generale, ma
Scipione
, assolutamente sicuro di se, non protestò ed accettò senza discutere quanto gli veniva fornito, riuscì tuttavia a rinforzare l'esercito con circa settemila volontari che accorsero alla chiamata del famiso generale.
Nel febbraio
204 a.C.
Scipione
salpò verso l'
Africa
con due legioni di veterani (trentamila uomini), quaranta navi da guerra e quattrocento da trasporto ed approdò al promontorio nei pressi di
Utica
.
Trovò a difendere
Cartagine
un esercito di ventimila fanti, seimila cavalieri e centoquaranta elefanti oltre ai contingenti dell'alleato
Siface
. L'altro re berbero,
Massinissa
, che era stato battuto e privato del suo territorio, si mise subito a disposizione di
Scipione
.
Scipione
vinse facilmente i primi scontri con l'esercito cartaginese ma quando giunse
Siface
con sessantamila uomini fu costretto a riparare in un campo fortificato tra
Utica
e
Cartagine
.
Trascorse l'inverno e a primavera, dopo aver avviato trattative di pace,
Scipione
attaccò improvvisamente di notte i due campi, dei
Cartaginesi
e dei
Numidi
di
Siface
, sfruttando il fattore sorpresa per fare strage dei nemici.
Ricevuti rinforzi dai
Celtiberi
e dai
Macedoni
, i
Cartaginesi
offrirono battaglia in campo aperto,
Scipione
accettò e riportò una nuova importante vittoria.
La fazione cartaginese favorevole alla pace ebbe a questo punto il sopravvento,
Asdrubale figlio di Giscone
fu condannato a morte in contumacia e fu proposto l'armistizio a
Scipione
che pose condizioni molto favorevoli per i
Cartaginesi
.
Il partito patriottico cartaginese non aveva intenzione di rinunciare a combattere ed era la sua linea a prevalere nella cittadinanza.
Magone
e
Annibale
, in
Italia
, ricevettero l'ordine di rientrare in patria.
Magone
aveva recentemente subito una sconfitta presso
Milano
ed era stato ferito. Si ritirò in
Liguria
e da qui si imbarcò per
Cartagine
ma morì durante il viaggio.
Annibale
fece uccidere tutti i suoi cavalli e i soldati italici che non vollero seguirlo, quindi si imbarcò a sua volta. In quell'occasione il vecchio
Quinto Fabio
fu insignito della corona d'erba.
Annibale
tornò in patria dopo trentasei anni di assenza e il suo ritorno portò nuova vita al partito patriottico: fu respinta la sanzione di pace e l'armistizio fu rotto con assalti a navi romane.
Scipione
mosse dal suo campo presso
Tunisi
ed incontrò
Annibale
il quale tentò un abboccamento per migliorare le condizioni concordate ma si trattava, secondo
Mommsen
, di una mossa politica per dimostrare ai
Cartaginesi
che il suo partito non era contrario alla pace. Fallita la conferenza si venne alla definitiva battaglia di
Zama
. Entrambi i generali disposero le proprie forze su tre file, ordinandole in modo da schivare gli attacchi degli elefanti di
Annibale
che sbandarono lateralmente scompigliando la cavalleria cartaginese.
Mentre la cavalleria romana, forte degli apporti di
Massinissa
, inseguiva i cavalieri nemici le prime due file si scontrarono violentemente finché la milizia cartaginese cercò un momento di tregua nella seconda linea in modo disordinato. Si venne ad un nuovo scontro ancora più sanguinoso che ebbe termine quando la cavalleria romana, rientrando dall'inseguimento, circondò i nemici. L'esercito cartaginese fu distrutto e
Annibale
fuggì a
Adrumeto
con pochi uomini.
Dopo questa sconfitta nessun cartaginese poteva sperare di continuare la guerra.
Scipione
non volle assediare
Cartagine
concesse la pace aggravando le condizioni con nuovi tributi e con il divieto di combattere contro chiunque senza il permesso di
Roma
. Molti criticarono
Scipione
per la sua moderazione e per non aver raso al suolo la città nemica. Alcuni insinuarono che il generale ebbe fretta di concludere la guerra per non lasciare l'onore a un successore, tuttavia è probabile che
Scipione
volle trovare una conclusione che mitigasse il desiderio di vendetta dei vincitori e l'ostinazione dei vinti. Così si concluse la guerra di
Annibale
durata diciassette anni.
Il risultato della guerra, secondo
Mommsen
, fu per
Roma
di aver reso innocuo un pericoloso rivale e non di aver acquisito il dominio del
Mediterraneo
che ottennero per effetto delle circostanze e senza intenzione. La
Spagna
divenne una doppia provincia romana, il regno di
Siracusa
fu incorporato nella provincia di
Sicilia
, il patronato romano fu esteso ai regni numidi.
In pratica
Roma
raggiunse l'egemonia sui traffici del
Mediterraneo
occidentale e gettò le basi per sottomettere anche le regioni orientali dominate dalle monarchie alessandrine. In
Italia
era iniziata la distruzione delle popolazioni celtiche mentre nella federazione romana prevaleva la componente latina e venivano oppressi i popoli non latinizzati come
Umbri
e
Sabelli
.
La potente città di
Capua
, che era stata il più forte alleato di
Annibale
, fu privata della sua costituzione e trasformata in un villaggio, privata di gran parte del suo territorio. Analoghe sanzioni furono comminate da
Roma
a tutti i centri dell'
Italia
centromeridionale che avevano sostenuto i
Cartaginesi
. Furono fondate colonie di veterani romani in
Campania
, nel
Sannio
e nell'
Apulia
.
La popolazione dotata di cittadinanza romana fu dalla guerra ridotta a un quarto, si parla di trecentomila caduti italici. Il senato era ridotto a centoventitre membri e con fatica fu possibile riempire i centosettantasette seggi vacanti.
L'economia pubblica fu profondamente scossa e quanto lo stato guadagnò con le confische (soprattutto in
Campania
) ebbe un pesante corrispettivo a carico della popolazione, furono distrutti centinaia di villaggi e si diffuse il brigantaggio.
Roma
e la nazione latina uscivano da un lungo e devastante periodo di guerra e si doveva pensare alla ricostruzione mentre per un momento il ritorno dei militari e dei prigionieri donava l'allegria alle feste di ringraziamento.