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Dionigi di Alicarnasso
Storia di Roma antica
Libro Primo
Prefazione
.
Dionigi
dichiara di voler rendere conto delle proprie fonti e di voler anteporre all'opera delle considerazioni di carattere metodologico.
Chi intende scrivere la storia deve "scegliere argomenti che siano di alto livello contenutistico" e deve "procurarsi con grande impegno, scrupolo e dedizione, gli strumenti indispensabili ".
La supremazia di
Roma
viene confrontata con i grandi imperi del passato: gli
Assiri
, i
Medi
, i
Persiani
,
Alessandro Magno
.
Roma
supera tutti per estensione dell'impero o per durata del dominio.
Le potenze greche furono effimere: gli
Ateniesi
dominarono le coste greche per sessantotto anni. Gli
Spartani
si impadronirono del
Peloponneso
e lo dominarono per trenta anni, quindi furono sconfitti dai
Tebani
.
Il dominio di
Roma
attualmente (
7 a.C.
) coincide con il sorgere ed il tramontare del sole e non ha eguali al mondo.
Dionisio
dice di trovarsi sotto il
consolato
di
Tiberio Claudio Nerone
e di
Gneo Calpurnio Pisone
, nell'anno della 194ma Olimpiade, 745 anni dalla fondazione di
Roma
.
La scelta di trattare la parte più antica della Storia di
Roma
dipende dal voler dimostrare che
Roma
fu illustre fin dalle origini, ad onta dei suoi denigratori.
L'autore si ripropone di dimostrare che i fondatori della città erano di origine greca, e che
Roma
ha sempre dato prova di grande virtù e pietà religiosa.
Tutti i protagonisti della storia romana sono sconosciuti ai
Greci
perchè manca una storia scritta in greco, a parte taluni compendi molto brevi e generici.
Secondo
Dionisio
il primo ad occuparsi di storia romana antica fu lo storico
Ieronimo di Cardia
, nella sua opera sugli
Epigoni
. Dopo di lui vennero
Timeo di Tauromenio
,
Polibio
e
Sileno
.
Fra i
Romani
i più antichi autori di storia romana furono
Quinto Fabio Pittore
e
Lucio Cincio Alimento
, che si occuparono principalmente delle
guerre puniche
, per loro contemporanee.
Dionisio
dunque ha deciso di comporre in greco una grande opera sulla parte più antica della storia romana a beneficio dei lettori ed in onore dei grandi
Romani
del passato, nonché in segno di gratitudine per i benefici ricevuti a
Roma
da quando vi ha posto la propria dimora.
Dionisio
passa a chiarire il proprio metodo e le proprie fonti. Dice di essere sbarcato in
Italia
nel
30 a.C.
, dopo la battaglia di
Azio
e di essere vissuto a
Roma
, imparando il latino. Negli anni seguenti ha raccolto il materiale per la sua opera leggendo
Catone
,
Fabio Massimo Servilliano
,
Valerio Anziate
,
Licinio Macro
ed esaminando le tradizioni conservate dalle famiglie romane come gli
Elii
, i
Gellii
, i
Calpurnii
ed altri.
L'opera di
Dionisio
comincia dai racconti più antichi che hanno richiesto un grande lavoro di ricerca, ed arriva fino agli inizi della
prima guerra punica
, nel terzo anno della 128ma Olimpiade (
265 a.C.
).
Dionisio
descriverà tutte le guerre, gli ordinamenti politici, le leggi più famose. La struttura dell'opera non sarà di tipo annalistico o monografico " ma sarà un insieme di eloquenza, di speculazioni filosofiche, e di narrazione più propriamente storica ".
Si dice, inizia
Dionisio
, che i più antichi abitatori del luogo dove sorse
Roma
, siano i
Siculi
, una "popolazione barbara ed autoctona". A scacciare i
Siculi
furono gli
Aborigeni
con l'aiuto dei
Pelasgi
e di alcune popolazioni greche.
Gli
Aborigeni
occuparono tutta la regione compresa fra il
Tevere
e il
Liri
. Al tempo della guerra di
Troia
furono governati dal re
Latino
, dal quale presero il nome di
Latini
per poi chiamarsi
Romani
quando
Romolo
fondò la città. Da allora in poi operarono per divenire il più potente popolo della terra. Cominciarono con il concedere ospitalità a chiunque la chiedesse.
Gli
Aborigeni
erano autoctoni dell'
Italia
secondo l'opinione di alcuni ed il nome indicherebbe la loro condizione di capostipiti. Per altri sarebbero stati dei nomadi ed il nome deriverebbe da Ab - Erro (errare di luogo in luogo). Altri infine ritenevano che fossero coloni
Liguri
.
Catone
e
Sempronio Tuditano
ipotizzavano che questi primi abitanti fossero emigrati dalla
Grecia
molte generazioni prima della guerra di
Troia
. Gli
Arcadi
furono i primi
Greci
a sbarcare in
Italia
sotto la guida di
Enotro
, della dinastia regnante nel
Peloponneso
.
Genealogia di
Enotro
: da
Foroneo
nacque
Niobe
, da lei e da
Zeus
nacque
Pelasgo
. Da
Ezeo
nacque
Licaone
e da
Licaone
Deianira
. Da
Deianira
e
Pelasgo
nacque un altro
Licaone
e da questi
Enotro
, diciassette generazioni prima della guerra di
Troia
.
Enotro
lasciò la
Grecia
perchè insoddisfatto della parte di regno ricevuta (il padre
Licaone
aveva diviso l'
Arcadia
fra i ventidue figli) e con il fratello
Peucezio
giunse in
Italia
.
Peucezio
con parte del loro seguito occupò il territorio iapigio mentre
Enotro
raggiunse le coste del
Mar Tirreno
, che allora si chiamava Ausonio.
Enotro
si stabilì in quei territori prevalentemente disabitati dando il proprio nome alla regione (
Enotria
).
Gli
Enotri
successivamente assunsero altri nomi dal re in carica,
Ezei, Licaoni, Itali
.
Citando il logografo greco
Ferecide di Atene
,
Dionisio
trova altra eco del mito di
Enotro
. Secondo l'autore se è vera la discendenza greca degli
Aborigeni
non può che risalire agli
Enotri
per motivi cronologici. Avrebbero occupato soprattutto le zone montuose come era uso degli
Arcadi
per poi scendere nella regione che sarà dei
Latini
come si è detto.
Poche città degli
Aborigeni
si sono conservate. Citando
Varrone
quelle più prossime a
Roma
erano nel
Reatino
ad una giornata di cammino. Di queste città le più famose al tempo di
Dionisio
, oltre
Rieti
, erano
Palatio
,
Trebula
,
Suesbula (Vesbola)
,
Suna
,
Mefula
,
Orvinium
,
Carsula
,
Marruvio
,
Vazia
,
Tora
,
Lista
.
Interressante la nota di
Dionisio
che parla di un oracolo a
Tora
dove dicono vaticinasse per gli
Aborigeni
un
Pico
(Picchio) inviato dalla divinità.
La città di
Lista
fu conquistata agli
Aborigeni
dai
Sabini
.
A settanta stadi da
Rieti
(1 stadio = 185 metri) sorgeva la città di
Cotilia
, presso la quale si trovava una fonte sacra.
Si dice che gli
Aborigeni
avessero stabilito in questi luoghi il loro primo stanziamento dopo averne cacciato gli
Umbri
, in seguito per ampliare il loro territorio si scontrarono con i
Siculi
. Per prima si mosse una schiera consacrata di giovani (
ver sacrum
). Segue una descrizione dell'uso della
primavera sacra
in cui l'autore riconosce nell'eccedenza di popolazione la causa principale di quelle espulsioni.
L'ostilità fra
Aborigeni
e
Siculi
divenne molto ampia provocando una guerra di lunga durata.
In seguito un contingente di
Pelasgi
proveniente dalla
Tessaglia
, si trasferì in
Italia
ed accolti dagli
Aborigeni
si allearono con questi contro i
Siculi
. I
Pelasgi
erano una stirpe greca nomade: originari del
Peloponneso
si erano trasferiti in
Tessaglia
dove dopo sei generazioni erano stati cacciati da altre popolazioni.
Nella fuga si dispersero in varie regioni ed isole greche mentre una parte di loro, su indicazione di un oracolo aveva raggiunto l'
Italia
.
In
Italia
una parte dei profughi raggiunse la foce del
Po
, nella zona di
Spina
, dove prosperò per molto tempo finchè non fu sconfitta dai barbari.
19) Un 'altra parte dei
Pelasgi
dirigendosi verso l'interno si scontrarono con gli
Umbri
quindi raggiunsero il territorio degli
Aborigeni
. Inizialmente si scontrarono con gli
Aborigeni
ma quando compresero di essere giunti nel luogo loro indicato dall'oracolo chiesero di essere accolti amichevolmente.
20) Gli
Aborigeni
, saputo dell'oracolo e della loro comune origine greca, accolsero i
Pelasgi
. Si strinsero accordi ed ai nuovi venuti fu concesso un territorio in parte paludoso. Successivamente la carenza di terra spinse
Aborigeni
e
Pelasgi
ad unirsi ai danni degli
Umbri
e dei
Siculi
. Conquistarono insieme molte città fra le quali
Agilla
(poi
Cere
),
Pisa
, Saturnia,
Alsium
e altre degli
Etruschi
.
21) Le città di
Falerii
e
Fescenmio
, in origine dei
Siculi
conservano ancora (al tempo di
Dionisio
) tracce dei
Pelasgi
e sono abitate dai
Romani
. In queste città si conservano rituali ed usi di chiara origine greca, a
Falerii
sorge un tempio di
Era
come ad
Argo
. I
Pelasgi
si impossessarono anche di ampi territori in
Campania
, dove fondarono città, alcune delle quali, in forma di villaggi, si erano conservate fino ai tempi di
Dionisio
.
22)
Pelasgi
ed
Aborigeni
costrinsero infine i
Siculi
ad abbandonare i loro territori ed a migrare verso Sud. I profughi giunsero all'estremo meridionale della penisola e sempre respinti dalle popolazioni locali dovettero infine attraversare lo stretto per stabilirsi nell'isola che da loro prese il nome di
Sicilia
. L'isola si era chiamata
Trinacria
poi
Sicania
, dalla popolazione dei
Sicani
, di stirpe Iberica che recentemente vi si era stabilita.
I
Sicani
erano poco numerosi ed i
Siculi
trovarono dimora prima nella parte occidentale poi in molte altre zone.
Così la stirpe sicula lasciò l'
Italia
verso la metà del XIII secolo a.C.
23 - 24) I
Pelasgi
riuscirono a compiere grandi progressi ma quando furono all'apice della prosperità vennero colpiti dall'ira degli dei che si manifestò con la siccità, la carestia, varie epidemie e la nascita di molti individui deformi. Un oracolo spiegò che l'offesa degli dei dipendeva dall'inadempienza di un voto di decime fatto in precedenza in occasione di un'annata di scarsi raccolti. Si stabilì che l'oracolo richiedeva anche la decimazione dei nati umani e ne nacque tanta discordia fra i
Pelasgi
che essi si dispersero, persero la concordia e la loro civiltà ne fu distrutta.
25) I
Pelasgi
avevano sviluppato grande abilità come militari e come navigatori. Dagli autori greci sono spesso identificati o confusi con i
Tirreni
.
26) La decadenza dei
Pelasgi
iniziò durante la seconda generazione precedente la guerra di
Troia
e si protrasse anche oltre di essa finchè quasi tutte le loro città cessarono di esistere. Sopravvisse
Crotone
, nel territorio umbro, poi colonia dei
Romani
con il nome di
Cortona
.
Gran parte dei territori abbandonati dai
Pelasgi
fu occupata dai
Tirreni
.
Per alcuni autori i
Tirreni
erano autoctoni, per altri si trattava di una popolazione immigrata.
27) I sostenitori della tesi dell'immigrazione dicono che provenivano dalla
Lidia
, guidati da un capo di nome
Tirreno
, discendente di
Zeus
.
28) In altre versioni del mito
Tirreno
era figlio di
Eracle
o di
Telefo
. Lo storico
Xanto di Sardi
(
V secolo a.C.
) ,che
Dionisio
considera fonte primaria della storia della
Lidia
, non parla però nè di
Tirreno
, nè dell'emigrazione.
Dionisio
lo cita a sostegno della tesi dell'autoctonia.
29)
Dionisio
esprime la propria opinione dichiarandosi sicuro che
Tirreni
e
Pelasgi
fossero due stirpi ben distinte ed indipendenti, basandosi anche su considerazioni di carattere linguistico.
30) Per lo stesso motivo dubita che i
Tirreni
fossero coloni dei
Lidi
, e propende per la teoria dei
Tirreni
autoctoni.
I
Tirreni
sono detti dai
Romani
Etruschi o Tusci
. Inoltre
Dionisio
dice che i
Tirreni
si davano una propria denominazione derivata da un loro capo di nome
Rasenna
.
Dionisio
è l'unica fonte di questo dato.
31) Non molto tempo dopo, sessanta anni prima della guerra di
Troia
(1243 a.C. circa) si verificò un'altra spedizione greca nell'
Italia
centrale, proveniente dalla città arcadica di Pallantio e guidata da
Evandro
.
Evandro
era figlio di
Hermes
e di una
ninfa
arcadica, detta
Temide
dai
Greci
e
Carmenta
dai
Romani
.
Evandro
e i suoi emigravano dopo essere stati sconfitti da una rivolta popolare.
Regnava sugli
Aborigeni
il re
Fauno
, in seguito divinizzato.
Fauno
accolse benevolmente gli
Arcadi
e concesse loro di scegliere la terra sulla quale risiedere, scelsero un colle, poi al centro di
Roma
, e vi fondarono un piccolo villaggio, che chiamarono
Palatino
in ricordo della città natale, dal nome Pallantio derivò Palatium (
Palatino
).
32) Secondo altri storici fra cui
Polibio
(ma la citazione non è rintracciabile nell'opera superstite di
Polibio
) il nome
Palatino
derivò invece da
Pallante
, nipote di
Evandro
, che morì giovinetto in quel luogo.
Dionisio
dubita di questa versione perchè mentre
Evandro
e
Carmenta
erano ancora venerati ed onorati a
Roma
, non trova tracce di un culto di
Pallante
.
Gli
Arcadi
stabilitisi sul
Palatino
eressero templi alle loro divinità e consacrarono a
Pan
la grotta che i
Romani
chiamavano
Lupercale
. In onore di
Pan
gli
Arcadi
istituirono anche il rito perpetuo dei
Romani
anch'esso con il nome
Lupercali
.
33) Altri riti e luoghi sacri furono dedicati dagli
Arcadi
a
Nike
,
Demetra
e
Posidone
.
Agli
Arcadi
veniva attribuita l'introduzione in
Italia
dell'alfabeto greco e della musica strumentale. Convivendo con gli
Aborigeni
mitigarono i costumi " selvatici " di questi.
34) Pochi anni dopo giunsero i
Greci
seguaci di
Eracle
, reduce dalla conquista dell'
Iberia
. Parte di loro si congedò stabilendosi sul colle che si sarebbe chiamato
Campidoglio
. Probabilmente a questo insediamento risaliva secondo alcuni il culto di
Giano
e
Saturno
sul
Palatino
, ma
Dionisio
sostiene che il culto di
Saturno
era già attestato in
Italia
all'arrivo degli
Eraclidi
.
35) Con l'andar del tempo la penisola prese il nome di
Italia
dal re
Italo
. Secondo
Antioco di Siracusa
Italo
era di stirpe enotra e seppe conquistare o annettere vasti territori.
Ellanico
propone invece una etimologia molto stravagante facendo risalire il nome
Italia
alla parola Vitulus (Vitello) con riferimento ad un vitello fuggito a
Eracle
che attraversò la penisola.
36) Divagazioni di
Dionisio
sulla varietà delle ricchezze naturali dell'
Italia
.
37) Ancora sulle fortune dell'
Italia
, la qualità e la varietà delle colture e degli allevamenti, la bellezza del paesaggio, la ricchezza dei fiumi, la delizia del clima.
38) Per queste caratteristiche l'
Italia
era considerata dagli antichi sacra a
Crono
-
Saturno
, dio dispensatore di doni e ricchezze.
Eracle
avrebbe istituito il rito degli
Argei
, fantocci che venivano gettati sacralmente nel
Tevere
, per sostituire gli antichi sacrifici umani in onore di
Saturno
.
39) Le vicende di
Eracle
che hanno relazione con gli argomenti trattati. Fra le varie imprese gli era stato ordinato da
Euristeo
di condurre le mandrie di
Gerione
da
Eriteia
ad
Argo
. Al ritorno giunse nel territorio di Pallantio, dove sostò per pascere la mandria. Mentre riposava un ladrone di nome
Caco
rubò un certo numero di vacche nascondendole nella grotta dove abitava. Svegliandosi
Eracle
prese a cercare gli animali scomparsi e riuscì a trovarli grazie ai loro muggiti, venne alle mani con
Caco
e ovviamente ebbe la meglio. Dal sacrificio che
Eracle
offrì a
Giove
per ringraziamento derivò un rituale perpetuo dei
Romani
.
40) Gli
Aborigeni
e gli
Arcadi
furono riconoscenti ad
Eracle
per l'eliminazione del brigante e gli tributarono grandi onori,
Evandro
lo invitò a rimanere con loro. Un vaticinio di
Carmenta
predisse la divinizzazione dell'eroe.
Eracle
istituì un rito sacrificale presso quelle genti che per prime lo riconoscevano come dio e l'altare su cui sacrificarono fu detto "
Ara Massima
" e si trovava nei pressi del
Foro Boario
.
41) Una versione più " storica " del mito di
Eracle
diceva che l'eroe dedicò la propria esistenza ad abbattere tiranni, ed istituire governi giusti ed umanitari e a compiere grandi opere. In
Italia
sarebbe arrivato non conducendo una mandria ma a capo di un grande esercito con l'intento di istaurare uno dei suoi governi modello. Si scontrò con i
Liguri
in una grande battaglia.
42) Vinti i
Liguri
trovò amicizia da parte di molte città ed ancora avversari fra i quali
Caco
, in questa versione un principe barbaro dedito al brigantaggio.
Caco
riuscì a depredare l'accampamento di
Eracle
ma in seguito fu assediato e vinto.
Conclusa la sua campagna in
Italia
Eracle
vi lasciò parte dei suoi assegnando loro terre e domini, in alleanza con
Evandro
e
Fauno
.
43) Taluni narrano che lasciò in
Italia
due figli:
Pallante
, avuto da
Lavinia
figlia di
Evandro
, e
Latino
. Madre di
Latino
era una fanciulla avuta in ostaggio da un precedente nemico. Durante la traversata per l'
Italia
Eracle
se ne innamorò e la rese incinta di
Latino
, poi consentì che la fanciulla sposasse
Fauno
. Per questo motivo alcuni considerano
Latino
figlio di
Fauno
.
Pallante
morì ancora adolescente mentre
Latino
divenne re degli
Aborigeni
. Successivamente il regno passò ad
Enea
.
44)
Eracle
fondò nel luogo dove si trovava ormeggiata la sua flotta una piccola città alla quale dette il proprio nome.
Si trattava di
Ercolano
. Conclusa la campagna in
Italia
Eracle
passò in
Sicilia
, i suoi seguaci rimasti sul luogo presto si integrarono con gli
Aborigeni
.
45) Due generazioni dopo, quando
Latino
regnava da trentacinque anni, giunsero a
Laurento
Enea
ed i
Troiani
suoi compagni.
Laurento
(forse il porto di
Lavinio
) era località litoranea degli
Aborigeni
, prossima alla foce del
Tevere
.
Accolti dagli
Aborigeni
i profughi ottennero un territorio dove si insediarono fondando
Lavinio
, poco dopo mutarono il nome assumendo, insieme agli
Aborigeni
, quello di
Latini
.
Quando si spostarono da
Lavinio
fondarono una città più grande che chiamarono
Albalonga
e quindi molti altri centri che furono detti dei
Prisci
Latini
.
Sedici generazioni più tardi dedussero una colonia sul Pallantio (
Palatino
) dove avevano abitato i Peloponnesiaci e gli
Arcadi
e circondarono il colle di mura vi crearono un primo assetto urbano. La nuova fondazione fu chiamata
Roma
dal nome di
Romolo
, condottiero della colonia, il diciassettesimo discendente di
Enea
.
46) Rassegna delle versioni sulla venuta di
Enea
in
Italia
.
Alla caduta di
Troia
Enea
tentò di organizzare una resistenza nella fortezza della città raccogliendovi superstiti, ricchezze ed oggetti sacri. Vedendo la città ormai perduta organizzò e coprì la fuga dei vecchi, delle donne e dei bambini quindi protetta la resistenza per permettere ai fuggitivi di mettersi in salvo abbandonò al nemico la città ormai deserta e si allontanò con i familiari, altri notabili e vari oggetti sacri o preziosi.
47) Gli
Achei
si impegnarono al saccheggio e non inseguirono
Enea
che riparò sull'
Ida
.
Ai
Troiani
si unirono i cittadini di alcuni centri minori anche essi minacciati dai
Greci
. I rifugiati speravano di tornare in città quando il nemico fosse partito ma gli
Achei
minacciarono di attaccare anche il loro accampamento. Si venne ad una trattativa e gli
Achei
proposero che
Enea
e i suoi partissero dalla
Troade
recando con se le ricchezze che avevano salvato e consegnando le fortezze.
Enea
accettò e mandò il figlio
Ascanio
in una terra chiamata Dascilite con un manipolo di alleati.
Ascanio
vi si insediò e più tardi tornò a
Troia
(il passo non è chiaro).
Enea
allestita la flotta riunì gli altri figli, il padre, gli oggetti di culto e fece rotta verso la
Penisola Calcidica
, abitata da un popolo amico.
48) L'autore cita altre versioni della fuga di
Enea
.
Sofocle
nel
Laocoonte
dice che
Enea
fugge per ordine di
Anchise
che aveva previsto la caduta della città.
Per
Menecrate di Xanto
Enea
tradì e fu ricompensato dagli
Achei
con l'immunità.
49) Le fonti sono discordi anche su ciò che
Enea
fece dopo la fuga. Secondo alcuni si sarebbe fermato in
Arcadia
, per altri avrebbe fondato
Capua
.
Per i
Romani
Enea
giunse senz'altro in
Italia
.
Dionisio
riepiloga le tappe del viaggio.
Enea
, in
Tracia
fondò Eneia lasciandovi parte dei suoi seguaci.
50) Fu quindi a
Delo
, poi a
Citera
, quindi a
Zacinto
, dove sostò a lungo ospitato amichevolmente. Poi raggiunse
Leucade
,
Azio
,
Ambracia
. In quasi tutte le località dove
Enea
e i suoi sostarono fondarono un tempio di
Afrodite
.
50) Fu quindi a
Delo
, poi a
Citera
, quindi a
Zacinto
, dove sostò a lungo ospitato amichevolmente. Poi raggiunse
Leucade
,
Azio
,
Ambracia
. In quasi tutte le località dove
Enea
e i suoi sostarono fondarono un tempio di
Afrodite
.
51) Passarono da
Butroto
e consultarono l'oracolo di
Dodona
, quindi intrapresero la traversata dello
Ionio
.
Parte delle navi di
Enea
sbarcò sulla costa pugliese, quindi costeggiarono fino a passare lo Stretto.
52) Giunti al largo della
Sicilia
sbarcarono a
Trapani
.
In
Sicilia
incontrarono altri profughi troiani, guidati da
Elimo
ed
Aceste
. Una parte del seguito di
Enea
si fermò in
Sicilia
.
53)
Enea
e quanti continuavano a seguirlo traversarono il
Tirreno
ed approdarono in
Italia
prima nel porto di Palinuro, poi nell'isola che battezzarono
Leucosia
. Giunsero poi in un porto al quale dettero il nome di
Miseno
, uno dei loro personaggi più eminenti, quindi a Procida e a
Gaeta
, infine a
Laurento
ove si fermarono e fondarono un insediamento che chiamarono
Troia
.
Dionisio
sostiene questa versione contro chi ipotizzava un ritorno di
Enea
in
Frigia
.
54) La fama di
Enea
spiega il fatto che molte popolazioni che lo conobbero durante le sue peregrinazioni vollero dedicargli monumenti sepolcrali.
55) Sulla costa laziale si verificarono i segni indicati dall'oracolo: sgorgò una fonte e mangiarono le mense (cioè le foglie o le focacce sulle quali avevano disposto il cibo). Entusiasti si apprestarono a sacrificare agli dei.
56) La scrofa incinta destinata al sacrificio riuscì a fuggire ed
Enea
comprese che doveva seguirla come indicato dall'oracolo (seguire una guida a quattro zampe).
Enea
seguì dunque la scrofa finchè questa, stremata, non si lasciò cadere su un altura arida ed inospitale.
L'eroe dubitò che quello fosse il sito scelto dagli dei ma una visione o un sogno gli garantì che era proprio lì che doveva stabilire la propria dimora. Il giorno successivo, ancora confermando dettagli della profezia, la scrofa partorì trenta maialini e trenta giorni dopo i
Troiani
fondarono un'altra città (
Albalonga
).
57)
Enea
sacrificò la scrofa nel luogo ove poi sorse il suo tempio di
Lavinio
, quindi si insediò nel luogo indicato.
Il re indigeno era
Latino
, in guerra con il popolo dei
Rutuli
.
Latino
fu informato dell'arrivo dei
Troiani
e credendoli invasori si preparò a dar loro battaglia. Piantò un accampamento davanti a quello dei
Troiani
ed aprì le ostilità ma durante la notte sia
Enea
che
Latino
ebbero un sogno con il quale gli dei li spingevano a trattare ed accordarsi.
58)
Latino
si informò sulle origini e sulle intenzioni dei nuovi venuti.
Enea
dopo aver raccontato la sconfitta di
Troia
chiede di potersi stabilire nel territorio di
Latino
avvertendo che in caso di rifiuto era pronto a combattere.
Latino
propone di scambiare dei pegni.
59) Gli
Aborigeni
concessero ai
Troiani
tutta la terra di cui avevano bisogno intorno alla collina indicata dal presagio mentre i
Troiani
si impegnarono ad aiutarli nella guerra contro i
Rutuli
ed in ogni altra futura evenienza. Il patto fu suggellato con scambio di ostaggi e si intrapresero subito le azioni contro i
Rutuli
che furono rapidamente sconfitti, quindi i
Troiani
, aiutati dai nuovi alleati completarono la costruzione della nuova città che chiamarono
Lavinio
. In genere per il nome
Lavinio
si fa riferimento a
Lavinia
, figlia di
Latino
, altre fonti indicavano una
Lavinia
figlia di
Anio
, re dei
Delii
, facente parte del gruppo di
Enea
in qualità di indovina, che sarebbe stata la prima a morire di malattia nella nuova città.
60)
Latino
concesse la propria figlia in matrimonio ad
Enea
ed in breve i due popoli si fusero assumendo la denominazione comune di
Latini
.
Riepilogo delle popolazioni preromane: gli
Aborigeni
che cacciarono i
Siculi
, i
Peloponnesiaci
di
Enotro
provenienti dall'
Arcadia
, i
Pelasgi
, gli
Arcadi
di
Evandro
, gli
Epei
e i
Feneati
, anche essi provenienti dal
Peloponneso
(il gruppo di
Eracle
), infine i
Troiani
di
Enea
.
61) Divagazione sull'origine greca dei
Troiani
.
Atlante
fu il primo re di
Arcadia
, aveva sette figlie (le
Pleiadi
), una delle quali fu sposa di
Zeus
ed ebbe due figli:
Iasio
e
Dardano
.
Dardano
sposò
Crise
, figlia di
Pallante
e ne ebbe
Ideo
e
Dimante
, i quali ereditarono il regno di
Atlante
. Dopo qualche tempo un gigantesco diluvio rese inospitale gran parte dell'
Arcadia
e metà della popolazione emigrò in cerca di terra.
I profughi raggiunsero un isola in
Tracia
alla quale detto il nome di
Samotracia
, dalla loro guida
Samone (Saone)
, figlio di
Hermes
.
L'isola era inospitale e gran parte di loro, guidati da
Dardano
, ripartirono alla volta dell'
Asia
, raggiungendo la
Frigia
.
Ideo
, figlio di
Dardano
, si stabilì sui monti che da lui presero il nome di Idei, mentre
Dardano
ottenne dal re
Teucro
il territorio dove fondare una città.
62) Genealogia di
Enea
:
Dardano
e
Batea
(figlia di
Teucro
) generarono
Erittonio
.
Erittonio
e
Calliroe
(figlia di
Scamandro
) generarono
Troo
, eponimo della
Troade
.
Da
Troo
e
Acellaride
(figlia di
Eumede
), nacque
Assaraco
.
Da
Assaraco
e
Clitodora
(figlia di
Laomedonte
), nacque
Capi
.
Da
Capi
e dalla
naiade
Ieromneme
, nacque
Anchise
.
Da
Anchise
ed
Afrodite
nacque
Enea
.
63) Datazione della fondazione di
Lavinio
.
Per
Dionisio
circa due anni dopo la caduta di
Troia
, nel 1181 a.C. secondo la cronologia di
Eratostene
.
64)
Enea
regnò tre anni sui soli
Troiani
, durante il quarto anno morì
Latino
ed
Enea
ebbe il regno unito dei due popoli. Frattanto i
Rutuli
si erano di nuovo ribellati, sotto la guida di
Tirreno
, cugino di
Amata
, moglie di
Latino
(questo
Tirreno
è identificabile con
Turno
).
Tirreno
aveva ripreso le ostilità perchè
Enea
gli era stato preferito per le nozze di
Lavinia
.
Nella guerra erano morti
Latino
, lo stesso
Tirreno
e molti altri. Tre anni dopo
Mesentio
, re dei
Tirreni
, si alleò con i
Rutuli
e marciò contro
Lavinio
di cui temeva la crescente potenza. In questa guerra morì
Enea
e poichè il suo corpo non fu ritrovato si credette che fosse stato assunto fra gli dei ed i
Latini
gli eressero un monumento (ancora visitabile ai tempi di
Dionisio
) che recava un'iscrizione dedicatoria in cui veniva citato anche il
fiume Numico
(che in alcune tradizioni aveva accolto e purificato la salma di
Enea
).
Si tratta dell'Heeron di
Enea
a Pratica di Mare, rinvenuto in recenti scavi archeologici.
65) Alla dipartita di
Enea
(sette anni dopo la caduta di
Troia
) gli successe
Eurileonte
che durante la fuga aveva preso il nome di
Ascanio
.
Mesentio
protrasse lungamente il suo assedio finchè i
Latini
chiesero di conoscere le condizioni di resa ma le pretese dell'assediante erano inaccettabili (fra l'altro voleva che ogni anno gli fosse ceduta l'intera produzione di vino) e gli assediati riorganizzarono le proprie forze. In un'improvvisa sortita notturna ebbero la meglio sui
Tirreni
che a loro volta proposero la resa.
Mesentio
ottenne di potersi allontanare con il suo esercito e divenne alleato dei
Latini
.
Nella tradizione latina il nome appare nella grafia
Mezentio o Mezenzio
, secondo
Livio
era re di
Cere
.
Secondo
Catone
anche
Mezentio
muore durante la guerra. Nell'
Eneide
viene ucciso da
Enea
. La vicenda del vino è citata in altra forma nei
Fasti di Ovidio
.
66) Trenta anni dopo la fondazione di
Lavinio
Ascanio
fondò
Albalonga
, in una posizione ben difendibile fra un lago ed un monte. Il sito di
Albalonga
era ameno e vi si produceva (ai tempi di
Dionisio
) l'ottimo " vino albano ".
67) Si racconta un prodigio risalente alla fondazione di
Albalonga
: quando vi furono trasportate le immagini degli dei e gli oggetti sacri che
Enea
aveva collocato a
Lavinio
, durante la notte misteriosamente immagini ed oggetti tornarono al luogo originale senza che nel nuovo santuario si trovassero segni di effrazione. I
Latini
decisero di lasciare a
Lavinio
trecento persone per prendersi cura delle reliquie. I
Romani
chiamano
Penati
questi loro dei.
68) Si mostra in
Roma
, dice
Dionisio
, lungo una via che conduce alle
Carine
, un piccolo tempio nella località detta
Velia
. Vi si conservano le effigi degli Dei dei
Troiani
che un'epigrafe definisce
Penati
. Sono due giovanetti seduti che impugnano lance. Secondo le fonti di
Dionisio
i simulacri risalivano a
Crisa
, figlia di
Pallante
(vedi 62 - Genealogia di
Enea
) ed avrebbero seguito la sua discendenza.
69) I simulacri furono collocati ad
Ilio
da
Dardano
e posti in salvo da
Enea
. Accettando queste tradizioni
Dionisio
afferma che " gli oggetti sacri portati in
Italia
da
Enea
sono i simulacri dei Grandi Dei.... e il favoloso
Palladio
che si dice custodito dalle sacre vergini nel
tempio di Hestia
, dove si conserva anche il fuoco perpetuo ".
70)
Ascanio
morì nel trentottesimo anno del suo regno e gli succedette il fratello
Silvio
, nato a
Lavinia
dopo la morte di
Enea
.
Quando
Enea
morì
Lavinia
, temendo di essere invisa ad
Ascanio
, si nascose aiutata da un guardiano di porci amico di
Latino
di nome Tirreno (Tyrrens o Tyrrus) nella foresta; da qui il nome di
Silvio
nato, appunto in quella situazione.
Successivamente
Lavinia
e
Silvio
tornarono fra la gente ed alla morte di
Ascanio
suo figlio
Iulo
contese il regno con
Silvio
.
Il popolo votando optò per
Silvio
ed a
Iulo
toccò la carica sacerdotale, onore poi ereditato costantemente dai suoi discendenti (la
Gens Iulia
).
71)
Silvio
regnò per trentuno anni, gli succedette il figlio
Enea (Enea Silvio)
che regnò per ventinove anni.
Dopo di lui governò
Latino
per cinquantuno anni, quindi
Albas
per trentanove, poi
Capeto
per ventisei,
Capi
per ventotto,
Capeto
per ventisei,
Tiberino
per otto.
Tiberino
, morendo in battaglia, cadde nel fiume
Albula
che da lui prese il nome
Tevere
.
Agrippa
, successore di
Tiberino
regnò per quarantuno anni, gli successe
Allodio
per diciannove anni. Costui era di natura dispotica e fu odiato da tutti, trovò il modo di imitare fulmini e tuoni per regnare con il terrore, infine fu travolto da un'alluvione. Il successore di
Allodio
,
Aventino
dette il nome ad uno dei
colli
di
Roma
e regnò per trentasette anni seguito da
Proca
, re per ventitre anni, e da
Amulio
che dopo aver usurpato il potere che spettava al fratello
Numitore
, regnò per quarantadue anni.
Dopo che
Amulio
fu ucciso dai nipoti (
Romolo
e
Romos
li chiamava
Dionisio
),
Numitore
riprese il potere.
Un anno dopo i gemelli dedussero una colonia e fondarono
Roma
, nel 432simo anno dopo la caduta di
Troia
, primo anno della settima Olimpiade e primo anno dell'
arcontato
di Caropo ad
Atene
.
72) Altre versioni riguardanti la fondazione:
Cefalone di Gergis
diceva che
Roma
era stata fondata da un figlio di
Enea
di nome
Romos
, d'accordo con altri autori dal punto di vista cronologico.
Per
Ellanico
e
Damaste di Sigeo
sarebbe stata fondata dallo stesso
Enea
e chiamata con il nome di una donna del suo popolo che aveva incendiato le navi per porre fine alle loro peregrinazioni.
Secondo
Aristotele
i fondatori furono gli
Achei
reduci da
Troia
capitati nel luogo a causa di una tempesta, le loro prigioniere troiane avrebbero incendiato le navi per evitare di essere deportate in schiavitù, costringendoli in questo modo a stabilirsi nel posto. Per
Callia di Siracusa
invece la città fu fondata dai tre figli di
Latino
e di una donna di nome
Roma
.
Secondo
Xenagora
Romos
,
Anteo
ed
Ardeas
furono figli di
Odisseo
e
Circe
e fondatori eponimi di altrettante città.
Dionisio di Calcide
dice che fu fondata da un
Romos
figlio di
Ascanio
. Infine per altri
Romos
sarebbe stato figlio di
Italo
e di
Leucaria
, figlia di
Latino
.
73) Negli autori latini
Dionisio
legge che i fondatori della città sarebbero stati figli o nipoti di
Enea
, consegnati da
Enea
a
Latino
come ostaggi ricevettero dagli
Aborigeni
una parte del regno. Ancora secondo fonti latine
Roma
sarebbe stata fondata dai figli di
Enea
quindi abbandonata e ricolonizzata da
Romolo
e
Remo
, ci sarebbero state dunque due fondazioni, la prima ai tempi di
Enea
e la seconda quindici generazioni dopo.
74 - 75)
Timeo
colloca la fondazione di
Roma
trentotto anni prima della prima Olimpiade (824 a.C.),
Cincio Alimento
nel quarto anno della dodicesima (
745 a.C.
),
Fabio Pittore
nel primo dell'ottava (
728 a.C.
).
Catone
la colloca quattrocentotrentadue anni dopo la caduta di
Troia
, corrispondente al primo anno della settima Olimpiade (
751 a.C.
).
Infine
Polibio
datava la fondazione del secondo anno della settima Olimpiade, datazione accettata da
Dionisio
che ne spiega i motivi tramite l'analisi dei documenti ufficiali: le tavole custodite dai sacerdoti e le " liste dei
censori
".
In base a questi documenti si sarebbe arrivati a stabilire l'epoca del primo
consolato
, considerando poi la durata del regno dei sette re si risale alla data suddetta.
76) Riprende la narrazione dai tempi di
Romolo
.
Quando
Amulio
ottenne il regno tramò per eliminare la discendenza di
Numitore
. Fece uccidere
Egesto
, figlio di
Numitore
, simulando un agguato dei briganti, quindi nominò la nipote
Rea Silvia
(o Ilia)
vestale
vincolandola ad un voto di castità per evitare che mettesse al mondo pericolosi discendenti.
Numitore
si rese conto del crimine e delle intenzioni del fratello ma decise di aspettare momenti migliori per vendicarsi.
Nota:
Dionisio
dice che le
vestali
dovevano rimanere senza marito per almeno cinque anni.
77) Quattro anni dopo
Rea Silvia
fu violentata, secondo alcuni da uno dei suoi vecchi pretendenti, secondo altri dallo stesso
Amulio
mascherato ma per i più da un dio che dopo averle predetto due figli straordinari se ne sarebbe tornato in cielo avvolto da una nube.
78)
Amulio
venuto a conoscenza dello stupro subito da
Rea Silvia
intentò un processo coinvolgendo ed accusando
Numitore
.
Numitore
riuscì ad ottenere un rinvio e mentre il processo era ancora in corso
Rea Silvia
partorì i gemelli.
Amulio
continuò a perorare l'accusa davanti al consiglio facendo valere la propria autorità fino ad ottenere la condanna a morte di
Rea Silvia
e l'abbandono dei neonati alla corrente del fiume.
79) Sugli eventi seguenti le fonti erano discordi, per alcuni
Rea Silvia
fu immediatamente posta a morte, per altri detenuta in una prigione segreta avendo ottenuto la grazia per intercessione della figlia di
Amulio
.
I due neonati furono condannati, secondo
Fabio Pittore
(dal quale dipendono molti autori) ad essere abbandonati nelle acque del
Tevere
. Gli esecutori li lasciarono in una cesta in un punto acquitrinoso perchè il fiume era straripato ed impediva loro di avvicinarsi ad un punto dove il letto fosse più profondo.
Dopo aver galleggiato per un tratto la cesta si arenò ed i neonati furono soccorsi dalla lupa che li allattò. Arrivò un pastore che rimase stupefatto dalla mansuetudine della lupa ed andò a chiamare i suoi compagni. I pastori ravvisarono nell'insolito spettacolo i segni di un prodigio. La lupa si allontanò tranquillamente nascondendosi in un bosco che si diceva sacro a
Pan
.
Dionisio
testimonia che nel luogo (il
Lupercale
) si conservava ai suoi tempi un " complesso bronzeo di antica fattura " raffigurante la lupa che allatta due bambini. Si tratta del
monumento celebrativo
collocato dagli
edili
Ogulnii
nel
295 a.C.
Un fulmine nel
65 a.C.
danneggiò le figure dei gemelli e la
lupa
fu interrata in quanto sconsacrata dal fulmine.
Probabilmente è identificabile con la famosa
Lupa Capitolina
(
Museo dei Conservatori
), opera di difficile datazione, forse etrusca del
sesto secolo a.C.
(i Gemelli furono aggiunti nel
XV secolo
dal
Pollaiolo
).
I gemelli furono adottati dai pastori, fra i quali
Faustolo
, guardiano dei porci reali. Questi era stato recentemente in città ed avendo avuto notizia del processo di
Rea Silvia
intuì la vera identità dei gemelli. Fu lui a prendere i gemelli che portò alla moglie, consolandola del dolore di aver perduto un bimbo appena nato.
Faustolo
diede ai gemelli i nomi di
Romolo
e
Romos
.
Quando crebbero il loro aspetto regale li distingueva dai pastori dei quali condividevano la vita.
All'età di diciotto anni ebbero una controversia con i pastori di
Numitore
per l'utilizzo di pascoli comuni e furono coinvolti in una rissa. I gemelli ebbero la meglio e gli avversari tramarono un'imboscata per vendicarsi, attaccando nottetempo le greggi dei due.
Romolo
si trovava a
Cenina
a svolgere riti sacrificali,
Romos
tentò una sortita con i pochi abitanti del villaggio contro gli aggressori ma fu attirato in una trappola e catturato.
80) Nella variante dell'episodio attinta da
Elio Tuberone
Romos
viene catturato durante la festa dei
Lupercali
.
Romolo
organizza immediatamente la liberazione del fratello ma
Faustolo
lo trattiene e gli racconta finalmente la verità sulle sue origini, persuadendolo a pazientare ed a organizzare l'attacco con forze maggiori per sconfiggere definitivamente
Amulio
.
81)
Romolo
raduna tutti gli abitanti del villaggio ed ordina loro di entrare in
Albalonga
passando inosservati ed attendere nel
Foro
il suo comando. Intanto
Romos
veniva condotto davanti ad
Amulio
e da questi condannato.
Amulio
lasciò però a
Numitore
l'autorità di procedere contro di lui.
Numitore
rimane colpito dal portamento del giovane e si apparta con lui per interrogarlo sulle sue origini.
Romos
rivela di essere stato abbandonato insieme ad un fratello gemello ed adottato da un pastore.
Numitore
intuendo la verità lo libera e gli chiede di aiutarlo a vendicarsi dell'usurpatore
Amulio
.
82)
Numitore
riconosciuto il nipote manda a chiamare anche
Romolo
e dopo un gioioso riconoscimento i tre cominciano ad organizzare l'offensiva contro
Amulio
. Nel frattempo
Faustolo
, temendo che
Romolo
potesse non essere creduto, cerca di raggiungerlo portando come prova la cesta che aveva contenuto i neonati, ma viene tradito dal proprio nervosismo quando viene interrogato dalle guardie reali al momento di entrare in città. Condotto davanti a
Amulio
è da questi costretto a svelare la verità. Saputo che i due gemelli sono sopravvissuti
Amulio
dimostra inaspettata e sospetta mitezza, dichiarando di volerli accogliere a corte.
83) L'atteggiamento di
Amulio
insospettisce
Faustolo
che nasconde il fatto che i giovani si trovano presso
Numitore
e propone di accompagnare gli uomini di
Amulio
alla loro capanna, nella speranza di ottenere la libertà e dare il tempo ai gemelli di organizzarsi.
Amulio
in effetti ordina segretamente ai suoi di catturare le persone che il porcaio avrebbe indicato. Quindi
Amulio
manda a chiamare
Numitore
con l'intenzione di trattenerlo sotto custodia ma il suo messo mette in guardia
Numitore
svelandogli il disegno di
Amulio
. I gemelli passano dunque all'attacco aiutati dai compagni che si erano frattanto infiltrati in città e l'usurpatore viene rapidamente sconfitto ed ucciso. Questa la versione che
Dionisio
riprende da
Fabio Pittore
.
84) Nella versione razionale che
Dionisio
propone i gemelli sono salvati da
Numitore
che riesce a sostituirli con altri neonati, quindi li affida in adozione a
Faustolo
.
La lupa non è un animale ma il soprannome della moglie di
Faustolo
che un tempo si era prostituita. Una volta svezzati i bambini sarebbero cresciuti a
Gabii
, ricevendo un'educazione di tipo greco, in casa di persone legate a
Faustolo
. Anche la contesa fra i pastori sarebbe stata, in questa versione, un espediente di
Numitore
per ottenere che gli fossero affidati i figli del mandriano di
Amulio
e quindi aprire le ostilità.
85) Dopo la morte di
Amulio
,
Numitore
riprese il potere e riordinò la vita cittadina, quindi decise di fondare una nuova città per dotare i nipoti di un potere indipendente. Affidò dunque ai due giovani le terre nelle quali erano stati allevati e li mise alla guida di una parte della popolazione costituita da coloro che probabilmente gli erano ostili e da tutti quelli che gradivano seguirli. Fra questi erano molti individui di condizione popolare ma anche famiglie nobili, in particolare quelle risalenti all'elemento troiano.
86) Dotati di provviste, bestie e schiavi i gemelli condussero la popolazione fuori da
Albalonga
e la mescolarono con quanti vivevano presso il
Palatino
ed il
Campidoglio
. Ma presto fra
Romolo
e
Romos
e fra i rispettivi sostenitori nacque la discordia a proposito della supremazia. La discordia si manifestò al momento di scegliere il luogo per la costruzione della città, optando
Romolo
per il
Palatino
e
Romos
per altro luogo dove intendeva fondare una città di nome Remoria.
86) Per dirimere la contesa i giovani decisero di chiedere consiglio al nonno.
Numitore
propose di affidarsi alla volontà degli dei prendendo auspici. In un giorno stabilito
Romolo
si recò sul
Palatino
,
Romos
sull'
Aventino
avendo convenuto che il potere sarebbe stato del primo che avesse visto presagi favorevoli. Pare che
Romolo
per distrarre il fratello lo mandasse a chiamare dicendo di aver visto qualcosa ma mentre i suoi inviati lo raggiungevano
Romos
avvistò sei avvoltoi. Mentre discutevano apparvero sul
Palatino
dodici avvoltoi e
Romolo
concluse senz'altro di essere lui il prescelto suscitando l'indignazione dell'altro.
87) La contesa divenne ancora più aspra. Avendo visto entrambi lo stesso tipo di presagio l'uno pretendeva la vittoria per la precedenza, l'altro per il maggior numero di uccelli visti. Ne nacque una rissa che degenerò in vero e proprio combattimento. Vi persero la vita
Faustolo
(nel tentativo di porre fine alla contesa) e
Romos
.
Romolo
fece seppellire il fratello nel luogo dove avrebbe voluto erigere la propria città. Un leone di pietra che ai tempi di
Dionisio
si trovava nel
Foro
era invece ritenuto il monumento funebre di
Faustolo
. Addolorato e pentito
Romolo
cadde in prostrazione ma si riprese consolato da
Lucrezia
(
Acca Larenzia
, la madre adottiva) e riuniti i superstiti della battaglia iniziò la costruzione della città.
Secondo un'altra versione non ci sarebbero stati combattimenti e
Romos
avrebbe accettato la supremazia di
Romolo
ma in segno di spregio avrebbe saltato il muro che si stava costruendo. Il sovrintendente ai lavori, di nome
Celere
, lo avrebbe ucciso con un colpo di vanga per vendicare l'offesa.
88) Dopo aver fatto auspici e compiuto sacrifici e riti di purificazione,
Romolo
chiamò tutto il popolo sul luogo designato per la fondazione della città e tracciò un solco quadrangolare con un aratro tirato da un toro e da una mucca. Compito questo rito e sacrificati gli animali diede il via ai lavori di costruzione. La giornata era celebrata dai
Romani
nelle Parilia, all'inizio della primavera.
89)
Dionisio
riepiloga gli argomenti in base ai quali sostiene l'origine greca di
Roma
: gli
Aborigeni
di stirpe arcade, i
Pelasgi
di stirpe argiva gli
Arcadi
di
Evandro
ed i Peloponnesiaci di
Eracle
, infine gli esuli della
Troade
. Successivamente la mescolanza con molti popoli barbari differenti fra loro per lingua e costumi ha diluito le caratteristiche greche delle genti romane.
90) I
Romani
parlano una lingua che è un misto fra la lingua greca e quelle dei barbari con cui sono venuti in contatto, in particolare la componente greca è per
Dionisio
di origine Eolica e (per lui) facilmente individuabile. I costumi civili e le leggi dei
Romani
non nascono con la loro grande potenza ma risalgono fino ai primi tempi della città.
Libro Secondo
1) Riepilogo dei popoli che abitarono nel territorio di
Roma
.
2)
Romolo
, con tremila fanti e trecento cavalieri, fondò
Roma
dopo quattrocentotrentadue anni dalla distruzione di
Troia
.
3) L'assemblea dei
Romani
approva un ordinamento costituzionale proposto da
Romolo
.
4) Il popolo riconferma
Romolo
sul trono di
Roma
.
5)
Romolo
prende gli auspici prima di accettare la definitiva conferma della sovranità. Lampeggia da sinistra, fatto considerato positivo dai
Romani
che credevano che da sinistra (settentrione per chi guarda verso oriente) venissero le cose migliori. Credenza probabilmente di origine etrusca.
6)
Romolo
stabilisce che anche i suoi successori debbano cercare nei segni degli dei la conferma alla propria elezione. L'usanza si conservò in età repubblicana per le cariche maggiori ma cadde in disuso in epoca imperiale. Tuttavia secondo
Dionisio
agire contro il volere divino può provocare sciagure, è quello che capitò a
Licinio Crasso
nella guerra contro i
Parti
.
7) L'ordinamento di
Romolo
: vengono create tribù, ognuna divisa in dieci
curie
. I capi si chiamano tribuni e
curioni
.
8) Forse riprendendo un modello ateniese la popolazione viene divisa fra
patrizi
e
plebei
.
9) Compiti dei
patrizi
erano gli uffici religiosi, le magistrature, l'amministrazione della giustizia, il disbrigo degli affari pubblici.
I
plebei
dovevano coltivare la terra, allevare il bestiame, ecc. Istituto della clientela: a ciascun
plebeo
viene accordato di scegliersi un
patrizio
come patrono. Anche la clientela sarebbe per
Dionisio
usanza di origine greca.
10) I patroni erano impegnati ad assistere e difendere i propri clienti in sede legale e a spiegare loro le leggi. I clienti doveveano provvedere la dote per le figlie dei patroni se questi si trovavano in condizioni di scarsa disponibilità economica ed a pagare per loro il riscatto in caso di rapimento, dovevano inoltre (" in segno di gratitudine ") pagare multe e sanzioni sofferte dal patrono e compartecipare alla spesa delle loro campagne elettorali. Patroni e clienti erano legati da stretti vincoli di fedeltà tanto che i loro rapporti duravano per molte generazioni.
11) La concordia che derivò dagli ordinamenti di
Romolo
sia all'interno della città sia verso le colonie greche ed altre città amiche durò seicentotrenta anni durante i quali le contese fra cittadini furono sempre risolte in via politica e senza spargimenti di sangue, finchè il tribunato di
Gaio Gracco
non distrusse l'armonia del governo (affermazione piuttosto opinabile).
12)
Romolo
costituì un
Senato
di cento scegliendoli fra i
patrizi
.
Al senatore che considerava il migliore delegava l'amministrazione della città durante le sue assenze. L'istituzione secondo
Dionisio
deriva dalla "
Gerusia
" greca, già attestata in
Omero
.
13) Costituì quindi un corpo scelto di trecento armati adibito alla sua guardia personale e agli interventi di emergenza. Questi militari erano detti
celeres
per l'immediatezza delle prestazioni loro richieste o, stando a
Valerio Anziate
, per il nome del loro primo comandante,
Celere
. Probabile connessione di questa istituzione con la guardia reale lacedemone.
14) Assegnò al re le funzioni sacerdotali più eminenti, la custodia del diritto ed il giudizio per i reati più gravi, demandando ai senatori quelli di minore entità. Al re spettava la convocazione del
Senato
e delle assemblee popolari e la facoltà di esprimere per primo la propria opinione. Al consenso dei senatori riservò il compito di discutere e sottoporre a votazione le proposte del re. Solo le decisioni approvate dalla maggioranza venivano varate, analogamente a quanto avveniva a
Sparta
.
All'assemblea popolare demandò l'elezione dei magistrati, la ratifica delle leggi e, quando lo diceva il re, la disamina delle questioni belliche in sintonia con il
Senato
. La gerarchia militare risultò composta, nell'ordine, da tribuni militari, centurioni, decurioni, e comandanti della cavalleria.
15) Prese provvedimenti per incrementare le nascite pur tollerando l'esposizione dei nati storpi purchè deliberata da diverse persone. Per i trasgressori delle leggi fissò diverse condanne fra cui la confisca della metà dei beni. Concesse asilo politico a chiunque lo richiedesse purchè fosse di condizione libera. Per nobilitare questa istituzione che evidentemente attirava a
Roma
gente di ogni sorta la supportò con significati religiosi e costruì un tempio nel quale chi chiedeva asilo doveva rifugiarsi.
Per
Dionisio
la migliore fra le istituzioni introdotte da
Romolo
era l'uso di fondare colonie nelle città conquistate, usanza conservata dai
Romani
e causa della loro supremazia.
Al termine del regno di
Romolo
Roma
contava quarantaseimila fanti e mille cavalieri.
17) Critiche alla politica militare delle città greche che rischiavano in una sola battaglia tutta la propria potenza. Per contro
Roma
, usufruendo delle risorse delle colonie, seppe riprendersi anche in gravissime contingenze, ad esempio nel corso delle
guerre puniche
.
18) La politica religiosa di
Romolo
si basava dunque sulla temperanza, sulla giustizia e sull'idea che le leggi giuste favoriscano la concordia fra i cittadini. Promosse le pratiche religiose con la costruzione dei templi, la regolamentazione del culto e bandì da
Roma
i miti ritenuti indecenti e sconvenienti per la natura divina.
19) Nella religione romana sono esclusi riti orgiastici ed altri eccessi tipici dei culti greci e barbari.
20) La religione romana prevede miti e rituali più semplici e meno equivocabili di quelli greci.
21) Creazione di sessanta sacerdoti per le tribù popolari oltre a quelli gentilizi (citazione da
Varrone
),
Romolo
stabilì che i sacerdoti gentilizi fossero due, nominati fra i cittadini illustri che superassero i cinquanta anni e restassero in carica a vita, esentati dai doveri militari e civili.
22) Le cariche sacerdotali erano estese alle famiglie dei sacerdoti per quei riti che prevedevano di essere celebrati da donne o fanciulli.
Dionisio
ritiene che questa istituzione abbia origini greche. Un
aruspice
per ogni tribù interpretava i responsi divini.
23) Istituzione della mensa comune in occasione delle festività religiose e confronto con i banchetti comuni che si svolgevano a
Sparta
. Ammirazione di
Dionisio
per la semplicità delle pratiche rituali e per come i
Romani
seppero conservarle pressochè inalterate fino ai suoi tempi.
24) Leggi in materia matrimoniale.
25) La moglie entrava a dar parte della famiglia del marito anche in senso economico e religioso. La moglie ereditava i beni del marito al pari dei figli. Il marito era giudice delle colpe di lei e poteva punirla con la morte in caso di adulterio o se la sorprendeva a bere vino (l'ubriachezza poteva essere di stimolo all'adulterio).
Queste leggi matrimoniali sopravvissero per secoli.
Spurio Carvilio
, cinquecentoventi anni dopo fu il primo a rompere il matrimonio, causa la sterilità della moglie. (secondo
Livio
e
Valerio Massimo
il primo ripudio risale a
Lucio Annio
nel
307 a.C.
,
Gellio
e
Plutarco
concordano sul nome
Carvilio
ma non sulla data).
26) Assoluto potere del padre sul figlio, fino alla morte del padre indipendentemente dalla condizione del figlio.
Si ricordavano esempi di personaggi importanti pubblicamente castigati dai padri. Non mancarono in questo senso gli eccessi, come quello di
Manlio Torquato
che nel corso della guerra contro i
Latini
, fece uccidere il figlio perchè aveva disobbedito all'ordine di non ingaggiare combattimenti isolati.
27) Al padre romano era concesso anche di vendere il figlio. Il potere paterno era dunque maggiore di quello del padrone sullo schiavo, infatti uno schiavo venduto se affrancato dal nuovo padrone guadagnava la libertà, mentre il figlio tornava sotto l'autorità paterna e poteva essere venduto nuovamente. Solo dopo la terza vendita se affrancato dall'acquirente era libero anche dal padre. Questa norma che veniva ascritta a
Romolo
fu riportata trecento anni dopo dai
decemviri
nelle
dodici tavole
.
Nelle leggi di
Numa
si leggeva che il potere di vendere i figli cessava quando i figli si sposavano.
28) Tutti i lavori manuali e sedentari, considerati indegni, erano affidati agli schiavi o agli stranieri mentre i liberi cittadini potevano occuparsi solo di agricoltura e di guerra. In tempo di pace si occupavano dei campi recandosi ogni otto giorni ai mercati per vendere i propri prodotti, in tempo di guerra partecipavano alle spedizioni e condividevano i bottini.
29)
Romolo
amministrò spesso personalmente la giustizia. Compariva nel
Foro
con un grande apparato al fine di incutere timore. I
littori
del suo seguito somministravano pubblicamente le pene ai condannati.
30) Trovandosi
Roma
circondata da città non amiche che difficilmente consentivano alle proprie donne di sposare i
Romani
,
Romolo
decise di risolvere il problema con un
ratto
in massa. Con l'approvazione del
Senato
e dopo aver sacrificato alla divinità che presiede ai consigli segreti
Romolo
indisse i giochi in onore di
Poseidone
, invitando i vicini. L'ultimo giorno dei giochi diede ordine ai giovani
Romani
di rapire tutte le vergini che partecipavano alla festa e di portarle illese al suo cospetto. Le fanciulle rapite erano seicentoottantasei e, scelti altrettanti giovani, il re celebrò le nozze dopo aver consolato le donne.
31) Fra le opinioni delle sue fonti
Dionisio
accetta le versioni in cui
ratto
avvenne nel quarto anno di regno di
Romolo
con il primario obiettivo di stringere con le città vicine patti di alleanza basati sull'affinità. Ai tempi di
Dionisio
la festa istituita da
Romolo
era ancora celebrata con il nome di "
Consualia
" e dedicata al dio
Conso
, identificato da alcuni con il greco
Poseidone
.
La festa prevedeva sacrifici su un altare sotterraneo e corse equestri.
32) A seguito del
ratto
si verificarono alcune guerre fra i
Romani
e le popolazioni che ne erano state vittime. La più importante fu quella con i
Sabini
. Le città che per prime aprirono le ostilità furono
Cenina
,
Antemnae
e
Crustumerio
.
In un primo tempo queste città chiesero l'intervento dei
Sabini
ai quali volevano affidare il comando avendo subito il maggior numero di rapimenti.
33) Poichè ambasciatori di
Romolo
avevano già avviato trattative con i
Sabini
le proposte delle altre città tardavano a ricevere soddisfazione.
Impazienti i
Cenini
passarono all'attacco per primi e furono rapidamente battuti. I
Romani
presero la città e
Romolo
sconfisse in duello il re di
Cenina
spogliandolo delle armi.
34) Fu poi la volta di
Antemnae
, anch'essa rapidamente sbaragliata. Quindi l'esercito romano tornò in città accolto dal popolo festoso.
Dionisio
vede in questo evento l'istituzione del trionfo dicendo che il corteo era chiuso da
Romolo
in veste purpurea su una quadriga. Dopo la cerimonia
Romolo
costuì un piccolo tempio a
Giove
sul
Campidoglio
nel quale consacrò le
spoglie opime
del re di
Cenina
.
35) Riunito il
Senato
si delibera di trattare con clemenza le città conquistate,
Romolo
invia in ognuna di esse trecento coloni ed accoglie i loro cittadini, così
Cenina
ed
Antemnae
divengono colonie romane.
36) Analoga sorte subì
Crustumerio
che era un'antica colonia degli
Albani
. La fama del valore e della clemenza di
Romolo
attirò a
Roma
molti uomini valenti che si trasferirono con le famiglie. Fra questi l'etrusco
Celio (Cele Vibenna)
, che diede il nome al colle. Preoccupati da questi successi i
Sabini
deliberarono di attaccare
Roma
e preperarono un forte esercito al comando di
Tito Tazio.
37)
Romolo
si preparò a difendersi dai
Sabini
costruendo nuove mura sul
Palatino
, fortificando il
Campidoglio
e l'
Aventino
e mettendo al riparo di tali fortificazioni la cittadinanza e i pastori. Giunsero a
Roma
rinforzi da parte degli alleati: il tirreno
Lucumone
della città di Solonio e truppe di
Albani
inviate da
Numitore
. Conclusi i preparativi i
Sabini
richiesero formalmente la restituzione delle donne rapite e la soddisfazione del
ratto
ma
Romolo
rispose che le donne volevano restare con i loro mariti e si disse disponibile a trattare in pace altre ricompense. I
Sabini
non accettarono e schierarono venticinquemila fanti e circa mille cavalieri, la forza romana contava di ventimila fanti e ottocento cavalieri.
38)
Tito Tazio
si accampò nella pianura fra il
Campidoglio
e il
Quirinale
.
Il tradimento di
Tarpea
.
Dionisio
segue la tradizione per cui
Tarpea
avrebbe tradito per ottenere un compenso materiale e fa riferimento a
Fabio Pittore
e a
Cincio Alimento
.
Secondo
Lucio Pisone
invece avrebbe cercato di trarre in inganno i
Sabini
. Comunque
Tarpea
invita
Tito Tazio
ad un colloquio segreto ed i due si accordano per il tradimento.
39) Secondo
Pisone
Tarpea
avrebbe mandato un messaggero ad avvertire
Romolo
del falso tradimento ma il messaggero sarebbe passato al nemico svelando a
Tazio
le intenzioni di lei. Per gli altri autori invece il tradimento sarebbe stato autentico.
Tarpea
aprì una porta ai
Sabini
che presero possesso della rocca del
Campidoglio
.
40) I
Sabini
ricompensarono
Tarpea
scagliandole contro i propri scudi fino ad ucciderla. La vicenda si basa sull'equivoco di "ciò che portavano al braccio sinistro", la ragazza voleva i braccialetti d'oro ma i
Sabini
le dettero gli scudi. Per
Pisone
la morte di
Tarpea
fu conseguenza del doppio gioco che il messaggero aveva svelato, per gli altri la ragazza tradì realmente. Noto che in
Dionisio
non si dice che fosse una
vestale
ma solo "la figlia di un notabile".
41) Con i
Sabini
arroccati nel
Campidoglio
seguì un lungo periodo di scaramucce finchè le due parti non decisero di scontrarsi in battaglia campale.
42) La battaglia dura più di una giornata, con alterne vicende. Anche
Dionisio
riporta l'episodio di
Mettio Curzio
, ufficiale sabino che con il proprio coraggio seppe recuperare una situazione di grande difficoltà per i suoi e dopo essersi a lungo scontrato personalmente con
Romolo
cadde nella palude salvandosi a stento dall'annegamento. La palude, successivamente prosciugata, ebbe il nome di
Lago Curzio
in ricordo dell'episodio.
43) Durante la battaglia
Romolo
fu ferito più volte e colpito alla tempia da una pietra cadde tramortito. I suoi lo portarono in salvo ma l'assenza del comandante diffuse il panico fra i
Romani
. Anche il tirreno
Lucumone
dopo essersi battuto valorosamente fu ferito e le forze romane rischiarono la rotta. I
Sabini
approfittarono della situazione guadagnarono terreno giungendo alle porte della città ma qui furono affrontati da forze fresche che erano state riservate per la guardia delle mura.
Romolo
, ripresosi, tornò in campo e rialzò il morale dei
Romani
che ripresero il sopravvento.
44) Nei giorni seguenti
Romani
e
Sabini
restarono incerti sul da farsi, entrambi tentati di cercare un accordo esitavano a proporlo per non esserne svantaggiati.
45) Frattanto le donne sabine rapite si riunirono su proposta di
Ersilia
e decisero di tentare di pacificare i contendenti. Ottenuto il consenso del
Senato
romano le donne si recarono in ambasceria presso i
Sabini
per trattare la pace.
46) L'ambasceria delle donne ebbe successo e i
Sabini
si accordarono con i
Romani
.
Tazio
ottenne il regno di
Roma
alla pari con
Romolo
ed i cittadini ebbero il nome di
Quiriti
. Tutti i
Sabini
che lo desideravano potevano diventare cittadini
Romani
acquisendo i relativi diritti. L'esercito dei
Sabini
tornò alla sua terra mentre
Tazio
con tre notabili (Valerio Volosso, Tallo detto Tirannio e
Mettio Curzio
) rimasero a vivere a
Roma
con un seguito di amici, parenti e clienti numericamente non inferiore a quello dei
Romani
. Noto che in
Dionisio
l'intervento delle donne avviene durante una tregua e non in piena battaglia come negli altri autori, inoltre le donne si riuniscono, si organizzano e prima di intervenire ottengono il consenso del
Senato
, mentre nelle altre fonti il loro operato appare più improvvisato.
47) In seguito all'unione con i
Sabini
furono creati cento nuovi senatori. Furono tributati grandi onori alle donne che avevano posto fine alla guerra. Secondo alcuni autori le trenta
curie
presero il nome di altrettante di quelle donne ma
Varrone
non concorda su questa tesi perchè le donne che parteciparono alla missione erano 527.
Varrone
ritiene che i nomi delle
curie
fossero stati stabiliti da
Romolo
basandosi a volte sui nomi dei comandanti, a volte su quelli delle zone abitate.
48) Mito relativo alla fondazione di
Curi
secondo la versione di
Terenzio Varrone
: al tempo in cui gli
Aborigeni
occupavano la regione una fanciulla nobile danzò nel tempio di un dio detto
Enyalos
, colta da divina ispirazione entrò nella cella del dio con il quale si sarebbe accoppiata. Ne nacque
Modio
, soprannominato
Fabidio
, che dopo essersi distinto come guerriero fondò la città che ebbe il nome di
Curi
da uno dei nomi della divinità di cui era ritenuto figlio o dalla parola sabina
cures
che significa lancia.
49) Tradizioni sull'origine dei
Sabini
. Sarebbero derivati dagli
Umbri
che occuparono quei territori già degli
Aborigeni
e dei
Pelasgi
. Secondo una tradizione locale si sarebbe installata fra loro una colonia di
Lacedemoni
che rifiutando la durezza della costituzione di
Licurgo
erano partiti in volontario esilio. Questo spiegherebbe l'affinità fra molti usi
Sabini
e quelli spartani, in particolare l'attitudine bellica, la frugalità ed il rigore.
50)
Romolo
e
Tazio
ampliarono la città annettendo il
Quirinale
ed il
Celio
, quindi si divisero il territorio.
Romolo
ebbe il
Palatino
ed il
Celio
Tazio il
Campidoglio
ed il
Quirinale
. Bonificata la palude ed abbattuto il bosco ai piedi del
Campidoglio
costruirono il
Foro
per le assemblee ed i mercati.
Romolo
costruì un tempio a
Giove
presso la
porta Mugonia
.
Romolo
e
Tazio
regnarono in armonia per cinque anni. Durante questo periodo combatterono contro i
Camerini
che organizzavano spedizioni ai danni dei territori
Romani
.
Cameria
, antica colonia degli
Albani
, fu conquistata e ridotta a colonia romana mentre circa quattromila
Camerini
furono ammessi a
Roma
.
51) Nel sesto anno di compartecipazione al regno
Tazio
fu coinvolto in una disputa fra i
Sabini
e gli abitanti di
Lavinio
.
I
Laviniati
avevano subito aggresioni e danni da parte di alcuni
Sabini
ed avevano chiesto a
Romolo
di consegnare i colpevoli ma
Tazio
ne aveva preso le difese. Inoltre gli ambasciatori di
Lavinio
furono aggrediti dai
Sabini
.
52)
Romolo
infine consegnò gli aggressori ai
Laviniati
poichè danneggiare gli ambasciatori era considerato sacrilegio, tuttavia
Tazio
intervenne in loro difesa e li liberò. Successivamente fu ucciso da un complotto di
Laviniati
.
53) Dopo la morte di
Tazio
Romolo
mosse contro i
Fidenati
che insidiavano i commerci
Romani
sul
Tevere
. Sottomise la città, sequestrò parte del territorio e stabilì a
Fidene
un presidio di trecento armati.
54) I
Camerini
approfittarono di una pestilenza che aveva colpito i
Romani
per insorgere ma furono duramente repressi da
Romolo
che questa volta mise al sacco la loro città e riportò un secondo trionfo. Fu quindi la volta di
Veio
che intervenne a favore di
Fidene
.
Romani
e
Veienti
si scontrarono alle porte di
Fidene
in una lunga battaglia che si concluse in parità.
55) In una seconda battaglia i
Veienti
furono sconfitti ma poco dopo raccolsero un nuovo esercito con l'aiuto di altre stirpi etrusche e mossero nuovamente contro
Roma
. Battuti nuovamente,
Romolo
celebrò il suo terzo trionfo e concluse una tregua di cento anni con
Veio
lasciando ai nemici parte del territorio conquistato ma togliendo loro le saline del
Tevere
.
56) Sulla fine di
Romolo
Dionisio
cita tre versioni: la prima è quella leggendaria per cui sarebbe stato rapito in cielo dal padre
Ares
, le altre due dicono che era diventato dispotico e fu eliminato dai senatori o dai nuovi cittadini.
57) Alla morte di
Romolo
seguì un
interregno
. I duecento senatori si divisero in gruppi di dieci ed estrassero a sorte il gruppo che doveva detenere per primo il potere. I dieci estratti governarono a turni di cinque giorni quindi passarono il potere ad un secondo gruppo di dieci e così via. Nel frattempo si discusse sulla forma di governo da adottare. Il popolo, consultato, rimise la decisione al
Senato
che fu unanime nell'optare per la monarchia ma non nella scelta del nuovo re.
58) Dopo una lunga disputa si decise di scegliere un uomo che non vivesse a
Roma
per avere maggiori garanzie di imparzialità. Il potere era infatti conteso fra i vecchi senatori (
Romani
) ed i nuovi (
Sabini
). Fu scelto
Numa Pompilio
, figlio di
Pompilio Pompone
, della città di
Curi
, uomo notissimo per la sua saggezza ed il suo ingegno. L'interrè vigente cominicò la decisione al popolo ed inviò a
Numa
una delegazione per offrirgli il potere.
59) Anche
Dionisio
cita e contesta la tradizione che voleva
Numa Pompilio
allievo di
Pitagora
.
Pitagora
visse quattro generazioni dopo
Numa
ed anche la città di
Crotone
nella quale si diceva che il re avesse studiato presso il filosofo fu fondata successivamente.
Dionisio
attribuisce l'errore alla superficialità di quanti hanno voluto mettere in relazione il soggiorno italiano del filosofo con la saggezza di
Numa Pompilio
senza preoccuparsi dell'attendibilità storica delle proprie asserzioni.
60)
Numa
esitò a lungo prima di accettare l'offerta del potere, infine convinto anche dall'insistenza del padre e dei fratelli si recò a
Roma
dove la sua fama di rettitudine e saggezza gli valse ovazioni e calorosa accoglienza. L'assemblea popolare confermò l'elezione, il
Senato
la ratificò e gli dei, tramite gli auspici, la benedissero.
I
Romani
dicono che egli non intraprese nessuna spedizione militare, ma che essendo un uomo giusto e pio passò in pace tutto il tempo del suo regno, e diede un'ottima amministrazione alla città (sic) .
Nacquero sul suo conto varie leggende fra le quali quella della sua relazione con la
ninfa
Egeria
. Un episodio che non ho trovato altrove:
Numa
per dimostrare la veridicità del suo rapporto con la
ninfa
invitò alcuni notabili a visitare la sua casa mostrando loro la modestia degli arredi e la mancanza di quanto è necessario per preparare un banchetto. Li invitò quindi a tornare dopo poche ore e fece trovare arredi magnifici ed un ricchissimo banchetto che un uomo non avrebbe avuto modo di preparare in così poco tempo.
61) Probabilmente la vicenda relativa ad
Egeria
era un'invenzione di
Numa
per agire sugli scrupoli dei cittadini più religiosi.
Dionisio
indica precedenti greci:
Minosse
di
Creta
sarebbe stato consigliato da
Zeus
che visitava in un antro sacro,
Licurgo
avrebbe ottenuto assistenza da
Apollo
tramite l'oracolo di
Delfi
.
62) La situazione di
Roma
era complicata da due conflitti sociali, quello fra
Albani
e
Sabini
che disputavano su onori e poteri e quello provocato dalla parte più povera della
plebe
che vivendo in miseria tendeva alla sedizione sociale.
Numa
distribuì dei terreni pubblici e beni dell'eredità di
Romolo
per soddisfare i poveri e concedendo alcuni onori ai senatori sabini migliorò la situazione.
Ingrandì la città annettendo il
Quirinale
.
63) Sul piano legislativo mantenne in vigore la costituzione di
Romolo
aggiungendo norme di carattere religioso. Inaugurò molti "recinti sacri" dedicati a varie divinità, istituì feste, nominò sacerdoti, stabilì norme per i riti, le cerimonie e le espiazioni.
"Ordinò inoltre che
Romolo
, che aveva superato i limiti della natura umana, fosse onorato sotto il nome di
Quirino
con un tempio e sacrifici annui".
Si fa vivo "un tale di nome
Giulio
" che racconta di aver avuto la visione di
Romolo
che gli confermava la propria divinizzazione, (cfr
Giulio Proculo
in
Livio
I, 16 ).
64) Assegnò la prima serie di cerimonie ai trenta
curioni
, la seconda ai
flamini
, la terza ai comandanti dei
celeri
, la quarta agli
auguri
, la quinta alle
vestali
.
Numa
costruì a
Roma
il primo
tempio a Hestia
(
Vesta
) e le assegnò come sacerdotesse le vergini.
65) Dissertazione di
Dionisio
sull'attribuzione a
Numa
del primo
tempio di Vesta
. Alcune sue fonti riteneveano che fosse opera di
Romolo
ma per
Dionisio
la collocazione del tempio fuori dalle mura della
Roma Quadrata
è prova certa che sia stato costruito più tardi, quando la città si era ampliata.
Romolo
aveva preferito distribuire il culto della dea sui focolari di ciascuna delle trenta
curie
.
66)
Numa
non abolì i focolari particolari ma ne aggiunse uno comune nel tempio da lui costruito fra il
Campidoglio
e il
Palatino
.
Su ciò che si custodiva nel tempio certamente il fuoco perenne simbolo della dea che corrispondendo alla terra "suscita il fuoco celeste da se stessa". Inoltre pare che il tempio contenesse alcuni oggetti sacri e segreti. Quando il tempio andò a fuoco (
241 a.C.
)
Lucio Cecilio Metello
celebre vincitore dei
Cartaginesi
nella battaglia di
Panormo
, rischiò la vita per salvare dalle fiamme gli oggetti sacri. Per alcuni si trattava di oggetti risalenti a
Dardano
, quindi alle origini di
Troia
, per altri del
Palladio
caduto dal cielo anche esso già custodito a
Troia
. In entrambi i casi le reliquie sarebbero state portate in
Italia
da
Enea
.
67) Le
vestali
erano in origine quattro e venivano scelte dal re, in seguito divennero sei. Il sacerdozio, che comportava l'obbligo di castità, durava trenta anni: nei primi dieci le novizie apprendevano, nel secondo decennio svolgevano i riti e nel terzo insegnavano alle altre. Dopo i trenta anni potevano sposarsi, tuttavia ciò accadeva molto raramente perchè ritenuto di pessimo auspicio. Alle
vestali
venivano tributati grandi onori, per contro le loro colpe erano punite severamente dai
pontefici
. Le pene lievi erano punite a vergate mentre quelle che perdevano la verginità erano sepolte vive in una cella sotterranea presso la Porta Collina. I
Romani
consideravano presagio di catastrofe lo spegnimento del fuoco sacro, in questi casi lo riaccendevano con solenni riti di espiazione.
68) Esistevano varie leggende sulle
vestali
e sugli interventi della dea in favore di quelle accusate ingiustamente. Una
vestale
di nome
Emilia
aveva lasciato spegnere il fuoco. Processata chiese aiuto alla dea quindi, pregando, stracciò la propria veste e ne gettò un lembo sulle ceneri. Subito ne scaturì una grande fiamma che riaccese il fuoco salvando la
vestale
.
69) Un altro aneddoto si raccontava su una
vestale
di nome Tuccia che venne calunniata ingiustamente. Dimostrò la propria innocenza riuscendo a raccogliere e trasportare l'acqua del
Tevere
con un vaglio.
70) Il sesto gruppo delle istituzioni religiose era assegnato ai cosiddetti
Salii
.
Numa
istituì i
Salii palatini
ai quali successivamente
Tullo Ostilio
avrebbe aggiunto i
Salii agonali
. I
Sali palatini
erano dodici giovani di estrazione patrizia. Secondo
Dionisio
equivarrebbero ai
Kuretes
greci che svolgevano riti analoghi durante le
panatenee
. Il rito dei
Salii
si svolgeva a marzo durante le
Quinquatria
, dedicato agli dei della guerra e consisteva in una danza al suono del flauto. I
Salii
saltavano (da qui il nome), danzavano e cantavano armati di lance e scudi in una processione che attraversava la città.
71) Fra gli scudi dei
Salii
ve ne era uno che si diceva caduto dal cielo per volere degli dei. Per confondere eventuali ladri
Numa
aveva fatto fabbricare dall'artigiano
Mamurio
molti scudi identici. La danza dei
Salii
era comunque istituzione molto antica dalla quale i
Romani
derivarono molte danze cerimoniali usate nel circo, nei giochi, in occasione di varie feste.
72) Il settimo gruppo delle istituzioni sacre fu assegnato al collegio dei
fetiales
. Anche questo collegio fu istituito da
Numa
ed era composto da sacerdoti di condizione patrizia nominati a vita.
Numa
avrebbe istituito i
feziali
quando fu sul punto di combattere contro
Fidene
. Anche
Dionisio
è a conoscenza di possibili precedenti latini e cita i sacerdoti
Equicoli
della città di
Ardea
. I
feziali
avevano il compito di tentare trattative con i nemici e in caso di insuccesso di dichiarare guerra. Dovevano inoltre vigilare sul rispetto dei trattati di pace e di alleanza ed interloquivano con gli ambasciatori stranieri che lamentavano qualche offesa subita ad opera di
Romani
, eventualmente arrestando i colpevoli e consegnandoli alla parte offesa.
Dionisio
fornisce una rapida descrizione dell'ambasceria rituale in caso di contestazioni presso altre città. Il collegio incaricava uno dei
feziali
di svolgere la missione. Questi raggiungeva la città avversaria ripetendo più volte invocazioni e giuramenti al suo arrivo, chiamando a testimoni le prime persone che incontrava. Giunto al cospetto dei governanti della città discuteva con loro la questione e concedeva fino a trenta giorni di tempo per rispondere all'appello. Trascorso il termine se non aveva ottenuto soddisfazione si presentava al
Senato
romano con gli altri
feziali
e dichiarava di aver svolto il suo compito secondo quanto previsto dalle leggi sacre, a quel punto il
Senato
poteva decidere se dichiarare guerra. In mancanza di questa procedura "nè il
Senato
nè il popolo avevano il potere di dichiarare guerra".
73) La più alta dignità sacerdotale toccò ai
pontefici
. La denominazione derivava da uno dei loro compiti, il restauro del ponte di legno, ma il loro campo d'azione era molto vasto. Giudicavano tutte le cause religiose fra cittadini, magistrati e sacerdoti ed in generale legiferavano in materia religiosa. Sovraintendevano a tutte le funzioni religiose ed insegnavano la dottrina, avevano il potere di punire sacrilegi e reati religiosi ma erano inviolabili e non potevano essere giudicati nè dal popolo nè dal
Senato
. La loro carica durava a vita ed i successori venivano eletti dal collegio stesso con l'approvazione degli auspici.
74) Fra le numerose disposizioni emanate da
Numa
per ordinare la società dei
Romani
Dionisio
ricorda le leggi ed i riti relativi ai confini, da cui l'isituzione della festa annuale dei
Terminalia
. In sostanza mi pare che a
Numa
venga riferita l'introduzione del concetto della proprietà privata e della distinzione di questa dal bene pubblico.
75)
Numa
regolamentò i contratti privati basandosi sul concetto della lealtà personale che dai suoi tempi divenne un valore sacro nella mentalità romana. Dedicò per primo un tempio alla
Pistis
pubblica (fede pubblica, credibilità) sostenendo che lo stato doveva essere di esempio nella lealtà e coerenza di comportamento verso i cittadini.
76) Per organizzare l'economia cittadina
Numa
divise il territorio in
pagi
istituendo dei magistrati che controllassero il lavoro degli agricoltori. Incentivò il lavoro agricolo con elogi e premi per distogliere i
Romani
dalla loro bellicosità.
Le istituzioni di
Numa
riuscirono ad assicurare alla città un lungo e prospero periodo di pace interna ed esterna, la sua fama si diffuse anche fuori di
Roma
tanto che gli fu spesso richiesto di arbitrare su ostilità fra le città vicine. Regnò per quarantatre anni (il dato coincide con
Livio
) e morì serenamente ultraottantenne, fu sepolto sul
Gianicolo
. Per molte fonti ebbe quattro figli maschi ed una figlia femmina,
Cneo Gellio
parlava di una sola figlia madre di
Anco Marzio
.
Libro Terzo
1) Alla morte di
Numa Pompilio
seguì un secondo
interregno
, quindi fu eletto re
Tullo Ostilio
, uomo nobile e facoltoso che si era trasferito a
Roma
dalla città albana di
Medullia
. Discendeva da
Ostilio
, il quale aveva sposato la figlia di
Ersilio
(l'
Ersilia
promotrice della missione di pace delle donne rapite).
Ersilio
aveva compiuto grandi imprese con
Romolo
ed era stato onorato con un monumento al
Foro
. Il figlio di
Ostilio
aveva sposato una donna di nobili natali, da tale unione era nato
Tullo Ostilio
.
Tullo Ostilio
è quindi nipote dell'
Ostilio
di epoca romulea come in
Livio
(I, 22) .
L'elezione, voluta dal
Senato
fu confermata dal popolo ed anche gli auspici furono favorevoli, avvenne nel
670 a.C.
Tullo Ostilio
iniziò il suo regno con un atto di liberalità che gli guadagnò il favore della popolazione più povera: dichiarando che il suo patrimonio sarebbe bastato per le necessità personali e le spese del culto donò ai poveri i terreni e i beni che erano considerati proprietà del re. Inoltre estese la cinta muraria per comprendere il
Celio
che fu distribuito a chi non aveva un terreno dove edificare una casa e vi stabilì anche la propria residenza.
2) Ma
Tullo Ostilio
fu noto soprattutto per le imprese militari, di cui
Dionisio
citerà le più importanti, a partire dalla guerra contro gli
Albani
. All'origine della contesa (i
Romani
sono sempre nel giusto per
Dionisio
) fu l'invidia e l'arroganza di un certo
Cluilio
, supremo magistrato di
Albalonga
. Organizzata una banda di predoni
Cluilio
provocò i
Romani
con incidenti di frontiera e seppe mettere le cose in modo che la reazione romana sembrasse un'aggressione.
3) Dopo uno scambio di ambasciate le due città si rifiutano reciprocamente soddisfazione ed entrano in guerra.
4) Gli ambasciatori si schierano nei pressi di
Roma
. Dopo un periodo di scaramucce
Cluilio
decide di attaccare in forze il nemico ed organizza tutto per il giorno seguente ma al mattino, misteriosamente, viene trovato il suo cadavere senza segni di violenza o di avvelenamento.
5) L'incomprensibile morte di
Cluilio
scoraggiò molto gli
Albani
: alcuni parlarono di vendetta divina, altri di veleni sconosciuti privi di tracce, altri ancora di suicidio.
Dionisio
crede che fosse semplicemente giunta la sua ora. Fu eletto dagli
Albani
il
dittatore
Mezzio Fufezio
che propose un accordo in vista di un nuovo pericolo comune.
6)
Veienti
e
Fidenati
, infatti, che erano stati sottomessi da
Romolo
stavano congiurando per approfittare dello scontro fra
Romani
ed
Albani
e contavano di poter intervenire alla fine della battaglia ed avere la meglio sul vincitore. Tuttavia, forse a causa di delazioni,
Fufezio
era venuto a conoscenza della cospirazione.
7) Anche
Tullo Ostilio
avendo avuto voce del complotto ritenne opportuno trattare con gli
Albani
.
Dionisio
cita un "discorso" di
Mezzio Fufezio
con il quale il
dittatore
chiarisce i motivi che lo hanno spinto a cercare la trattativa.
8)
Fufezio
esibisce delle lettere delatorie che dimostrano l'esistenza della congiura ed esorta le parti a trattare rapidamente la pace per poter fare fronte comune contro i nemici. Propone una remissione totale ed immemore delle reciproche offese.
9)
Tullo Ostilio
accetta la proposta di pace ma ne aggiunge una per fondere le popolazioni o almeno il
Senato
delle due città per evitare future nuove inimicizie.
10)
Fufezio
prende tempo per consultare i suoi concittadini quindi risponde che gli
Albani
non volevano abbandonare le proprie case ma erano propensi ad unificare il
Senato
. Restava da decidere quale città avrebbe detenuto il potere. Gli
Albani
lo richiedevano perchè consideravano
Albalonga
la madre patria e
Roma
una colonia; inoltre sostenevano che il ceppo atavico albano fosse più incorrotto di quello romano (che si era unito con
Tirreni
e
Sabini
) e che nella loro città regnasse un ordine sociale e politico migliore di quello romano.
11)
Tullo Ostilio
risponde con molti argomenti a sostegno dell'egemonia romana (a parità di antenati
Roma
è più grande e potente, proprio nell'aver accolto altre genti è l'origine della potenza, non esiste una legge di natura che stabilisca che la la madre patria debba dominare la colonia e non viceversa). Conclude proponendo che la controversia sia risolta con un duello fra pochi guerrieri.
12) La proposta di
Tullo Ostilio
viene approvata ma
Fufezio
non accetta di battersi in duello e propone con successo una prova tra tre
Albani
e tre
Romani
.
13) Sembra a
Fufezio
un segno divino il fatto che ad
Albalonga
e a
Roma
vivano due famiglie tra loro imparentate, i
Curiazi
(
Albani
) e gli
Orazi
(
Romani
) che contano tre gemelli ciascuna, della stessa età e tutti noti per abilità e coraggio.
14)
Fufezio
propone la scelta dei "triplici gemelli" a
Tullo Ostilio
.
15 - 16.- 17)
Tullo Ostilio
teme che la consanguineità fra
Orazi
e
Curiazi
renda sacrilego il duello.
Fufezio
è dell'opinione che non ci sia sacrilegio se i duellanti accettano liberamente lo scontro.
Tullo Ostilio
chiede una tregua di dieci giorni per interrogare gli
Orazi
mentre i
Curiazi
hanno già dato il loro assenso a
Fufezio
.
Tullo Ostilio
convoca gli
Orazi
che con l'approvazione del padre accettano di combattere.
18) I due popoli accompagnano i giovani con manifestazioni di onore e di lutto, come vittime consacrate. Ha inizio il duello.
19) Durante il duello il maggiore degli
Orazi
viene ucciso ma l'uccisore cade a sua volta. Altri due contendenti si uccidono reciprocamente.
20) Il Romano superstite finge di fuggire per dividere i due avversari. Riesce nell'intento ed ha rapidamente la meglio, vincendo il duello.
21) La sorella degli
Orazi
, promessa sposa di uno dei
Curiazi
, si dispera per la morte del cugino. Questo scatena l'ira del fratello superstite che la uccide, approvato per questo dal padre che nega alla sventurata di essere sepolta nella sua casa. La poveretta viene coperta di terra dai passanti pietosi. Durezza dei costumi degli antichi che usavano celebrare sacrifici e trionfi anche per le vittorie nelle quali avevano perduto i propri figli.
22) Sepolti i morti e compiuti i sacrifici
Tullo Ostilio
assicurò agli
Albani
che la loro condizione sarebbe rimasta onorevole e che avrebbe lasciato intatte le loro istituzioni, quindi riporta l'esercito a
Roma
dove celebra il trionfo.
A
Roma
alcuni cittadini citarono in giudizio l'
Orazio
superstite per l'uccisione della sorella. Si svolse un lungo processo nel quale l'imputato fu difeso dal padre. Perplesso
Ostilio
affidò il giudizio al popolo ed il giovane venne assolto. Tuttavia il re ritenne opportuno che i
pontefici
sottoponessero il giovane ai riti purificatori allora in uso per gli omicidi involontari. Due altari furono dedicati ad
Hera
e a
Giano
.
" L'omicida viene fatto passare sotto il giogo, come i
Romani
facevano con i prigionieri di guerra prima di rimandarli liberi in patria ". Gli altari ed il sostegno sul quale furono esposte le armi degli
Orazi
nel
Foro
sarebbero stati ancora al loro posto ai tempi di
Dionisio
. Una legge fissò gli onori tributati agli
Orazi
, fra cui un contributo pubblico a favore dei genitori dei tre gemelli.
23) Dopo un anno di preparativi
Tullo Ostilio
decise di attaccare i
Fidenati
per punirli del complotto. Fra le truppe ausiliarie dell'esercito di
Tullo
spiccavano quelle degli
Albani
inviate da
Mezzio Fufezio
. Tuttavia
Fufezio
covava segreti rancori verso i
Romani
poichè era stato accusato di aver mal condotto la guerra con
Roma
e di continuare a tenere il potere solo per ordine di
Ostilio
. Tramò quindi un tradimento e sobillò i
Fidenati
alla rivolta promettendo loro il proprio aiuto in battaglia. Alla vigilia della battaglia
Fufezio
convoca i centurioni ed i tribuni delle forze albane ed espone loro il proprio piano riprendendo come giustificazione del tradimento il concetto che la madre patria deve governare le colonie.
24) Durante la battaglia
Fufezio
porta le proprie truppe su un colle, come aveva annunciato nel paragrafo precedente, ed aspetta il momento buono per attaccare i
Romani
. Era sua intenzione, nel caso di imprevisti attaccare i
Fidenati
come i
Romani
si aspettavano e far passare inosservato il suo progetto di tradimento.
25) Con presenza di spirito
Tullo Ostilio
rendendosi conto della diserzione degli
Albani
finge che stiano eseguendo un suo ordine per accerchiare il nemico e risollevato il morale dei soldati, volge a proprio favore le sorti dello scontro.
26)
Fufezio
constatato il successo dei
Romani
gioca la carta di riserva ed attacca i
Fidenati
.
Tullo Ostilio
capisce i suoi propositi ma decide di aspettare un momento migliore per affrontare il traditore. Gli ordina intanto di braccare i nemici fuggitivi, cosa che
Fufezio
esegue con entusiasmo, convinto di aver ingannato
Ostilio
. I prigionieri
Fidenati
, interrogati dai
Romani
, confermano i sospetti di
Tullo
su
Mezzio Fufezio
.
Tullo
torna a
Roma
e convoca nottetempo il
Senato
per decidere sul da farsi.
27) Dopo averlo concordato con il
Senato
Tullo Ostilio
decreta la distruzione di
Albalonga
ed incarica l'
Orazio
superstite di eseguirla immediatamente, risparmiando però ogni vita umana. Quindi viene convocato
Mezzio Fufezio
con i suoi ufficiali, nell'ambito di un'assemblea dei soldati.
28) In assemblea
Tullo Ostilio
smaschera le trame di
Fufezio
.
29)
Tullo Ostilio
dichiara agli
Albani
le decisioni sue e del
Senato
romano: la demolizione della città, la deportazione a
Roma
dell'intera popolazione, la costruzione a
Roma
di nuovi quartieri per ospitarvi gli
Albani
. Alcune famiglie albane saranno ammesse al
patriziato
ed al
Senato
: i
Giulii
, i
Servilii
, i
Curiazi
, i
Quintilii
, i
Clelii
, i
Gegani
e i Metilii.
Fufezio
ed i suoi complici saranno regolarmente processati.
30)
Mezzio Fufezio
cerca di difendersi dichiarando di aver eseguito gli ordini del
Senato
albano. Scoppia una rissa ma
Tullo
, che aveva previsto disordini, aveva circondato l'assemblea di armati la cui presenza riduce presto i rivoltosi alla ragione.
Fufezio
viene giudicato sommariamente reo di tradimento ed il suo corpo, legato a due coppie di cavalli, viene rapidamente straziato davanti all'assemblea. più tardi i suoi amici e complici vennero processati e molti furono giustiziati.
31) Frattanto
Marco Orazio
eseguendo l'ordine del re demolì tutti gli edifici pubblici e privati di
Alba
salvando solo i templi, quindi condusse tutta la popolazione a
Roma
senza privarla di alcun avere. Gli
Albani
furono accolti da
Tullo Ostilio
che li distribuì nelle tribù aiutandoli a costruire nuove abitazioni ed assegnando lotti di terreno ai più bisognosi. La città di
Alba
, fondata da
Ascanio
figlio di
Enea
, 487 anni prima, dopo aver conosciuto notevole incremento demografico e prosperità ed aver fondato trenta colonie di
Latini
fu distrutta da
Roma
, l'ultima sua colonia. L'anno seguente
Tullo
assediò
Fidene
e dopo essersene impadronito uccise i responsabili della rivolta e ripristinò la normalità, quindi tornò a
Roma
per celebrare il suo secondo trionfo.
32) Dopo la guerra contro
Fidene
se ne svolse una contro i
Sabini
. La guerra fu causata dall'aggressione da parte di alcuni
Sabini
ai danni di un gruppo di
Romani
durante le celebrazioni della dea
Feronia
in un santuario comune ai due popoli. I
Sabini
non vollero dar ragione dell'aggressione e si aprirono le ostilità. Una prima serie di scontri non decise nulla causa l'equivalenza delle forze. La guerra fu sospesa fino all'anno seguente e
Tullo
, nel riprenderla fece voto a
Crono
e
Rea
di istituire feste in loro onore (
Saturnalia
e Opalia) se avesse vinto. Questa volta i
Romani
vinsero e razziarono il territorio sabino. Poco dopo i
Sabini
furono costretti a pagare un risarcimento ai
Romani
per i danni di guerra.
33) Successivamente, tuttavia, l'inizio di una guerra dei
Romani
contro le città Latine, incoraggiò i
Sabini
a violare il trattato di pace con i
Romani
e ripresero le scorrerie ai danni degli agricoltori
Romani
. I
Sabini
cercavano di allearsi con i
Latini
per attaccare
Roma
, ma
Tullo
concluse una tregua con i
Latini
e decise di condurre l'esercito contro i
Sabini
. La guerra fu rapidissima ed i
Sabini
ne uscirono di nuovo sconfitti.
34) La guerra con i
Latini
era scoppiata quando
Tullo
aveva cercato di affermare la supremazia di
Roma
sulle città che erano state sotto il potere di
Alba
, distrutta quindici anni prima. I
Latini
avevano reagito riunendosi e decidendo di resistere ai
Romani
.
Nominarono due generali con pieni poteri in tempo di pace e di guerra:
Anco Publicio
, di
Cora
e
Spusio Vecilio
di
Lavinio
.
35) La guerra durò cinque anni "con un andamento, per così dire diplomatico, ed alla maniera antica". Non si verificarono mai spiegamenti di interi eserciti ma solo incursioni nel territorio nemico. Nessuna città venne distrutta salvo
Medullia
, ed alla fine furono stipulati accordi di pace facilmente accettabili anche dalla parte sconfitta.
36) Dopo trentadue anni di regno
Tullo Ostilio
perì, con la moglie e i figli, nell'incendio della sua dimora. Alcuni attribuirono l'incendio all'ira divina scatenata da
Tullo
per la sua negligenza in materia rituale e religiosa, altri sospettarono di
Anco Marzio
, che fu suo successore.
Anco Marzio
, nato da una figlia di
Numa Pompilio
, ambiva al trono ed era preoccupato per la concorrenza dei figli di
Tullo Ostilio
. Avrebbe approfittato della sua amicizia con la famiglia del re per ordire un agguato ed entrato nella casa in un momento favorevole avrebbe fatto strage di tutti i presenti nascondendo poi il misfatto con l'incendio da lui stesso appiccato.
Dionisio
non accetta questa versione che ritiene inverosimile.
37) Dopo la morte di
Tullo Ostilio
gli
Interreges
elessero come re
Marzio
denominato
Anco
, con la conferma del popolo e degli auspici nel secondo anno della 35sima Olimpiade (
638 a.C.
).
Questo re cercò di ristabilire le usanze religiose ed i pacifici costumi introdotti dal nonno
Numa Pompilio
. Invitò i cittadini a riprendere l'antica cura nel lavoro della terra e nell'allevamento del bestiame spronandoli ad allontanarsi dalla violenza e dalla belligeranza. Fece pubblicare le disposizioni di
Pompilio
circa le cose sacre. Le tavole esposte al pubblico, poi perdute, furono ricopiate su di un'iscrizione dal
pontefice
Gaio Papirio
, dopo la caduta della monarchia.
Nonostante la sua indole pacifica però
Anco Marzio
fu costretto a divenire guerriero. I
Latini
infatti lo disprezzavano e lo ritenevano indegno del potere e presero a tormentare i
Romani
con continue incursioni e scorrerie nei loro territori. Agli ambasciatori che chiedevano soddisfazione i
Latini
risposero che si trattava di azioni di bande di briganti e ne declinarono la responsabilità. Infine
Marzio
guidò l'esercito contro i
Latini
e prese la città di
Politorio
deportandone a
Roma
gli abitanti.
38) L'anno successivo i
Latini
ricolonizzarono la deserta
Politorio
e
Marzio
la conquistò per la seconda volta. L'anno seguente i
Latini
espugnarono la colonia romana di
Medullia
, mentre
Marzio
conquistava
Tellene
e ne deportava gli abitanti a
Roma
. Dopo tre anni riprese
Medullia
e conquistò
Ficana
.
39) Si verificarono in seguito due grandi battaglie campali, la prima conclusasi senza vincitori, la seconda vinta dai
Romani
. Seguì un altro periodo di scaramucce per lo più favorevoli ai
Romani
. Intanto i
Fidenati
si ribellarono nuovamente e
Marzio
si accampò presso
Fidene
con un esercito leggero. I
Fidenati
attribuirono le incursioni subite dai
Romani
ad iniziativa privata e chiesero tempo per trovarne i colpevoli mentre di fatto preparavano l'offensiva.
40) Comprese le intenzioni dei
Fidenati
Marzio
attaccò la città e concluse l'assedio facendo infiltrare soldati
Romani
tramite cunicoli appositamente scavati. I
Fidenati
furono puniti duramente, i capi della rivolta vennero uccisi. Anche i
Sabini
ruppero in quel periodo gli accordi di pace e si diedero a razziare le aree di confine.
Marzio
li sconfisse con l'impiego dell'esercito e della cavalleria e concesse loro una pace favorevole per non distrarre le proprie forze impegnate nella guerra contro i
Latini
.
41) Circa quattro anni dopo
Marzio
attaccò
Veio
devastando gran parte della regione. Vinse i
Veienti
e celebrò il trionfo ma due anni dopo
Veio
tentò di riprendere le saline alle quali aveva rinunciato in un trattato con
Romolo
. Con una seconda battaglia i
Romani
si aggiudicarono il possesso indiscusso delle saline. Il comandante della battaglia,
Tarquinio
, fu fatto senatore.
Marzio
si scontrò quindi con i
Volsci
ed assediò
Velitre
, quindi accettò la richiesta di pace degli abitanti e stipulò un trattato.
42) Fu poi la volta dei
Sabini
, un gruppo dei quali prese a minacciare il territorio romano (lacuna nel testo) e fu sconfitto dai
Romani
.
43)
Marzio
aggiunse alla cinta muraria della città l'
Aventino
. Sull'
Aventino
fu costruito un tempio di
Artemide
, l'area fu destinata alle abitazioni di quanti erano stati deportati da
Politorio
,
Tellene
e dalle altre città conquistate da
Anco Marzio
.
44)
Marzio
decise di costruire alla foce del
Tevere
un porto fluviale sfruttando l'imboccatura stessa del fiume. Le navi a remi riuscivano a risalire il corso del
Tevere
fino a
Roma
mentre il carico delle navi marittime più grandi veniva trasferito su imbarcazioni più piccole. Nei pressi del porto
Anco Marzio
fondò la città di
Ostia
.
45) Cinse di mura anche il
Gianicolo
, al di là del
Tevere
e vi installò una guarnigione per vigilare sulla navigazione del fiume. Gli si attribuisce anche la costruzione di un ponte di legno.
Anco Marzio
morì dopo ventiquattro anni di regno lasciando un figlio bambino ed uno appena entrato nella pubertà.
46) Dopo la morte di
Anco Marzio
gli
Interreges
elessero
Lucio Tarquinio
, nel secondo anno della 41ma Olimpiade (
614 a.C.
). Le origini di
Tarquinio
:
Demarato di Corinto
, della stirpe dei
Bacchiadi
era un mercante e svolgeva intensi commerci fra la
Grecia
e le città tirrene. Allo scoppio a
Corinto
della rivolta di
Cipselo
,
Demarato
considerò prudente trasferirsi definitivamente in
Italia
. Si stabilì a
Tarquinia
, sposò una donna nobile ed ebbe due figli,
Aronte
e
Lucumone
, che sposarono donne etrusche.
47)
Aronte
morì giovane e poco dopo morì
Demarato
, lasciando
Lucumone
suo unico erede.
Lucumone
tentò la politica ma i
Tarquinesi
lo emarginarono, così decise di trasferirsi a
Roma
(città che notoriamente accoglieva bene gli stranieri) con la moglie ed un nutrito seguito di amici. Quando
Tarquinio
fu alle porte di
Roma
un'aquila ghermì il suo copricapo, lo portò in alto, quindi lo rimise sulla sua testa.
Tanaquilla
, moglie di
Tarquinio
, interpretò il fatto come un presagio:
Tarquinio
avrebbe ottenuto il comando supremo.
48) A
Roma
Tarquinio
si presentò ad
Anco Marzio
mettendo a disposizione i propri beni e fu accolto positivamente. Costruì una abitazione e ricevette un lotto di terra. Sostituì il nome
Lucumone
con
Lucius
ed aggiunse il gentilizio
Tarquinio
dal nome della sua città natale. Divenne amico e consigliere del re e partecipò alle sue imprese belliche. Strinse amicizia nel
patriziato
e si rese ben accetto alla popolazione.
49) La popolarità conquistata gli valse il trono alla morte di
Anco Marzio
. La sua prima guerra fu contro gli
Apiolani
, abitanti di una città latina, che venne presa e distrutta. Quindi
Tarquinio
guidò una spedizione contro
Crustumerio
, già sottomessa da
Romolo
, che tentava di sollevarsi. I
Crustumerini
non ottenendo aiuti dagli altri
Latini
si arresero subito e furono risparmiati.
50) Analoga ribellione tentarono i
Nomentani
ed anche essi si arresero senza combattere. Gli abitanti di
Collatia
tentarono invece di combattere ma vinti, furono privati delle armi e multati. Rimase a governare
Collatia
Tarquinio Aronte
, figlio postumo di
Aronte
, fratello del re.
Tarquinio Aronte
era soprannominato
Egerio
(indigente) perchè nato dopo la morte del padre e del nonno non aveva ricevuto eredità, dalla sua nomina a
Collatia
fu detto
Collatino
.
Tarquinio
marciò poi contro
Cornicolo
, che fu espugnata e saccheggiata. I
Latini
si unirono contro
Tarquinio
ma furono battuti presso
Fidene
.
51) Alcune città latine si sottomisero ma le altre si riorganizzarono ed ottennero promesse di aiuto dai
Sabini
e da alcune città etrusche.
52) Scontri non decisivi fra
Romani
e
Latini
.
53) Vittoria di
Tarquinio
sui
Latini
.
54) Clemenza di
Tarquinio
verso le città conquistate. Trattato di amicizia.
55) L'anno successivo
Tarquinio
condusse le truppe contro i
Sabini
. Alcuni scontri e sortite. I
Sabini
si accamparono alla confluenza fra il
Tevere
e l'
Aniene
.
56) Stratagemma di
Tarquinio
per incendiare il ponte poco sotto la confluenza tra
Aniene
e
Tevere
, costuito dai
Sabini
per unirsi alle forze tirrene. All'incendio segue l'attacco vittorioso dei
Romani
.
57) Si concluse una tregua di sei anni con i
Sabini
. I
Tirreni
invece si coalizzarono contro
Roma
e si impadronirono di
Fidene
per farne una base militare antiromana. La primavera successiva
Tarquinio
raccolse un grosso esercito di
Romani
e di alleati e marciò contro i
Tirreni
. Comandava personalmente le truppe romane mentre aveva affidato il comando dei contingenti alleati a suo nipote
Egerio
. Gli alleati dei
Romani
subirono una prima sconfitta nei pressi di
Fidene
ma
Tarquinio
invase e saccheggiò il territorio di
Veio
e riportò una vittoria sulle forze etrusche accorse in aiuto dei
Veienti
. Nei mesi successivi
Tarquinio
penetrò nel territorio etrusco infliggendo al nemico varie sconfitte.
58) Gli assalti
Romani
ridussero
Veio
in gravi difficoltà, quindi
Tarquinio
si diresse contro
Cere
. Sconfitti i
Ceretani
ripresero le ostilità contro
Fidene
che fu assediata ed espugnata. La guarnigione etrusca venne ridotta in catene ed i capi ribelli dei
Fidenati
furono giustiziati o esiliati.
59) Scaduta la tregua di sei anni i
Sabini
ripresero a combattere contro
Roma
ma non ottenendo dagli
Etruschi
l'aiuto sperato furono definitivamente sconfitti sul loro territorio presso la città di
Ereto
. La vittoria di
Tarquinio
fu schiacciante ed il re ottenne il trionfo. I
Tirreni
decisero infine di intraprendere trattative per stabilire accordi di pace.
60) Ascoltati gli ambasciatori tirreni,
Tarquinio
si dichiarò intenzionato a concludere la pace senza punire i
Tirreni
, pretendere tributi o occupare città a condizione di ottenere spontaneamente dalle città tirrene il riconoscimento della supremazia di
Roma
.
61) Gli ambasciatori etruschi tornarono in patria a riferire la proposta di
Tarquinio
e pochi giorni dopo tornarono recandogli i simboli regali con i quali le città accettavano la supremazia del re dei
Romani
: una corona d'oro, un trono d'avorio, uno scettro sormontato da un'aquila, una tunica di porpora con fregi in oro e un mantello di porpora ricamata. Inoltre portarono dodici scuri, provenienti dalle altrettante città, che come simboli del comando supremo avrebbero dovuto precedere il re recate dai
littori
.
Dionisio
dice che alcune sue fonti attribuivano questa istituzione a
Romolo
, ritiene comunque che l'usanza sia d'origine tirrena.
62)
Tarquinio
, consultatato il
Senato
, accettò ed adottò questi ornamenti onorifici che durante il suo regno divennero istituzionali e passarono ai suoi successori. Dopo la caduta della monarchia divennero simboli dei
consoli
annuali ad eccezione della corona e della porpora il cui uso fu limitato alla celebrazione dei trionfi.
63) Conclusa così la guerra con i
Tirreni
(durata nove anni) ripresero gli scontri con i
Sabini
, i quali oltrepassarono l'
Aniene
e devastarono i territori immediatamente circostanti
Roma
.
Tarquinio
li respinse e rimase a presidiare la città finchè non sopraggiunsero le forze richieste agli alleati.
64) Si giunse alla battaglia campale ed i
Sabini
furono sconfitti e decimati dalla cavalleria romana. Le città sabine organizzarono un nuovo esercito ma
Tarquinio
le attaccò con prontezza.
Tarquinio
cinse d'assedio il campo sabino costringendo i suoi occupanti alla fuga ma la guerra durò ancora cinque anni. Nello scontro finale compare
Servio Tullio
, come generale alla guida dei contingenti alleati.
66) Alla fine i
Sabini
stremati da ripetute sconfitte cedettero e trattarono la pace consegnando a
Tarquinio
le loro città.
Tarquinio
accettò la resa e celebrò il suo terzo trionfo.
67) Sul piano politico
Tarquinio
attuò alcune riforme. Creò cento nuovi senatori portando a trecento il numero dei componenti effettivi del
Senato
. Portò da quattro a sei il numero delle
vestali
per compensare il maggior impegno dovuto al cresciuto numero di cerimonie pubbliche in onore di
Hestia
. Alcuni autori attribuivano a
Tarquinio
l'uso di giustiziare le
vestali
che rompevano il voto di castità. Abbellì con botteghe e porticati il
Foro
e fece costruire la prima cinta regolare di mura (le mura precedenti erano realizzate in modo empirico e grossolano). Diede inizio allo scavo di canali sotterranei per convogliare le acque al
Tevere
, opera che
Dionisio
annovera per importanza, utilità e costo, fra le maggiori realizzazioni romane.
68) Fece innalzare il più grande degli ippodromi facendovi per primo installare sedili coperti.
Dionisio
fornisce una descrizione dell'ippodromo: le dimensioni (645 m. x circa 123 m.), un canale di racconta delle acque intorno all'edificio e portici a tre piani. Esternamente all'ippodromo botteghe e negozi. Molte entrate ed uscite semplificavano l'accesso e l'uscita. Non è chiaro se la descrizione si riferisca all'ippodromo così come era ai tempi di
Dionisio
(pare probabile) o a quella che viene attribuita a
Tarquinio
.
69) Intraprese la costruzione del tempio di
Zeus
,
Era
ed
Atena
, per sciogliere un voto formulato nel corso dell'ultima battaglia contro i
Sabini
. Fu necessario recintare il colle dove doveva sorgere il tempio con muri di rinforzo e creare un terrapieno in piano. Prima di gettare le fondamenta il re morì ed il lavoro fu ripreso da
Tarquinio il Superbo
ed infine completato dai
consoli
del terzo anno. La tradizione riferiva un episodio inerente alla costruzione del tempio (l'episodio è da
Livio
attribuito al regno di
Tarquinio il Superbo
): consultati dal re gli
auguri
indicarono il
Campidoglio
come luogo ideale per la costruzione, quindi passarono ad interrogare le varie divinità che avevano altari sul colle per conoscere la loro opinione in merito allo spostamento degli altari stessi. Tutte le divinità dettero segnali positivi ad eccezione di
Terminus
e
Juventus
(il dio dei confini e quello della giovinezza) i cui altari finirono inglobati nel tempio. Il fatto fu interpretato come presagio della perenne stabilità e del continuo vigore del dominio romano.
70) Il più importante
augure
consultato da
Tarquinio Prisco
si chiamava
Attio Nevio
. Era di umile origine. Da ragazzo, mentre custodiva le bestie del padre, ne smarrì alcune e chiese aiuto agli dei che gli fecero trovare sia le bestie smarrite che il grappolo più grande della vigna che il giovane aveva promesso loro in sacrificio. Da questi fatti il padre di
Attio Nevio
intuì le capacità divinatorie del ragazzo e lo avviò agli studi, prima a
Roma
poi presso gli
Etruschi
. Per la conoscenza della mantica così acquisita
Attio Nevio
divenne il più famoso
augure
della
Roma
dei suoi tempi.
71)
Attio Nevio
, secondo la leggenda, si oppose a
Tarquinio
quando questi concepì l'dea di istituire tre nuove tribù facendone eponimi se stesso e due suoi amici personali, poichè
Attio
non voleva che fossero alterate le istituzioni di
Romolo
.
Adirato
Tarquinio
lo fece comparire davanti al tribunale e lo sfidò a dar prova delle sue capacità divinatorie.
Attio Nevio
dovette consultare gli auspici a proposito di un progetto del re (che questi non descrisse) e sapere se il progetto fosse realizzabile. Poco dopo
Nevio
affermò di aver avuto auspici positivi e
Tarquinio
, per metterlo in ridicolo svelò il progetto. Si trattava di tagliare con il rasoio la pietra cote. Senza perdere la calma l'
augure
invitò il re a provare e fra lo stupore generale il re riuscì con un solo colpo di rasoio a dividere la pietra in due parti. Da allora
Tarquinio
ebbe grande rispetto per
Nevio
, abbandonò il progetto delle nuove tribù e fece addirittura collocare una statua dell'
augure
nel
Foro
.
72)
Tarquinio
, ormai ottantenne, fu ucciso dai figli di
Anco Marzio
. Il movente dei congiurati era ovviamente l'aspirazione al regno. Quando
Attio Nevio
scomparve misteriosamente tentarono di accusare
Tarquinio
ma questi seppe scagionarsi sfruttando il proprio ascendente sul popolo.
73) Dopo il processo i figli di
Anco Marzio
fuggirono da
Roma
ma passato qualche tempo si riconciliarono con
Tarquinio
. Trascorsero cinque anni ed alla prima occasione propizia riuscirono a vendicarsi. Alcuni membri della congiura inscenarono una rissa fra cittadini di fronte alla dimora di
Tarquinio
il quale intervenne per dirimere la contesa. Nella confusione due giovani colpirono il re al capo con dei falcetti. Molti congiurati riuscirono a mettersi in salvo ma i sicari, catturati e torturati, svelarono i nomi dei mandanti.
Libro Quarto
1)
Tarquinio
morì dopo trentotto anni di regno, suo successore fu il genero
Servio Tullio
(
576 a.C.
).
Origini di
Servio Tullio
. Quando
Tarquinio
conquistò la città di
Cornicolo
ne trasse prigioniera la nobildonna
Ocrisia
, moglie di un certo Tullio che cadde in battaglia.
Ocrisia
, che era incinta, divenne schiava di
Tanaquilla
, moglie di
Tarquinio
e mise al mondo
Servio Tullio
.
Tanaquilla
le si affezionò e presto le rese la libertà.
2)
Dionisio
racconta un'altra versione leggendaria delle origini di
Servio Tullio
:
Ocrisia
era schiava nella casa di
Tarquinio
e fu la prima testimone della apparizione di un gigantesco fallo sul focolare. Su parere di
Tanaquilla
e degli indovini
Ocrisia
fu affrancata e condotta in abito nuziale nella stanza dell'apparizione e fu lasciata da sola. Qui si sarebbe accoppiata con un dio, forse
Efesto
, per concepire
Servio Tullio
.
Un'ulteriore tradizione parlava di una fiamma prodigiosa apparsa una volta sul capo di
Servio
addormentato.
Nota: L'episodio del fallo sul focolare è molto simile ad una leggenda narrata da
Plutarco
(
Romolo
, 2) a proposito del dispotico re
Tarchezio
e delle origini di
Romolo
e
Remo
.
3) Da ragazzo
Servio
aveva combattuto con
Tarquinio
contro i
Tirreni
guadagnandosi fama di grande valore, più tardi aveva partecipato alla battaglia di
Ereto
coprendosi di gloria. A vent'anni ebbe il comando dei contingenti alleati
Latini
. Nella prima guerra contro i
Sabini
fu comandante della cavalleria. Per questi ed altri meriti ottenne il passaggio dalla classe plebea a quella patrizia. Sposò una delle figlie di
Tarquinio
. Durante la vecchiaia di
Tarquinio
entrò sempre di più nella direzione degli affari di stato.
4) Alla morte di
Tarquinio
la vedova
Tanaquilla
decise di aiutare il genero a prendere il potere. Si decide di nascondere al popolo la morte di
Tarquinio
e di far credere che il re abbia designato
Servio
come suo sostituto durante la convalescenza.
Nel frattempo
Tullio
avrebbe citato in giudizio i Marci condannandoli a morte o all'esilio. Eliminati i pericolosi antagonisti
Tullio
avrebbe potuto annunciare la morte di
Tarquinio
ed ottenere facilmente la successione. Il figlio di
Tarquinio
era morto ed aveva lasciato due bambini.
Servio
avrebbe dovuto cedere il trono al primogenito quando questi fosse diventato adulto.
5) L'indomani
Tanaquilla
attuò il suo piano e comunicò al popolo quanto stabilito.
Tullio
aprì il processo contro i Marci ottenedone la condanna in contumacia all'esilio a vita ed alla confisca dei beni.
6)
Dionisio
disserta da
Fabio Pittore
e da altre fonti che sostenevano che i bambini fossero figli e non nipoti di
Tarquinio
. Considerando gli eventi della vita di
Tarquinio
che era arrivato a
Roma
almeno venticinquenne, era stato alla corte di
Anco Marzio
per diciassette anni ed aveva regnato per trentotto, il re doveva essere almeno ottuagenario al momento della morte e la moglie doveva verosimilmente avere circa settantacinque anni. Era quindi impossibile che la coppia avesse figli piccoli. Se invece i figli fossero stati vivi ed adulti non avrebbero accettato di essere soppiantati da
Servio
.
7) Ulteriore argomento per sostenere che erano nipoti e non figli di
Tarquinio
: il primogenito viene descritto nel pieno degli anni quando uccide
Servio Tullio
, mentre se fosse stato figlio di
Tarquinio
sarebbe stato più che settantenne ed avrebbe a sua volta preso il trono a novantasei anni. Avrebbe poi compiuto altre operazioni belliche per altri quattordici anni giungendo dunque all'età di centodieci anni.
Citazione di
Lucio Pisone Frugi
, l'unico ad aver riportato correttamente questi particolari (dal sommario del Libro Quarto
(Lacuna nel testo).
8) Quando giudicò di avere saldamente in mano il potere
Servio
dichiarò che
Tarquinio
era appena morto e gli diede sepoltura, dedicandogli un monumento. Quindi come tutore dei bambini assunse la custodia della famiglia e dello stato. Presto i
patrizi
divennero insofferenti del governo di
Tullio
e si organizzarono per deporlo.
Tullio
cercò di guadagnarsi l'appoggio popolare soccorrendo gli indigenti. Convocò il popolo in assemblea e pronunciò un discorso.
9) Discorso di
Tullio
. Dichiara la sua gratitudine verso
Tarquinio
, del quale si impegna a proteggere i figli. Assume su di se i debiti dei cittadini bisognosi e vieta, per il futuro, di garantire i debiti con la libertà personale. Preannuncia un censimento che servirà a ridistribuire le risorse e regolare più equamente la pressione fiscale.
10) Il discorso di
Tullio
fu molto apprezzato dall'assemblea. Nei giorni seguenti cominciò a mettere in pratica le sue promesse saldando personalmente i debiti degli indigenti e confiscando le terre pubbliche a quanti se le erano accaparrate illecitamente per distribuirle ai bisognosi. Ostilità del
Senato
. I senatori decidono di non tentare di deporre
Tullio
perchè troppo ben voluto dal popolo. Tullio sparge la voce che i
patrizi
tramavano contro di lui, quindi convoca di nuovo l'assemblea presentandosi con l'intera famiglia reale. Un altro discorso.
11) Dopo aver accusato gli usurai, quanti detenevano terreni pubblici e parte di
patrizi
di complottare con i figlio di
Marzio
per ucciderlo,
Tullio
rimette al popolo la decisione.
12) Il popolo si esprime favorevolmente nei confronti di
Tullio
, anche grazie all'operato dei suoi partigiani sparsi fra la folla. Si indicono elezioni che confermano
Tullio
al potere, si omette di far ratificare l'elezione al
Senato
.
13)
Tullio
emanò varie riforme in materia di diritto privato ed operò una ridistribuzione delle terre. Aggiunse al territorio urbano due
colli
: il
Viminale
e il
Quirinale
, egli stesso si stabilì sul
Quirinale
. La
Roma
dell'epoca doveva essere poco più grande di
Atene
.
14)
Tullio
cinse di mura i
colli
che con le sue annessioni erano diventati sette, e divise la città in quattro parti:
Palatina, Suburrana, Collina, Esquilina
. Portò il numero delle tribù da tre a quattro. In base a questa ripartizione regolò gli arruolamenti. Istituì le feste
Compitalia
, in onore degli eroi protettori dei crocicchi. Durante queste feste si svolgevano cerimonie cui partecipavano solo i servi che in quei giorni venivano trattati da liberi.
15) Divise tutto il territorio in ventisei regioni secondo
Fabio
, in trentuno secondo l'annalista Vennonio. A scopo di difesa e per riparo notturno fece costruire rifugi fortificati in ogni regione a cui dette il nome di
pagi
, parola che
Dionisio
considera nell'accezione greca con il significato, appunto, di rifugio. Istituì le feste
Paganalia
in onore delle divinità protettrici dei
quinquatria
.
Tramite il censimento istituì la tassazione diversificata e regolò gli impegni di arruolamento della cittadinanza.
Furono istituite tasse particolari da versare ad ogni nascita ed a ogni morte (al tempio di
Giunone
o a quello di
Venere
) e in occasione del raggiungimento della maggiore età (tempio di
Juventus
), di importo diverso per uomini, donne e bambini, in modo che il computo di tali tributi incassati aiutasse a determinare il numero dei cittadini viventi e degli uomini atti alla leva. Istituì quindi il censimento vero e proprio facendo obbligo ai cittadini di dichiarare le proprie generalità ed una valutazione esatta dei propri beni. L'evasione da queste norme poteva comportare la confisca dei beni, il flagello e la schiavitù.
16) Organizzò coloro che avevano il censo più alto in ottanta
centurie
armate. Quaranta
centurie
, formate dai più giovani, erano destinate alle operazioni in campo aperto mentre le altre quaranta erano destinate alla difesa della città. Queste ottanta
centurie
costituivano la prima classe. La seconda classe, formata da cittadini di censo medio, contava venti
centurie
, anche in questo caso i più giovani formavano dieci
centurie
adibite alle battaglie e le altre dieci
centurie
adibite alla difesa delle mura.
La terza classe, di un livello di censo più basso, era organizzata esattamente come la seconda in venti
centurie
, dieci da battaglia e dieci da difesa.
17) La quarta classe fu divisa in venti
centurie
, la quinta in trenta. L'ultima classe, formata da otto
centurie
comprendeva i meno abbienti che partecipavano alle attività belliche senza armamenti e provvedevano ai servizi logistici.
18) Le classi suddette formavano la fanteria. Scelse poi un contingente di cavalieri fra i detentori di maggior censo e di nascita illustre e di li divise in in diciotto
centurie
. I cittadini componenti la classe più povera furono esentati dagli obblighi militari e dal pagamento delle tasse.
Riepilogo delle Classi:
Prima classe 80
centurie
+ 18
centurie
di cavalleria
Seconda classe 22
centurie
compresi gli ausiliari
Terza classe 20
centurie
Quarta classe 22
centurie
compresi gli ausiliari
Quinta classe 30
centurie
.
19) Ciascuna delle 123
centurie
aveva l'obbligo di fornire un contingente militare calcolato su un principio di proporzionalità fra impegni e benefici. All'epoca le prestazioni militari non erano retribuite.
20) Per compensare gli oneri che la sua costituzione addossava ai
patrizi
ed ai possidenti
Servio Tullio
escogitò un metodo per fornire a queste classi il maggior potere in assemblea. Prese cioè a convocare ed a far votare l'assemblea con un voto per
centuria
, in questo modo - essendo le
centurie
degli abbienti numerose - le classi più alte si garantivano la decisione finale.
21) L'inganno di
Tullio
verso il popolo consisteva nell'univocità del voto esprimibile, indipendentemente dal numero dei cittadini iscritti in ogni
centuria
. I poveri, che erano i più numerosi, venivano consultati per ultimi e solo se le altre
centurie
erano in parità (caso estremamente improbabile).
22)
Tullio
, fissato l'ordinamento censitorio, ordinò la purificazione dell'esercito con il sacrificio di un toro, un ariete ed un caprone (Lustrum). I cittadini
Romani
registrati nelle tavole del censo erano in numero di 84.700.
Tullio
fece registrare anche gli schiavi affrancati e, distribuiti nelle quattro tribù urbane, li ammise nei pubblici affari.
23) I
patrizi
, indignati da questa ultima disposizione convocarono un'assemblea.
Tullio
illustra loro l'importanza di valutare bene uno schiavo prima di liberarlo ma anche la necessità di riconoscere la cittadinanza a questi schiavi meritevoli che essi stessi avevano liberato.
Tullio
ribadisce l'importanza di un elevato livello demografico per una città avviata a raggiungere l'egemonia. Il discorso del re convince i
patrizi
tanto che l'usanza era ancora praticata e ritenuta sacra ai tempi di
Dionisio
.
24) Usanze romane concernenti la schiavitù. I
Romani
acquisivano gli schiavi per lo più per averli catturati in guerra. I prigionieri venivano venduti all'asta o concessi in proprietà a chi li aveva catturati. Era abbastanza frequente che gli schiavi dimostratisi utili ed onesti venissero liberati senza pagare. Meno frequentemente la libertà veniva recuperata tramite il pagamento di un riscatto. Secondo
Dionisio
ai suoi tempi i costumi corrotti facevano si che gli schiavi si arricchissero tramite attività illecite come il furto e la prostituzione finchè giungevano a riscattarsi " e di colpo eccoli cittadini
Romani
". Queste circostanze e l'usanza di liberare molti schiavi per procurarsi celebrità facevano biasimare ad alcuni cittadini l'uso di concedere la cittadinanza ai
liberti
.
Dionisio
sollecita da parte delle autorità che i
liberti
vengano passati al vaglio da magistrati competenti prima di concedere loro la cittadinanza affinchè i soggetti indesiderabili vengano espulsi dalla città.
25)
Tullio
riformò anche il diritto processuale stabilendo che i processi pubblici fossero competenza del re mentre per le cause private fossero istituiti dei giudici con il compito di applicare le disposizioni della sua costituzione. Questa riforma comportava di fatto una riduzione delle prerogative del re che
Dionisio
ascrive al favore di
Servio Tullio
verso il popolo. Ammirando il
modello anfizionico
, inoltre,
Tullio
volle stabilire legami fra tutti i
Latini
per evitare guerre e sedizioni.
26)
Servio Tullio
convocò dunque un'assemblea dei capi latini per proporre una generale alleanza, sotto la supremazia romana, e la costruzione in
Roma
di un'area sacra ove svolgere solenni celebrazioni comuni. Ottenuto il consenso ed il contributo di tutte le città latine fece costruire il
Tempio di Diana sull'Aventino
. Fece incidere le disposizioni riguardanti il culto federale così istituito in una stele di bronzo ancora visibile ai tempi di
Dionisio
. L'autore dice che questa stele era scritta in antichi caratteri greci. (
Potrebbe trattarsi di quella di cui parla
R.M. Ogilvie
che ritiene fossero caratteri etruschi
)
27) Dopo la morte di
Tarquinio
le città che avevano firmato trattati con quel re non ritennero di doverli rispettare verso il suo successore, il quale fra l'altro non godeva il pieno consenso del
patriziato
romano. Ad aprire le ostilità furono come al solito i
Veienti
ai quali seguirono
Ceretani
e
Tarquiniesi
ed in breve tutta l'
Etruria
. La guerra che ne nacque durò venti anni durante i quali si svolsero numerosissime battaglie e
Servio Tullio
riportò tre trionfi. Alla fine gli
Etruschi
sconfitti accettarono la supremazia romana e ratificarono di nuovo i trattati stipulati con
Tarquinio
.
Tullio
si comportò con clemenza e fra le varie città tirrene solo quelle che si erano fatte promotrici della guerra,
Cere
,
Tarquinia
e
Veio
, furono punite con la perdita del territorio. Compiuti tali atti
Servio Tullio
dedicò due templi, uno nel
Foro Boario
, l'altro sulle sponde del
Tevere
, alla
Dea Fortuna
, della quale si sentiva debitore. Quando era avanti negli anni
Tullio
morì per colpa del genero
Tarquinio
e di sua figlia, per cause che
Dionisio
si accinge a raccontare.
28)
Tullio
aveva due figlie avute dalla moglie
Tarquinia
, figlia di
Tarquinio
. Le fece sposare con i cugini materni, nipoti di
Tarquinio
.
Dionisio
riporta una bizzarra tradizione: uno dei generi, mite e rispettoso, aveva sposato una figlia scellerata di
Servio
, prontissima a tramare contro il padre, viceversa l'altra figlia, saggia ed amorevole aveva sposato
Lucio
il quale aspirava a spodestare il suocero ed impadronirsi del regno.
29) Infine
Tullia
, la figlia malvagia, convocò il cognato ad un colloquio segreto e gli propose di eliminare i rispettivi consorti per unirsi in matrimonio ed organizzare la conquista del trono.
30) Poco tempo dopo, si era nel quarantesimo anno del regno di
Servio Tullio
, i due consorti indesiderati perirono in circostanze non chiarite,
Tarquinio
e
Tullia
si sposarono e cominciarono a tramare più o meno manifestamente contro il vecchio re.
Servio Tullio
cercò di ridurli alla ragione, quindi citò
Tarquinio
davanti al
Senato
perchè esponesse i motivi della sua ostilità.
31 - 32) Davanti al
Senato
Tarquinio
accusa
Servio Tullio
di aver usurpato il trono e di non averglielo consegnato quando aveva raggiunto l'età opportuna per reggerlo. Lo accusa di aver acquisito il potere in modo irregolare, sobillando la
plebe
, e gli intima di rimettere il regno nelle sue mani minacciandolo, in caso contrario di azioni drastiche.
33 - 34)
Servio Tullio
replica deprecando l'ingratitudine di
Tarquinio
e contestando il principio di ereditarietà del trono e poichè le irregolarità di cui viene accusato avrebbero eventualmente offeso il popolo e non
Tarquinio
rifiuta di abdicare.
35) Infine
Servio
dopo aver contestato l'intempestività delle accuse di
Tarquinio
che avrebbe dovuto citarlo in giudizio molti anni prima se avesse avuto valide ragioni, rimette la decisione nelle mani del popolo.
36)
Servio
si rivolge al
Senato
per difendere il suo operato durante i suoi quaranta anni di regno.
37)
Tullio
convoca immediatamente l'assemblea popolare e tiene una lunga orazione rammentando tutti gli eventi del suo regno e difendendo le proprie posizioni.
Tarquinio
è costretto a fuggire con i suoi amici per evitare l'indignazione popolare.
38) Umiliato dal successo popolare di
Tullio
,
Tarquinio
cerca la riconciliazione ma alla prima occasione propizia arma una congiura di
patrizi
e tende un agguato al re in
Senato
: presentandosi vestito di abiti regali occupa il trono ed aggredisce fisicamente
Tullio
che era imprudentemente accorso con pochissimo seguito. Il re ferito e malconcio è costretto ad allontanarsi.
39)
Tullia
sopraggiunge su un carro e saluta
Tarquinio
come nuovo re quindi, presolo in disparte, lo istiga ad eliminare
Servio Tullio
, consiglio che viene subito accettato. E poco dopo
Servio Tullio
viene assassinato dai sicari di
Tarquinio
, per colmo di empietà
Tullia
vuole passare con il carro sul cadavere del padre.
40)
Servio Tullio
fu ucciso dopo quarantaquattro anni di regno. Fu il primo sovrano a prendere il potere senza essere stato designato dagli interrè e dal
Senato
, tuttavia secondo
Dionisio
la moderazione e la saggezza lo portarono a guadagnare il favore popolare e a far dimenticare le sue origini oscure ed il modo discutibile in cui aveva ottenuto il trono. Dopo la morte di
Tullio
la città era in grande agitazione e
Tarquinio
, temendo la reazione della
plebe
, proibì che al defunto re fosse tributato il consueto cerimoniale funebre. Alla vedova non rimase quindi che trasportare la salma fuori città maledicendo il genero e la figlia. Rientrata a casa dopo la cerimonia la vedova morì durante la notte, forse suicida, forse uccisa dal genero. Sul conto di
Servio
nacquero tradizioni leggendarie, fra cui quella che raccontava come una sua statua lignea collocata nel tempio della Fortuna Virile fosse scampata all'incendio che aveva distrutto il tempio stesso.
41) Dopo di lui regnò
Lucio Tarquinio
, nel quarto anno della 61ma Olimpiade (
532 a.C.
).
Tarquinio
disprezzò il popolo ed il
Senato
e convertì il suo potere in una vera e propria tirannide. Istituì subito una nutrita ed agguerrita guardia del corpo che tutelava giorno e notte la sua sicurezza personale. Non concedeva udienze e trattava tutti in modo scortese e irascibile, amministrava la giustizia arbitrariamente. Per queste ragioni ebbe dai
Romani
il soprannome di " Superbo ", mentre suo nonno fu detto "
Tarquinio Prisco
".
42) trascinò in accuse i suoi avversari e quanti disapprovavano la sua ascesa al potere. Con giudizi sommari li condannava a morte o all'esilio e confiscava i loro beni di cui distribuiva una parte ai propri sostenitori. Molti cittadini si salvarono dalle sue persecuzioni partendo in esilio volontario prima di venire coinvolti. Con epurazioni e condanne eliminò gran parte dei senatori sostituendoli con altri a lui compiacenti.
43) Abolì le leggi scritte da
Servio Tullio
e fece distruggere le tavole affisse nel
Foro
, soppresse la tassazione basata sul censo obbligando tutti a pagare dieci dracme a persona. Proibì le assemblee e le riunioni pubbliche e sparpagliò spie e delatori fra il popolo.
44) Temendo sedizioni da parte della
plebe
in ozio intraprese molti lavori pubblici per completare i canali che portavano al fiume le acque di scolo e dotò di portici l'ippodromo.
45) Per ottenere l'appoggio dei
Latini
fece sposare la propria figlia con un illustre cittadino di
Tuscolo
, di nome
Ottavio Mamilio
. Ottenuta l'alleanza dei
Latini
decise di muovere guerra contro i
Sabini
che non volevano più rispettare i trattati stipulati con
Servio Tullio
. Convocò l'assemblea dei
Latini
ma non si presentò, suscitando l'indignazione di tutti e soprattutto quella dell'influente
Turno Erdonio
che pronunciò severe critiche contro di lui. Per la mediazione di
Mamilio
il consiglio venne sospeso e rinviato di un giorno.
46) Il mattino seguente
Tarquinio
scusò in modo vago il ritardo e passò senz'altro a reclamare la supremazia sui
Latini
in forza degli accordi stipulati da suo nonno. Venne duramente contestato da
Turno Erdonio
.
Erdonio
si oppone all'egemonia di
Tarquinio
, lo accusa di aver usurpato il trono romano e di esercitare di fatto la tirannide, esorta dunque i
Latini
a non accogliere le sue richieste, anzi a ribellarsi e a combatterlo.
47)
Tarquinio
chiese ed ottenne un giorno per preparare la propria difesa contro le accuse di
Turno Erdonio
, in realtà preparò la rovina del suo accusatore. Corrompendo i servi di
Turno
fece nascondere delle armi nella sua casa poi si presentò al consiglio. L'astio di
Turno
verso di lui, disse
Tarquinio
all'auditorio, derivava dal suo rifiuto di concedergli la figlia in moglie, d'altronde
Turno Erdonio
era un cospiratore e tramava per tiranneggiare i
Latini
. A prova delle sue accuse
Tarquinio
disse di essere venuto a sapere che
Erdonio
nascondeva molte armi, preparando il colpo di stato.
48) Ignaro del tradimento
Turno
sottopone volentieri la sua casa alla perquisizione ma quando trovarono le armi i
Latini
lo giustiziano sommariamente e ringraziano
Tarquinio
per aver sventato il colpo di stato. Si rinnovano i trattati di pace ed i
Latini
riconoscono la supremazia del re romano.
49)
Tarquinio
propose l'alleanza anche ai
Volsci
ed agli
Ernici
. Gli
Ernici
aderirono compatti mentre fra i
Volsci
solo le città di
Ecetra
e di
Anzio
accettarono l'invito.
Tarquinio
fissò un centro comune per celebrare una festa in onore di
Zeus
laziale sul monte che sovrasta la città di
Alba
.
50)
Tarquinio
depredò le campagne dei
Sabini
quindi attaccò la città volsca di
Suessa Pometia
. Dopo aver vinto alcuni scontri con i
Pomentini
strinse la città in assedio ed espugantala la saccheggiò ampiamente trucidando o traendo in schiavitù gli abitanti. Destinò un decimo dell'oro ricavato dal saccheggio alla costruzione di un tempio mentre divise il resto con i soldati (diversamente in
Livio
l'oro viene interamente destinato alla costruzione del tempio ma poi impiegato per le spese di guerra).
51) Durante l'assedio di
Suessa Pometia
Tarquinio
seppe che i
Sabini
avevano preparato due eserciti. Li incontrò ad
Ereto
. La fortuita cattura di un messaggero delle truppe sabine permise a
Tarquinio
di venire a conoscenza dei piani del nemico e di agire di conseguenza. Appostò parte del suo esercito in posizione strategica durante la notte. Il vantaggio derivato da questa manovra gli permise di accerchiare e battere facilmente il nemico il mattino seguente.
52) Sconfitti così i contingenti
Sabini
accampati ad
Ereto
Tarquinio
marciò contro quelli di stanza a
Fidene
. Questi si arresero spontaneamente alla vista delle teste dei
Sabini
uccisi ad
Ereto
che i
Romani
ostentavano sulla punta delle lance ; si arresero senza combattere. Ottenuta la sottomissione dei
Sabini
e ricavato così un ricco bottino,
Tarquinio il Superbo
prese a compiere scorrerie e saccheggi nel territorio dei
Volsci
, finchè non scoppiò una lunga guerra.
53) Era all'epoca fiorente ed importante la città di
Gabii
. A
Gabii
si erano rifugiati molti dei superstiti di
Suessa
che chiedevano aiuto per vendicarsi di
Tarquinio
. Altrettanto facevano i
Volsci
che cercavano l'alleanza di
Gabii
. In breve iniziarono fra
Gabii
e
Roma
ostilità e rappresaglie, che sfociarono infine in una lunga guerra.
54)
Tarquinio
organizzò le difese ed aumentò le fortificazioni della cinta muraria ma il protrarsi della guerra portò entrambe le città ad una situazione di grave penuria di rifornimenti. A
Roma
la parte più povera della popolazione sollecitava la pace.
55) Un figlio di
Tarquinio il Superbo
di nome
Sesto
(in
Dionisio
è il maggiore, in
Livio
il minore) escogitò uno stratagemma per far cadere
Gabii
. D'accordo con il padre finse di essere in contrasto con lui, subì delle pubbliche punizioni ed infine cercò l'aiuto dei
Gabii
che ben volentieri lo accolsero offrendogli protezione. Trasferitosi a
Gabii
Sesto
operò numerose incursioni in territorio romano procurando, grazie alla segreta complicità del padre, ricchi bottini. In breve
Sesto
arrivò a condizioni di massimo prestigio a
Gabii
. A quel punto inviò segretamente un messo a
Tarquinio
per chiedergli istruzioni.
56)
Tarquinio
, per tenere segreto al messo il contenuto della risposta ricorse ad un gesto significativo: spezzò con un bastone i papaveri più alti di un campo, per indicare che il figli doveva eliminare i personaggi più importanti di
Gabii
.
Sesto
convocò l'assemblea e simulò di essere oggetto di una macchinazione che lo costringeva a rinunciare al comando e ad abbandonare
Gabii
.
57)
Sesto
denunciò un certo
Antistio Petrone
, illustre cittadino.
Antistio
si dichiarò innocente ma con una perquisizione della sua casa si scoprì una lettera di
Tarquinio
che lo comprometteva completamente. Ovviamente la lettera era stata nascosta nella casa dai servi di
Antistio
corrotti da
Sesto
.
Antistio
fu subito lapidato dalla folla.
58) Subito informato da
Sesto
degli eventi
Tarquinio
mosse con le sue truppe verso
Gabii
ed approfittando della confusione che ormai regnava in città riuscì rapidamente a vincere le difese. Contrariamente alle sue abitudini si comportò in modo magnanimo non applicando ai
Gabii
nessuna punizione o confisca anzi ammettendoli alla parità dei diritti con i cittadini
Romani
. Suo scopo era quello di creare negli abitanti di
Gabii
un folto gruppo di sostenitori del suo potere.
Dionisio
dice che ancora ai suoi tempi era visibile a
Roma
nel tempio di
Giove
uno scudo recante l'iscrizione del giuramento di pace avvenuto in quell'occasione.
59) Dopo la pace con i
Gabii
Tarquinio
evitò di intraprendere nuove imprese belliche e si dedicò a costruire templi per
Zeus
,
Era
e
Atena
che
Tarquinio Prisco
aveva votato durante la guerra con i
Sabini
e non era riuscito a completare. Durante gli scavi per la costruzione avvenne un prodigio: fu rinvenuta a grande profondità la testa di un uomo che sembrava sgozzato da poco, ancora sanguinante. Gli indovini romani non seppero interpretare il fenomeno e rimisero il caso ai colleghi etruschi.
60) Ambasciatori di
Tarquinio
si recano da un
augure
etrusco per chiedergli la spiegazione del prodigio della testa mozzata. Li accoglie il giovane figlio dell'
augure
che li consiglia su come porre le domande.
61) Il responso spiega che la testa è quella di tutta l'
Italia
. I
Romani
chiamano allora il luogo
Colle Capitolino
.
Dionisio
descrive i tre templi sul colle, dedicati a
Giove
,
Giunone
e
Minerva
.
62) Una donna non romana offrì un giorno in vendita nove libri a
Tarquinio
che rifiutò di comperarli. La donna tornò qualche giorno dopo: aveva bruciato tre dei nove libri ma chiedeva lo stesso prezzo. Fu derisa e scacciata da
Tarquinio
. Tornò ancora, con soli tre libri e chiese ancora lo stesso prezzo. Stupitissimo il tiranno consultò gli
auguri
che sentenziarono che i libri dovevano contenere oracoli inviati dagli dei ed il re comperò i tre volumi superstiti. In questo modo secondo la tradizione,
Roma
acquisì i
Libri Sibillini
.
I
Libri
furono gelosamente custoditi dai
Romani
per secoli e consultati nelle grandi occasioni. Nell'
83 a.C.
un incendio distrusse il tempio di
Giove Capitolino
e con esso i libri originali che furono sostituiti con copie che si trovavano in varie città. Citazione di
Terenzio Varrone
in merito.
63)
Tarquinio
fondò due città, Signa e
Circea
, presso il promontorio dove il mito collocava la dimora di
Circe
. Affidò le due colonie ai suoi figli:
Circea
ad
Arunte
, Signa a
Tito
. Quando era all'apice del potere, però cadde in disgrazia a seguito di una congiura e dello scandalo provocato da suo figlio
Sesto
che aveva violentato una nobildonna. La disgrazia di
Tarquinio
era stata annunciata da un prodigio quando gli avvoltoi avevano scacciato due aquile che nidificavano nel giardino della reggia.
64)
Dionisio
riepiloga gli eventi che porteranno alla caduta di
Tarquinio
. Mentre
Tarquinio
assediava
Ardea
inviò il figlio
Sesto
in missione nella città di
Collatia
, ospite di un parente di nome
Lucio Tarquinio detto il Collatino
. Secondo
Fabio Pittore
questo
Collatino
era figlio di
Egerio
, figlio del fratello di
Tarquinio Prisco
.
Dionisio
è invece dell'opinione che
Egerio
fosse il nonno di
Collatino
.
Durante la sua permanenza a
Collatia
Sesto
decise di sedurre
Lucrezia
, moglie di
Collatino
. Una notte si introdusse nella stanza di lei con la spada in pugno.
65)
Sesto
propose alla donna di compiacerlo promettendole di sposarla e farla regina, si riteneva infatti il certo erede del trono, in caso contrario l'avrebbe uccisa ed infamata, asserendo di averla trovata a letto con un servo. Atterrita
Lucrezia
cedette.
66) L'indomani
Lucrezia
si reca a
Roma
da suo padre per chiedergli di vendicarla dell'oltraggio subito.
67) Convocati tutti i parenti
Lucrezia
racconta l'accaduto e si uccide chiedendo di essere vendicata. Fra i parenti c'è
Publio Valerio
che viene incaricato di andare ad avvertire
Collatino
che si trovava fuori città ed era ignaro dell'accaduto. Insieme a
Collatino
,
Valerio
trova
Giunio Bruto
.
Dionisio
si accinge a narrare le origini di
Bruto
ed il motivo del suo soprannome (Sciocco).
68)
Lucio Giunio Bruto
era figlio di Marco Giunio, di antica famiglia, sua madre era
Tarquinia
, figlia di
Tarquinio Prisco
. Durante il regno di
Tullio
era cresciuto ricevendo un'ottima educazione, ma quando
Tarquinio il Superbo
aveva ucciso
Tullio
aveva eliminato, fra le molte vittime delle sue persecuzioni anche il padre ed il fratello di
Lucio
. Al ragazzo, molto giovane e privo di aiuti, non era rimasto che fingersi semidemente per passare inosservato.
69)
Tarquinio
lo aveva privato dei beni paterni e dotatolo di un piccolo sussidio lo aveva tenuto nella sua casa come parente orfano.
Lucio Giunio
aveva continuato a far lo stupido per divertire i figli di
Tarquinio
.
Quando una pestilenza decimò i
Romani
,
Tarquinio
inviò i suoi figli, e con questi
Bruto
, a consultare l'oracolo di
Delfi
.
Bruto
offrì al dio un flauto di legno divertendo molto i compagni ma il flauto in realtà era una verga d'oro e quando l'oracolo sentenziò che avrebbe regnato sui
Romani
il primo di loro che avesse baciato la madre
Bruto
fu l'unico a comprendere e appena sbarcato in
Italia
baciò la terra.
70) Udendo la notizia del suicidio di
Lucrezia
Bruto
decise che era ora di smettere la finzione e di agire contro il tiranno.
Bruto
svelò a
Collatino
ed a i parenti di
Lucrezia
la propria finzione e parlò loro fino a convincerli ad agire. Giurò quindi sul cadavere della donna di combattere i
Tarquini
fino alla loro cacciata o alla propria morte.
71)
Bruto
espone il suo piano: si tratta di portare nel
Foro
il cadavere ancora insanguinato di
Lucrezia
e di denunciare pubblicamente l'onta subita,
Giunio
, che ha il potere di convocare l'assemblea in quanto comandante dei
celeri
, è certo di riuscire a far votare la destituzione di
Tarquinio
. Il re gli aveva conferito la carica proprio perchè lo riteneva inoffensivo.
72) I ribelli discutono sulla forma di governo da instaurare una volta cacciato
Tarquinio
. Sono tre le diverse opinioni: eleggere un nuovo re, affidare il potere al
Senato
, instaurare la democrazia.
73) Infine
Bruto
propone con un breve discorso di instaurare un governo di due uomini, rifacendosi al modello spartano.
74)
Giunio
propone inoltre che vengano aboliti molti simboli regali e che i magistrati supremi durino in carica un solo anno, come avveniva ad
Atene
. In questo modo
Giunio
sostiene che si continuerà a beneficiare dei vantaggi della monarchia senza subire i pericoli. Propone inoltre di istituire un "
Rex Sacrorum
" per la celebrazione dei sacrifici.
75)
Bruto
propone di affidare ad un interrè la scelta dei nuovi magistrati.
76) Viene deciso che si elegga come interrè
Spurio Lucrezio
(il padre di
Lucrezia
), che
Bruto
e
Collatino
siano i due nuovi magistrati ai quali sarà dato il nome di
Consules
.
La salma di
Lucrezia
viene trasportata nel
Foro
, qui
Bruto
tiene un discorso.
77) Discorso di
Bruto
. Inizia precisando che la sua follia è sempre stata simulata per motivi di sicurezza.
78) Accusa di tirannia
Tarquinio
ed annuncia la decisione dei
patrizi
di destituirlo.
79) Riepilogo delle principali malefatte di
Tarquinio
. L'uccisione del fratello
Arunte
con la complicità della cognata. Uccisione della prima moglie e matrimonio con la cognata. Uccisione di
Servio Tullio
e della moglie
Tarquinia
.
80) Denuncia gli atti illegali compiuti da
Tarquinio
per prendere il potere.
81) Crimini e vessazioni commessi da
Tarquinio
ai danni dei cittadini e dei senatori, sospensione da parte sua delle assemblee.
82) Se
Lucrezia
, dice
Bruto
, ha preferito eroicamente morire, anche tutti i
Romani
devono considerarsi infelici perché privati della libertà.
83) Esortati anche i
plebei
a lottare per la libertà,
Bruto
conclude il proprio discorso con la considerazione che un'impresa di valore avrà certamente un esito felice.
84) Entusiasmo e collera della folla. Alla fine del discorso di
Bruto
la folla è unanime nella decisione ma
Bruto
chiede che l'espulsione dei
Tarquini
sia confermata da una regolare votazione. Ottenuto il consenso
Bruto
spiega rapidamente le nuove magistrature ed indica
Spurio Lucrezio
come interrè. Questi a sua volta propone
Bruto
e
Collatino
come primi
consoli
e i
comizi
confermano la loro nomina.
85)
Tarquinio il Superbo
, che si trovava in un accampamento fuori città, cerca di tornare a
Roma
ma trova le porte sbarrate e le guardie ostili. Tornato nel suo accampamento trova le truppe già informate degli ultimi avvenimenti e contrarie alla monarchia, perchè nel frattempo, anche i soldati suddivisi per
centurie
avevano votato ratificando la condanna del re.
Tarquinio
è costretto a rifugiarsi a
Gabii
, presso suo figlio
Sesto
, che era stato da lui nominato re di
Gabii
.
Libro Quinto
1) Fu così abolita dopo duecentoquarantaquattro anni dalla fondazione la monarchia romana (
Dionigi
indica come data l'
arcontato ateniese
di
Isagora
,
507 a.C.
).
Furono nominati i primi
consoli
:
Lucio Giunio Bruto
e
Lucio Tarquinio Collatino
, e fu decretato il bando perpetuo dei
Tarquini
e la definitiva abolizione della monarchia.
Venne tuttavia conservata (per motivi rituali) la carica di re da assegnare ad un magistrato privo di poteri politici che si occupasse esclusivamente dei sacrifici e di altre funzioni religiose. Il primo ad essere scelto per questa carica fu
Manio Papirio
.
2) Vennero definite le insegne dei
consoli
e ripristinata la normativa di
Servio Tullio
che era stata abrogata da
Tarquinio il Superbo
.
3) Intanto
Tarquinio
sostava a
Gabii
in cerca di aiuti militari per riprendere il potere. Non ottenendone si trasferì a
Tarquinia
, città degli
Etruschi
.
Qui si procurò il favore della cittadinanza elargendo doni e ricordando le proprie origini etrusche ed ottenendo che una delegazione della città si recasse a
Roma
a perorare in suo favore.
4) Ricevuti in
Senato
gli ambasciatori chiesero che a
Tarquinio
fosse concesso di giustificare pubblicamente il suo operato e, nel caso non lo si volesse reintegrare sul trono, gli si permettesse almeno di vivere a
Roma
come privato cittadino.
5) Ottenuto un rifiuto, gli ambasciatori chiesero che venissero restituiti ai
Tarquini
i beni di famiglia con i quali vivere dignitosamente lontano da
Roma
e presero congedo.
Sull'ultima richiesta
Bruto
e
Collatino
non concordavano. Il primo propose che i beni di
Tarquinio
fossero sequestrati per non fornire agli esuli i mezzi per organizzare un'aggressione, il secondo voleva evitare che i
Romani
fossero tacciati di aver cacciato il re per prendere le sue ricchezze.
6) Dopo aver discusso a lungo il
Senato
demandò la decisione al popolo che votò con un minimo margine la restituzione dei beni.
Intanto gli ambasciatori etruschi, rimasti a
Roma
per attendere la decisione, prendevano contatti con quanti fra la popolazione erano segreti sostenitori dei
Tarquini
. Fra questi erano i figli di
Bruto
, due suoi cognati e due nipoti di
Collatino
.
7) Uno schiavo ascoltò non visto una riunione dei congiurati che tramavano per far rientrare i
Tarquini
e li denunciò a
Publio Valerio
il quale li arrestò e li condusse ai
consoli
.
8) Inflessibile,
Bruto
condannò a morte i propri figli ed assistette personalmente alla loro esecuzione senza dimostrare emozioni.
9-10) Si passò quindi a processare i nipoti della moglie di
Collatino
ma questi si oppose alla loro condanna. Ne nacque un diverbio fra i due
consoli
e
Bruto
, accusando il collega di connivenza con i congiurati, sottopose la questione al popolo.
11) Intervenne
Spurio Lucrezio
, il padre di
Lucrezia
, e convinse
Collatino
a lasciare
Roma
e
Bruto
a lasciarlo andare in modo onorevole.
12) La proposta fu accolta e
Collatino
lasciò
Roma
con onore e con una ricca donazione, si trasferì a
Lavinio
dove morì molti anni più tardi.
13) Partito
Collatino
,
Bruto
indisse le elezioni per sostituirlo nel consolato e fu scelto
Publio Valerio
, noto per la sua sobrietà. Con il nuovo collega
Bruto
prese alcune importanti decisioni: tutti i congiurati furono giustiziati, il numero dei senatori fu portato a trecento, i beni dei
Tarquini
vennero divisi fra la popolazione.
Considerando sacrilego il grano che i
Tarquini
avevano coltivato su un terreno pubblico di cui si erano impadroniti,
Bruto
e
Valerio
ordinarono di gettarlo nel
Tevere
. La quantità era tale da formare l'
Isola Tiberina
(la notizia non è veritiera, in realtà l'Isola è una formazione naturale).
A quanti erano fuggiti con
Tarquini
i
consoli
accordarono venti giorni per rientrare a
Roma
ed essere perdonati, ma superata la scadenza avrebbero subito l'esilio perpetuo e la confisca dei beni.
14) I
Tarquini
organizzarono un tentativo di riprendere il potere con l'aiuto dei
Veienti
e dei
Tarquinesi
. Avendone avuto sentore, i
consoli
uscirono da
Roma
con l'esercito per affrontarli ma prima che iniziassero i combattimenti
Arunte
figlio di
Tarquinio il Superbo
sfidò
Bruto
a duello.
15) Il combattimento fu durissimo ed entrambi i contendenti persero la vita. Immediatamente scoppiò la battaglia e l'ala destra romana comandata da
Valerio
sconfisse i
Veienti
, ma i
Tarquinesi
ebbero il sopravvento sull'ala sinistra e cercarono - senza successo - di superare le trincee nemiche.
16) Durante la notte i
Romani
, depressi per le gravi perdite subite, meditavano di abbandonare il campo quando furono incoraggiati da una voce misteriosa proveniente dal bosco che attribuirono a
Fauno
.
Valerio
attaccò i nemici senza attendere l'alba e ne fece strage.
Rientrato a
Roma
Valerio
fu acclamato per la vittoria ed il giorno seguente pronunciò l'elogio funebre di
Bruto
.
17-18)
Dionigi
si sofferma sull'usanza dell'elogio funebre che sostiene essere più antica a
Roma
che non in
Grecia
, inoltre i
Romani
per molto tempo dedicarono queste orazioni alle virtù espresse dal defunto durante l'intero corso della vita mentre i Greci usavano onorare soltanto le morti gloriose in combattimento.
19) Dopo la morte di
Bruto
,
Valerio
che era rimasto solo al comando ed aveva costruito la sua casa in un luogo prestigioso del
Palatino
fu sospettato di aspirare alla tirannia.
Per evitare problemi
Valerio
si trasferì in un luogo più modesto e convocò subito i
comizi
che elessero
Spurio Lucrezio
. Questi morì pochi giorni dopo e fu sostituito da
Marco Orazio
. Inoltre
Valerio
semplificò le insegne consolari togliendo le scuri dai fasci e varò provvedimenti molto popolari che gli fruttarono il soprannome di Publicola.
20) L'anno successivo (
508 a.C.
)
Valerio
fu nuovamente eletto ed ebbe come collega
Tito Lucrezio Tricipitino
. Si fece un censimento rinnovando le norme di
Servio Tullio
abrogate da
Tarquinio
.
21) Ancora l'anno seguente (
507 a.C.
)
Valerio
fu rieletto con
Marco Orazio
(
Tito Erminio
secondo
Livio
).
Il re etrusco di
Chiusi
Porsenna
inviò ambasciatori a
Roma
a parlare in favore dei
Tarquini
. Le sue richieste vennero respinte e
Porsenna
dichiarò guerra ai
Romani
. Insieme a
Ottavio Mamilio
, genero di
Tarquinio
, mosse contro
Roma
con un esercito formato da
Etruschi
e da alleati latini (
Camerini
e
Antemnati
).
22) I
consoli
curarono le difese: fortificarono il
Gianicolo
, schierarono l'esercito ed emanarono provvedimenti favorevoli ai poveri per evitare defezioni.
23)
Porsenna
espugnò il
Gianicolo
ma trovò l'accesso al
Tevere
sbarrato dalle milizie romane. Le forze etrusche erano comandate da
Tito
e
Sesto
, figli di
Tarquinio
, da
Mamilio
e dallo stesso
Porsenna
mentre a capo dei
Romani
, oltre ai
consoli
, erano
Spurio Larcio
,
Tito Erminio
,
Marco Valerio
fratello di
Publicola
e l'ex console
Tito Lucrezio
.
Nel corso della battaglia Valerio e
Lucrezio
vennero feriti ed i soldati dall'ala sinistra da loro comandata ne furono disorientati; il loro panico contaggiò l'ala destra. In breve l'intero esercito romano era in fuga ed il nemico ne approfittò per tentare un assalto decisivo all'unico ponte verso la città che da quel lato era priva di mura.
A difendere quel ponte rimasero
Spurio Larcio
,
Tito Erminio
ed il giovane
Publio Orazio detto Coclite
perchè aveva perso un occhio in battaglia. Questo
Orazio
era figlio di un fratello del console
Marco Orazio
e discendeva dagli
Orazi
che avevano duellato contro i
Curiazi
.
24) I tre riuscirono a coprire la ritirata dell'esercito, quindi
Larcio
ed
Erminio
indietreggiarono ma
Orazio Coclite
rimase al suo posto gridando ai compagni di far crollare il ponte.
Orazio
, pur straziato di ferite, contenne l'impeto del nemico finché i
Romani
non ebbero tagliato le funi che sostenevano il ponte, quindi si tuffò nel fiume completamente armato e riuscì con grande difficoltà a raggiungere la riva opposta.
25) Molti credettero che
Orazio
sarebbe morto per le ferite ma il giovane guarì e ricevette ogni possibile onore e molti doni. Rimasto zoppo non potè più partecipare ai combattimenti e rivestire cariche militari ma fu per sempre onorato per la sua impresa.
26) Gli
Etruschi
assediavano la città impedendo ai
Romani
di lavorare la terra e pascere il bestiame, tagliavano i rifornimenti e presto ridussero la popolazione alla fame nonostante un carico di provviste provenienti dalla
Campania
che i
consoli
erano riusciti a introdurre in
Roma
.
Porsenna
, in questa situazione, intimò ai
Romani
di riaccogliere
Tarquinio
per far cessare l'assedio. La proposta venne respinta ed un cittadino di nome Muzio si offrì di introdursi nel campo nemico fingendosi disertore per uccidere
Porsenna
.
27-29) Muzio riuscì a penetrare nell'accampamento etrusco ma non avendo mai visto
Porsenna
uccise per errore lo scriba reale. Catturato e condotto di fronte al re gli fece credere di essere il primo fra trecento giovani romani che avevano giurato di ucciderlo annunciandogli una lunga serie di attentati.
30-32) Spinto da questa minaccia e dal malcontento delle sue truppe per il prolungarsi della guerra,
Porsenna
inviò ambasciatori a trattare con i
Romani
. Rinunciava alla reintegrazione di
Tarquinio
chiedendo soltanto la restituzione o il risarcimento dei beni sequestrati e la restituzione di un territorio che i
Romani
avevano tolto agli
Etruschi
.
I
Romani
accettarono la seconda richiesta ma non la prima e proposero a
Porsenna
di fare da arbitro sulla questione dei beni in contenzioso, consegnando un gruppo di ostaggi a garanzia della tregua.
33) Mentre
Porsenna
si accingeva a esaminare la causa, tuttavia, gli ostaggi guidati da una di loro di nome
Clelia
fuggirono traversando il fiume a nuoto.
Il console Valerio che si trovava presso il campo nemico per le trattative, declinò la responsabilità della fuga e concordò con
Porsenna
di andare a riprendere gli ostaggi, ma
Tarquinio
ed il figlio gli tesero una trappola.
34) L'agguato fallì e
Porsenna
, sdegnato per la slealtà dei
Tarquini
, li cacciò dal campo e concluse la pace con gli ambasciatori inviando a
Roma
tutti i prigionieri e ricchi doni.
35) Il
Senato
romano decretò di donare a
Porsenna
le insegne regali che erano state dei
Tarquini
, conferì premi ed onori a Muzio come già ad
Orazio Coclite
e dedicò una statua a
Clelia
.
Nello stesso anno fu completato il
tempio di Giove Capitolino
.
36) Nel quarto anno della repubblica furono
consoli
Spurio Larcio
e
Tito Erminio
.
Arunte
figlio di
Porsenna
dopo la pace con i
Romani
aveva tentato la conquista di
Aricia
ma era stato sconfitto ed ucciso dalle truppe di soccorso giunte da
Anzio
,
Tuscolo
e
Cuma
.
Molti soldati di
Arunte
, sbandati e feriti, furono aiutati dai
Romani
ed una volta guariti chiesero di poter rimanere a
Roma
ed ebbero dal
Senato
un terreno fra il
Foro
ed il
Circo Massimo
. La zona, ancora ai tempi di
Dionigi di Alicarnasso
, si chiamava Contrada Tirrena.
37) L'anno successivo (
505 a.C.
) ebbero il consolato
Marco Valerio
, fratello di
Publicola
, e
Publio Postumio Tuberto
.
Si aprirono contro i
Sabini
ostilità che sarebbero durate quattro anni. I
Sabini
, credendo
Roma
indebolita dalla guerra con gli
Etruschi
, razziarono il suo territorio.
Dopo i consueti tentativi di ottenere soddisfazione, i
Romani
dichiararono guerra ed alla prima occasione il console
Valerio
fece strage dei razziatori.
38-39) I
Sabini
inviarono un esercito che si fermò sulle rive dell'
Aniene
, sull'altra riva si trovavano schierate tutte le forze romane comandate da entrambi i
consoli
.
Dopo essersi fronteggiati per qualche tempo i due eserciti si scontrarono, a provocare la battaglia fu una casuale scaramuccia che coinvolse rapidamente i due accampamenti. I
Romani
ebbero il sopravvento e molti
Sabini
si salvarono grazie al sopraggiungere dell'oscurità che coprì la loro fuga.
La vittoria fu celebrata con il trionfo dei
consoli
.
40) L'anno successivo
Valerio Publicola
ricoprì il suo quinto consolato, gli era di nuovo collega
Tito Lucrezio
.
Le città sabine si riorganizzarono per riprendere la guerra, sollecitate anche della propaganda antiromana di
Sesto
figlio di
Tarquinio
che venne nominato generale dell'esercito confederato.
Il nobile dissidente
Tito Claudio Regillo
, consapevole che avrebbe rischiato con la guerra un gran numero di amici, parenti e clienti, si trasferì a
Roma
con il suo seguito. Fu bene accolto dai
Romani
, iscritto fra i patrizi e ricevette terreno per la sua gente dalla quale discese la
gens Claudia
.
41-42) Questa volta i due eserciti si fronteggiarono presso
Fidene
.
Sesto Tarquinio
progettava di attaccare a sorpresa durante la notte ma un disertore avvertì i
consoli
.
Quando i
Sabini
si mossero per mettere in atto il loro piano, i
Romani
li attendevano nascosti intorno al campo e ne uccisero molti in silenzio finchè non sorse la luna. Al chiarore lunare i
Sabini
videro i cumuli di cadaveri dei loro compagni e tentarono la fuga ma i
Romani
attaccarono e fecero una strage. Secondo
Dionigi
i
Sabini
subirono tredicimila perdite e quattromila dei loro furono fatti prigionieri.
43) Nei giorni successivi i
consoli
assediarono ed espugnarono
Fidene
ma non infierirono sulla popolazione limitandosi a giustiziare i notabili che avevano indotto i
Fidenati
all'alleanza con i
Sabini
.
44-47)
Consoli
Publio Postumio Tuberto
e
Menenio Agrippa Lanato
(
503 a.C.
), i
Sabini
attaccarono nuovamente le campagne romane uccidendo molti agricoltori. Il console
Postumio
reagì impulsivamente uscendo dalla città con truppe non preparate e subì una sconfitta. Incoraggiati da questa vittoria i
Sabini
inviarono un'ambasciata ad ingiungere ai
Romani
di sottomettersi e restaurare i
Tarquini
, i
Romani
risposero minacciando la guerra.
Gli eserciti si scontrarono presso
Ereto
in
Sabina
. I
Romani
erano in minoranza ma, incoraggiati dal prodigio di fuochi misteriosi che arsero spontaneamente nel loro campo, combatterono valorosamente. Il console
Postumio
, desideroso di far dimenticare la precedente sconfitta, si comportò da eroe e trascinò l'esercito in un attacco impetuoso ottenendo una grande vittoria.
Per il console
Menenio
fu decretato il trionfo, per
Postumio
l'ovazione, cerimonia di minore risonanza che differiva dal trionfo perchè non si usava il carro e per altri particolari.
48) Durante questo consolato morì di malattia
Publio Valerio Publicola
al quale
Dionigi
dedica un encomio non solo per le sue imprese ma anche per la sua onestà e frugalità. Morì senza lasciare neanche il necessario per la cerimonia funebre, ma il
senato
decretò pubblici onori e destinò un luogo ai piedi della
Velia
alla sepoltura delle sue ceneri.
49) L'anno successivo il consolato andò a
Spurio Cassio Vecellino
e a
Opitrio Virginio Tricosto
(
502 a.C.
).
Spurio Cassio
sconfisse di nuovo i
Sabini
presso Cures e li indusse a chiedere la pace imponendo onerose condizioni.
Mentre
Spurio Cassio
celebrava il trionfo il collega
Virginio
attaccava improvvisamente la città di
Cameria
per punirla di aver aiutato i
Sabini
, la espugnava, saccheggiava e metteva a morte i fautori della defezione.
50-51) Nel primo anno della settantesima Olimpiade, furono
consoli
Postumio Cominio
e
Tito Larcio
.
Ottavio Mamilio
persuase alcune città latine a rompere l'amicizia con
Roma
. Queste città si riunirono in
Ferentino
ed avutane notizia l'ex console
Marco Valerio
si presentò e chiese la parola.
Valerio
si trovava in missione diplomatica per risolvere alcuni incidenti di confine, lo spiegò all'assemblea dei
Latini
parlando in favore della pace ma trovò ascoltatori irremovibilmente decisi a fare la guerra.
I
Latini
accusavano
Roma
di aver violato l'alleanza in episodi come quelli di
Aricia
e
Fidene
e fecero capire a
Valerio
che lo scontro era ormai inevitabile.
Intanto a
Roma
fu scoperta una congiura di servi che intendevano provocare incendi: i colpevoli vennero tutti catturati e crocifissi.
52) Seguì il consolato di
Servio Sulpicio Camerino
e
Manio Tullio Longo
.
Fidene
si ribellò e respinse gli ambasciatori romani. Il
senato
esitava nell'aprire le ostilità contro i
Latini
ma i
Tarquini
operavano continuamente per scatenare la guerra ed essere reintegrati al potere. Tuttavia prevalse l'opinione dei cittadini più prudenti fra i
Latini
e la guerra fu evitata, almeno per il momento.
53-57) Svanito il progetto di farsi aiutare dai
Latini
,
Tarquinio
inviò a
Roma
suoi emissari non sospetti che presero a subornare i poveri facendo leva sugli argomenti che più li tormentavano: l'usura e la schiavitù per debiti.
Ne nacque una congiura per far rientrare i
Tarquini
a
Roma
con la forza. Due congiurati, spaventati da sogni preminotori, denunciarono il complotto al console
Sulpicio
.
Per evitare un processo ambiguo che avrebbe potuto provocare disordini,
Sulpicio
convocò un'adunanza del popolo e presentò pubblicamente i delatori e le loro accuse concedendo ai congiurati la possibilità di discolparsi. Riuscì in questo modo a sventare il complotto.
Molti congiurati vennero giustiziati, quindi il
senato
decretò riti di purificazione e giochi agonali.
Nel corso di questi giochi il console
Manio Tullio
morì per una caduta dal carro.
58)
Consoli
Publio Veturio
e
Publio Ebuzio Elva
. A
Ebuzio
furono affidati i problemi di politica interna mentre
Veturio
assediava
Fidene
. Quando i
Fidenati
ricevettero aiuti da
Sesto Tarquinio
uscirono dalla città e si venne a battaglia campale che fu vinta dai
Romani
, le truppe di
Tarquinio
tornarono indietro e l'assedio riprese.
Intanto
Sesto Tarquinio
tentava senza successo di conquistare Segni.
59)
Consoli
Tito Larcio
e
Quinto Clelio
.
Clelio
si occupò delle questioni interne mentre
Larcio
prendeva il comando dell'assedio di
Fidene
. Non ricevendo aiuti dalle città latine loro alleate, i
Fidenati
chiesero una tregua per deliberare sulla resa ma in realtà inviarono i loro migliori oratori a cercare rinforzi.
60)
Larcio
, informato dell'inganno da alcuni disertori, intimò ai
Fidenati
di aprire le porte se volevano parlare di pace o di tregua e presidiò le strade per impedire l'arrivo di rinforzi per gli assediati. I
Fidenati
furono costretti a cedere e
Larcio
, consultato il senato, si limitò a giustiziare i responsabili della ribellione confiscandone i beni.
61) I
Latini
si riunirono a
Ferentino
dove
Tarquinio
,
Mamilio
e i capi di
Aricia
convinsero tutti a mobilitarsi contro
Roma
. Conclusero patti di alleanza con
Ardeati
,
Aricini
,
Boialani (Bovillani?)
,
Bubentani
,
Coresi
,
Carventani
,
Gabii
,
Laurentini
,
Laviniesi
,
Labicani
,
Nomentani
, Moreani, Prenestini,
Pedani
,
Querquetulani
,
Satricesi
, Scaptini,
Sezzesi
, Tellini, Tiburtini,
Tuscolani
, Tricrini,
Veliterni
. Il comando supremo fu assegnato a
Ottavio Mamilio
e a
Sesto Tarquinio
.
I confederati inviarono ambasciatori a
Roma
per citare i
Romani
davanti al tribunale della
Lega
per non aver aiutato gli
Aricini
contro gli
Etruschi
con l'avvertimento che se non fossero convenuti in giudizio le città latine avrebbero mosso guerra contro di loro.
62-63) Il senato rispose che accettava la guerra quindi Romani e
Latini
inviarono ambasciatori in tutte le città in cerca di alleanze. Gli
Ernici
, ambiguamente, presero tempo; i
Rutuli
si allearono con i
Latini
, i
Volsci
respinsero con indignazione gli ambasciatori romani, gli
Etruschi
si dichiararono neutrali. I
Romani
non si lasciarono intimorire dalla mancanza di alleati ed iniziarono i preparativi ma la plebe dichiarò che non avrebbe risposto alla leva se non dopo l'azzeramento dei debiti.
64-68)
Manio Valerio
fratello di
Publicola
pronunciò un lungo discorso in favore delle istanze della plebe sostenendo fosse giusto il condono dei debiti a quella parte della popolazione che tanto aveva lottato e rischiato a fianco dei patrizi per liberare la patria dalla tirannide. Al contrario
Appio Claudio Sabino
sostenne che condonare i debiti avrebbe comportato un pericoloso precedente: nessuno avrebbe più concesso credito con grave danno di ogni attività economica. Sostenne inoltre che a causa degli appetiti insaziabili della moltitudine concedere ai
plebei
quanto chiedevano non sarebbe bastato a riportare l'ordine. In conclusione
Appio Claudio
sostenne che sarebbe stato preferibile soggiacere al giudizio dei
Latini
che alle pretese della plebe.
69-70) Di fronte a opinioni tanto divergenti il senato decise di sospendere l'esazione dei debiti e i processi fino alla fine della guerra rimandando ogni decisione. Ciò servì a sedare gli animi ma poiché sussisteva un certo scontento si decise di sospendere l'autorità dei
consoli
affidando per sei mesi il potere a un
dittatore
. Non comprendendo che questo decreto istituiva di fatto una sorta di tirannide legalizzata il popolo lo ratificò.
71-72) Il senato considerò che
Tito Larcio
, uno dei
consoli
in carica, era adatto alla dittatura mentre il collega
Clelio
non lo era pur essendo un ottimo cittadino. Per evitare tuttavia il risentimento di
Clelio
si propose di sospendere entrambi i
consoli
e nominare
dittatore
una terza persona. Infine si preferì lasciar decidere gli stessi
consoli
ma ciascuno dei due proponeva l'altro e solo dopo una lunga discussione
Larcio
accettò la nomina che gli fu ufficialmente conferita da
Clelio
.
73-75)
Larcio
fu il primo
dittatore
della storia romana. Secondo
Dionigi
la dittatura era una specie di monarchia o di tirannia dissimulata sotto un altro nome, lo storico ritiene che i Romani l'abbiano adottata ispirandosi ad analoghe istituzioni greche.
Larcio
scelse
Spurio Cassio
come maestro di cavalleria, quindi indisse un censimento che fu eseguito rapidamente contando oltre cinquantamila uomini adulti. Divise gli uomini abili alla guerra in quattro parti, ne scelse una da comandare personalmente e affidò le altre tre a
Spurio Cassio
,
Clelio
e a suo fratello
Spurio Larcio
assegnando a quest'ultimo il compito di presidiare la città.
76) Prima di combattere
Larcio
inviò ambasciatori alle città latine e riuscì con la diplomazia a fare in modo che deponessero le armi e negassero aiuti ai
Tarquini
.
Mamilio
e
Sesto Tarquinio
reagirono riunendo le loro forze a
Tuscolo
e devastando la campagna romana, contro di loro intervenne
Clelio
con la cavalleria uccidendo molti soldati nemici e respingendo gli altri.
77) Ristabilita la pace,
Larcio
depose la dittatura e ripristinò il consolato. Sul suo esempio tutti coloro che nel tempo assunsero la dittatura si comportarono con grande moderazione fino a
Lucio Cornelio Silla
che fu il primo ad abusare del potere assoluto.
Libro Sesto
1) L'anno successivo (
495 a.C.
) furono eletti
consoli
Aulo Sempronio Atratino
e
Marco Minucio
. Grazie alla tregua con i
Latini
e alla sospensione della riscossione dei debiti decretata dal senato fu un anno tranquillo.
Fu dedicato un
tempio a Saturno
sulla via dal
Foro
al
Campidoglio
e furono istituite feste annuali in onore di quel dio.
Secondo alcuni la costruzione del tempio fu iniziata da
Tarquinio il Superbo
, per altri da
Tito Larcio
.
2) Furono eletti
consoli
Aulo Postumio
e
Tito Virginio
. Spirò la tregua con i
Latini
che erano stati incitati dai
Tarquini
a riprendere le ostilità. Fu nominato
dittatore
Aulo Postumio
che scelse
Tito Ebuzio Elva
come maestro di cavalleria. Dopo la leva il
dittatore
divise le forze tra quattro comandanti: se stesso,
Tito Virginio
,
Tito Ebuzio Elva
e
Aulo Sempronio
affidando a quest'ultimo la cura di
Roma
.
3) Degli esploratori annunciarono che i
Latini
avevano iniziato le operazioni e occupato il luogo fortificato detto
Corbione
. I
Volsci
di
Anzio
stavano inviando aiuti ai
Latini
.
Postumio
si mise immediatamente in marcia, trovò i
Latini
accampati presso il
Lago Regillo
e fece trincerare i suoi in un luogo più alto nelle vicinanze.
4) I comandanti dei
Latini
erano Ottavio Tuscolano parente di
Tarquinio
e
Sesto Tarquinio
. Mentre i
Latini
tenevano un consiglio di guerra per decidere come agire, giunse da
Roma
Tito Virginio
con la sua armata e si accampò su un'altra altura in modo di chiudere i
Latini
su due lati opposti.
Postumio
mandò
Tito Ebuzio
ad occupare un'altra posizione per tagliare gli approvvigionamenti ai nemici.
5) Dopo un tentativo fallito di
Sesto Tarquinio
di rompere lo schieramento romano i
Latini
decisero di tentare la battaglia campale. Anche
Postumio
prese la stessa decisione tanto più che da messaggeri intercettati aveva saputo dell'arrivo imminente di rinforzi mandati dai
Volsci
e dagli
Ernici
.
Dionigi
descrive gli schieramenti:
Sesto Tarquinio
comandava l'ala sinistra dei
Latini
,
Ottavio Mamilio
la destra,
Tito Tarquinio
il centro.
L'ala sinistra dei Romani fu assegnata a
Tito Ebuzio
, la destra a
Tito Virginio
, il centro a
Postumio
. I
Romani
schieravano ventiquattromila fanti e tremila cavalieri. I
Latini
quarantamila fanti e tremila cavalieri.
6-9) I comandanti dei
Latini
parlarono ai loro soldati per incoraggiarli prima dell'attacco. Ai Romani parlò
Postumio
che con un lungo discorso svolse il non facile compito di fare animo a soldati consapevoli di essere in netta inferiorità numerica.
10) La battaglia ebbe inizio e presto ciascuno dei contendenti si rese conto di aver sottovalutato l'altro. Il centro romano comandato dal
dittatore
sopraffece il centro latino e
Tito Tarquinio
, ferito a una spalla, fu costretto a abbandonare il campo.
Dionigi
precisa che fu ferito
Tito
e non
Tarquinio il Superbo
come hanno scritto altri autori perché il deposto re era troppo anziano per combattere.
11) Caduto
Tito
i suoi esitarono a lungo ma poi, soccorsi da
Sesto Tarquinio
, ripresero a combattere. Intanto
Ebuzio
e
Mamilio
si affrontavano in duello procurandosi entrambi ferite gravi ma non mortali.
12) Marco Valerio sostituì
Ebuzio
ma affrontando la cavalleria nemica cadde trafitto da una lancia. Publio e Marco, figli di
Publicola
, riuscirono a portare Valerio fuori dalla mischia mentre ancora respirava ma poco dopo furono uccisi a loro volta.
Il
dittatore
intervenne in soccorso dell'ala sinistra che aveva perduto il comandante e veniva sbandata dal violento attacco nemico. Mentre
Erminio
con la cavalleria si era portato alle spalle dei fuggitivi per respingerli sul campo,
Postumio
fece strage dei nemici arrivando su di loro con impeto irrefrenabile.
Erminio
uccise
Mamilio
, resisteva
Sesto Tarquinio
che stava avendo la meglio sull'ala destra romana,
Erminio
se ne rese conto e corse contro
Sesto
; circondato dai nemici lasciò la vita sul campo ma ormai la sorte della battaglia era decisa.
I
Latini
superstiti fuggirono, dei quarantatremila che avevano combattuto ne tornarono a casa meno di diecimila.
13) Si racconta che durante la battaglia si videro due bellissimi giovani combattere a cavallo alla testa dei
Romani
e a battaglia finita i due furono visti nel
foro
abbeverare i cavalli alla fonte vicina al
tempio di Vesta
. Dopo aver raccontato a chi glielo chiedeva l'esito positivo della battaglia i due giovani lasciarono il
foro
e non furono mai più visti. I Romani conclusero che si trattava di
Castore e Polluce
ai quali dedicarono un tempio ed una processione che si teneva annualmente ancora ai tempi di
Dionigi
.
14) Il mattino seguente, mentre
Postumio
offriva sacrifici, le vedette segnalarono l'arrivo dell'esercito dei
Volsci
.
Postumio
ordinò ai suoi di rientrare nell'accampamento ed attendere in armi. I
Volsci
trovando il campo di battaglia deserto e ancora cosparso di cadaveri rimasero indecisi sul da farsi. Alcuni proponevano di attaccare i Romani mentre erano ancora stanchi per lo scontro precedente.
15) Fra le varie opinioni prevalse l'idea di inviare alcuni ambasciatori al campo romano per spiare la situzione fingendosi amici.
16)
Postumio
, che aveva in precedenza intercettato messaggeri volsci diretti al campo dei
Latini
, non si lasciò ingannare e accusò gli ambasciatori di essere in realtà delle spie. Non volle però far loro alcun male per non fornire ai
Volsci
pretesti di ostilità e li rimandò indietro con una scorta.
17) Non si verificarono altri scontri perchè i
Volsci
durante la notte ripartirono per tornare in patria. Anche i Romani tornarono in città.
Postumio
celebrò il trionfo e realizzò il
tempio Cerere, Bacco e Proserpina
onorando un voto fatto prima della guerra per scongiurare la carestia.
18) I
Latini
inviarono ambasciatori a
Roma
a supplicare per la pace.
19) Iniziata la discussione in senato parlò
Tito Larcio
proponendo di rinnovare l'alleanza con i
Latini
senza infliggere loro punizioni.
20) Servio Sulpicio si dichiarò favorevole alla pace e all'alleanza ma riteneva che le frequenti violazioni degli accordi commesse dai
Latini
non potessero rimanere impunite.
, proponeva quindi di requisire metà del territorio dei
Latini
per dedurvi colonie.
Diffidando delle intenzioni dei
Latini
,
Spurio Cassio
propose invece di abbattere le loro città, uccidere i responsabili delle ribellioni e ridurre gli altri in schiavitù.
21)
Postumio
si dichiarò d'accordo con
Larcio
e nessuno lo contraddisse. Il
dittatore
convocò gli ambasciatori e dopo averli redarguiti per i torti commessi li lasciò andare liberi. I
Latini
rilasciarono i prigionieri e consegnarono i disertori quindi conclusero con
Roma
un nuovo trattato di alleanza.
Tarquinio il Superbo
, unico sopravvissuto della sua famiglia e ormai novantenne, espulso dai
Latini
, dagli
Etruschi
e dai
Sabini
riparò a
Cuma
presso il tiranno
Aristodemo
e dopo pochi giorni morì.
22) Finita la guerra fu revocata la sospensione dell'esazione dei debiti e dei procedimenti giudiziari, nacquero nuove ostilità fra debitori e creditori. Gli uni e gli altri lamentavano che le spese di guerra, l'interruzione delle attività agricole, il degrado dei terreni rimasti incolti avevano reso difficile la situazione economica.
23-24) Furono eletti
consoli
Appio Claudio Sabino
e
Publio Servilio Prisco
(
493 a.C.
) I
consoli
decisero di reclutare un esercito per muovere guerra ai
Volsci
che si stavano riorganizzando per attaccare e per distogliere la cittadinanza dai problemi interni ma la plebe rifiutò l'arruolamento. I
consoli
assunsero posizioni opposte:
Servilio
proponeva di cancellare o ridurre i debiti e mitigare le sanzioni per morosità mentre
Appio
era per una politica inflessibile e intendeva riaprire i tribunali per applicare le pene previste dalla legge per i debitori insolventi.
25) Per la discordia dei
consoli
si perse molto tempo ma Servilio riuscì comunque a mettere insieme un esercito. I
Volsci
, che contavano di sfruttare i disordini interni di
Roma
, furono colti di sorpresa dall'arrivo dei Romani e per prendere tempo consegnarono a Servilio rifornimenti e ostaggi, ma appena il console ebbe preso la strada del ritorno ricominciarono i preparativi. Si allearono apertamente ai
Volsci
gli
Ernici
e i
Sabini
mentre altre genti lo fecero in modo segreto.
Gli ambasciatori
Volsci
presso i
Latini
furono catturati e portati a
Roma
. Il senato apprezzò il gesto e premiò i
Latini
liberando seimila prigionieri della guerra precedente ma non accettò l'aiuto offerto per combattere i
Volsci
.
26) Mentre era ancora in corso la riunione del senato si presentò nel
foro
un uomo molto vecchio miseramente vestito che si lamentava e chiedeva aiuto. A quanti accorsero per aiutarlo l'uomo spiegò che la guerra lo aveva ridotto in misera, aveva dovuto chiedere un prestito ed era finito schiavo del creditore che lo straziava di fatica e percosse come dimostravano le ferite ed il sangue che mostrò scoprendosi. La scena attirò molta gente e presto il clima si fece teso. Il console
Appio Claudio
che sapeva di avere molte responsabilità si dileguò mentre
Servilio
affrontò la folla pregando che gli lasciassero il tempo fino al giorno successivo per convincere il senato a provvedere e, ordinando che nel frattempo i creditori non pretendessero la schiavitù dei debitori, riuscì a tranquillizzare la folla.
27) All'alba del giorno successivo il
foro
era affollatissimo mentre in senato i
consoli
litigavano aspramente. In questa situazione giunsero dei messaggeri latini ad annunciare che i
Volsci
erano pronti ad attaccare. Patrizi e cavalieri corsero alle armi mentre i poveri, lieti poter approfittare delle circostanze, rifiutavano di uscire contro il nemico affermando che loro, resi schiavi dai creditori, non avevano nulla da difendere.
28) I senatori pregarono Servilio di risolvere la situazione e Servilio parlò al popolo utilizzando il suo carisma e il suo prestigio.
29) Quando Servilio ordinò al banditore di annunciare che ogni azione legale sarebbe stata sospesa verso i debitori disposti a combattere ma non verso gli altri, toccò evidentemente la corda giusta e i
plebei
corsero ad arruolarsi. Servilio si mise in marcia al comando dell'esercito e a sera si avvicinò al campo dei
Volsci
in territorio latino. Credendo che i Romani fossero pochi e stanchi i
Volsci
attaccarono durante la notte. I Romani resistettero fino all'alba quindi l'intera armata fece irruzione circondando i nemici nel loro accampamento. Furono catturati molti
Volsci
e i Romani ricavarono un ricchissimo bottino che Servilio lasciò ai soldati, quindi passarono ad assediare
Suessa Pomezia
, città molto ricca e importante. La espugnarono in pochi giorni e di nuovo il bottino andò ai soldati.
30) A
Roma
Appio Claudio
fece giustiziare in pubblico i trecento ostaggi
Volsci
e si oppose al trionfo di Servilio perché non aveva destinato all'erario parte del bottino. Esasperato, Servilio parlò al popolo e svolse la sfilata trionfale con il suo esercito contro la volontà del collega.
31) Mentre a
Roma
si festeggiava una solennità i
Sabini
tentarono di attaccare la città ma i Romani accorsero a difendere le mura e Servilio li guidò in una sortita sventando il tentativo di assedio. Furono quindi individuati e imprigionati molti
Sabini
che erano entrati in città con il pretesto di assistere agli spettacoli mentre in realtà dovevano dar manforte agli attaccanti.
32) Ambasciatori degli
Aurunci
reclamarono in senato i terreni che erano stati conquistati ai
Volsci Eccetrani
e minacciarono la guerra se il presidio romano ai loro confini non fosse stato richiamato. Furono rimandati a casa con un rifiuto e poco dopo l'esercito degli
Aurunci
si scontrò ad
Aricia
con quello di Servilio.
33) In battaglia si distinse l'ex
dittatore
Postumio Albo
, comandava la cavalleria ma poiché il terreno non era adatto fece smontare i suoi seicento uomini e con loro respinse un assalto nemico. L'esempio stimolò la fanteria e con un'azione congiunta i due corpi misero in fuga gli
Aurunci
e ne occuparono gli alloggiamenti.
34)
Consoli
Aulo Virginio
a
Tito Veturio Gemino
(
492 a.C.
) I
Sabini
si allearono con i
Medullini
e avviarono preparativi per riprendere la guerra. Intanto a
Roma
la plebe si asteneva ancora dalla leva reagendo con violenza quando i
consoli
tentavano di arrestare i renitenti. Dalle città vicine giungevano a
Roma
richieste di aiuto contro le incursioni di
Equi
e
Sabini
. Ambasciatori volsci chiesero ancora al senato la restituzione dei territori conquistati.
35-36) Aperta la discussione in senato parlò prima
Tito Larcio
che sostenne la necessità primaria di risolvere le lotte di classe interne per ripristinare il normale andamento delle leve. Per il resto consigliò di respingere le richieste dei
Volsci
e mandare al più presto aiuti ai
Latini
.
37) Publio Virginio propose che si azzerassero i debiti solo di quanti avevano combattuto contro
Volsci
e
Aurunci
ma
Larcio
sostenne che la crisi si sarebbe risolta solo se tutti avessero beneficiato del provvedimento.
38)
Appio Claudio
, fermo sulla sua posizione contraria, propose di affidare la decisione a un
dittatore
.
39) La presenza di numerosi giovani aristocratici servì a far passare la proposta di
Appio Claudio
e fu eletto
dittatore
Manio Valerio
, fratello di
Publio
già primo console.
40-41)
Valerio
scelse come maestro di cavalleria Quinto Servilio, fratello del Servilio console nell'anno precedente, quindi convocò il popolo ed usò tutto il prestigio della sua famiglia per dar valore alle sue promesse. Chiese al popolo di continuare a combattere impegnandosi personalmente a risolvere i problemi a guerra finita e nel frattempo vietò ogni confisca ai creditori.
42) L'orazione di
Valerio
ebbe il suo effetto e il popolo accettò la leva. L'esercito fu diviso tra i due
consoli
e il
dittatore
:
Tito Veturio
doveva fronteggiare gli
Equi
,
Aulo Verginio
i
Volsci
e
Valerio
i
Sabini
mentre
Tito Larcio
con gli anziani avrebbe sorvegliato
Roma
.
I
Volsci
attaccarono subito con molta audacia ma furono sconfitti e
Velletri
, la loro città più importante, venne assediata. Anche i
Sabini
furono rapidamente battuti e gli
Equi
, viste le vicende degli alleati, si ritirarono in luoghi impervi per prendere tempo ma furono raggiunti dai
Romani
e anche loro sconfitti.
43)
Valerio
celebrò il trionfo, congedò le milizie e distribuì ai più poveri i terreni tolti ai
Volsci
, quindi chiese al senato di rispettare gli impegni ma l'aristocrazia continuò ad opporsi accusando il
dittatore
e la sua famiglia di essere adulatori del popolo.
44) Offeso e deluso,
Valerio
convocò il popolo e, dichiarando di non essere responsabile del voltafaccia del senato, depose la dittatura.
45)
Valerio
non subì rappresaglie ma i
plebei
cominciarono a riunirsi pubblicamente e a discutere di separarsi dai patrizi. Il senato ordinò ai
consoli
di non congedare l'esercito perché sapeva che i
plebei
che ne facevano parte non avrebbero violato il giuramento, ma quando i
consoli
uscirono con i soldati si verificò una ribellione per istigazione di un certo
Sicinio Belluto
. I soldati elessero nuovi centurioni e occuparono il
Monte Sacro
mentre
Sicinio
esortava i patrizi a tornare a
Roma
perché la plebe avrebbe scelto una nuova patria.
46) Si creò un grande tumulto fra i
plebei
che intendevano lasciare la città e i patrizi che tentavano di trattenerli. I soldati che il senato aveva posto a presidiare le porte della città furono sopraffatti dalla folla, i
plebei
uscirono da
Roma
e mentre si rifornivano di viveri nelle campagne circostanti accoglievano quanti volevano unirsi a loro dalle città e dai castelli vicini. Oltre ai debitori e agli imputati nei processi si unirono ai fuoriusciti personaggi poco raccomandabili, nullafacenti, avventurieri.
47) In un primo momento i patrizi, temendo che i fuoriusciti si alleassero con i nemici, corsero alle armi per difendere la città da un eventuale assalto, ma vedendo che non accadeva nulla di ciò e che i
plebei
si limitavano a prelevare delle provviste senza danneggiare le campagne si tranquillizzarono e si riunirono per trovare il modo di ricomporre la secessione. Fra le varie opinioni prevalse quella dei più anziani che sostenevano che la sicurezza contava più di ogni altra cosa e che si doveva trattare con i
plebei
per cercare pacificamente un accordo, tanto più che avevano agito per necessità e dopo essere stati più volte delusi.
48) Furono inviati ambasciatori nel campo dei
plebei
a promettere che se fossero tornati ogni offesa sarebbe stata perdonata e dimenticata ma i
plebei
, consapevoli di trovarsi in una posizione di forza, respinsero ogni proposta.
49-52) A causa della difficile situazione del momento nessuno si candidò per il consolato perciò furono rieletti due consolari che godevano del consenso generale,
Postumio Cominio
e
Spurio Cassio
, che come prima azione convocarono il senato per decidere sul problema dei fuoriusciti (
491 a.C.
). L'anziano
Menenio
, molto rispettato per la sua moderazione, deprecò l'idea di combattere contro i fuoriusciti che non avevano provocato alcun danno e ricordò che molti agguerriti nemici erano pronti ad attaccare e che i patrizi non avevano le forze per contrastarli. Non si aveva il tempo di reclutare mercenari e comunque ciò avrebbe comportato il rischi di affidarsi a gente pericolosa.
53-56) Il discorso di
Menenio Agrippa
, piuttosto prolisso, fa appello alla moderazione e al buon senso per convincere i patrizi a cercare una soluzione positiva e pacifica mettendo da parte l'orgoglio ed evitando di sdegnarsi inutilmente con il destino considerando che dopo tutto episodi come quello che stanno vivendo sono piuttosto comuni in tutte le società. Consiglia infine di mandare ai fuoriusciti ambasciatori graditi dal popolo che siano dotati del potere necessario per concludere un accordo senza dover tornare a consultare il senato.
57-58) Parlò
Manio Valerio
sostenendo che i diritti del popolo erano stati disprezzati in troppe occasioni, ormai non si parlava soltanto di debiti ma certamente la plebe avrebbe voluto dei magistrati con i poteri necessari per difenderla dagli abusi degli usurai e degli speculatori. Appoggiò le proposte di
Agrippa
e ne augurò la più sollecita realizzazione.
59-64) Fu la volta di
Appio Claudio
che mantenne ovviamente la sua posizione e, dopo aver ribattuto alle critiche di
Valerio
, ribadì la necessità di mantenere una linea dura con i
plebei
che certamente sarebbero stati stimolati da una facile vittoria ad avanzare sempre nuove pretese. Propose quindi ai patrizi di mostrarsi pronti a combattere e, se necessario, di costringere alla resa i
plebei
minacciando di uccidere i loro familiari rimasti a
Roma
. Rispetto ai nemici esterni,
Appio Claudio
sostenne che gli stessi patrizi con i clienti, i servi e i
plebei
rimasti fedeli costituivano una forza più che sufficiente per difendere la città anche se i fuoriusciti non fossero tornati nei ranghi.
65) Dopo questi discorsi la discussione fu intensa ed agitata. Le parole di
Appio Claudio
riscuotevano molto consenso, soprattutto tra la gioventù patrizia, mentre gli anziani erano più vicini alle posizioni di
Valerio
e di
Menenio Agrippa
, tuttavia per risolvere la questione e evitare che la tensione degenerasse anche gli anziani si allinearono con
Appio Claudio
.
66-67) Per quel giorno la riunione del senato si concluse senza una decisione definitiva se non quella che quando i senatori si fossero accordati la loro proposta sarebbe stata ratificata dall'assemblea popolare.
68-69) Si procedette ad avvertire la popolazione per la prossima assemblea e intanto il senato riprese la discussione con maggiore serenità e la maggioranza si trovò ora d'accordo con
Menenio Agrippa
mentre
Appio Claudio
continuò a sostenere la linea dura, anzi precisò: condono dei debiti a quanti erano rimasti in città e guerra ai fuoriusciti.
Un giovane nobile di nome
Spurio Nauzio
la cui famiglia diceva di discendere da un compagno di
Enea
parlò a nome dei suoi coetanei dichiarando di rimettersi alle decisioni degli anziani. Fu scelta la delegazione incaricata di trattare con i fuoriusciti:
Manio Valerio
,
Tito Larcio
,
Menenio Agrippa
, Publio Servilio,
Postumio Tuberto
,
Tito Ebuzio
, Servio Sulpicio Camerino,
Aulo Postumio Albo
,
Aulo Verginio Celimontano
.
70) Nel campo dei fuoriusciti un agitatore di nome
Lucio Giunio
che amava farsi chiamare
Bruto
sostenne che era conveniente opporre una certa resistenza alla delegazione dei patrizi e si offrì di parlare in nome del popolo.
71) Il primo delegato che prese la parola fu
Manio Valerio
che fu accolto lietamente dai fuoriusciti. Valerio comunicò che i delegati avevano pieni poteri per ascoltare le richieste della plebe e, se possibile, soddisfarle.
72-73) Nessuno dei
plebei
osava prendere la parola per avanzare le richieste, lo fece
Lucio Giunio
che si rivolse personalmente a Valerio dichiarando la sfiducia sua e dei compagni nei confronti dei patrizi tanto spesso spergiuri. Inoltre avrebbero dovuto essere i patrizi a chiedere perdono ai
plebei
che avevano dovuto lasciare le loro case e non viceversa.
74-77)
Lucio Giunio
ricordò la lealtà dei
plebei
che combatterono contro gli ultimi re per cacciarli e per tenerli lontani, poi contro
Etruschi
,
Sabini
e tutti i nemici di
Roma
, sempre lusingati dalle promesse dai patrizi e puntualmente delusi.
78-80) Negando ogni fiducia ai delegati,
Bruto
esorta i compagni a deporre ogni speranza e cercare una nuova patria.
81-86) L'accesa discussione che seguì rischiava di degenerare quando intervenne
Menenio Agrippa
che era rispettato da tutti ed ottenne il silenzio.
Agrippa
annunciò che i debiti sarebbero stati cancellati, le sentenze contro i debitori annullati, schiavi e detenuti liberati. I contratti futuri dovevano essere regolati da leggi concordate tra senato e popolo. Invitò quindi i
plebei
a ritenersi soddisfatti e tornare in città. A questo punto narrò il celebre aneddoto delle membra in lotta con lo stomaco che finiscono col soffrire le conseguenze della ribellione.
Dionigi
minimizza questa parte del discorso e lascia intendere di ritenerla frutto di fantasiosa tradizione.
87-89) Parlando anche dell'angoscia delle famiglie rimaste a
Roma
Menenio
convinse i
plebei
a rientrare in città ma
Lucio Giunio
chiese come garanzia l'istituzione di magistrati con il compito di difendere i diritti della plebe contro eventuali ripensamenti dei patrizi. In merito a questa richiesta fu consultato direttamente il senato tramite una parte degli ambasciatori. Furono quindi eletti i primi cinque
tribuni della plebe
:
Lucio Giunio Bruto
,
Caio Sicinio Belluto
,
Caio Licinio
,
Publio Licinio
e
Caio Visellio Ruga
. Su richiesta di
Bruto
nella legge che istituì il tribunato furono aggiunte le clausole di inviolabilità e sacralità della persona dei
tribuni
.
90-91) Rientrata la plebe a
Roma
e offerti i sacrifici si passò agli arruolamenti che questa volta ebbero luogo senza intralci. Tirando a sorte il console
Spurio Cassio
ebbe la cura di
Roma
e il collega
Postumio Cominio
la guerra contro i
Volsci
. I Romani conquistarono in un solo giorno
Longola
, città dei
Volsci
, e il giorno successivo Polusca.
92) Molto più difficile fu l'assedio di
Corioli
, città fortificata e ben difesa. Nel primo giorno i
Romani
subirono molte perdite e il giorno successivo seppero che da
Anzio
stavano arrivando soccorsi per gli assediati. Il console affidò a
Tito Larcio
metà dei soldati e il compito di portare avanti l'assedio mentre con l'altra metà affrontò gli
Anziati
. Entrambi i comandanti ebbero successo e un combattente romano di nome
Gneo Marcio
si distinse per le sue prove di valore. In un momento di grande difficoltà per i Romani,
Marcio
affrontò con pochi uomini un attacco nemico e lo respinse, con il suo esempio incoraggiò i compagni e gli abitati di
Corioli
furono inseguiti fin dentro le mura, dopo durissimi scontri la città fu espugnata e saccheggiata.
93)
Marcio
non partecipò al saccheggio ma accorse ad aiutare il console impegnato nella battaglia con gli
Anziati
. Annunciò la caduta di
Corioli
e prese a combattere facendo strage dei nemici. Anche questa battaglia fu vinta e
Marcio
, coperto di ferite, fu il principale artefice della vittoria.
94) L'indomani il console
Postumio
elogiò
Marcio
di fronte all'esercito e gli offrì molti premi fra i quali
Marcio
accettò solo un cavallo e uno schiavo. Ammirato per l'eroismo e la modestia, ebbe da allora il soprannome di
Coriolano
. Tornato a
Roma
Postumio
congedò l'esercito. Intanto
Spurio Cassio
aveva consacrato il nuovo
tempio di Cerere, Bacco e Proserpina
vicino al
Circo Massimo
. Il tempio era stato votato da
Aulo Postumio
durante la sua dittatura.
95) Fu siglato un trattato di alleanza con i
Latini
e il senato istituì una
Feria Latina
per commemorare il rientro della plebe dalla secessione. Si celebravano già altre due
ferie latine
, una istituita da
Tarquinio Prisco
per la vittoria sugli
Etruschi
e l'altra dal popolo per la cacciata dei re.
96) Morì
Menenio Agrippa
e poiché non lasciava alcuna eredità ed i figli erano indigenti il popolo fece una sottoscrizione per finanziare un degno funerale ma il senato non ammise che le esequie di un cittadino così importante fossero pagate dai privati e stanziò una grossa somma prelevandola dall'erario. Da parte sua il popolo non accettò di riprendere il denaro e lo donò ai figli di
Menenio Agrippa
.
Si fece un censimento e risultarono centodiecimila cittadini.
Libro Settimo
1) Furono eletti
consoli
Geganio Macerino
e
Publio Minucio
(492 a.C.). A causa dell'abbandono dei campi durante la secessione
Roma
soffriva per una grave carestia e il senato inviò messi in
Sicilia
, in
Campania
e nell'Agro Pontino per acquistare frumento. In
Sicilia
andarono
Publio Valerio
figlio di
Publicola
e
Lucio Geganio
, fratello del console in carica, e si rivolsero a
Gelone
tiranno di
Siracusa
.
2) Le condizioni del mare costrinsero la delegazione a trascorrere l'inverno in
Sicilia
, tornarono a
Roma
in primavera con molte provviste. Quanti erano andati nell'Agro Pontino furono aggrediti dai
Volsci
e tornarono a
Roma
senza soldi e senza frumento. Anche i Romani che erano andati in
Campania
furono in pericolo a causa dei compagni di
Tarquinio il Superbo
che ancora vivevano a
Cuma
e che chiesero a
Aristodemo
signore del posto di farli giustiziare o almeno di tenerli come ostaggi per riavere dai
Romani
i beni confiscati.
3)
Dionigi
inserisce una digressione su
Aristodemo
. Nell'anno dell'
arcontato
di
Milziade
in
Atene
(
524 a.C.
) gli
Etruschi
attaccarono
Cuma
Cuma
che a quei tempi era la città più ricca della
Campania
. Con un grosso esercito gli
Etruschi
si accamparono non lontano dalla città spaventando i
Cumani
con il loro numero ma un prodigio incredibile incoraggiò gli assediati: i fiumi
Volturno
e
Clanio
presero a scorrere dalla foce verso la fonte. I
Cumani
armarono tre squadre: una per difendere la città, una di guardia alle navi e una terza si schierò di fronte alle mura.
4) Grazie al loro valore i
Cumani
vinsero la battaglia. Si distinse fra loro
Aristodemo detto Malaco
che uccise il comandante etrusco e molti altri nemici. Vi fu contesa per aggiudicare la corona del più forte, il popolo sosteneva
Aristodemo
e gli ottimati
Ippomedonte
comandante della cavalleria. Alla fine fu riconosciuto il pari merito dei due ma da allora
Aristodemo
fu considerato il campione del popolo.
5) Vent'anni dopo gli ambasciatori di
Aricia
chiesero aiuto a
Cuma
contro
Arunte
figlio di
Porsenna
che assediava la loro città. Ne approfittarono gli ottimati per mandare
Aristodemo
al quale assegnarono i peggiori soldati, navi vecchie in cattivo stato con equipaggi inadeguati, tutto ciò nella speranza che l'odiato avversario non tornasse mai in patria.
6)
Aristodemo
dichiarò di comprendere le intenzioni degli ottimati, nondimeno assunse il comando e salpò subito con gli ambasciatori approdando quanto possibile vicino a
Aricia
. Con una notte di marcia raggiunse la città e convinse gli assediati ad affrontare gli
Etruschi
. Con pochi scelti compagni cumani
Aristodemo
affrontò i nemici più forti, ne uccise il comandante e in breve mise in fuga gli assedianti. Tornò a
Cuma
seguito da molti
Aricini
e carico di doni che condivise con i suoi soldati. Si assicurò con molta generosità la fedeltà di tutti, quindi convocò i più intimi nella sua tenda e con loro si preparò a prendere il potere.
7)
Aristodemo
entrò in città con i suoi uomini e per alcuni giorni si dedicò a sacrificare agli dei rendendo grazie per la sua vittoria, quindi riunì il senato con il pretesto di raccontare le sue gesta ma arrivarono i congiurati e uccisero tutti gli ottimati. Durante la notte liberò i carcerati e molti schiavi, quindi organizzò una guardia del corpo e il mattino seguente parlò al popolo illustrando le colpe degli uccisi e promettendo uguaglianza e libertà.
8)
Aristodemo
promise la redistribuzione delle terre e la remissione dei debiti a condizione di essere nominato capo assoluto, quindi convinse i
Cumani
a consegnare tutte le loro armi al tempio per evitare le rappresaglie da parte dei sostenitori degli ottimati. In realtà con questo espediente disarmò la popolazione per garantire la sicurezza del proprio regime. Il giorno seguente fece perquisire tutte le case e uccise chi non aveva consegnato le armi. Istituì tre guardie armate: la prima con quanti avevano partecipato al colpo di stato, la seconda con i prigionieri liberati e la terza con mercenari stranieri.
9)
Aristodemo
progettò di uccidere i figli degli ottimati ma per intercessione dei suoi satelliti si limitò a confinarli nelle campagne. Abolì per la gioventù cumana le palestre e gli esercizi militari cercando di rendere i giovani effeminati con nuove mode e costumi.
10) Quando
Aristodemo
era ormai vecchio i figli dei cittadini uccisi che aveva relegato in campagna insorsero e si rifugiarono sui monti dove si unirono ai fuoriusciti di
Cuma
che vivevano a
Capua
e ad altri amici. I ribelli iniziarono con azioni di guerriglia e incursioni nei dintorni di
Cuma
. Un falso disertore si offrì come guida a
Aristodemo
e portò l'armata cumana il più lontano possibile dalla città.
11) Ricevuto il segnale convenuto, sessanta ribelli entrarono nella città priva di difese fingendosi operai per non essere notati e a sera uccisero le guardie delle porte e fecero entrare tutti i loro compagni. Si recarono alla reggia dove fecero strage di tutti i presenti, catturarono
Aristodemo
, i suoi figli e i suoi familiari e li uccisero dopo averli torturati tutta la notte. Al mattino convocarono il popolo e deposero le armi.
12) Dopo la digressione
Dionigi
riprende il filo del racconto dal momento in cui i compagni di
Tarquinio
chiesero a
Aristodemo
di giudicare sul rilascio dei Romani catturatri e sulla restituzione dei beni confiscati. I Romani che erano arrivati in
Campania
solo per acquistare frumento si salvarono con la fuga lasciando a
Cuma
tutti i loro averi. Quanti erano andati in
Etruria
riuscirono a far arrivare provviste a
Roma
ma col tempo la carenza di cibo si aggravò e la carestia portò con se malattie e debilitazione. I
Volsci
pensarono di approfittarne per ribellarsi ma furono colpiti da una gravissima pestilenza, in particolare la città di
Velletri
subì tante perdite che si rivolse a
Roma
per chiedere l'invio di altri coloni.
13) La posizione strategica di
Velletri
era un buon motivo per stanziarvi una cospicua colonia, inoltre allontanare parte della popolazione avrebbe aiutato a sopportare la carestia e diminuito il rischio di nuove sedizioni. Per timore della pestilenza, tuttavia, ben pochi si presentarono volontari per andare a
Velletri
e fu necessario estrarre a sorte i coloni stabilendo durissime pene per chi avesse rifiutato, Pochi giorni più tardi un'altra colonia fu dedotta a Norba, città dei
Latini
.
14) Questi provvedimenti non bastarono tuttavia per fronteggiare la carestia, così il
tribuno
Icilio
, insieme a
Sicinio
e
Bruto
, allora
edili
, iniziò a sobillare la plebe contro i patrizi che non risentivano della situazione grazie alle loro ricchezze e non avevano provveduto per tempo contro i mali presenti.
15) Il senato convocato dai
consoli
discusse la situazione e questa volta prevalse la linea dura del solito
Appio Claudio
che negava qualsiasi apertura: il popolo doveva aspettare tempi migliori senza creare problemi. Quando i
consoli
cercarono di riferire in pubblico le decisioni del senato furono duramente contraddetti dai
tribuni
.
16) Discutendo con
Geganio
,
Bruto
ribadì il diritto di intervento dei
tribuni
e dei
consoli
e riuscì a moderare la situazione convincendo la folla a ritirarsi.
17) Il giorno successivo
Bruto
convocò il popolo e il
tribuno
Icilio
parlò del diritto dei
tribuni
di tenere discorsi senza essere interrotti o tacitati dai patrizi e propose per i contravventori sanzioni che potevano arrivare alla condanna a morte.
18) I nuovi potere ottenuti dalla plebe complicarono l'attività legislativa ma in quel periodo non si verificarono scontri e atti di violenza. Molti cittadini lasciarono
Roma
invitati dalle città vicine, più tardi una parte rientrò in patria.
19) I
consoli
riunirono un esercito per operare nei territori nemici sperando di ottenere diversi vantaggi: formare le scorrerie nelle campagne, rendere più gestibile la carestia diminuendo il numero di persone in città, distogliere la cittadinanza dalle tensioni sociali. Ebbe il comando il
Marcio
che aveva espugnato
Corioli
. Guidò l'esercito fino a
Anzio
e tornò con un ricchissimo bottino di frumento e bestiame.
20)
Consoli
Marco Minucio Augurino
e
Aulo Sempronio Atratino
. La continua incetta sui mercati italiani e l'acquisto dagli agricoltori che venivano ad offrire il loro prodotto alle porte della città riempì di frumento e altri viveri i magazzini di
Roma
e quando
Geganio
e
Valerio
tornarono con un ingente carico dalla
Sicilia
l'emergenza era ormai superata. Si discusse quindi di cosa fare del grano siciliano: i moderati consigliavano di distribuirlo al popolo pressoché gratuitamente mentre gli aristocratici ritenevano giusto venderlo a caro prezzo perché consideravano i
plebei
responsabili della carestia.
21) A capo della fazione aristocratica si era posto
Coriolano
che oltre ai motivi politici ne aveva di personali contro i
plebei
perché avevano impedito che ottenesse il consolato.
22-24)
Coriolano
prese la parola in senato e parlò apertamente contro i
plebei
e i loro
tribuni
accusandoli di abusare del potere ottenuto tramite le riforme e di aver usato il pretesto dei debiti per instaurare una forma di tirannide popolare. Chiese quindi che le derrate fossero vendute al loro pieno prezzo senza alcuna concessione per dimostrare al popolo che il potere era ancora nelle mani del senato e per scoraggiare ogni futura sedizione.
25) L'accesa discussione che seguì divenne un vero e proprio tumulto quando i
tribuni
chiesero la condanna a morte o all'esilio di
Coriolano
. Da parte sua
Coriolano
, che contava sull'appoggio della gioventù aristocratica, minacciò di passare alle vie di fatto.
26) I
tribuni
lasciarono il senato e convocarono l'assemblea che rapidamente decise di citare
Coriolano
ma quando questi respinse i messi scoppiò una rissa che presto dilagò in città.
27) Il mattino seguente i tribuni convocarono il popolo e fu chiesto al senato di prendere posizione sulla vicenda di
Coriolano
.
28-32) I senatori votarono scegliendo una linea di condotta moderata che il console Marco Minucio espose al popolo, veniva confermata la vendita del grano siciliano a prezzo minimo ma si escludeva qualsiasi punizione per
Coriolano
in considerazione dei suoi meriti verso lo stato.
33-34) Ai tribuni il discorso di Minucio non piacque, in particolare a
Sicinio
che vedeva nella pace sociale la fine del suo momento di gloria.
Sicinio
ringraziò il senato quindi, molto astutamente, si rivolse a
Coriolano
invitandolo a giustificarsi in modo da concludere bonariamente la questione. Sapeva che l'orgoglio non avrebbe permesso a
Coriolano
di chiedere scusa, infatti egli riprese il tono e le parole del giorno precedente mostrandosi ancora più irremovibile e arrogante.
35) Tra i patrizi che esaltavano
Marcio
e i
plebei
che lo insultavano scoppiò una rissa furiosa e quando
Sicinio
dichiarò che il tribunato condannava a morte
Coriolano
la violenza aumentò velocemente e solo l'autorità dei
consoli
, all'epoca molto rispettata, riuscì a calmare la folla.
36) Consigliato da
Lucio Giunio
,
Sicinio
parlò ancora al popolo per convincerlo a ritirarsi e lasciare ai tribuni il tempo di organizzare un regolare processo invece di procedere con un'esecuzione sommaria.
37) Per calmare gli animi i
consoli
e i senatori aprirono la vendita dei generi primari a prezzi bassissimi, intanto ottennero dai tribuni un ampio rinvio del processo di
Coriolano
.
Intanto gli
Anziati
avevano catturato le navi siciliane che tornavano indietro dopo aver consegnato il frumento per
Roma
e tenevano in prigionia la persone che avevano trovato a bordo. Gli ambasciatori romani andati a protestare furono cacciati e i
consoli
riunirono l'esercito e marciarono verso
Anzio
ma non fu necessario combattere perché gli
Anziati
si arresero spontaneamente e liberarono i prigionieri.
38)
Sicinio
convocò il popolo e annunciò la data fissata per il processo ma Minucio chiese ai tribuni di rispettare l'antica usanza e far esprimere il senato prima di affidare la decisione al popolo.
39) I tribuni accettarono la richiesta con la condizione di essere invitati alla seduta per esporre in senato la posizione del popolo sulla causa in esame.
40) Parlò al senato
Lucio Giunio
che appellandosi a un'antica legge sostenne che i
plebei
offesi potevano sottoporre la questione al giudizio popolare, in questo caso l'offesa proveniva da
Coriolano
il quale aveva cacciato con violenza e minacce gli
edili
incaricati di prelevarlo per essere sottoposto a giudizio. Passando dalle considerazioni di diritto all'utilità,
Lucio Giunio
fece presente che negare al popolo la possibilità di processare
Coriolano
avrebbe provocato grande scontento e forse nuove sedizioni vanificando le recenti concessioni dei patrizi.
L'arringa di
Lucio Giunio
proseguì deprecando le pretese di
Marcio
che voleva abolire la potestà tribunizia e vendere il grano a prezzo molto alto per portare i poveri alla disperazione senza considerare che la conseguenza sarebbe stata una rivolta quanto mai sanguinosa. Infine l'oratore indirizzò un'invettiva direttamente contro
Marcio
accusandolo di aspirare alla tirannide ed esortandolo a presentarsi al tribunale per giustificarsi deponendo lo smisurato orgoglio che aveva dimostrato il giorno precedente.
47-53) Da parte sua
Appio Claudio
non perse l'occasione di sottolineare di aver predetto che le pretese della plebe non sarebbero terminate con il trattato del Monte Sacro ... e il suo intervento prosegue per diverse pagine sostanzialmente ripetendo quanto detto in precedenza.
54) Parlò quindi Valerio consigliando ai senatori di presenziare al processo per assistere e difendere
Coriolano
. Si rivolse quindi a
Coriolano
stesso esortandolo a cambiare atteggiamento per evitare di provocare una rivolta con conseguenza ben più gravi delle offese personali.
55-56) Valerio espose anche un concetto politico più generale: era importante che il popolo tramite i tribuni e le sue assemblee condividesse il potere e in questo modo controbilanciasse quello del senato. Se in futuro - disse Valerio - un senatore tenterà di abusare del suo potere i tribuni lo fermeranno e il popolo lo giudicherà, se sarà il popolo a tentare di instaurare una tirannide il senato potrà nominare un
dittatore
che ristabilisca l'ordine istituzionale.
57-58) Il discorso di Valerio convinse la maggioranza dei senatori ma
Coriolano
chiese che i capi di accusa sui quali si sarebbe basato il processo venissero chiaramente rivelati. Consultatisi, i tribuni affermarono che l'accusa era aspirazione alla tirannide. L'imputato dichiarò di non opporsi oltre, fu emesso il decreto con la decisione del senato e fu fissato il giorno dell'udienza.
59) Una grande moltitudine si radunò nel
foro
per il processo. Si trattò della prima occasione in cui il popolo votò per tribù (
489 a.C.
) I patrizi chiedevano che si votasse per centurie come in passato perché questo sistema privilegiava i
plebei
più ricchi e verosimilmente più concordi con gli aristocratici, ma i tribuni furono inamovibili nel sostenere che tutto il popolo doveva votare e non soltanto i privilegiati.
60-61) Il console Minucio chiese al popolo di soprassedere ma
Sicinio
rispose che egli avrebbe garantito che il popolo votasse come stabilito lesse il decreto dando inizio al processo.
62-63)
Coriolano
perorò la propria causa enumerando le sue imprese, chiamando a testimoni quanti avevano combattuto con lui, mostrando cicatrici. Tutto ciò commosse il popolo e sarebbe stato certamente assolto se il tribuno
Decio
(è una contraddizione nel testo, in precedenza lo stesso personaggio è stato indicato come
Lucio Giunio
) non lo avesse accusato di aver violato la legge appropriandosi del bottino di
Anzio
per distribuirlo ai suoi soldati.
64) Sembra che
Marcio
avesse effettivamente distribuito il bottino ai soldati perché era riuscito a reclutarli durante un periodo di renitenza alla leva e gli era sembrato giusto premiarli ma la mossa del tribuno giunse inaspettata senza che
Marcio
o i
consoli
riuscissero a replicare. I tribuni approfittarono del momento e passarono subito al voto, l'imputato fu condannato con dodici voti su ventuno.
65-66) Per la prima volta un patrizio fu citato dal popolo. Secondo
Dionisio
fu l'inizio di una lunga serie di cambiamenti che aumentarono il potere del popolo diminuendo quello degli aristocratici. L'autore esprime apertamente la propria opinione, considera l'istituzione dei tribuni della plebe necessaria a
Roma
ma il loro operato fu più o meno positivo secondo il carattere dei tribuni. Se erano onesti chi attentava alla libertà e all'ordine veniva punito mentre le persone per bene non dovevano temere pene o giudizi mentre se il potere tribunizio era in cattive mani poteva avvenire il contrario. Non era quindi da correggere l'istituzione ma da curare la scelta dei tribuni.
67) Così si conclude la prima sedizione dei Romani dopo la cacciata dei re e
Dionisio
sottolinea come questi cambiamenti, diversamente da quanto avvenne in altre città, si verificarono in modo incruento. Ha ritenuto giusto descrivere in modo dettagliato gli eventi che portarono a una soluzione senza ricorso alle armi ma con il dialogo e la ragione.
68)
Coriolano
si comportò con grande dignità e dopo aver salutato i familiari senza lasciarsi andare alla commozione, uscì dalle porte di
Roma
non dicendo a nessuno dove era diretto.
69) Pochi giorni dopo furono eletti
consoli
Quinto Sulpicio Camerino
e
Spurio Larcio
. Si verificarono alcuni prodigi e un'epidemia del bestiame che molti interpretarono come segni dell'ira degli dei per la condanna di
Coriolano
. Un uomo vecchissimo si presentò in senato per raccontare di aver sognato
Giove
che lo incaricava di dire ai senatori di ripetere un rito celebrato in precedenza che non lo aveva soddisfatto. Si era affrettato a compiere la commissione perché avendo trascurato l'ordine
Giove
aveva fatto morire suo figlio e lo aveva colpito con dolori insopportabili .
70-72) Il rito che non aveva soddisfatto
Giove
era stato contaminato dal pietoso spettacolo di uno schiavo che veniva frustato in pubblico durante una festa. L'episodio è occasione per
Dionisio
di esporre i rituali
Romani
e dimostrare la loro origine greca. La festa di cui si parla fu istituita per voto di
Aulo Postumio
e ripetuta ogni anno fino alle
guerre puniche
. Iniziava con una processione dal
Campidoglio
al
Circo Massimo
aperta dai ragazzi prossimi all'età adulta, seguivano quadrighe, bighe, cavalieri e lottatori. Sfilavano saltatori, suonatori di tibie e di lire, danzatori con costumi variopinti, armi e altri ornamenti, danzatori che imitavano i
satiri
nelle vesti e nel comportamento, persone che recavano incensi, aromi, oggetti preziosi e infine i portatori di simulacri degli dei. Conclusa la processione,
consoli
e sacerdoti offrivano sacrifici secondo l'antico rituale greco descritto da
Omero
.
73) Era quindi la volta dei giochi: corsa delle quadrighe, delle bighe e dei cavalli sciolti, gare atletiche di corsa e di lotta, quindi la premiazione dei vincitori anche questa secondo l'uso greco.
Concludendo questo argomento
Dionisio
ricorda che il senato per rimediare all'increscioso evento della schiavo punito durante la festa decretò la ripetizione della processione, degli spettacoli e dei giochi.
Libro Ottavo
1) Furono eletti
consoli
Caio Giulio Iulo
e
Publio Pinario Rufo
(
489 a.C.
).
Marcio Coriolano
desideroso di vendicare l'offerta subita si recò ad
Anzio
, città dei
Volsci
, e si rivolse a
Azio Tullo
, uno dei più importanti cittadini, al quale narrò le sue disgrazie e chiese aiuto promettendo di fare ai
Volsci
tanto bene in futuro quanto male aveva fatto loro in passato.
2)
Tullo
fu lieto di accoglierlo e promise di renderlo amico di tutti i
Volsci
, dopo non molto tempo i due progettarono di muovere guerra a
Roma
ma poiché era in vigore una tregua
Coriolano
suggerì uno stratagemma per fare in modo che fossero i Romani a aprire le ostilità. Era imminente una festa a
Roma
e
Marcio
suggerì di mandare un gran numero di
Volsci
per partecipare ai giochi ma facendo trapelare la falsa notizia che non fossero atleti ma soldati che dovevano attaccare la città dal suo interno. In questo modo i Romani avrebbero certamente cacciato gli ospiti fornendo un ottimo pretesto a
Tullo
per dichiarare loro guerra.
3) L'idea di
Coriolano
fu messa in pratico. Giunse a
Roma
un gran numero di giovani
Volsci
e quando i
consoli
furono informati di un inganno decisero d'accordo con il senato di espellere i pericolosi stranieri.
4)
Tullo
si impegnò nell'esacerbare l'animo del
Volsci
sottolineando l'oltraggio di essere cacciati dalla festa. I
Volsci
si riunirono e decisero di dichiarare guerra ai Romani.
5-8) Per
Coriolano
fu l'occasione che aspettava: convocato da
Tullo
alla riunione dei capi militari raccontò le sue disgrazie e i motivi che avevano portato lui, romano, ad unirsi ai nemici di
Roma
. Propose di inviare ambasciatori a richiedere la restituzione ai Romani di tutti i luoghi conquistati ai
Volsci
e, al prevedibile rifiuto, di combattere luogo per luogo fino a recuperare tutto il territorio perduto.
9-10) Mentre
Coriolano
veniva onorato dai
Volsci
con le più alte cariche delle loro città, gli ambasciatori si recarono a
Roma
per proporre l'amicizia a condizione che i Romani restituissero tutte le terre conquistate ai
Volsci
. I senatori compresero qual era il vero scopo degli ambasciatori e li rimandarono indietro con un secco rifiuto.
11-12) Chiaramente i
Volsci
decisero di attaccare i Romani e mentre il loro esercito si preparava,
Marcio
e
Tullo
con squadre di volontari presero a saccheggiare la campagna romana e quella dei
Latini
. Per ordine di
Marcio
le tenute dei patrizi subivano pochi danni mentre quelle dei
plebei
venivano devastate,
Marcio
contava con questa strategia di alimentare la discordia dei Romani. Infatti non solo i
plebei
pensarono che i patrizi fossero d'accordo con
Coriolano
ma gli stessi patrizi sospettarono l'uno dell'altro.
13) Tornati alla base carichi di preda,
Marcio
e
Tullo
erano pronti a iniziare la guerra vera e propria. Decisero di dividere in due metà l'esercito. Una metà con
Coriolano
avrebbe attaccato
Roma
e l'altra metà comandata da
Tullo
si sarebbe occupata di difendere il territorio dei
Volsci
.
14)
Marcio
raggiunse
Circei
che si arrese senza combattere, la notizia giunse a
Roma
dove tribuni e senatori presero a litigare attribuendosi vicendevolmente la responsabilità della situazione.
15) Il senato ordinò ai
consoli
di reclutare un'armata ma il loro mandato era prossimo a scadere e lasciarono ai successori la leva incompleta.
16) Furono eletti
consoli
Spurio Nauzio
e
Sesto Furio
(486 a.C.) che si affrettarono a completare la leva e gli altri preparativi per la guerra ma gli alleati erano restii a combattere e gli
Equi
passarono dalla parte dei
Volsci
presto imitati da altre popolazioni.
Marcio
ebbe a disposizione un grande esercito e ricominciò a danneggiare la campagna romana.
17) I
Volsci
incoraggiati dal successo nutrivano grandi speranze mentre
Coriolano
attaccava gli alleati di
Roma
rimasti fedeli. Conquistò la città dei Tolerini (una gente laziale non meglio identificata) facendo strage dei difensori.
18) Attaccò quindi i
Bolani
che respinsero il primo assalto dei
Volsci
uccidendone molti ma
Coriolano
li ingannò con una finta fuga e li sconfisse aggirandoli.
19)
Coriolano
attaccò
Labico
che si difese validamente ma infine cedette al gran numero dei
Volsci
, conquistò quindi la città dei
Pedani
e passò a
Corbione
che si arrese senza combattere, altrettanto fecero gli abitanti di
Corioli
. A chi si arrendeva
Coriolano
lasciava intatti i beni e risparmiava il saccheggio.
20) Ben diversamente andò l'assedio di
Boville
, città ben fortificata e ben difesa che oppose molta resistenza ma che finì col cedere a
Coriolano
che qui più che altrove mostrò il suo grande carisma e il suo coraggio.
21)
Lavinio
si difese all'estremo in quanto strettamente legata ai Romani. Qui non bastarono gli assalti dei
Volsci
ma
Coriolano
cinse la città di un vallo e di un fossato e la pose sotto assedio impedendo i rifornimenti. Intanto a
Roma
cresceva la paura che
Marcio
guidasse i
Volsci
contro i propri concittadini e molti chiedevano di rievocare la condanna e lasciarlo tornare ma inaspettatamente si oppose il senato, forse perché i senatori volevano dimostrare una volta per tutte di non essere collusi con
Coriolano
.
22) Informato da disertori sul comportamento del senato,
Marcio
si mosse subito verso
Roma
con l'esercito e si accampò in un luogo detto
Fosse Cluilie
a breve distanza dalle mura. A
Roma
furono ore di panico e tutti cercarono di prepararsi a combattere senza che nessuno assumesse il coordinamento delle difese. Il mattino successivo, dato che
Coriolano
era rimasto in attesa senza intraprendere alcuna azione, il senato gli mandò ambasciatori per invitarlo a trattare la pace. Furono scelti Marco Minucio,
Postumio Cominio
,
Spurio Larcio
, Publio Pinario e Quinto Sulpicio, tutti consolari.
Marcio
li accolse in un luogo dove tutti i
Volsci
potevano ascoltare i loro discorsi.
23-28) Parlò Minucio che durante il processo aveva sempre difeso
Coriolano
e spese un lungo discorso fatto di buon senso ma anche di chiare minacce per dimostrare a
Coriolano
quanto fosse assurdo, se pur in qualche misura giustificabile, il suo comportamento. Non aveva alcuna speranza di vincere i Romani ma se anche fosse riuscito nell'impresa dai suoi concittadini, dopo averli combattuti, avrebbe avuto soltanto odio, sospetti e rancore.
Gli ambasciatori portavano proposte di pace e Minucio prometteva che se
Coriolano
avesse deposto le armi avrebbe avuto al più presto il decreto di annullamento della sua condanna.
29-35) La risposta di
Coriolano
(molto lunga e piena di ripetizioni sui suoi meriti militari, sulla sua gloria, sui torti subiti, ecc.) è in sintesi la seguente: premette di essere amico di Minucio e degli altri ambasciatori e riconosce loro di averlo aiutato, dichiara di nutrire per tutti gli altri Romani un odio inestinguibile, rifiuta di tornare a
Roma
dove vivrebbe una vita assai triste dopo tutti i suoi trascorsi e finalmente propone che il senato deliberi la restituzione ai
Volsci
di tutte le terre conquistate. Solo a questa condizione si dice disposto a mettere fine alla guerra. Congeda gli ambasciatori impegnandosi a non attaccare
Roma
per trenta giorni al termine dei quali tornerà per conoscere le decisioni dei senatori.
36) Come stabilito
Coriolano
allontanò l'armata da
Roma
e andò a conquistare
Longola
,
Satrico
e altre località. Scaduti i trenta giorni si portò a breve distanza da
Roma
e si accampò lungo la via Tuscolana. Intanto il senato aveva deciso di non rigettare del tutto le proposte di
Coriolano
ma di non avviare alcuna trattativa finché i
Volsci
si trattenevano in armi nelle campagne di
Roma
.
37) Il senato inviò dieci ambasciatori diversi dai precedenti a riferire la sua decisione ma
Coriolano
si limitò a concedere loro altri tre giorni per tornare con una dichiarazione differente.
38) I sanatori fecero un altro tentativo inviando un gruppo di sacerdoti,
pontefici
e
auguri
a chiedere la pace in nome degli dei ma neanche questi ebbero successo e ai
Romani
non rimase che reclutare tutti i cittadini adatti alle armi per presidiare le porte in attesa dell'attacco.
39-40) I templi erano affollati dalle donne in lutto che pregavano per la salvezza. Una matrona di alto lignaggio,
Valeria
sorella di
Publicola
, chiamò a se molte altre donne e insieme si recarono a casa di
Veturia
madre di
Coriolano
per pregarla di intercedere presso il figlio.
41-43)
Valeria
e le sue compagne convinsero, non senza difficoltà,
Veturia
a fare un tentativo recandosi dal figlio insieme alla nuora
Volumnia
, i suoi figli, e tutte le donne che avessero voluto seguirla. Si trattò poi di convincere
consoli
e senatori ad autorizzare il tentativo, ne nacque una lunga discussione ma alla fine tutti convennero che
Coriolano
non era uomo da nuocere a donne e bambini e non avrebbe tentato di usarli per i suoi obiettivi.
44-53) Un corteo di donne avanzò fino al campo dei
Volsci
con
Veturia
e
Volumnia
in testa.
Coriolano
andò loro incontro e ordinò ai
littori
di abbassare le scuri e i fasci in segno di deferenza.
Coriolano
, fino ad allora impassibile, si commosse alla vista della madre in abiti dimessi e con gli occhi segnati dal pianto e corse ad abbracciare la donna, quindi la moglie e i figli e solo dopo molte effusioni si rivolse a
Veturia
per chiederle il motivo della visita così inaspettata.
Il discorso di
Veturia
, soltanto una volta interrotto dal debole tentativo di
Marcio
di respingere ogni richiesta è chiaramente drammatico ma la retorica lo priva di credibilità. La donna riconosce che il figlio è stato offeso e che si trova in debito verso i
Volsci
che lo hanno accolto, ma poi ripercorre i momenti della vita di
Marcio
e della sua esperienza di madre completamente dedicata alla cura del figlio ed arriva a giurare di uccidersi se
Coriolano
non stabilirà un tregua di un anno per trovare una soluzione incruenta.
54)
Coriolano
cedette e, mentre tutte le donne alzavano acuti lamenti, abbracciò la madre e si arrese alle sue richiesta. Entro sera decise di allontanare l'esercito da
Roma
e si impegnò a tentare di convincere i
Volsci
a concludere la pace mentre a
Roma
popolo e senato dovevano sospendere ogni decisione sul suo ritorno finché la missione di pace non fosse andata a buon fine.
Tutto ciò stabilito le donne tornarono a
Roma
e
Coriolano
, consapevole del rischio di una rivolta, parlò a lungo al suo esercito pregando tutti di accettare il cambiamento e di difendere il loro comandante da chi avesse voluto fargli del male.
55) Dopo gioiosi festeggiamenti per il successo delle donne, il senato decretò di offrire loro un encomio solenne e un donativo a loro scelta. Le donne si riunirono e decisero di chiedere ai senatori di dedicare un tempio alla Fortuna Muliebre. La richiesta fu esaudita,
Valeria
fu scelta come sacerdotessa e il tempio fu consacrato l'anno successivo dal console Virginio Proculo.
56) Nel tempio era una statua della Fortuna Muliebre pagata dallo stato e le donne ne aggiunsero un'altra con i loro contributi volontari. Si dice che il secondo simulacro per due volte parlò dichiarandosi consacrato ai santi riti di
Roma
. Appurato il miracolo il senato decretò ulteriori sacrifici.
57)
Marcio
ricondusse il suo esercito ai campi dei
Volsci
e distribuì tutto il bottino. I soldati, soddisfatti di quanto avevano ricevuto, erano propensi ad accettare l'interruzione della guerra, ma quanti erano rimasti a casa volevano punire
Marcio
, in particolare
Azio Tullo
che per invidia aveva comunque progettato di ucciderlo. A
Marcio
fu ordinato di deporre il comando e rendere conto del suo operato.
58)
Marcio
non intendeva sottrarsi al giudizio ma chiese di non dover deporre il comando prima di essere stato giudicato e che nel tribunale fossero rappresentate tutte le città dei
Volsci
.
Tullo
si opponeva ritenendo che rivolgendosi all'intera nazione
Marcio
avrebbe sfruttato al meglio le sue doti di oratore.
59) La contesa su questi punti durò a lungo ma infine
Tullo
costrinse
Marcio
ad apparire nel
foro
dove i suoi accoliti lo lapidarono. A quanti avevano combattuto con
Marcio
e a tutti quelli che lo ritennero vittima di una grande ingiustizia non rimase che tributare a
Coriolano
le più splendide esequie.
60-62) Considerazioni di
Dionigi
sulla vicenda di
Marcio
Coriolano
che fu un grande combattente e un uomo virtuoso ma eccessivamente rigido e severo nell'applicare le leggi e la disciplina. In sostanza, sostiene l'autore, avrebbe potuto essere felice e fare una fine molto diversa. Fu comunque pianto dai
Volsci
e dai Romani e cinquecento anni dopo la sua morte se ne celebrava ancora la memoria.
63)
Volsci
ed
Equi
progettarono un attacco contro i Romani ma discordie interne li portarono a combattere gli uni contro gli altri subendo molte perdite. Sbagliarono i
consoli
a non trarre vantaggio dall'episodio.
64) Furono eletti
consoli
Caio Aquilio
e
Tito Siccio
(
485 a.C.
) Il senato inviò ambasciatori agli
Ernici
per chiedere soddisfazione di incursioni in territorio romano compiute in precedenza. Gli
Ernici
risposero che si era trattato di azioni di privati ma non intendevano consegnare gli autori e si dissero pronti alla guerra. In previsione di questa risposta i
consoli
avevano già fatto la leva per l'esercito e le forze reclutate furono divise in tre parti: una per
Aquilio
che doveva combattere contro gli
Ernici
, una fu affidata a
Tito Siccio
per attaccare i
Volsci
e con la terza
Spurio Larcio
e
Aulo Sempronio Atratino
furono incaricati di sorvegliare la città.
65) La battaglia di
Caio Aquilio
contro gli
Ernici
durò l'intera giornata e solo all'imbrunire i Romani riuscirono ad avere il sopravvento. Il console spronò i suoi uomini e guidò personalmente la cavalleria finché non vide i nemici rientrare in fretta nel loro campo, allora fermò quelli dei suoi soldati che continuavano a inseguire gli
Ernici
per evitare che si esponessero a eccessivi pericoli.
66) La notte successiva gli
Ernici
, decisi a evitare un'altra battaglia, fuggirono abbandonando i feriti e tutto ciò che era nel campo. Al mattino i Romani catturarono i feriti e molti dei fuggiaschi, presero cavalli, vettovaglie ed armi, quindi depredarono indisturbati le terre degli
Ernici
.
67) Intanto
Tito Siccio
affrontava a
Velletri
i
Volsci
comandati da
Azio Tullio
. Il terreno impediva alle cavallerie di partecipare alla battaglia ma i cavalieri romani combatterono a piedi e il loro intervento fece la differenza. I Romani vinsero uccidendo gran parte dei nemici fra cui lo stesso
Azio Tullio
.
Tito Siccio
ebbe il trionfo maggiore (sfilando sul carro trionfale) e
Aquilio
il trionfo minore (entrò a
Roma
a piedi).
68)
484 a.C.
Furono eletti
Publio Virginio
e
Spurio Cassio
. Estratti a sorte i compiti,
Virginio
uscì contro le città degli
Equi
mentre
Cassio
affrontò i
Volsci
e gli
Ernici
. Gli
Equi
si ritirarono nella campagna e
Virginio
depredò il territorio senza incontrare ostacoli. Anche
Volsci
ed
Ernici
si ritirarono nella città ma vedendo i
Romani
saccheggiare i loro poderi inviarono ambasciatori a chiedere la pace. Il console li multò, incassò denaro e provviste e rimise la questione ai senatori che lo autorizzarono a concludere il trattato.
69)
Spurio Cassio
fu sgradito a molti perché chiese un trionfo senza aver combattuto e perché le condizioni del trattato concluso con gli
Ernici
erano uguali a quelle concordate con i
Latini
che erano legati ai
Romani
da vincoli di consanguineità. Console tre volte e due volte trionfatore,
Cassio
cominciò a coltivare un progetto di tirannide e per procurarsi il favore popolare pensò di distribuire un vasto terreno ai
plebei
, inoltre arrivò a comprendere gli
Ernici
tra i beneficiari scatenando disordini.
70) Convocato il popolo,
Cassio
tenne un discorso vantando le proprie imprese, promettendo di elargire ricchi donativi e chiedendo il potere a vita. Il giorno dopo chiese in senato la distribuzione gratuita dei terreni.
71) La proposta suscitò ira e indignazione nei senatori, ma
Cassio
continuò a convocare il popolo per ribadire le sue promesse.
Virginio
, già suo collega nel consolato, intanto approntava una vigilanza. I tribuni della plebe si opposero alle idee demagogiche di
Cassio
e il popolo era perennemente confuso nell'ascoltare i discorsi pro e contro la distribuzione delle terre.
72) Il tribuno propose come soluzione di compromesso di distribuire per il momento parte delle terre ai
Romani
, atto sul quale
Cassio
e
Virginio
concordavano, procrastinando la distribuzione agli
Ernici
che vedeva i due consolari in disaccordo. La proposta fu accettata dalla maggioranza e
Spurio Cassio
, chiuso in casa per una finta malattia, prese a convocare a
Roma
un grano numero di
Ernici
e
Latini
.
73) In senato
Appio Claudio
si oppose a ogni forma di distribuzione gratuita e propose che una commissione di senatori verificasse quali terreni pubblici erano sfruttati illecitamente dai privati e li requisisse. Propose quindi che i terreni contesi venissero lottizzati, in parte venduti, in parte affittati destinando il ricavato al soldo delle truppe. Si disse certo che questo modo di procedere, sanando gli abusi dei patrizi che avevano occupato i terreni, avrebbe placato le rimostranze del popolo.
74)
Aulo Sempronio Atratino
affermò di aderire alla proposta di
Appio Claudio
aggiungendo che si promettesse a
Ernici
e
Latini
di spartire le terre eventualmente conquistate combattendo insieme in futuro.
75)
Sempronio
propose inoltre di procedere alla ricognizione dei terreni richiesta da
Claudio
ma di rimandare la spartizione vera e propria al prossimo mandato consolare in modo da evitare problemi con le discordie fra i
consoli
in carica.
76) Quindi in senato decretò che si nominassero i commissari per la ricognizione dei terreni pubblici e quant'altro era stato proposto dagli oratori. Il decreto servì a placare la sedizione popolare.
77)
483 a.C.
Furono eletti
consoli
Quinto Fabio
e
Servio Cornelio
. Furono nominati
questori
i giovani
Fabio Cesone
e
Lucio Valerio
che citarono davanti al popolo
Spurio Cassio
con l'accusa di aspirare alla tirannide.
Cassio
, sostennero i
questori
, proponeva per
Ernici
e
Latini
benefici ben più grandi di quelli che essi stessi si sarebbero aspettati. Era un assurdo, dissero, voler conferire a popoli estranei due terzi di quanto i
Romani
avevano conquistato con pericolo e fatica.
78) Dividere le terre con
Ernici
e
Latini
significava di fatto sottrarle alla repubblica. Ostacolato nelle sue intenzioni,
Spurio Cassio
aveva tentato di imporle con la violenza al senato, ai tribuni e all'altro console tramando per provocare rivolte. Dimostrando infine con autorevoli testimonianze che
Cassio
riceveva aiuti e armi dagli
Ernici
e dai
Latini
, i due
questori
ottennero la condanna dell'ex console. Temendo che in esilio
Cassio
sollevasse nemici contro
Roma
come aveva fatto
Coriolano
, il popolo decise di giustiziarlo. Fu condotto sulla rupe sovrastante il
foro
e fatto precipitare. Questa era la forma consueta di esecuzione in uso a quei tempi.
79) Un'altra versione della storia raccontava che
Spurio Cassio
fu scoperto, denunciato e giustiziato da suo padre. Versione poco credibile ma dopo tutto in linea con la vicenda di
Bruto
che fece morire i suoi figli che avevano cospirato per far tornare i
Tarquini
, o con quella di
Manlio
che nella guerra contro i
Galli
prima premiò il figlio per un atto di eroismo poi lo uccise per aver combattuto contro l'ordine di restare ai propri posti.
80) Il senato lasciò liberi i figli di
Cassio
respingendo la richiesta di quanti volevano farli uccidere e da allora fu legge che i figli di padri delinquenti non subissero alcuna pena.
81) Con la vicenda di
Cassio
l'aristocrazia si rafforzò e il progetto di spartizione delle terre venne accantonato provocando il malcontento della plebe. Per evitare disordini i
consoli
procedettero a una leva militare e superarono la resistenza della plebe minacciando di nominare un dittatore che avrebbe operato gli arruolamenti con la forza.
82) Il console
Cornelio
entrò nel territorio dei
Veienti
e fece prigionieri che poi rilasciò dietro riscatto. L'altro console
Fabio
si volse contro
Equi
e
Volsci
. Sottovalutando le forze romane in campo i
Volsci
furono sconfitti e il console tornò con un cospicuo bottino. In vista delle elezioni consolari i patrizi sollecitarono a candidarsi
Lucio Emilio
e
Fabio Cesone
, due conservatori sgraditi ai
plebei
che infatti disertarono i comizi sapendo che il meccanismo elettorale vigente non avrebbe consentito loro di impedire quelle elezioni.
83) 482 a.C.
Lucio Emilio
e
Fabio Cesone
furono eletti
consoli
. I
Volsci
razziavano le terre dei
Latini
e degli
Ernici
ma tenevano il grosso dell'esercito pronto per affrontare i Romani. Anche i Romani divisero le forze in due parti in modo da difendere
Ernici
e
Latini
mentre depredavano le terre dei
Volsci
.
84) Tirando a sorte, a
Fabio Cesone
toccò la difesa degli alleati e
Lucio Emilio
attaccò
Anzio
. Le forze in campo erano in condizioni di parità e dopo lunghi combattimenti i
Volsci
cominciarono a ritirarsi ordinatamente puntando a dividere i Romani.
85) Indietreggiando, i
Volsci
attirarono i Romani fino al loro accampamento ma qui gli inseguitori dovettero fuggire perché dal campo nemico uscirono molti altri soldati e, capovoltosi l'esito dello scontro, i Romani furono sconfitti, solo un improvviso temporale, ostacolando i
Volsci
, permise di contenere le perdite dei Romani.
86) Sottovalutando le forze romane superstiti i
Volsci
attaccarono il campo che
Lucio Emilio
aveva trasferito presso
Longola
, ma furono respinti. Circondarono allora il campo romano tenendolo per alcuni giorni sotto assedio. Quando i
Volsci
sferrarono un attacco che voleva essere decisivo non sapevano che le migliori truppe dell'altro console
Fabio Cesone
si erano introdotte nottetempo nel campo romano. Davanti all'inattesa energia del nemico i
Volsci
fuggirono lasciando molti caduti sul campo e i Romani, depredando le campagne circostanti, ricostituirono le provviste che avevano esaurito durante l'assedio.
87)
Fabio Cesone
convocò i comizi per le elezioni da solo perché
Emilio
rimase fuori dalle mura per la vergogna della sconfitta. Furono eletti
Marco Fabio
, fratello del console uscente, e
Lucio Valerio
figlio del fratello di
Publicola
. I
consoli
bandirono la leva per rimpiazzare i caduti di
Anzio
, ma la plebe si oppose e il tribuno Caio Manio pose come condizione per gli arruolamenti l'emissione del decreto per la distribuzione delle terre. I
consoli
, tuttavia, sistemarono il loro tribunale fuori le mura e presero a colpire le campagne dei renitenti senza che i tribuni potessero intervenire perché per legge non avevano potere fuori la cinta delle mura.
88) Riuscendo così a supplire alle coorti mancanti, i
consoli
decisero tirando a sorte che
Fabio
avrebbe guidato i soccorsi agli alleati mentre
Lucio Valerio
avrebbe sferrato un nuovo attacco ai
Volsci
.
I
Volsci
non accettarono per lungo tempo la battaglia campale e si susseguirono numerose scaramucce che indebolirono le fila dei
Romani
mentre i
Volsci
ricevevano continuamente rinforzi.
89) Quando finalmente si affrontarono in battaglia i due eserciti arrecarono l'un l'altro moltissime perdite ma lo scontro si chiuse senza vincitori, i nemici tornarono ai rispettivi campi e ripresero a sorvegliarsi senza intervenire. Corse voce che i soldati romani rimanessero inattivi in odio al console e ai patrizi che avevano tradito le loro aspettative. Intanto presagi negativi annunciavano l'ira degli dei. Da un'inchiesta risultò che la
vestale
Opimia aveva violato il voto di castità. Murata viva la
vestale
e frustati a morte i suoi due amanti, gli dei si placarono e le risposte degli indovini tornarono positive.
90) Giunto il tempo dei comizi nacque molta tensione tra patrizi e
plebei
a proposito delle candidature. I patrizi sostenevano il figlio di
Appio Claudio
che non era ovviamente gradito alla plebe.
Consoli
e tribuni della plebe si ostacolavano a vicenda e i senatori decisero di nominare un interrè. La scelta cadde su
Aulo Sempronio Atratino
che alla scadenza del mandato passò la carica a
Spurio Larcio
. Questi convocò i comizi e finalmente furono eletti il plebeo
Caio Giulio
e il patrizio
Quinto Fabio
figlio di
Cesone
che era al suo secondo consolato (
482 a.C.
).
91) Gli
Equi
e i
Veienti
saccheggiarono territori romani. Il senato chiese soddisfazione ai secondi rimandando di occuparsi dei primi e gli
Equi
, incoraggiati, attaccarono Ortona.
I
Veienti
congedarono gli ambasciatori romani dicendo che l'incursione era opera di altri
Etruschi
ma tornando a
Roma
gli ambasciatori incontrarono i saccheggiatori veienti con la preda, di conseguenza il senato dichiarò guerra a
Veio
. Molti si opposero alla dichiarazione di guerra temendo che tutta l'
Etruria
intervenisse a favore di
Veio
, inoltre i
plebei
colsero l'occasione per protestare per le terre non ancora distribuite.
Spurio Larcio
convinse il popolo a ratificare la decisione e i
consoli
condussero l'esercito a razziare il territorio veiente.
Libro Nono
1)
479 a.C.
Vennero eletti
consoli
il patrizio
Fabio Cesone
, l'accusatore di
Spurio Cassio
, e il plebeo
Spurio Furio
. I
consoli
decisero di arruolare due armate: una per soccorrere i
Latini
attaccati dagli
Equi
e l'altra per far fronte alla coalizione etrusca che si stava formando intorno a
Veio
.
Il tribuno Spurio Sicinio oppose il veto alle leve e chiese che prima si nominasse la commissione per distribuire le terre.
Appio Claudio
propose ai
consoli
di tentare di provocare discordie fra Sicinio e i suoi colleghi.
2) I
consoli
persuasero infatti gli altri tribuni a tacitare Sicinio e, senza più ostacoli, passarono agli arruolamenti. La sorte decise che
Spurio Furio
si occupasse degli
Equi
e
Fabio Cesone
degli
Etruschi
. Gli
Equi
si arresero senza combattere e
Spurio Furio
fece un ricchissimo bottino che lasciò interamente alle truppe accrescendo la sua già grande popolarità.
3) I soldati di
Fabio Cesone
, che odiavano il console responsabile della morte di
Spurio Cassio
, combatterono validamente ma vinto il nemico rifiutarono di inseguirlo e disertarono in massa tornando a
Roma
senza averne avuto l'ordine.
4) Gli ammutinati tornarono a
Roma
attraversando di notte il territorio nemico con grande pericolo e giunti alle mura rischiarono di essere attaccati dai
Romani
stessi che nel buio non li riconobbero. E tutto ciò per impedire che
Fabio
con una vittoria diventasse più potente. 5) Furono eletti
Caio Manlio
e
Marco Fabio
(
478 a.C.
). Il tribuno Tiberio Pontificio si oppose alla leva ma venne isolato dai colleghi come era avvenuto l'anno precedente.
I
consoli
schierarono davanti a
Veio
due armate ciascuna composte di due legioni di
Romani
e di molti contingenti di alleati ma le forze degli
Etruschi
apparvero maggiori perciò i
consoli
fortificarono i campi e presero tempo.
6) Un fulmine distrusse la tenda del console
Manlio
e tutto ciò che conteneva. Gli indovini interpretarono l'evento come un presagio della distruzione dell'intero campo e
Manlio
trasferì il suo esercito presso quello del collega. Gli
Etruschi
se ne rallegrarono e l'idea che gli dei fossero con loro li rese certi della vittoria.
7) Gli
Etruschi
occuparono il campo abbandonato da
Manlio
rafforzando le loro posizioni, quindi presero a provocare verbalmente i
Romani
deridendoli e insultandoli ogni giorno. I
consoli
, temendo che i soldati
plebei
li abbandonassero come avevano fatto l'anno precedente, non osavano intervenire.
8) I
consoli
presero ancora tempo contando sull'orgoglio dei soldati, infatti quando gli
Etruschi
cominciarono a chiudere con degli steccati le uscite del campo romano, i soldati persero la calma e chiesero a gran voce di essere guidati in battaglia.
9) Discorso di incoraggiamento di
Fabio
alle truppe.
10) Il primipilo
Marco Flavoleio
, un plebeo già decorato per meriti militari, si fece avanti e giurò di non tornare se non dopo aver sconfitto i nemici e tutti seguirono il suo esempio,
consoli
compresi. Uscirono dal campo e si schierarono.
11) Durante la battaglia fu ferito mortalmente
Quinto Fabio
fratello del console
Marco Fabio
che comandava l'ala sinistra romana. Dal lato opposto del campo anche il console
Manlio
venne ferito.
12-13)
Dionigi
descrive episodi della lunga battaglia come la morte di
Caio Manlio
e la temporanea presa del campo romano da parte degli
Etruschi
. Quando scese la sera i combattenti si ritirarono, il mattino seguente i
Romani
diedero sepoltura ai loro caduti e saccheggiarono il campo nemico abbandonato.
Furono premiati
Fabio Cesone
,
Tito Siccio
e
Marco Flavoleio
. A
Roma
il console
Fabio
rifiutò il trionfo in segno di lutto per la morte del fratello e del collega, quindi depose il consolato in anticipo perché costretto a letto dalle molte ferite.
14) I comizi, convocati da un interrè, elessero
Tito Virginio
e
Fabio Cesone
(per la terza volta). La sorte stabilì che
Virginio
continuasse la guerra contro
Veio
e
Fabio
attaccasse gli
Equi
.
Gli
Equi
si ritirarono nelle loro città e
Fabio Cesone
saccheggiò senza combattere le campagne.
Anche i soldati di
Virginio
si diedero al saccheggio ma furono sorpresi da un'improvvisa sortita dei
Veienti
e salvati dal tempestivo intervento di
Tito Siccio
. Si trovarono accampati su un colle e circondati dai nemici, privi di provviste per resistere all'assedio. Chiamato dal collega,
Fabio Cesone
giunse appena in tempo per liberare gli assediati e i
Veienti
fuggirono ma quando gli eserciti consolari furono rientrati a
Roma
presero a saccheggiare le campagne giungendo fino al
Tevere
a brevissima distanza da
Roma
.
15) Le spese per la continua guerra avevano prosciugato l'erario e il senato non aveva mezzi per affrontare una nuova impresa. I
Fabii
si offrirono di combattere da soli e a proprie spese contro
Veio
fino alla fine della guerra. Senato e popolo accolsero la proposta con infinita gratitudine e
Marco Fabio
, il console dell'anno precedente, prese il comando di un esercito composto da trecento
Fabii
e circa quattromila fra clienti e amici.
Marco Fabio
uscì da
Roma
con queste milizie seguito a breve distanza dal console
Fabio Cesone
al comando dell'armata romana. Si accamparono sul fiume
Cremera
, presso
Veio
.
Fabio Cesone
coordinò i lavori per fortificare il campo, saccheggiò le terre di
Veio
procurando abbondanti provviste per le forze dei
Fabii
, quindi ricondusse l'esercito a
Roma
.
I
Veienti
si trovarono assediati, a corto di provviste e impossibilitati a rifornirsi. Tentarono molte sortite ma per tutto l'inverno furono sempre sconfitti.
16) I nuovi
consoli
Lucio Emilio
e
Caio Servilio
(476 a.C.) vennero informati che
Volsci
ed
Equi
stavano per attaccare mentre altri messaggeri portavano la notizia che l'intera
Etruria
stava per soccorrere
Veio
.
Lucio Emilio
prese il comando di un'armata e raggiunse i
Fabii
sul
Cremera
insieme a
Fabio Cesone
in veste di
proconsole
.
Servilio
marciò contro i
Volsci
e il
proconsole
Servio Furio
contro gli
Equi
.
Servio Furio
sconfisse facilmente gli
Equi
, non così il console
Servilio
che dopo aver perso molti uomini si ridusse a tenere il campo senza più uscire per combattere.
Lucio Emilio
sconfisse gli
Etruschi
e conquistò i loro alloggiamenti.
17) I
Veienti
chiesero una tregua e mandarono ambasciatori a
Roma
per trattare la pace. Il senato accettò di concludere la guerra e delegò la trattativa a
Lucio Emilio
. Quanto questi concordò con i
Veienti
fu considerato troppo generoso dai senatori che gli negarono il trionfo. Per dargli l'occasione di recuperare prestigio i senatori incaricarono
Emilio
di portare il suo esercito contro i
Volsci
per aiutare il collega ma
Emilio
, molto offeso, parlò al popolo denigrando i patrizi, quindi congedò la propria armata.
18) 475 a.C. Furono eletti
Caio Orazio
e
Tito Menenio
. Le undici città etrusche che avevano partecipato alla guerra ma non al trattato di pace posero
Veio
sotto accusa per aver concluso con i
Romani
un accordo senza il voto comune e imposero ai
Veienti
di trovare il modo di rescindere il trattato.
I
Veienti
protestarono perché il campo dei
Fabii
sul
Cremera
non era stato rimosso e lo fecero con evidenti intenzioni provocatorie tanto che il senato ordinò ai
consoli
di armare due eserciti per affrontare l'uno la coalizione etrusca e l'altro i
Volsci
.
Orazio
mosse contro i
Volsci
ma mentre
Menenio
si preparava per marciare contro l'
Etruria
il campo sul
Cremera
fu preso e la stirpe dei
Fabii
distrutta.
19) Spiega
Dionisio
che si conoscevano due versioni della fine dei
Fabii
. Secondo alcuni i
Fabii
furono circondati e massacrati dai
Veienti
mentre, senza le dovute precauzioni, stavano tornando temporaneamente a
Roma
per offrire dei sacrifici tradizionalmente di competenza della loro famiglia. Racconto poco credibile secondo l'autore perchè i
Fabii
erano troppo esperti per comportarsi così ingenuamente, inoltre i sacrifici non avrebbero richiesto la mobilitazione dell'intera famiglia.
20) Secondo l'altra versione i
Veienti
avevano attratto numerosi
Fabii
fuori dal campo lasciando vagare del bestiame non sorvegliato e li avevano aggrediti. I
Fabii
si erano battuti uccidendo molti nemici poi si erano rifugiati su un'altura per la notte.
21) Il mattino seguente quanti erano rimasti nel campo seppero dei loro congiunti assediati e accorsero a aiutarli ma furono trucidati prima di arrivare all'altura. Gli assediati, che non avevano mezzi di sostentamento, si scagliarono fra i nemici e ne fecero strage ma alla fine furono sopraffatti. Anche i pochi che erano rimasti di guardia al campo vollero una morte gloriosa e resistettero finché anche l'ultimo di loro venne ucciso.
22) Assolutamente inventata, aggiunge
Dionisio
, è la notizia che della
gens Fabia
rimase solo un maschio in età infantile. Non è possibile che dei trecento partiti nessuno avesse un figlio piccolo, un fratello minore o una moglie incinta.
23) Poiché il campo del console
Menenio
si trovava a breve distanza dal luogo dell'eccidio, nacque il sospetto che il console non fosse intervenuto per gelosia, perciò fu citato in giudizio dai tribuni e condannato. Dopo la battaglia del
Cremera
, infatti, gli
Etruschi
si volsero verso il campo dell'esercito e lo assediarono.
Menenio
, che avrebbe avuto il tempo di trasferire il campo, non lo fece e quando si trovò circondato dai nemici che impedivano i rifornimenti portò l'esercito a combattere in posizione sfavorevole, tanto che gli
Etruschi
compirono un'altra strage.
24) Distratti dal saccheggio del campo romano, gli
Etruschi
persero l'occasione di inseguire i superstiti e sconfiggere quanti sarebbero usciti per difenderli. Il giorno successivo, tuttavia, marciarono verso
Roma
e arrivarono ad accamparsi sul
Gianicolo
(all'epoca esterno alle mura) e da quel colle presero a fare scorrerie nelle campagne.
L'arrivo del console
Orazio
con l'esercito che tornava dalla campagna contro i
Volsci
incoraggiò i
Romani
che uscirono dalle mura e sconfissero due volte gli
Etruschi
ad un miglio dalla città, presso il Tempio della Speranza e presso Porta Collina.
25)
476 a.C.
Consoli
Spurio Servilio
e
Aulo Virginio
. I
consoli
continuarono la guerra contro
Veio
ma il problema peggiore erano i disordini in città a causa della carestia seguita agli eventi bellici dell'anno precedente che avevano ostacolato l'agricoltura. I
consoli
presero il controllo della situazione importando derrate e ordinando a chi ne aveva di distribuire le scorte.
26) Tardando gli approvvigionamenti si decise che fosse meglio affrontare il nemico che la fame, i
consoli
schierarono l'esercito durante la notte e all'alba iniziò la battaglia. Dopo lunghi scontri i
Romani
vinsero costringendo gli
Etruschi
a fuggire a
Veio
abbandonando il campo, tuttavia persero molti uomini e quando rientrarono in città la letizia per la vittoria fu offuscata dal dolore per le perdite. Il senato decretò i dovuti sacrifici ma non concesse il trionfo ai
consoli
.
Nei giorni seguenti arrivarono i rifornimenti e la situazione si normalizzò.
27) I tribuni
Quinto Quintilio
e
Tito Genucio
citarono in giudizio
Menenio
per l'esito infausto del suo consolato.
Menenio
, che era considerato responsabile della tragica fine dei
Fabi
sul
Cremera
, fu condannato ma in considerazione dei meriti del padre (il famoso
Menenio Agrippa
che aveva riconciliato patrizi e
plebei
) gli fu risparmiata la vita e la pena fu commutata in una pesantissima multa. Molti erano disposti ad aiutarlo a pagare ma
Menenio
, sconvolto dall'ingiuria, si chiuse in casa e si lasciò morire di fame. Lo sdegno dei patrizi per la condanna di
Menenio
e per la sua fine provocò nuove ostilità fra le classi.
28)
Consoli
Publio Valerio Publicola
e
Caio Nauzio
(
475 a.C.
) Rischiò la condanna a morte anche
Servilio
, patrizio, console dell'anno precedente accusato da
Lucio Cedicio
e
Tito Stazio
di condotta temeraria per aver causato la perdita di molti uomini durante la battaglia con gli
Etruschi
.
I Patrizi tentarono in tutti i modi di difendere
Servilio
ma gli accusatori insistevano che la sua imprudenza e la sua imperizia avevano messo in pericolo l'intero esercito.
29-32) L'autodifesa di
Servilio
: sostenne di aver agito nel modo più opportuno in quella situazione e che la cattiva sorte aveva causato la disfatta. Se fosse stato più fortunato nessuno lo avrebbe accusato di imprudenza. Inoltre contestò ai tribuni suoi accusatori di agire per odio verso il patriziato, era ancora aperta la questione della distribuzione delle terre, sempre buona per sollevare il popolo.
33) Concluso il discorso di
Servilio
molti parlarono in sua difesa ma fu decisivo l'intervento di
Virginio
, l'altro console, che affermò che
Servilio
si era comportato con correttezza e coraggio in questa come in tutte le occasioni della sua vita e alla fine convinse i presenti. Anche i parenti dei caduti deposero il loro risentimento e infine
Servilio
fu assolto.
34) Non molto tempo dopo
Veio
si armò di nuovo alleandosi con i
Sabini
per la prima volta. Si attendevano rinforzi anche dalle altre città etrusche, il piano era l'assedio di
Roma
. Per prevenire il nemico il console Valerio attaccò notte tempo uno dei campi nemici, quello dei
Sabini
, e lo prese facilmente sfruttando la sorpresa.
35)
Valerio
marciò quindi contro il campo dei
Veienti
, ma questi erano preparati all'attacco e ormai era giorno, quindi la battaglia fu violenta e fece molte vittime. Dopo molte ore i
Veienti
ripararono nelle trincee ma furono circondati dai
Romani
e all'alba del giorno seguente molti fuggirono lasciando a Valerio anche il loro campo. In questi scontri di distinse Servilio console dell'anno precedente.
Spesi alcuni giorni nel saccheggiare i territori di
Veio
e dei
Sabini
, il console ricondusse in patria l'esercito carico di bottino e il senato decretò il trionfo.
L'altro console
Caio Nauzio
aveva indugiato nel muoversi perché voleva tenere la propria armata a disposizione di
Valerio
. Tornato
Valerio
, attaccò e devastò il territorio dei
Volsci
.
36)
Consoli
Aulo Manlio
e
Lucio Furio
(
474 a.C.
) Fu sorteggiato
Manlio
per agire contro
Veio
. I
Veienti
si chiusero in città ma non ricevendo rinforzi dagli alleati mandarono i cittadini più importanti a trattare con il console. Ottennero, dietro pagamento di un anno di salario all'armata, si andare a
Roma
per trattare la pace con il senato. A
Roma
fu concordata una tregua di quarant'anni,
Manlio
rientrò con l'esercito e ottenne il trionfo.
37)
Consoli
(
473 a.C.
)
Lucio Emilio Mamerco
e
Giulio Vopisco
(
Opitro Virginio
secondo
Livio
). Non si avevano guerre esterne ma riprese l'agitazione popolare per la distribuzione delle terre fomentata dal tribuno
Gneo Genucio
. Questi pressò i
consoli
in carica ma non potendoli costringere perché la loro autorità superava la sua, passò ad accusare
Manlio
e
Furio
consoli
dell'anno precedente citandoli in giudizio per non aver nominato i
decemviri
incaricati della distribuzione dei terreni.
38) Il processo preoccupò i patrizi che si prepararono a difendere gli ex
consoli
e a resistere con ogni mezzo ma il giorno prima dell'udienza
Genucio
fu trovato morto nel suo letto. Non presentava segni di violenza e la sua morte fu interpretata come un monito divino, il processo fu annullato e gli altri tribuni evitarono di riaprire la discussione. Tuttavia i
consoli
provocarono il popolo intimando una leva e colpendo i renitenti con multe e punizioni.
39) Durante la leva
Publio Volerone
che aveva avuto ottimi trascorsi militari ed era stato centurione, venne arruolato come semplice legionario. Protestò presso i
consoli
ma questi, irritati, ordinarono ai
littori
di spogliarlo e frustarlo.
Volerone
chiese, se era colpevole, di essere giudicato dal popolo ma non ottenendo risposte ed essendo molto forte, atterrò i
littori
che dovevano punirlo. Ne nacque un tumulto fra i presenti e i
plebei
aggredirono i
consoli
e i patrizi che si trovavano a passare in quel luogo. L'episodio ebbe la conseguenza di riaccendere vecchi contrasti, seguì un periodo di discordia e di agitazione politica.
40) Furono eletti
consoli
Lucio Pinario
e
Publio Furio
(470 a.C.). Un'epidemia colpì le donne in gravidanza che partorivano feti immaturi e subito morivano. Secondo gli indovini si trattava della punizione divina per un sacrilegio. Si scoprì infatti che la
vestale
Orbilia
aveva perduto la verginità e continuava a offrire sacrifici.
Orbilia
fu sepolta viva, uno dei suoi due amanti si suicidò, l'altro fu flagellato a morte e l'epidemia ebbe termine.
41)
Publio Volerone
, il centurione che si era ribellato quando i
consoli
lo stavano arruolando come legionario, fu eletto tribuno della plebe e subito propose una legge per trasferire le decisioni popolari ai
comizi curiati
ai comizi per tribù. La differenza era che i comizi delle tribù non necessitavano di un decreto di convocazione del senato e delle divinazioni degli
auguri
come i
comizi curiati
.
I senatori, i
consoli
e i patrizi erano ovviamente contrari e boicottarono la discussione della legge con interventi lunghissimi e altri espedienti.
42) Presto però le decisioni vennero sospese a causa di una furiosa epidemia che colpì l'
Italia
e
Roma
in particolare con tragiche conseguenze. Quando passò la carica di
Volerone
stava scadendo ma egli ottenne di essere rieletto. Da parte loro i patrizi promossero l'elezione consolare di un loro campione,
Appio Claudio Sabino
, che divenne console insieme a
Tito Quinzio Capitolino
(
471 a.C.
).
43)
Appio Claudio
propose subito di intraprendere una qualsiasi campagna militare per distogliere la plebe dalle sedizioni interne.
Tito Quinzio
era contrario e sosteneva che fosse più importante tenere le milizie pronte a contrastare eventuali attacchi nemici.
Publio Volerone
tornò a proporre la sua legge aggiungendo nuove regole tutte tese a inibire l'autorità del senato.
44-45) I
consoli
decisero di convocare il popolo per chiarire la situazione e indurlo con la persuasione a bocciare la proposta di
Volerone
. Il giorno stabilito davanti alla grande folla presente
Quinzio
parlò per primo e con parole ragionevoli ottenne l'attenzione di tutti e il favore di molti, ma il successivo intervento di
Appio Claudio
che parlò con superbia e arroganza attaccando la plebe e in particolare i tribuni fece di nuovo aumentare la tensione.
46) Ai
consoli
rispose il tribuno
Caio Letorio
che ricordò i sacrifici sofferti dalla plebe per il bene comune, le promesse mai rispettate, la secessione e il ritorno che era avvenuto a fronte di impegni che dovevano essere assolti.
47)
Letorio
passò a rispondere direttamente a
Appio Claudio
che aveva pronunciato minacce forte dell'autorità consolare, lo chiamò tiranno e nemico del popolo e annunciò che sarebbe passato dalla parole ai fatti.
48) Dopo aver giurato che avrebbe sostenuto la legge anche a costo della vita,
Letorio
ordinò che
Appio
fosse allontanato dall'adunanza e poiché il console rifiutava di andarsene,
Letorio
chiese che venisse arrestato. Rapidamente dalla discussione si passò alla rissa e solo
Quinzio
con i senatori più anziani riuscirono a separare i litiganti e a sciogliere l'assemblea. Nei giorni seguenti
Appio Claudio
e i suoi sostenitori continuarono a scambiare insulti e accuse con i tribuni mentre il popolo occupava il
Campidoglio
.
49)
Quinzio
riuscì a placare gli animi dei tribuni ma non quello di
Appio
che rimaneva inamovibile nel voler respingere ad ogni costo qualsiasi concessione alla plebe.
Quinzio
e Publio Valerio Publicola proposero di rimettere la questione al Senato, i senatori espressero voto positivo che fu ovviamente confermato dal voto popolare e la proposta di
Volerone
fu legge. Da allora tribuni e
edili
furono eletti dal popolo senza coinvolgere gli
auguri
e la religione.
50) Poco dopo i due
consoli
mossero contro
Equi
e Volsci che stavano depredando territori di alleati dei
Romani
. Quinzio marciò contro gli
Equi
,
Appio
contro i
Volsci
.
Quinzio, che poteva contare sull'obbedienza dei suoi soldati, entrò nel territorio nemico e lo saccheggiò senza che gli
Equi
osassero reagire. I soldati di
Appio
, invece, per odio verso il loro comandante, ne boicottarono l'impresa rifiutando di combattere o fuggendo davanti al nemico finché il console fu costretto a ritirare le sue truppe dalle terre nemiche. Applicando le leggi con il massimo rigore,
Appio
fece uccidere la decima parte dei suoi soldati.
51) Furono eletti
consoli
Lucio Valerio
, per la seconda volta, e
Tiberio Emilio
(
468 a.C.
). I tribuni ripresero a chiedere che si mantenessero le promesse del senato riguardo alla divisione delle terre e i
consoli
, questa volta, si unirono alle loro richiesta. In senato fu riaperto il dibattito e per primo parlò
Lucio Emilio
, padre del console
Tiberio
, dichiarandosi favorevole alla divisione delle terre.
52) Parere contrario fu espresso da
Appio Claudio
, il console dell'anno precedente, che sostenne che il decreto di divisione delle terre non era mai stato eseguito perché avrebbe avuto conseguenze negative e ribadì la sua avversione. Obiettò inoltre che i
consoli
Valerio
e
Emilio
non erano tenuti a eseguire l'ordine che i
consoli
di molti anni prima avevano ricevuto dal senato.
53)
Appio Claudio
sostenne che l'assegnazione dei terreni non avrebbe mutato il comportamento di quanti si lamentavano e protestavano per costume più che per bisogno. Infine concluse il suo discorso con un'invettiva contro i soldati che non avevano eseguito i suoi ordini ed erano fuggiti di fronte ai
Volsci
.
54) I tribuni decisero di colpire
Appio Claudio
intentando un processo contro di lui con varie accuse tra cui quella di aver comandato l'esercito in modo infame provocando sciagure.
Dopo aver rifiutato di difendersi e aver respinto quanti si offrivano di intercedere per lui,
Appio Claudio
si uccise. I tribuni tentarono di impedire al figlio di pronunciare l'orazione funebre ma il popolo non lo permise e
Appio Claudio
ebbe le consuete onoranze.
55) I
consoli
arruolarono le milizie per combattere,
Lucio Valerio
contro gli
Equi
,
Tiberio Emilio
contro i
Sabini
. Valerio tentò di assediare il campo degli
Equi
ma ne fu dissuaso da una tempesta che si placò solo quando ebbe fermato l'avanzata dell'esercito. Interpretata la tempesta come un segnale della volontà degli dei,
Lucio Valerio
rinunciò all'assedio, saccheggiò la campagna e ricondusse l'esercito in patria.
Intanto
Emilio
combattè una lunga e inconcludente battaglia contro i
Sabini
.
56) L'anno seguente (467 a.C.) furono eletti
consoli
Aulo Virginio Celimontano
e
Tito Numicio Prisco
che dovettero subito affrontare i
Volsci
che erano arrivati vicino Roma. Quando giunsero sul posto i nemici erano già andati via. Nei giorni successivi uscirono di nuovo,
Virginio
contro gli
Equi
e
Numicio
contro i
Volsci
.
Virginio
riportò la vittoria sugli
Equi
e
Numicio
conquistò una cittadella dei
Volsci
sul mare che comprendeva un arsenale, armi e ventidue navi.
57) 466 a.C.
Consoli
Tito Quinzio Capitolino
e
Servilio Prisco
.
Servilio
saccheggiò il territorio dei
Sabini
senza che questi uscissero per combattere.
Quinzio
si trovò ad affrontare un'armata di
Equi
e
Volsci
e rischiò la disfatta ma, arringando ai soldati, riuscì a infondere coraggio prima all'una poi all'altra ala del suo esercito.
58) I
Romani
vinsero la battaglia ma non inseguirono i nemici. Alcuni giorni dopo
Equi
e
Volsci
, raccolte nuove reclute, circondarono il campo di
Quinzio
ma furono sopraffatti dal coraggio dei
Romani
che uscirono improvvisamente dal campo. Questa volta i romani inseguirono i nemici e saccheggiarono il loro campo.
Quinzio
attaccò
Anzio
che gli si arrese e, tornato a
Roma
, celebrò il trionfo.
59) 465 a.C.
Consoli
Tiberio Emilio
e
Quinto Fabio
. Il senato decise di distribuire ai poveri una parte del territorio conquistato l'anno precedente agli
Anziati
.
Tito Quinzio Capitolino
,
Lucio Furio
e
Aulo Virginio
furono incaricati della suddivisione dei terreni, ma il popolo non gradì l'iniziativa considerandola un pretesto per espellere da Roma i meno abbienti, perciò i terreni vennero concessi a
Ernici
e Latini.
Intanto
Emilio
marciò nelle terre dei
Sabini
e
Fabio
in quelle degli
Equi
.
Emilio
non incontrò nemici con cui combattere e tornò a Roma.
Fabio
trattò la pace con gli
Equi
con delega del senato.
60) 464 a.C.
Consoli
Spurio Postumio Albino
e
Quinto Servilio Prisco
(seconda volta). Gli
Equi
, violando i recenti trattati con i
Romani
presero a saccheggiare i terreni dei Latini insieme ai profughi anziati. Il senato inviò tre ambasciatori per chiarire la situazione ed ottenne la consegna dei colpevoli ma gli
Equi
presero tempo. Tornati a Roma gli ambasciatori senza aver nulla concluso, il senato mandò i
Feziali
per dichiarare guerra ma per quell'anno non inviò milizie contro gli
Equi
. A Roma
Spurio Postumio
dedicò il
tempio di Giove
costruito sul
Campidoglio
da
Tarquinio il Superbo
.
61) 463 a.C.,
consoli
Tito Quinzio Capitolino
e
Quinto Fabio Vibulano
. Il console
Fabio
combattè contro gli
Equi
una lunga battaglia cui seguirono altri brevi scontri. Quando
Fabio
seppe che una parte dell'armata degli
Equi
compiva incursioni notturne in territorio romano tese una trappola ai saccheggiatori riportando la vittoria su di loro.
62) 462 a.C.
consoli
Aulo Postumio Albo
e
Spurio Furio
. Ambasciatori latini riferirono segnali di pericolo provenienti dagli
Equi
e dagli Anziati. Gli
Ernici
denunciarono un'armato di
Equi
e di
Volsci
penetrata nel loro territorio. Il senato mandò milizie presso gli Anziati e gli
Equi
per controllare la situazione.
Spurio Furio
incontrò gli
Equi
ma non accettò la battaglia e i nemici ne furono incoraggiati.
63) Il console scrisse a Roma chiedendo rinforzi e un primo contingente fu subito inviato, lo comandava
Tito Quinzio
con autorità proconsolare.
Aulo Postumio
lo avrebbe al più presto raggiunto dopo aver reclutato altre milizie. Gli
Equi
attaccarono il campo romano prima dell'arrivo dei rinforzi e dopo una giornata di battaglia riuscirono a circondare il console
Furio
che era uscito dal campo con mille uomini. A
Furio
fu proposta la resa ma i
Romani
respinsero l'invito e combatterono fino alla morte.
64) Il giorno seguente gli
Equi
attaccarono nuovamente il campo romano e con assalti ripetuti uccisero molti soldati. A sera i
Romani
stavano per cedere quando giunse Quinzio con i rinforzi e mise in fuga gli assedianti.
65) Intanto altre milizie di
Equi
e di
Volsci
andarono a saccheggiare le campagne delle regioni più lontane dal campo romano ma furono sorprese dal console Postumio, che aveva radunato altri armati per soccorrere il collega, e furono sconfitti subendo molte perdite.
66) Quando furono informati della disfatta subita dai saccheggiatori, anche quanti assediavano il campo romano abbandonarono la posizione e, inseguendoli, i
Romani
ne uccisero molti. Anche i
Romani
, tornando in patria, contarono molti caduti.
67) 461 a.C. - Consoli
Lucio Ebuzio
e
Publio Servilio Prisco
. Gravissima epidemia a Roma, ne approfittarono
Equi
e
Volsci
per riprendere le armi e invadere i territori dei Latini e degli
Ernici
. Questi mandarono ambasciatori a Roma per chiedere aiuti ma il console
Ebuzio<7a> era morto e
Servilio
malato. I senatori autorizzarono Latini e
Ernici
a combattere per difendersi I Latini si limitarono a vigilare sulle mura delle loro città mentre gli
Ernici
vollero combattere anche nei campi e in diverse battaglie molti uccisero e molti furono uccisi.
68)
Equi
e
Volsci
, dopo aver depredato anche territori dei
Tuscolani
e dei
Sabini
, puntarono su Roma. Nonostante la malattia e la morte dei consoli, i
Romani
si disposero a difendere le mura. I colli e il
Tevere
difendevano Roma su più lati, il tratto più debole andava dalla
porta Esquilina
alla porta Collina, ma era protetto da un fossato e da solide fortificazioni. I
Romani
si schierarono lungo questo tratto e respinsero tutti gli assalti dei nemici i quali tornarono in patria senza essere riusciti nel loro intento.
69) Furono eletti consoli
Lucio Lucrezio
e
Tito Veturio Gemino
(
462 a.C.
). Terminata l'epidemia, il senato decise di fare guerra a chi aveva attaccato
Roma
durante la malattia. Un terzo dell'esercito rimase a guardia di
Roma
al comando di
Quinto Fabio
, il resto seguì i consoli contro
Volsci
e
Equi
.
Lucrezio
attaccò gli
Equi
,
Veturio
i
Volsci
.
70) I
Volsci
uscirono a combattere ma fuggirono alla vista dell'armata romana, i
Romani
li inseguirono e ne uccisero molti. I comandanti di
Equi
e
Volsci
decisero di marciare verso
Roma
con lo scopo di allontanare le milizie romane dai loro territori.
71) Arrivati nei pressi di Tuscolo,
Equi
e
Volsci
si fermarono a depredare le campagne. Furono attaccati da
Lucio Lucrezio
e combatterono con valore ma, quando scese in campo anche l'armata dell'altro console, furono costretti a fuggire.
Lucrezio
e
Veturio
devastarono le terre dei nemici e tornarono a
Roma
dove entrambi celebrarono il trionfo.
Libro Decimo
1) Consoli Publio Volumnio e Servio Sulpicio Camerino (461 a.C.). I consoli non uscirono dalla città per combattere ma rimasero a sorvegliare che non scoppiassero disordini nel popolo.
2) I tribuni della plebe insistevano perché tutte le leggi fossero scritte e divulgate mentre ancora molte norme erano tramandate per consuetudine. Gli alti magistrati tentavano di mantenere questo stato di cose che permetteva loro di governare con maggior libertà. Si verificò un prodigio: piovvero dal cielo lembi di carne fritti come neve, gli uccelli li afferravano al volo e quelli che raggiungevano il suolo rimanevano intatti, senza marcire. Con l'aiuto dei Libri Sibillini il prodigio fu interpretato: sarebbero arrivati nemici per invadere Roma e farla schiava, da questo pericolo sarebbero nate anche sedizioni interne, insomma era necessario placare gli dei per ottenere da loro la salvezza.
3) Era indispensabile la concordia ma era difficile ottenerla perché senatori e tribuni della plebe si accusavano reciprocamente di provocare ostilità. Infine i tribuni riunirono il popolo e proposero di scegliere dieci cittadini ai quali affidare il compito di stendere un codice di leggi su tutti gli aspetti pubblici e privati e di proporlo al popolo per l'approvazione. La proposta dei tribuni fu lungamente discussa, quindi si fissò la data per metterla ai voti.
4) I patrizi asserirono che nessuna legge poteva essere introdotta senza decreto del senato e si opposero ai tribuni. I più giovani organizzarono marce per la città propagando questa affermazione.
5) Tra i patrizi ebbe grande seguito Quinzio Cesone, figlio di Lucio Quinzio Cincinnato che attaccava violentemente gli avversari plebei. I tribuni lo citarono per pubblica offesa e chiesero la sua condanna a morte. Convocato in giudizio, Quinzio Cesone rifiutava sdegnosamente di difendersi ma intervenne il padre chiedendo al popolo di tollerare le intemperanze giovanili del figlio. Chiedeva di essere ascoltato in onore delle sue molte imprese e dei suoi meriti.
5) Il discorso di Cincinnato incontrava il favore del popolo ma il tribuno
Verginio
temette di creare un precedente pericoloso e rinnovò le accuse contro Cesone.
7) Un plebeo di nome Marco Volscio testimoniò contro Cesone che, insieme a un gruppo di suoi compagni ubriachi lo aveva aggredito una notte, aveva ucciso suo fratello e lo aveva ridotto in fin di vita.
8) La testimonianza di Volscio suscitò lo sdegno del popolo che minacciò di giustiziare sul posto Cesone, i consoli e gli stessi tribuni intervennero per garantire all'accusato un processo regolare. Cesone fu rilasciato su cauzione ma non si presentò il giorno del processo essendo fuggito in Etruria. I suoi dieci mallevadori pagarono la cauzione e furono rimborsati con grande difficoltà da Cincinnato. Le accuse di Volscio si rivelarono false e la gioventù patrizia riprese a imperversare con rinnovato vigore.
9) Consolato di Valerio Publicola e Caio Claudio Sabino (
458 a.C.
).
Per non perdere il controllo della situazione i tribuni sparsero voci inquietanti sostenendo che Cesone era diventato comandante dei Volsci ed Equi e che si preparava ad attaccare Roma con un grosso esercito. Il senato fu convocato e i tribuni si presentarono per illustrare la situazione.
10) Il tribuno
Aulo Verginio
parlò al senato per denunciare una congiura che un gruppo di patrizi andava preparando. I congiurati intendevano attaccare di notte ed uccidere i tribuni della plebe e i plebei più impegnati politicamente per poi costringere i senatori a revocare le concessioni fatte alla plebe. Per assicurare alla congiura le necessarie risorse militari, Cesone era riuscito ad ottenere il comando di Volsci ed Equi ed era pronto all'azione.
11)
Verginio
concluse il suo discorso pregando il senato di aprire un'inchiesta per individuare e neutralizzare i congiurati. Per questa inchiesta i tribuni si proponevano come inquisitori.
12) Alla proposta dei tribuni si oppose il console Caio Claudio sostenendo che il pericolo paventato da
Verginio
fosse soltanto un'invenzione dei tribuni che avrebbero avuto così modo di far esiliare i loro più accaniti avversari.
13) Claudio propose di indagare sulle fonti di informazione dalle quali i tribuni avevano avuto notizie della congiura, sfidò
Verginio
a dimostrare con prove evidenti quanto aveva sostenuto e suggerì ai senatori di considerare pericolosa e sospetta l'iniziativa dei tribuni. I senatori applaudirono al discorso di Claudio e questi promise di ripetere tutto davanti al popolo, cosa che fece poco dopo convocando un'assemblea.
14) Intanto un Sabino di nome
Appio Erdonio
aveva concepito il progetto di attaccare Roma per procurare ricchezze al suo popolo e gloria a se stesso. Riuscì in poco tempo ad arruolare quattromila uomini e fornirli di tutto il necessario per la guerra, quindi li trasportò con imbarcazioni fluviali lungo il
Tevere
fino a brevissima distanza dal
Campidoglio
. Approfittando del buio e della quiete notturna, Erdonio fece entrare i suoi soldati dalla Porta Carmentale che era sempre aperta per ordine di un oracolo e senza difficoltà si impadronì della rocca. Intendeva sfruttare le inimicizie sociali dei Romani per sottomettere i plebei e guidarli contro i patrizi, intendeva inoltre coinvolgere nella guerra Sabini, Volsci e le altre genti che volevano liberarsi del dominio dei Romani.
15) Il suo proposito, tuttavia, andò a monte perché nessun romano, sia pure indebitato, disonorato o schiavo, accettò di unirsi a lui. Il pericolo fu subito ridimensionato, in ogni modo i consoli chiamarono il popolo alle armi ma i tribuni ne approfittarono per avanzare richieste della plebe che ponevano come condizione prima di combattere. Il solito
Claudio
sostenne che i patrizi erano in grado di liberare la città senza l'aiuto dei plebei ma l'altro console
Publio Valerio
si disse contrario a suscitare contese tra patrizi e plebei, chiese ai plebei di combattere promettendo che, scampato il pericolo, le loro istanze sarebbero state discusse.
16) Occorsero due giorni per prepararsi a combattere e dividere le milizie tra i due consoli. Claudio ebbe il compito di presidiare le porte della città per impedire l'arrivo di altri nemici mentre a Valerio la sorte assegnò l'assedio delle fortezze occupate dai Sabini. Giunsero aiuti da parte dei Tuscolani, comandati da Lucio Mamilio. Gli assediati erano favoriti dalla posizione più alta che permetteva di scagliare pietre e oggetti con violenza micidiale, gli assedianti però non desistettero e dopo tre giorni ebbero la meglio. Liberare la rocca costò ai Romani molte vite, tra cui quella del console Publio Valerio. Morì anche
Appio Erdonio
e molti degli invasori superstiti si tolsero la vita.
17) I tribuni chiesero al console Claudio di adempiere alle promesse di Valerio sulla discussione delle richieste della plebe. Claudio prese tempo con vari pretesti (sacrifici, cerimonie, giochi) e infine, sostenendo che non si poteva procedere prima di sostituire il console caduto, fissò il giorno per i comizi. I senatori combinarono le elezioni in modo da far votare per prima la classe più ricca e fu eletto Lucio Quinzio Cincinnato, che si riteneva certamente ostile alla plebe per i precedenti giudiziari del figlio Cesare. I mezzi del senato trovarono Cincinnato intento ad arare con i buoi un campo di sua proprietà. Quando fu informato della nomina, Cincinnato si lamentò per il campicello che sarebbe rimasto incolto, ma accettò la porpora e salutò la moglie.
18) Quinzio mise rapidamente a tacere i tribuni minacciando di chiamare i plebei alle armi e intraprendere una lunga spedizione contro i Volsci.
19) Calmate le turbolenze, Cincinnato prese ad amministrare la giustizia e lo fece con grande correttezza ed umanità tanto che i plebei rinunciarono all'idea di una nuova legislazione per gestire i tribunali trovando la conduzione di Cincinnato giusta e più che soddisfacente. Il consolato di Cincinnato fu rinnovato per un secondo anno ma quando gli fu proposto il terzo si oppose decisamente e tornò al suo campo per vivere del suo lavoro.
20) Consoli Fabio Vibulano e Lucio Cornelio (
457 a.C.
). Gli Equi invasero la città del Tuscolo, fecero poche vittime ma molti prigionieri A Roma un intervento in favore dei Tuscolani fu ostacolato dai tribuni della plebe che non permettevano arruolamenti prima dell'approvazione di una loro proposta di legge. Nel frattempo giunsero messaggeri che avvertirono che
Anzio
si era ribellata e che Volsci ed Equi stavano concentrando un'armata nel territorio degli Ernici. A questo punto i tribuni cedettero e i consoli convocarono l'esercito. Fabio si portò a Tuscolo dove rapidamente liberò il castello dal presidio degli Equi.
21) A sera Fabio marciò in fretta verso l'
Algido
dove erano accampati Equi e Volsci. Sorprese i nemici all'alba, mentre molti ancora dormivano, e molti fuggirono abbandonando il campo. L'armata romana si spostò in Ecetra, città dei Volsci, e la mise sotto assedio. La città resisteva e i Romani diedero il sacco ai dintorni prima di tornare a Roma.
Il console Lucio Cornelio intanto si era portato a
Anzio
e si scontrò con i Volsci prima di raggiungere la città, li sconfisse e circondò
Anzio
finché non ne fece uscire quanti vi si trovavano, sconfitti anche questi espugnò la città e la saccheggiò. Giustiziati i capi della rivolta tornò a Roma dove entrambi i consoli celebrarono il trionfo.
22) Furono eletti consoli Caio Nauzio e Lucio Minucio (456 a.C.). Ebbero contrasti sui diritti civili con i tribuni ma minacce esterne li spinsero a organizzare l'esercito: ne lasciarono una parte a Fabio Vibulano per difendere la città e divisero il resto tra Nauzio che affrontò i Sabini e Minucio contro gli Equi. I Sabini erano avanzati fino a Fidene e gli Equi avevano attaccato i Latini alleati di Roma. Comandava gli Equi un certo Gracco Clelio che saccheggiò e devastò i dintorni di Tuscolo e quando ricevette un'ambasciata romana affermò che la sua azione non violava i trattati di pace con Roma essendo limitata al Tuscolo.
23) Rimasta senza esito anche l'ambasciata dei feziali, i Romani mandarono il console con le milizie e Gracco manovrò in modo da attirare i Romani in terreno a lui favorevole. Dopo uno scontro con gli Equi, i Romani si trovarono circondati e Gracco sperava che si arrendessero per fame ma la notizia giunse a Roma dove Favio Vibulano scelse i migliori dei suoi uomini e li mandò a Minucio sotto il comando di Tito Quinzio, inoltre avvertì l'altro console Nauzio chiedendogli di soccorrere il collega. Nauzio si recò a Roma con altri cavalieri e fu deciso di eleggere un dittatore, fu scelto Lucio Cincinnato.
24) Ancora una volta Cincinnato fu distolto dal lavoro nei campi per assumere la dittatura e ancora una volta se ne lamentò. A Roma tenne in pubblico un discorso incoraggiante, poi concentrò le migliori truppe disponibili e nominò Lucio Tarquinio maestro di cavalleria.
Giunto nei pressi degli Equi, dispose parte delle sue truppe in modo da impedire al nemico di rifornirsi, quindi avanzò le altre milizie in ordine di combattimento. Con una dura battaglia, Cincinnato costrinse Clelio a indietreggiare nel suo campo e lo circondò per dare modo a Minucio di uscire dal luogo in cui era intrappolato. Infine gli Equi, a corto di viveri, chiesero la pace. Ottennero la salvezza a condizione di passare sotto il giogo, di consegnare Gracco e i suoi compagni e di cedere ai Romani la loro città di Corbione.